Klein, Melanie |
M. Klein (1882-1960) nacque a Vienna, ultima dei quattro figli di M. Reizes, medico ebreo, sposato in seconde nozze con una giovane perspicace e determinata, proveniente da una famiglia di rabbini. A cinque anni Melanie perse, per tubercolosi, la sorella Sidonie, da cui aveva imparato a scrivere e a leggere, e anche il fratello Emmanuel, con cui aveva un rapporto molto intenso e che la sostenne nel progetto di studiare medicina, mori tragicamente nel 1902. La morte dei due fratelli da un lato probabilmente influì su una certa tendenza alla depressione che in Melanie rimase un tratto costante e dall'altro può aver contribuito a elevare in lei quasi al senso di una missione quell'interesse culturale e quell'attitudine di ricerca intellettuale che avevano originariamente promosso. Melanie, che si era fidanzata con l'ingegnere chimico A. Klein e aveva abbandonato l'idea di iscriversi a Medicina per frequentare i corsi di Arte e Storia, si sposò ed ebbe tre figli: Melitta, Hans ed Eric. Nel 1910 segui il marito a Budapest, dove entrò in contatto con l'opera di S. Freud, se ne appassionò, intraprese un'analisi con S. Ferenczi e, col suo incoraggiamento, iniziò l'attività di analista di bambini. A trentasette anni presentò il suo lavoro Lo sviluppo di un bambino e divenne membro della Società psicoanalitica di Budapest. Separatasi dal marito, da cui poi divorzierà, nel 1921 si trasferisce a Berlino, esortata da K. Abraham col quale effettuerà una seconda analisi, interrotta dopo nove mesi per la morte dell'analista. In quegli anni la Klein elabora la sua tecnica di analisi infantile incentrata sul gioco e sostiene con vigore che i bambini, anche molto piccoli, sono in grado di sviluppare una situazione di transfert. Il libero gioco del bambino viene equiparato alle libere associazioni dell'adulto, il modo per poter esprimere le proprie fantasie e i propri conflitti. L'attività e le idee della Klein iniziavano a suscitare approvazione ed entusiasmo ma anche vivaci dissensi soprattutto con i seguaci di A. Freud, che praticava l'analisi infantile seguendo un altro approccio. Dopo aver tenuto con successo a Londra una serie di lezioni sull'analisi dei bambini, nel 1926 la Klein accetta l'invito di E. Jones a trasferirvisi definitivamente. Il periodo fino al 1932, anno di pubblicazione della Psicoanalisi dei bambini, viene tradizionalmente inteso come la prima fase del suo contributo, in cui, oltre a stabilire le fondamenta dell'analisi infantile, individua la presenza di un Super-io precoce e sadico, retrodata rispetto a Freud l'emergenza del complesso di Edipo, si occupa di istinto epistemofilico e di simbolismo, avanza nuove ipotesi sullo sviluppo sessuale del bambino e della bambina. Nel 1933 la vita della Klein viene nuovamente funestata da un grave lutto: la morte del figlio Hans, che acuì probabilmente il suo interesse per la depressione e il lutto, sfociato in una serie di articoli in cui vengono delineati i concetti di posizione depressiva e di difesa maniacale (seconda fase del contributo kleiniano). Al sopraggiungere della guerra la Klein si sposta prima a Cambridge, poi a Pitlochry, in Scozia, dove ha per quattro mesi in trattamento un bambino di nove anni, Richard (il resoconto dettagliato dell'analisi venne pubblicato postumo: Klein, 1961). I lavori che va presentando acuiscono sempre più i già vivaci contrasti (contro di lei si schierano la figlia Melitta Schmideberg, psicoanalista, ed E. dover) portando Jones, presidente della Società psicoanalitica britannica, a promuovere una serie di discussioni scientifiche sulle divergenze teoriche in atto, le cosiddette «discussioni controverse» (1943-44). La Klein, P. Heimann e S. Isaacs prepararono quattro relazioni, il cui intento era di dimostrare che la Klein non si era allontanata dai principi basilari della psicoanalisi freudiana, nonostante su certi temi avesse sviluppato una linea di pensiero diversa e autonoma. Nel 1946 (l'anno iniziale della terza fase del pensiero kleiniano) presenta le Note su alcuni meccanismi schizoidi, dove viene descritto il concetto di posizione schizoparanoide e introdotto un nuovo meccanismo: l'identificazione proiettiva. I suoi seguaci aumentano e sviluppano l'applicazione e l'approfondimento delle sue idee in svariati campi: le psicosi (Bion, Rosenfeld, Segai), la depressione, l'analisi infantile, i processi di simbolizzazione, lo studio dei processi sociali (Jaques), l'estetica e l'arte (Segai e Stokes), la filosofia (Money-Kyrie). Ulteriore contributo, importante e controverso, è lo scritto Invidia e gratitudine, del 1957: l'invidia viene considerata attiva fin dalla nascita, dotata di una base costituzionale e rivolta primitivamente verso il seno che nutre. Attiva, appassionata e lucida fino alla fine, la Klein muore nel 1960. La teoria della Klein è al contempo una teoria degli istinti e delle relazioni oggettuali: i moti istintuali sono necessariamente diretti verso oggetti. Se da Freud le pulsioni sono viste come forze biologiche con manifestazioni psicologiche, per la Klein sono fondamentalmente forze psicologiche che impiegano il corpo come modalità di espressione: emozioni complesse all'interno di relazioni. La Klein ipotizza un Io in grado fin dalla nascita, sia pure in modo rudimentale, di provare angoscia, di proteggersene e di stabilire abbozzi di relazioni oggettuali. Un ruolo centrale viene assegnato alla fantasia inconscia, intesa come l'espressione mentale degli istinti e, come questi, attiva sin dalla nascita: esercita un ruolo nel modo in cui si percepisce la realtà la quale, a sua volta, influisce su di essa. L'ambiente, molto importante, è visto in costante, reciproca interazione con la fantasia che mantiene grande rilevanza per tutta la vita: nello sviluppo, nella formazione del carattere, nella patologia. Interviene nel formarsi delle relazioni oggettuali, ha un ruolo nell'insorgenza dell'angoscia e nelle difese rispetto all'angoscia e rispetto alla realtà interna ed esterna. C'è una stretta relazione tra fantasia inconscia, meccanismi di difesa e struttura della personalità, ad esempio i meccanismi di proiezione e introiezione, che sono alla base della costituzione di un complesso mondo di oggetti interni, vengono sperimentati come fantasie. Gli oggetti interni stabiliscono rapporti reciproci e con l'Io, costituendo nell'insieme il mondo interno di una persona, e questo mondo interno esiste sotto forma di fantasie inconsce costantemente operanti dentro di noi. Alla fantasia si collegano le due posizioni schizoparanoide e depressiva. Il concetto di «posizione» indica infatti una costellazione di relazioni oggettuali, fantasie, angosce e difese a loro volta connesse alle condizioni dell'Io, e non è riconducibile alle fasi di sviluppo descritte da Freud e Abraham. Inoltre, nonostante la posizione depressiva segua evolutivamente quella schizoparanoide, ed entrambe si individuino cronologicamente in periodi precisi della vita affettiva delle origini, l'oscillazione tra le due accompagna per tutta la vita. Il concetto di oscillazione verrà ampliato da W. Bion e, su questa base, da altri, e le due posizioni in rapporto tra loro diventeranno sempre più una teoria della mente piuttosto che una teoria evolutiva, riguardante dunque più la struttura che le vicissitudini originarie. La posizione schizoparanoide corrisponde alla relazione primitiva del bambino col mondo e al suo tentativo di emergere da una situazione caotica e angosciosa impiegando principalmente la scissione. Per la Klein è presente sin dall'inizio un conflitto tra istinto di vita e di morte; quest'ultimo suscita angosce di annientamento ed è in parte proiettato sull'oggetto, che viene quindi sentito come cattivo, e in parte espresso come aggressività verso l'oggetto stesso. Anche l'amore, derivato dall'istinto di vita, viene proiettato e crea un oggetto ideale. L'oggetto viene vissuto in modo polarizzato o come estremamente buono o come assolutamente cattivo e, analogamente, anche l'Io è scisso in un aspetto ideale e in uno distruttivo. Coesistono due relazioni oggettuali contrapposte e separate: l'amore è indirizzato verso l'oggetto ideale da cui il bambino si sente a sua volta amato e che desidera introiettare, l'odio è rivolto all'oggetto persecutorio (carico di odio proiettato) di cui desidera liberarsi. Ciò che è buono (ideale) può diventare rapidamente cattivo (persecutorio), e non è possibile riconoscere che oggetto buono e oggetto cattivo possano corrispondere alla stessa persona. La mancata soddisfazione di un bisogno viene sentita come un attacco persecutorio da parte di un oggetto cattivo. Oltre alla scissione sono in atto i meccanismi di idealizzazione, identificazione proiettiva, introiezione e diniego. Con il procedere dello sviluppo e il prevalere delle esperienze buone aumenta l'integrazione e il bambino progressivamente evolve verso la «posizione depressiva», che raggiunge mediamente il culmine verso il sesto mese. Il rapporto del bimbo con la mamma diventa con un oggetto intero, egli si rende cioè conto che gratificazioni e frustrazioni provengono da un'unica persona e che anche il suo amore e il suo odio sono rivolti verso il medesimo oggetto. Sorge un altro tipo di angoscia, quella depressiva: paura di danneggiare irrimediabilmente l'oggetto e di perderlo, senso di colpa e di preoccupazione. Inoltre l'oggetto è sentito come separato da sé e questo suscita la nuova esigenza emotiva di tollerarne la libertà. Un ambiente di accudimento favorevole aiuta il bambino a elaborare questi vissuti e a promuovere una disposizione interna riparati-va verso l'oggetto amato avvertito come danneggiato. Il senso della realtà interna ed esterna si rafforza, diminuisce l'onnipotenza e si sviluppa la capacità di simbolizzare: ne deriva una modifica complessiva del funzionamento mentale. Rispetto all'angoscia e alla colpa della posizione depressiva si possono costituire difese, soprattutto maniacali, volte a negare e a rovesciare il rapporto di dipendenza dall'oggetto con cui si cercherà allora di stabilire una relazione all'insegna del dominio, del trionfo e del disprezzo. La Klein istituì anche un nesso tra posizione depressiva e complesso di Edipo. Il rapporto con la mamma come oggetto intero (non scisso, posseduto o controllato) porta con sé il fatto che la madre ha una vita autonoma in cui rientra il rapporto col padre, con i conseguenti vissuti, per il bambino, di gelosia, esclusione e invidia. Può tornare a prevalere la scissione ma possono anche affermarsi nuovi spunti riparativi verso la coppia genitoriale. L'elaborazione della posizione depressiva (mai completa) e del complesso di Edipo finiscono dunque con l'andare di pari passo. Più recentemente l'Edipo è stato ripensato nell'ambito della più generale evoluzione postkleiniana: come possa influenzare la qualità del pensiero, strutturarsi come organizzazione patologica, influire con sottili pressioni sul controtransfert dell'analista. La Klein studiò poi in modo sistematico e dettagliato l'invidia, considerandola un impulso distruttivo di origine sadico-orale e sadico-anale con una base costituzionale (Klein, 1957). La distinse dalla gelosia e dall'avidità, osservò che spesso è scissa e nascosta, che riduce la capacità di imparare e, più in generale, di ricevere, e che nell'analisi può dar luogo a reazioni terapeutiche negative. L'invidia porta a svalutare e a negare il valore e l'autonomia dell'oggetto. Secondo la Klein viene provata originariamente verso il seno, che per il bambino possiede tutto quello di cui ha bisogno (latte, amore, calore) ma che è esterno a lui. L'invidia eccessiva interferisce con lo sviluppo. La posizione schizoparanoide rende difficile quella scissione tra oggetto buono e cattivo che è la premessa per l'introiezione di un seno buono (che rafforzerebbe l'Io costituendone il nucleo fondamentale) e apre la strada a situazioni confusionali. La proiezione dell'invidia può portare all'instaurarsi, introiettivamente, di un Super-io invidioso, fonte di attacchi verso gli aspetti più vitali e creativi della persona. L'eccesso di invidia, aumentando le angosce paranoidi, ostacola l'evoluzione verso la posizione depressiva e in quest'ultima incrementa la componente persecutoria del senso di colpa. Il polo opposto è la gratitudine, fondamentale per entrare in rapporto con l'oggetto buono e introiettarlo, e per apprezzare la bontà propria e altrui. L'invidia e la gratitudine sono continuamente in conflitto tra loro, come l'amore e l'odio e gli istinti di vita e di morte, e fin dall'inizio subiscono l'influsso delle condizioni ambientali esterne. Se il concetto di invidia primaria ha suscitato infinite controversie, quello di identificazione proiettiva, introdotto dalla Klein nel 1946, si è rivelato fertile di importanti sviluppi. Con l'identificazione proiettiva, parti dell'Io e degli oggetti interni vengono scissi e proiettati su un oggetto che risulta quindi «identificato» con questi aspetti. Tra i suoi scopi: eliminare parti indesiderate di sé, controllare l'altro o appropriarsi delle sue qualità, evitare la separazione o il senso di separatezza, mettere al sicuro aspetti buoni per proteggerli da quelli cattivi. Il contributo di Bion (1962b) sulla differenziazione tra identificazione proiettiva normale e patologica e la formulazione del modello contenitore/contenuto ha arricchito sia il concetto di identificazione proiettiva sia la teoria psicoanalitica della mente, ha avuto importanti conseguenze sulla tecnica ed è divenuto il fondamento di tutti gli sviluppi postkleiniani. L'identificazione proiettiva cessa di essere soltanto un meccanismo difensivo per diventare anche una forma di comunicazione preverbale, un modo di esprimere un'emozione non ancora pensabile. Il bambino (o il paziente) cerca di indurre nella mamma (nell'analista) quei sentimenti di cui si vuole sbarazzare. La mamma (l'analista) capace di rêverie riesce ad accogliere quei sentimenti, trasformarli e restituirli in una forma più tollerabile. Ne può derivare non solo l'accettazione di qualcosa che prima era insopportabile, ma anche l'apprendimento di un metodo (funzione a) che diventa la base per il pensiero. Con Bion l'ambiente esterno entra più direttamente in campo: non solo si afferma che «è» importante, ma viene indicato «come» lo è. Bion sottolinea inoltre che la verità, intesa come contatto con la qualità psichica, come conoscenza intuitiva di sé e dell'altro, è indispensabile alla salute della mente così come il cibo per il corpo, un elemento questo che resta caratterizzante e distintivo dell'evoluzione postkleiniana. Riguardo alla formazione del simbolo, l'identificazione proiettiva può portare a una confusione tra oggetto e simbolo: si tratta di un fenomeno proprio della posizione schizoparanoide che H. Segal (1957) ha definito «equazione simbolica», mentre nella posizione depressiva il simbolo è differenziato dall'oggetto e può rappresentarlo. B. Joseph (1989) si è concentrata sul modo in cui i pazienti cercano di indurre stati d'animo e pensieri nell'analista tentando, inconsciamente, di farlo agire in modo corrispondente alla proiezione; D. Meltzer (1966) ha evidenziato caratteristiche identificazioni proiettive negli oggetti interni nella pseudomaturità; E. Bick (1968) ha descritto forme dì non integrazione e il tentativo disperato di usare tutti i sensi per tenersi insieme, usando l'espressione «identificazione adesiva» per indicare un « appiccicarsi» protettivo all'oggetto; L. Grinberg (1962) ha studiato la «controidentificazione proiettiva» dell'analista. Importante è inoltre il contributo di H. Rosenfeld (1971a) sull'identificazione proiettiva come comunicazione. L'interesse per la struttura della personalità, ben presente nella Klein, si è sviluppato dopo di lei in un'ampia serie di contributi. Rosenfeld (1971b) ha descritto la relazione d'oggetto narcisistica centrata sull'idealizzazione degli aspetti distruttivi del Sé. Essi vengono rivolti contro ogni rapporto libidico e contro il Sé libidico che prova il bisogno di un oggetto e il desiderio di dipenderne. Il narcisismo distruttivo - afferma Rosenfeld - appare altamente organizzato, come una banda di delinquenti dominata da un capo che cerca di mantenersi al potere proponendosi mafiosamente come protettivo e impedendo qualunque crescita. Proprio l'attenzione a questo carattere organizzato è diventata via via prevalente e ha finito col costituire il nucleo centrale di un indirizzo di ricerca: quello sulle «organizzazioni patologiche». J. Steiner (1982; 1993), dopo aver fornito un quadro molto attento e frastagliato dei rapporti perversi tra parti del Sé, ha studiato le organizzazioni patologiche come complesse strutture che consentono al paziente di sottrarsi a un'angoscia insopportabile e diventano quindi «rifugi psichici». Il rifugio protegge dalla sofferenza della posizione schizoparanoide e di quella depressiva e si costituisce come una terza posizione. La tecnica analitica della Klein, radicata in quella di Freud, si caratterizza per alcuni elementi peculiari: l'attenzione all'interazione paziente-analista in un setting rigoroso, l'interpretazione come fattore di cambiamento, l'interpretazione congiunta di angoscia e difesa e soprattutto la concezione del transfert in termini di «situazioni totali» trasferite dal passato al presente con le emozioni, le difese e le relazioni oggettuali che le costituiscono (Klein, 1952b): per effetto della fantasia inconscia che permea tutta la vita mentale, tutto quello che il paziente porta può essere transfert. Nell'evoluzione post-kleiniana i capisaldi sono rimasti stabili ma si sono evidenziati alcuni cambiamenti: un confronto meno diretto del paziente con la propria distruttività, tenendo più conto della complessità relazionale con l'analista; un linguaggio interpretativo che si esprime di più in termini di funzioni psicologiche e meno di strutture anatomiche; un impiego molto più ampio dei vissuti dell'analista come sorgente di informazione sul paziente (frutto dell'estensione del concetto di identificazione proiettiva e di un conseguente uso molto più largo del controtransfert, recuperando su questo punto il contributo della Heimann del 1950, in origine osteggiato dalla Klein) e la diretta considerazione del coinvolgimento profondo dell'analista come persona. La Joseph (1975) ha evidenziato come il paziente possa attirare sottilmente l'analista all'interno del proprio sistema difensivo al di là della comunicazione verbale conscia e come sia importante che l'analisi sia un fare esperienza piuttosto che acquisire conoscenza. L'impegno principale dei post-kleiniani è quello di stabilire un contatto vivo e pregnante e di «raggiungere» emotivamente il paziente, anche se «difficile». La Klein ha dato alla psicoanalisi un contributo di portata rivoluzionaria. Ha ampliato la conoscenza della prima infanzia, del mondo interno, della struttura psichica, più in generale dell'inconscio, ha aperto strade nuove - concettuali e operative - per il trattamento dei bambini e delle patologie gravi, ha trasformato il concetto di transfert e posto le premesse, con l'identificazione proiettiva, per cogliere con più profondità i processi interattivi, ha fornito gli strumenti per nuove aperture nel campo dell'etica, dell'estetica e degli studi sociali. Ha suscitato anche forti polemiche, in particolare le è stata rimproverata una sottovalutazione dell'ambiente oltre che la radicalizzazione clinica della teoria freudiana del conflitto tra istinti di vita e di morte, ritenuta non sufficientemente fondata. Va peraltro osservato che l'accettazione degli aspetti più significativi del contributo kleiniano non è subordinata all'accoglimento dell'ipotesi dell'istinto di morte. RICCARDO BRUNACCI |