Kraepelin, Emil |
E. Kraepelin (1856-1926) è uno dei padri fondatori della psichiatria moderna, o meglio il padre della nosografia e nosologia psichiatrica. Ancora oggi la moderna classificazione delle malattie mentali (DSM-IV-TR, 2000) si appoggia ad alcuni concetti centrali della psichiatria clinica kraepeliniana, come ad esempio la dicotomia tra schizofrenia e disturbi dell'umore. Contemporaneo di S. Freud, Kraepelin si muove nell'ambito della psichiatria accademica tedesca e concentra i suoi studi sulle psicosi. Nato a Neustrelitz, nel Meclem-burgo, dopo essersi laureato frequentò a Monaco il biologo cerebrale B. von Gudden e, nel 1882, il laboratorio di psicologia sperimentale di W. Wundt a Lipsia. Nel 1886 gli venne conferita la cattedra di psichiatria nell'Università di Dorpat in Estonia e nel 1890 ottiene il trasferimento a Heidelberg. Dopo oltre dieci anni di lavoro, durante i quali si circonda di una serie di eccezionali collaboratori (come F. Nissl, celebre neu-roistopatologo, o A. Alzheimer, a cui va il merito dell'individuazione dell'omonima forma di demenza), nel 1903 Kraepelin si trasferisce quasi a malincuore all'Università di Monaco, ove fonda l'Istituto di ricerca psichiatrica che dirige per tutto il resto della vita accademica. Nel corso della sua formazione medico-psichiatrica e della sua brillante carriera Kraepelin sviluppò il metodo clinico descrittivo, traendo le sue idee dall'analisi di un'imponente quantità di materiale clinico che aveva potuto raccogliere mediante l'osservazione prolungata dei pazienti ricoverati nelle istituzioni psichiatriche. Gli ultimi decenni del xix secolo rappresentano un momento di grande sviluppo della psichiatria tedesca: i dipartimenti di psichiatria ebbero una grande diffusione nelle facoltà mediche e molti istituti psichiatrici furono costruiti ex novo. Grazie alle osservazioni cliniche sistematiche di migliaia di casi Kraepelin tentò di ordinare l'intera area delle psicosi. Il manicomio si configurava ai suoi occhi come una conquista dei tempi moderni: come un modo per superare l'ignoranza e la crudeltà nella quale venivano tenuti i malati di mente (prima «trattati con lo stimolo della fame e dello staffile», scriveva nel 1883): il luogo ove offrire loro i benefici di una cura medica diretta a rimuoverne o a mitigarne le sofferenze. Sottrarre il malato agli stimoli quotidiani che lo colpiscono e inserirlo in un organismo bene ordinato: questi i presupposti di una vera e propria cura morale. In questo contesto Kraepelin pubblica nel 1883, a soli 27 anni, un sintetico Compendio che può essere, a posteriori, considerato come la prima edizione del suo celebre Trattato. In realtà il Compendio ha carattere divulgativo e didattico. Ma già dalle poche pagine dell'introduzione si evince il programma di ricerca al quale Kraepelin si è votato. La psichiatria, come scienza delle malattie psichiche e della loro cura, appartiene al novero delle discipline mediche e si avvale dei metodi di ricerca delle scienze naturali. Ma l'oggetto di studio della psichiatria è un oggetto particolare, dal momento che è costituito dal campo dei cosiddetti processi psichici, vale a dire dell'esperienza interna di ciascuno: un campo che per definizione non è accessibile all'esame obiettivo. Questa antitesi tra esperienza interna ed esterna sta alla base della distinzione tra fenomeni psichici e fenomeni fisici. Una distinzione - sostiene Kraepelin - che è stata fonte di uno straordinario ritardo nello sviluppo della psichiatria, dato che, per inseguire i fenomeni psichici, la ricerca si è spostata dall'ambito della scienza sperimentale a quello della speculazione. Mentre i fenomeni psichici non sono altro che funzioni del cervello e i disordini psichici nient'altro che affezioni diffuse della corteccia cerebrale. In questo senso la psichiatria rappresenta solo un ramo speciale della neuropatologia che ha per oggetto la patologia della corteccia cerebrale. E’ necessario affrontare il campo dell'investigazione psichiatrica - conclude Kraepelin - contemporaneamente da due lati: da un lato cercando di svelare il substrato materiale delle malattie dell'anima, e dall'altro studiandone direttamente le manifestazioni morbose. Solo questa intima connessione tra patologia cerebrale e psicopatologia permetterà di addentrarsi nella conoscenza profonda dei fenomeni della pazzia. Nonostante questo programma di ricerca basato sulla connessione tra patologia cerebrale e psicopatologia, intesa come studio delle manifestazioni morbose della follia, il contributo di Kraepelin ha più a che fare con la psichiatria clinica e la nosologia che non con lo studio della patologia cerebrale. Infatti il lascito della psichiatria kraepeliniana consiste in primo luogo nel concetto di demenza precoce e, in secondo luogo, nell'introduzione della dicotomia tra schizofrenia e psicosi maniaco-depressiva. Due aspetti che Kraepelin delinea nelle varie edizioni del Trattato che si distendono nell'arco di tempo che va dal 1883 alla nona edizione del 1927. Anche la seconda edizione del 1887 mantiene, come la prima, valore didattico-divulgativo, ma si caratterizza per l'originalità dell'esposizione e per il confronto serrato con le idee di K. Kahlbaum e del suo allievo E. Hecker, dai quali Kraepelin mutuerà aspetti fondamentali della sua concezione della demenza precoce. È con la quarta edizione (1893) che il Compendio perde la sua valenza didattico-divulgativa e diventa un vero e proprio Trattato. Ma è soprattutto nella quinta edizione (1896) che viene a maturazione il progetto di una classificazione sistematica delle malattie mentali basata non tanto su un inquadramento sintomatico-descrittivo, quanto piuttosto sulle caratteristiche evolutive, di decorso e di esito del disturbo. È proprio l'attenzione specifica ai criteri di decorso e di esito che consente a Kraepelin di riunire, sotto la denominazione di demenza precoce, la variante paranoide e i quadri clinici descritti separatamente da Kahlbaum e da Hecker come catatonia ed ebefrenia, ponendo in primo piano le caratteristiche comuni dell'esito finale in demenza e della precoce età di insorgenza. Tre forme cliniche trovano così la loro unità grazie al rilievo di uno stesso decorso e di uno stesso esito, individuabile nell'insorgenza in età giovanile di un quadro clinico che va incontro a un progressivo, sistematico e inesorabile indementimento. In questo senso, come ebbe a dire più tardi E. Bleuler, la quinta edizione del Trattato rappresenta la culla del concetto di demenza precoce. La classificazione delle psicosi prende così l'avvio da una messa tra parentesi dell'attenzione alle cause e si fonda invece sull'osservazione sistemica del decorso a lungo termine. Forme cliniche che pervengono allo stesso esito costituiscono forme diverse della stessa malattia: questo l'assioma centrale di Kraepelin che riprende e sviluppa la posizione che era stata assunta in precedenza da Kahlbaum e dalla sua scuola. Di fronte a una concezione che negava l'esistenza di forme differenziate di malattia psicotica, ma che le considerava tutte espressione di una stessa psicosi (la tesi della psicosi unica di W. Griensinger), Kahlbaum aveva invece dimostrato l'esistenza di forme distinte di malattia rivolgendo l'attenzione al quadro clinico nel suo complesso ma soprattutto osservando l'intero decorso della malattia. Su queste basi aveva potuto descrivere la catatonia e, in collaborazione con Hecker, nel 1871 aveva descritto l'ebefrenia in base alle osservazioni compiute nella clinica di Gorlitz su giovani adolescenti che erano andati incontro a un progressivo deterioramento. Ma le idee di Kahlbaum non avevano avuto larga diffusione fin quando non erano state riprese e riformulate da Kraepelin nell'ambito di un progetto nosologico sistematico che rimanda - nelle parole dello stesso Kraepelin - all'ideale della classificazione botanica di Linneo. Sotto E nome di «demenza precoce» Kraepelin riunisce provvisoriamente una serie di quadri clinici la cui comune caratteristica è costituita dall'esito in particolari stati di debolezza psichica. È proprio E criterio longitudinale dell'identità dell'esito che dà coerenza al quadro della demenza precoce, mentre perdono di valore i sintomi direttamente osservabili nel corso dell'esame clinico trasversale, dal momento che, come scrive Kraepelin, non esiste alcun segno decisivo per la diagnosi: non esiste cioè alcun sintomo che autorizzi a porre la diagnosi di demenza precoce. I deliri, le allucinazioni uditive, tattili o visive, le oscillazioni del tono dell'umore, gli stati di ansia sono ridimensionati nel loro valore patognomonico e sono invece da considerare segni accessori della malattia. Ciò che conta è la perdita completa della vivacità inteflettuale e d'ogni partecipazione aU'ambiente, la mancanza d'impulso a qualsiasi attività, la debolezza del potere di critica: queste caratteristiche svelano la vera essenza del disturbo. Si realizza così nel tempo uno stato di debolezza psichica che può arrivare fino all'indementimento: la persona diventa assolutamente incapace di nuove rappresentazioni, i singoli elementi della sua esperienza non sono più coordinati tra di loro, manca la possibilità di formare concetti, trarre conclusioni, articolare giudizi. Si assiste in sostanza alla totale disgregazione del pensiero e delle facoltà psichiche nel loro complesso e ciò autorizza Kraepelin a proporre di dare il nome di demenza precoce a questa entità clinica che appartiene all'area di quei processi di deterioramento che comprendono la demenza senile e la paralisi progressiva. Ma è solo dall'osservazione globale e prolungata del singolo caso clinico, del suo decorso ed esito finale, che si può arrivare alla certezza della diagnosi. In questo senso è necessario «provvisoriamente» accontentarsi di una classificazione basata sul criterio clinico dello stato terminale e rinunciare a una classificazione basata - come sarebbe invece auspicabile - su criteri eziologici. Criteri eziologici che restano per il momento - scrive Kraepelin nella quinta edizione - ancora poco chiari e contraddittori. Se il criterio sintomatologico sindromico, il criterio eziologico e il criterio anatomopa-tologico hanno mostrato tutta la loro insufficienza nella delimitazione delle unità morbose, viceversa l'analisi del decorso e degli stati terminali dovrebbe consentire di identificare quadri clinici che hanno alla base uno stesso processo patologico. Nell'ambito di una ricerca che ha come meta ideale l'individuazione delle unità morbose fondamentali in psichiatria, Kraepelin si muove così in maniera originale formulando l'assunto che quadri morbosi che esitano nello stesso stato terminale devono in linea di principio appartenere alla stessa malattia e quindi avere le stesse cause, le stesse forme psicologiche ma soprattutto lo stesso reperto cerebrale. Lo studio post mortem del cervello dovrebbe quindi prima o poi consentire l'individuazione della base neuropatologica della demenza precoce, in analogia con i successi conseguiti nella dimostrazione della base neuroanatomica dei disturbi psichici in corso di paralisi progressiva. La diagnosi di demenza precoce è quindi una diagnosi fatta a posteriori, in cui dall'esito si può risalire all'identificazione del quadro e in cui il mancato raggiungimento dell'esito in demenza mette in crisi la validità stessa della diagnosi. E questo è il problema che Kraepelin dovette affrontare nel tenere conto perlomeno di due eventualità: in primo luogo, esistono forme psicotiche che hanno un'evoluzione cronica e che si caratterizzano per un sistema delirante durevole, immutabile che si accompagna a una conservazione della lucidità, dell'ordine e della chiarezza del pensiero, senza quindi un'evoluzione in deterioramento demenziale: si tratta dell'ambito clinico della paranoia che va distinto dalla forma paranoide della demenza precoce nella quale si assiste invece al deterioramento demenziale; in secondo luogo, esistono forme che sembrano avere le caratteristiche della demenza precoce e che invece evolvono in guarigione. Il problema che fin da allora si pose può quindi essere così riformulato: come denominare le forme di demenza precoce (o, in seguito, di schizofrenia) che guariscono ? Tra la sesta (1899) e l'ottava edizione (1909-1915) Kraepelin dà un altro fondamentale contributo alla classificazione sistematica delle psicosi, introducendo la dicotomia tra demenza precoce e psicosi maniaco-depressiva. Se da un lato aveva unificato sotto l'ombrello della demenza precoce alcune forme cliniche che erano già state descritte in letteratura, dall'altro riunisce sotto l'ombrello della psicosi maniaco-depressiva i quadri clinici della mania e della melanconia. In base alla ripetuta osservazione clinica che molto spesso mania e depressione si alternano nel tempo nello stesso paziente (o anche si combinano nel corso dello stesso episodio), Kraepelin formula l'idea di un continuum tra stati maniacali e depressivi: mania e depressione sono parte di uno stesso processo che si manifesta in forma ciclica. È proprio la coesistenza di questi stati contropolari della psicosi che costituisce, nell'elaborazione di Kraepelin e del suo allievo Weygandt, il pilastro fondante l'intero edificio della psicosi maniaco-depressiva. Anche in questo caso il contributo fondamentale di Kraepelin si fonda sulla rielaborazione di idee e osservazioni che erano state formulate da Esquirol e da alcuni suoi allievi come Baillarger e Falret che nel 1854 avevano descritto con il nome di follia doppia e di follia circolare questa alternanza tra stati maniacali e stati depressivi. La caratteristica comune di queste forme è quella di operare uno sconvolgimento affettivo nell'ambito di un decorso di carattere fasico, che evolve cioè non inesorabilmente verso un danno irreversibile, ma per accessi successivi, separati da periodi liberi dal disturbo. La fase acuta quindi, di carattere depressivo oppure maniacale, ha di per sé una prognosi favorevole, anche se a lungo termine la prognosi è gravata dalla tendenza alla ripetizione di un'altra fase, di carattere maniacale o depressivo, in una sequenza e in una combinazione che possono assumere le forme più varie. L'esito quindi non è così grave come nel caso del deterioramento indotto dalla demenza precoce: al contrario la psicosi maniaco-depressiva anche a lungo termine non implica un deterioramento delle facoltà mentali. Con il modello della psicosi maniaco-depressiva fa la sua comparsa in psichiatria una distinzione fondamentale tra condizioni cliniche caratterizzate dalla progressione verso una grave compromissione del funzionamento mentale e forme cliniche caratterizzate da un andamento ciclico, nel quale le fasi di malattia si alternano con periodi liberi dalla malattia in cui il soggetto recupera il suo abituale funzionamento. Se nel primo caso la malattia implica la cronicità e un progressivo deterioramento, nel secondo caso invece si realizza una condizione di carattere discontinuo, contrassegnata dall'alternanza tra differenti modalità di funzionamento mentale. A queste due modalità Kraepelin dedica pagine memorabili, descrivendo nel dettaglio i quadri clinici caratteristici della mania, della depressione e della sua forma estrema di tipo melanconico. Un aspetto meno noto del contributo di Kraepelin alla psichiatria è costituito dal suo interesse per la «psichiatria comparativa», il germe di ciò che in seguito diverrà l'etnopsichiatria. L'interesse per la psichiatria comparativa, intesa come mezzo per delucidare le cause dei disturbi mentali e determinare le influenze della cultura sulla forma della loro presentazione, è legato al rapporto con il fratello Karl, biologo, direttore del museo zoologico di Amburgo, appassionato di tassonomia. Con il fratello, Kraepelin parti per Giava alla fine del 1903, dove visitò il manicomio di Buitenzorg, con il proposito di mettere alla prova la validità del suo sistema nosologico anche in una cultura diversa da quella europea. Nonostante il rilievo di alcune diversità nelle forme della presentazione clinica, i suoi studi confermarono la validità della dicotomia tra demenza precoce e psicosi maniaco-depressiva. MARIO ROSSI MONTI |