Mappa |
Il processo che porta alla formazione di una mappa si basa sulla trasposizione in uno spazio di una variabile presente in un altro spazio: lo spazio d'origine della variabile da traslare è un insieme di punti connessi o comunque correlati; la mappa è l'insieme di quei punti traslati in uno spazio definito «bersaglio». In neurofisiologia sensoriale, una mappa è quindi la rappresentazione grafica in uno spazio bersaglio (una porzione di sistema nervoso centrale, comunemente la corteccia cerebrale) di un insieme di punti presenti in uno spazio d'origine (la periferia sensoriale, più precisamente i recettori); in neurofisiologia motoria invece lo spazio bersaglio è la periferia (più precisamente i muscoli) mentre lo spazio d'origine è costituito da punti delle strutture centrali (comunemente della corteccia cerebrale). Ne consegue che, pur con i limiti che saranno indicati, è coerente con queste definizioni parlare di mappe sensoriali e di mappe motorie; meno corretto è invece l'uso del termine, in neurofisiologia cognitiva, per indicare la localizzazione delle funzioni superiori. Storicamente, tuttavia, il concetto di mappa corticale nasce e si sviluppa nell'ambito degli studi sulla localizzazione delle funzioni cerebrali; pertanto, sarà necessario fare riferimento anche alla localizzazione. L'idea che diverse funzioni cerebrali potessero essere localizzate nella corteccia compare in maniera chiara con F. Gali, il quale tra la fine del '700 e i primi anni dell'800 formula un sistema teorico - che egli definisce «organologia» - in base al quale il cervello, considerato fino a quel momento l'unico «organo della mente», viene considerato un insieme di «organi», ciascuno preposto a una funzione specifica. In porzioni determinate della corteccia cerebrale dunque, secondo Gali, sarebbe possibile individuare funzioni mentali altrettanto determinate. E’’ questa la premessa teorica che sfocerà, soprattutto per opera di un collaboratore di Gali, J. Spurzheim, nella frenologia e nelle ben note «mappe frenologiche» che nella prima metà del XIX secolo si diffonderanno in Europa e negli Stati Uniti, soprattutto in ambito extra-accademico, e avranno vasta eco specialmente nella cultura popolare. La connotazione fortemente materialistica del modello, e segnatamente il rifiuto da parte di Gali del metodo sperimentale in ambito neurofisiologico, determinarono infatti una forte preclusione del mondo scientifico e accademico nei confronti della possibilità di localizzare nel cervello funzioni tradizionalmente considerate «mentali» e dunque ricondotte a una dimensione «ontologica» tipicamente umana che, da Cartesio in poi, è stata considerata essenzialmente unitaria, indivisibile e «inestesa», quindi per definizione non localizzabile in alcuno «spazio» fisico. L'opposizione alle idee di Gali e dei suoi seguaci trova le sue principali conferme sperimentali nei lavori di J.-M.-P. Flourens su cani e piccioni e nella teoria dell'ineccitabilità e dell'equipotenzialità funzionale della cortececia, ma viene profondamente scossa dai «lati provenienti dall'indagine clinica sul carattere discreto di alcuni disturbi neurologici che colpiscono esclusivamente alcune funzioni. Già nel 1848 il celebre caso di Phineas Gage, un operaio che in seguito a una lesione circoscritta dei lobi frontali presentiva sintomi legati esclusivamente alla personalità e alla pianificazione del comportamento, in totale assenza di disturbi sensoriali o motori, fornì dati significativi per un ripensamento dell'organizzazione funzionale della corteccia in termini localizzazionistici. Tuttavia solo negli anni '60 dell'800, "mi lavori di P. Broca, si ha la prima vera I propria localizzazione di una funzione infintale: sulla base del celebre caso del paziente «Tan», Broca (1861b) localizza il linguaggio, più propriamente la componente motoria del linguaggio verbale, nel piede della terza circonvoluzione frontale dell'emisfero sinistro. L'afasia motoria (anomia nella definizione di Broca), poi chiamata «afasia di Broca», è la prima disfunzione comportamentale esattamente correlata alla lesione di un'area ben delimitata della corteccia, ed eserciterà un'influenza fondamentali nello studio delle funzioni cerebrali. Ancor più rilevanti ai fini della presente trattazione sono le osservazioni di J. H. Jackson che, tra il 1861 e il 1870, pubblica una serie di fondamentali osservazioni sulla diffusione delle convulsioni in pazienti con epilessia parziale da lue cerebrale. Jackson nota che in questi pazienti le convulsioni tendono a interessare gruppi muscolari secondo una sequenza prevedibile (fenomeno in seguito definito «marcia jacksoniana»): se le convulsioni iniziano nel piede, esse si diffondono alla gamba, poi al tronco, al braccio e infine al volto; viceversa, se esse iniziano nella mano, si diffondono al braccio, al volto e solo dopo alla gamba e al piede. Anche se per alcuni anni Jackson, seguendo le idee allora dominanti, non attribuì significato localizzatorio a queste osservazioni, in un famoso articolo del 1870 egli scrisse che la marcia delle convulsioni poteva essere spiegata da un'organizzazione topografica, una mappa, della corteccia motoria. Negli anni '60 dell'800, prende così l'avvio un modo nuovo di guardare alla mente e al cervello, e diventa possibile localizzare funzioni specifiche e produrre mappe cerebrali che descrivano la distribuzione topografica dei diversi centri funzionali. Nel 1874, C. Wernicke dimostra l'esistenza di un secondo centro del linguaggio, quello legato alla comprensione piuttosto che all'articolazione, anatomicamente distinto da quello individuato da Broca e situato nell'area temporale dell'emisfero sinistro. Nel 1870, G. Fritsch e J. E. Hitzig dimostrano che stimolando elettricamente le regioni anteriori della corteccia cerebrale del cane si producono movimenti precisi degli arti, del collo e del capo dal lato opposto a quello della stimolazione. La corteccia si dimostra eccitabile e connessa al movimento; non è più sostenibile la sua presunta differenza qualitativa rispetto al resto del sistema nervoso ed è dunque possibile indagarne il funzionamento con gli stessi metodi sperimentali e alla luce degli stessi presupposti teorici. Fritsch e Hitzig scoprono non solo che la stimolazione della corteccia produce movimenti, ma che la stimolazione di regioni diverse produce movimenti distinti (organizzazione somatotopica). Con questa scoperta inizia un'epoca di grande entusiasmo nei confronti della possibilità di scoprire i modi e i luoghi del nesso tra mente e cervello, tra sistema nervoso e comportamento; e a partire dalla metà degli anni '70 si verifica un'esplosione di studi e ricerche sperimentali sulla localizzazione delle funzioni cerebrali. Nel 1876 D. Ferrier pubblica The Functiom of the Brain, opera fondamentale che rappresenterà per decenni il punto di riferimento di un approccio localizzazionistico al cervello e che propone le prime vere e proprie mappe corticali, le prime rappresentazioni topografiche dettagliate della geografia delle funzioni corticali. Utilizzando stimolazioni elettriche e ablazioni, Ferrier indaga sperimentalmente il ruolo funzionale di specifiche aree corticali in animali di specie diverse. Ne ricava un modello localizzazionistico in base al quale nella corteccia cerebrale sono identificate aree sensoriali, aree motorie e aree associative in un complessivo rapporto di rappresentazione somatotopica e in un'ottica di progressiva encefalizzazione, andando dalle specie meno complesse fino ai primati e all'uomo. Per quanto concerne quest'ultimo, Ferrier abbina ai dati sperimentali ottenuti nella scimmia quelli sulle conseguenze comportamentali e cognitive di lesioni cerebrali specifiche provenienti dalla clinica, e ne ricava l'ipotesi di una localizzazione corticale di centri funzionali strettamente corrispondenti a quelli individuati nelle scimmie, preposti al controllo di aspetti specifici del comportamento sensoriale e motorio, nonché all'elaborazione e alla pianificazione del comportamento in generale. Nascono così le prime mappe del cervello umano, che ne identificano nella parte posteriore le aree sensoriali, nella parte centrale le aree motorie e nelle zone anteriori, frontali, le aree collegate «all'intelligenza» e alla produzione del comportamento volontario. Queste mappe diventano immediatamente punto di riferimento essenziale non solo per quanti, alla fine del secolo, si dedicano all'esplorazione sperimentale, ma anche, e forse soprattutto, per la neurochirurgia, che proprio a partire dagli anni '80 si sviluppa rapidamente sulla base di una saldatura, dalla grande valenza euristica, fra la clinica dei disturbi neurologici e neuropsicologici, la sperimentazione animale e i primi modelli della mente e del comportamento prodotti dalla nascente «psicologia scientifica» di W. Wundt. Nell'ambito sperimentale, all'opera di Ferrier si affianca quella di molti altri, come H. Munk, Ch. Beevor, V. Horsley e, nella fase iniziale della sua carriera, Ch. Sherrington - che porta all'affermazione del modello localizzazionistico a seguito di un confronto dialettico, a tratti anche aspro, fra gli esponenti di tre concezioni diverse del funzionamento della corteccia. Accanto ai sostenitori di una localizzazione chiaramente definita di funzioni specifiche, altri, come L. Luciani, sostengono una localizzazione «plastica e dinamica», che sottolinea la presenza nella corteccia di aree di sovrapposizione e di integrazione funzionale; altri ancora invece, per esempio F. Goltz, negano decisamente che la corteccia cerebrale abbia un funzionamento discreto sensoriale e motorio e ne sostengono per contro l'equipotenzialità e l'azione di massa. Alla fine del XIX secolo si afferma quindi un modello che considera il cervello come un insieme di centri funzionali altamente organizzati, ciascuno responsabile di una diversa funzione o di uno specifico aspetto di essa; centri la cui lesione determina sindromi specifiche ma che possono in qualche modo produrre seri disturbi comportamentali e/o cognitivi anche se solo disconnessi fra loro da lesioni o traumi che interrompano le vie associative che li collegano all'interno degli specifici circuiti funzionali che costituiscono la base nervosa delle funzioni più complesse. Fondato sugli sviluppi di neurofisiologia, neurologia e ipotesi di provenienza filosofica e psicologica, il modello localizzazionistico diventa così un vero e proprio paradigma. Gli ultimi anni dell'800, l’âge d'or del localizzazionismo, si esprimono nell'opera dei cosiddetti diagrammisti, i quali, introducendo nello studio delle funzioni cerebrali una metodologia predittiva dalle forti valenze euristiche, producono diagrammi che, basandosi su dati clinici, consentono di dedurre quali centri primari e quali connessioni siano danneggiate o, con un procedimento inverso, di prevedere in qualche misura i disturbi psichici e comportamentali conseguenti in un soggetto colpito da precise lesioni cerebrali. Frutto di un'inedita convergenza fra livelli di studio diversi (morfologico, funzionale e patologico), i diagrammi di fine '800 diventano rapidamente potenti strumenti per lo sviluppo di un modello dell'attività cerebrale dalle capacità predittive nei confronti del comportamento normale e patologico. Ai diagrammi, modelli esclusivamente funzionali, si affianca una vera e propria «cartografia» che illustra nei dettagli l'organizzazione topografica delle (unzioni corticali e fa da modello teorico di riferimento per il rapido sviluppo della neurochirurgia. A partire dagli anni '20 del '900, tuttavia, la posizione rigidamente localizzazionistica incontra difficoltà crescenti a conciliarsi con dati sperimentali e clinici e con elaborazioni teoriche che depongono per una lettura pili complessa e sfumata della fisiologia corticale e per la conseguente necessità di «ripensare» le mappe in funzione delle differenze individuali, dell'evidente ridondanza e della plasticità dell'organizzazione corticale. Dell'approccio diagrammista e cartografico vengono messi in dubbio l'assunto che le funzioni possano essere localizzate univocamente e con precisione, il riferimento a concetti psicologici ancora semplicistici e inadeguati e, infine, l'inconsistenza dei dati clinici derivati da casi singoli (e dunque privi di validità statistica). La crisi del paradigma localizzazionistico classico alimenta una spinta alla riscoperta della globalità, una tendenza a guardare alla corteccia cerebrale in termini distici e dinamici e, di conseguenza, il rifiuto delle mappe corticali. Fra gli anni '20 e '40 trionfa una concezione del cervello basata sull'idea dell'interdipendenza dinamica fra le sue parti. All'origine di questa prospettiva si possono individuare le idee di C. von Monakow sulla diaschisi, intesa come principio dinamico per l'interpretazione della plasticità, della variabilità e delle sorprendenti capacità di sostituzione funzionale esibite dal sistema nervoso. Sono anni nei quali, d'altra parte, l'olismo si afferma anche in ambito psicologico, per esempio nelle critiche di S. Freud al localizzazionismo o nelle opere degli esponenti della psicologia della Gestalt sul carattere integrato e dinamico dell'esperienza psicologica e sul suo fondamento in una neurofisiologia dell'attività olistica del cervello. Applicando allo studio dell'afasia concetti e strumenti teorici elaborati dai gestaltisti, K. Goldstein, per esempio, sostiene che la patologia afasica colpisce essenzialmente il comportamento astratto e categoriale e, sulla base di studi condotti su feriti di guerra, sviluppa una teoria dell'attività cerebrale secondo la quale le funzioni corticali sono organizzate in modo interdipendente e dinamico, senza alcuna possibilità di essere rappresentate topograficamente. A questi sviluppi provenienti dalla clinica si accordano in modo particolarmente armonioso quelli provenienti dalla neurofisiologia, prima fra tutte l'idea di Sherrington che il sistema nervoso sia un organo dalle funzioni essenzialmente integrative. L'opera di Sherrington (1906) segna profondamente tutta la neurofisiologia del primo '900, enfatizzando l'integrazione e l'interdipendenza a scapito della differenziazione funzionale. Nel giro di pochi anni, tuttavia, lo sviluppo delle neuroscienze volge nuovamente verso un modello di carattere associazionistico, dunque verso la riscoperta della «mappatura» di funzioni sensoriali e motorie. Ancora una volta, la spinta viene dalla convergenza tra ricerche sperimentali e osservazioni cliniche. Nell'ambito sperimentale, le osservazioni di R. Gerard, W. Marshall e L. Saul (1933) che lo spostamento di alcuni peli o l'applicazione di una leggera pressione sulla superficie cutanea dell'animale determina una variazione dell'attività elettrica corticale (potenziale evocato) in un punto molto localizzato dell'area somestesica controlaterale al lato stimolato, rendono possibile lo studio sistematico della rappresentazione corporea. Utilizzando questa tecnica, C. Woolsey e i suoi collaboratori eseguono la prima mappatura dettagliata dell'area somatosensoriale del gatto e della scimmia. Questo studio è seguito da numerosi altri, in cui vengono definite le mappe delle aree sensoriali e motorie di numerose specie di mammiferi e poste le basi dell'organizzazione somatotopica della corteccia cerebrale. All'inizio degli anni '40, Woolsey scopre l'esistenza di una seconda area somatosensoriale nella corteccia del gatto, del cane e della scimmia e successivamente di aree visive e uditive secondarie, e negli anni seguenti studia con grande dettaglio le mappe delle aree motorie e sensoriali in un'ampia gamma di mammiferi e nei primati. Nell'ambito clinico, fin dalla fine degli anni '30, il neurochirurgo W. Penfield, attivo presso il Neurological Institute di Montreal, combinando metodo clinico e metodo sperimentale studia le conseguenze di lesioni cerebrali, compie esperimenti di elettrostimolazione focale del cervello e analizza gli effetti provocati dalle ablazioni di tessuto cerebrale a scopo terapeutico in pazienti affetti da epilessia. Giunge così a ricostruire la localizzazione delle aree del linguaggio nell'emisfero sinistro e, più in generale, a determinare le funzioni di varie aree corticali, in particolare quelle frontali e temporali, nel controllo del comportamento umano; infine, propone nel capitolo finale della sua fondamentale opera The Cerebral Cortex of Man (1950), le più famose mappe delle funzioni sensoriali e motorie, i celeberrimi homunculi. Questi studi, oltre a confermare la lateralizzazione delle rappresentazioni corticali, dimostrano che l'estensione della rappresentazione corticale delle varie parti del corpo è «distorta», non è cioè correlata alle dimensioni reali delle parti. Al problema della diversa estensione delle varie parti del corpo nella mappa corticale contribuiscono gli studi di E. Adrian (1941; 1943), il quale dimostrò che le regioni del corpo più usate per l'esplorazione tattile del mondo esterno sono maggiormente rappresentate nella mappa e sono più ricche di recettori: nel maiale è infatti il grugno, nella pecora e nella capra le labbra, mentre nell'uomo e nei primati sono le mani ad avere la maggiore rappresentazione corticale. I temi fondamentali affrontati nell'ambito dello studio delle mappe corticali fino a questo, periodo sono stati l'identificazione di differenze nell'organizzazione delle mappe e dell'orientamento della rappresentazione del corpo nelle diverse specie. Nel 1957, V. Mountcastle dimostra che le proprietà funzionali dei neuroni dell'area somatosensoriale prima (SI; l'area corticale che riceve le afferenze originate dai recettori cutanei, muscolari, articolari) sono correlate alle classi di recettori periferici: i neuroni localizzati nelle regioni anteriori dell'area SI sono prevalentemente attivati dai cosiddetti recettori profondi (sottocutanei, muscolari), quelli delle regioni centrali rispondono prevalentemente alla stimolazione di recettori cutanei, mentre quelli delle regioni posteriori sono attivati dalla stimolazione di recettori profondi e articolari. Queste osservazioni, effettuate nel gatto e successivamente confermate nella scimmia, portano all'ipotesi che la mappa sia costituita da un mosaico di colonne, ognuna delle quali è deputata all'analisi di una particolare classe di recettori localizzati in una determinata area corporea. Th. Powell e Mountcastle (1959) descrissero quindi la mappa corticale come una serie di bande anteroposteriori che include le tre aree citoarchitettoniche e che riceve afferenze da una singola radice dorsale, ma non pubblicarono alcun disegno a corredo. Le osservazioni di Powell e Mountcastle vennero poi sviluppate in modo diverso, e per certi versi antitetico, da due gruppi di ricercatori che alimentarono una vivace querelle scientifica che si sviluppa per tutti gli anni '70 e parte degli anni '80. G. Werner e B. Whitsel (1968), ponendo l'enfasi sulle bande rostrocaudali, formalizzano una teoria di come il corpo è rappresentato nella corteccia. Consci della difficoltà di «mappare» una struttura tridimensionale in uno spazio bidimensionale e di rappresentare contemporaneamente le superfici cutanea, muscolare e articolare, Werner e Whitsel propongono un modello basato sul concetto che la rappresentazione del corpo nell'area S1 segua la sequenza dei dermatomeri e che Ogni dermatomero sia orientato lungo l'asse reistrocaudale e possieda una sola superficie (come nelle bottiglie di Klein): il modello postulava l'esistenza di una sola mappa e non I ; uova distinzioni tra l'interno (recettori muscolari e profondi) e l'esterno (recettori cutanei). Nel 1972, tuttavia, viene scoperta una doppia rappresentazione della mano nell'area SI, una nell'area 3b e una nell'area 1, suggerendo per la prima volta che l'area SI sia costituita da più di una rappresentazione « lei corpo. Queste osservazioni sono state successivamente riprese e sviluppate da J. Kaas e M. Merzenich: dall'analisi dettagliata della rappresentazione della faccia, della mano e del piede, essi conclusero che esistono due rappresentazioni intere del corpo nell'area SI della scimmia, una nell'area 3b e una nell'area 1. Questi studi furono successivamente ripetuti in moltissime specie da Kaas e Merzenich e dai loro collaboratori e allievi, portando all'attuale consenso sull'esistenza di mappe multiple nella corteccia sensoriale e nelle altre aree sensoriali e motorie. Analoghe osservazioni vengono riportate successivmente anche per le altre aree sensoriali e per le aree motorie. Negli anni '80 si compie, ancora per opera di Kaas e Merzenich, un fondamentale progresso nello studio della mappe corticali: prendendo spunto da alcune osservazioni occasionali che risalivano agli anni '60, essi infatti dimostrano che le mappe sensoriali corticali non sono rappresentazioni statiche, fisse e immutabili, ma plastiche, ovvero modificabili dalla riduzione q dall'aumento delle afferenze periferiche. E’ stato dimostrato che, in un'area corticale deprivata dalle afferenze periferiche, è possibile, dopo un periodo di silenzio neuronale, evidenziare una «nuova» rappresentazione (una nuova mappa). In altri termini, la regione di corteccia che non riceve più informazioni dai recettori che fanno capo al nervo inattivato viene occupata dalla rappresentazione delle regioni periferiche vicine. Questi esperimenti sono stati condotti dapprima nel sistema somatosensoriale utilizzando una vasta gamma di modificazioni periferiche (dal taglio di un nervo alla sua legatura o al suo schiacciamento, dall'amputazione di un dito alla fusione di due dita adiacenti) e sono stati confermati anche in altri sistemi sensoriali, come il sistema visivo e il sistema uditivo, e nella corteccia motoria. Ancor più interessante è l'osservazione che la corteccia è plastica in situazioni d'aumento delle afferenze. Se infatti una regione corporea viene stimolata, aumentano sia la sua area di rappresentazione corticale sia la funzione mediata da quell'area corticale: per esempio, in scimmie addestrate a riconoscere la frequenza di uno stimolo vibratorio applicato alle dita della mano, la rappresentazione corticale di quelle dita si allarga e questo allargamento è associato a un aumento della capacità discriminativa. Utilizzando tecniche non invasive, è stato possibile visualizzare anche nell'uomo la dinamicità delle mappe corticali e correlare l'estensione di una determinata mappa con la sua funzione. Per esempio, è noto che pazienti ciechi sono capaci di leggere l'alfabeto Braille e che questo si basa sull'impiego di un dito lettore (generalmente l'indice della mano destra) che viene utilizzato per rilevare i caratteri in rilievo. È stato dimostrato che l'ampiezza di specifiche componenti del potenziale evocato somestesico è maggiore in seguito alla stimolazione del dito lettore che delle altre dita, indicando chiaramente che il maggior uso di quel dito determina un allargamento della sua zona di rappresentazione. Analoghe osservazioni relative a violinisti e soggetti addestrati a eseguire compiti motori preordinati hanno confermato le prime osservazioni e dimostrato che la rappresentazione corticale di una porzione della periferia sensoriale e motoria dipende dall'uso e varia in relazione alle diverse e variabili necessità di un individuo. Queste fondamentali ricerche hanno fornito per la prima volta sostegno sperimentale all'intuizione, che risale almeno alla fine dell'800, e soprattutto all'opera di S. Ramon y Cajal e di E. Tanzi, che esista una relazione tra l'uso di un circuito cerebrale e la sua capacità funzionale. Queste osservazioni, inoltre, assumono un rilievo particolare in quanto, da una parte, dimostrano l'esistenza di processi fisiologici che mediano l'influenza dell'ambiente sul cervello, e dall'altra suggeriscono che questi processi sono capaci di generare eterogeneità delle rappresentazioni corticali e, in ultima analisi, che ogni individuo costruisce la propria rappresentazione della realtà (anche) in relazione alla sua interazione con l'ambiente. Lo studio delle mappe corticali ha quindi accompagnato la nascita, lo sviluppo e l'attuale esplosione delle neuroscienze e in questo lungo periodo storico, che abbraccia quasi due secoli, pochi argomenti hanno attratto l'attenzione dei ricercatori e stimolato l'interesse e la fantasia dei non addetti ai lavori come le mappe cerebrali. Lo studio delle mappe corticali ha rappresentato un formidabile strumento d'indagine, che ha permesso importanti progressi nella comprensione dell'organizzazione dei sistemi sensoriali e motori e della plasticità cerebrale, anche se non può essere sottaciuto che ancor'oggi, nonostante la grande mole di lavori, è poco chiaro che cosa sia in realtà una mappa, come si sviluppi e, soprattutto, quale sia la sua funzione e la sua relazione con la fisiologia della corteccia cerebrale. FIORENZO CONTI e CARMELA MORAEITO |