Jaspers, Karl

K. Jaspers (1883-1969) nacque a Oldemburgo, nella Bassa Sassonia. Medico, psichiatra e filosofo, dal 1921 professore di filosofia nell'Università di Heidelberg, ne fu allontanato nel 1937 per la sua opposizione al nazismo. Jaspers è lo studioso che ha fondato la psicopatologia fenomenologica (Psicopatologia Generale, 1913, testo rielaborato dall'autore fino al 1959), sottraendo la psichiatria al mito positivistico di una sua esaustiva risoluzione nell'ambito della patologia cerebrale e alla totale sudditanza alle scienze neuropatologiche, aprendo così la strada per un approccio più propriamente antropologico nello studio delle malattie mentali. Jaspers ha sottolineato come le malattie mentali siano fondamentalmente umane e questo ci porti a non considerarle come un fenomeno naturale generale, ma come un fenomeno specificamente umano. Quella di Jaspers, al di là dei dati messi in luce, è stata essenzialmente una lezione metodologica. Considerando la psicopatologia come inerente alle scienze umane, egli indica essere di primo piano, esattamente dal punto di vista metodologico, lo studio del mondo interno, dell'interno esperire del malato, rispetto all'osservazione di «sintomi dell'espressione», quali il comportamento, l'efficacia delle prestazioni, ecc. Jaspers mette risolutamente in guardia la psicopatologia dalle insidie insite nella separazione soggetto-oggetto, da cui discende l'oggettivazione dell'uomo. Si tratta, nella prassi della psichiatria, di sottolineare l'insostituibile centralità dell'ascoltare con sistematica tenacia e partecipazione affettiva ciò che i malati dicono, di eleggere insomma l'ascolto a caratteristica privilegiata dello psicopatologo. Qualsiasi tentativo di eludere la soggettività del malato, cioè il suo mondo interiore, ciò che egli pensa, sperimenta, prova dentro di sé, nella ricerca di sintomi cosiddetti obiettivi, sconta una disastrosa carenza di ascolto, ascolto che per realizzare una non ideologica presentificazione del mondo dell'altro deve essere avvertito di possibili «pregiudizi» e dotato di alcuni necessari «presupposti».

Fonte di pregiudizio è ad esempio il nostro bisogno di raggiungere una comprensione globale del tutto, magari attraverso concetti che riteniamo fondamentali e assumiamo come conclusivi, e quindi assolutizzando punti di vista, categorie e metodi e rischiando di confondere il campo del sapere con il campo delle opinioni. Jaspers sottolinea che in psicopatologia non esistono teorie generali di fondo e che, pertanto, occorre lavorare secondo metodi speciali e su aspetti parziali della vita psichica.

Se ci si lascia dominare da un qualche principio teoretico si vedrà tutto l'osservabile alla luce di questo, ciò che non entra in rapporto con esso non verrà preso in considerazione, ciò che è opposto ad esso verrà oscurato o distorto.

Tuttavia dovremmo essere consapevoli che ogni dato è coglibile solo da certi punti di vista metodologici e secondo certe categorie. Se consideriamo l'uomo solamente dal punto di vista somatico, scrive Jaspers, invece di fare ipotesi che avranno riscontri o confutazioni attraverso i dati somatici, saremo portati a considerare tutto l'ambito psichico come un campo provvisorio e senza reale valore di conoscenza, pertanto tutto l'interesse per lo studio psicologico della schizofrenia cesserà quando si conosceranno le basi biologiche di questa malattia. Tacitamente si presuppone che «tutta la realtà dell'uomo, come quella di ogni essere biologico, sia un processo somatico». Per Jaspers il pregiudizio somatico è sempre attivo, anche in forme latenti, e ha dato origine a quelle che l'autore definisce «mitologie del cervello», nelle quali può accadere che siano messi sullo stesso piano concetti assai diversi, come fibre nervose e processi associativi, operando una sorta di reificazione. Per Jaspers un diffuso pregiudizio è quello di voler comprendere tutto sulla base di un moto affettivo: si tratta di una distorsione della comprensione che origina dalla partecipazione affettiva e perde il senso critico dei limiti del comprendere psicologico, assunto come una spiegazione causale. Si tende infatti ad ammettere che esistano basi coscienti o consapevoli per ogni movimento psichico, mentre queste relazioni fra motivi razionali e consapevolmente affettivi e manifestazioni psichiche hanno per Jaspers un'importanza limitata nella vita psichica, in quanto pulsioni e moti irrazionali dominano spesso in essa. Una esasperata ricerca di «nessi razionali» conduce a una deriva intellettualistica, che alla fine è di ostacolo a un approccio comprensivo dell'agire umano e dei suoi motivi.

La vita psichica in sé, al di là delle sue espressioni, è difficile da concepire, se non attraverso immagini e similitudini. Se non possiamo fare a meno di queste immagini come strumento per rendere più evidente la vita psichica, vi è tuttavia il rischio che esse vengano prese come costruzioni scientificamente valide, ponendo così in essere un pregiudizio immaginativo. Jaspers sottolinea come dalle scienze naturali provenga il pregiudizio che solo ciò che può essere accertato in modo quantitativo può costituire opera scientifica. Questa è una delle tante considerazioni metodologiche di bruciante attualità. Egli sottolinea il rischio che le procedure statistico-sperimentali, esprimibili in misurazioni e diagrammi, vengano considerate in psichiatria l'unica ricerca valida, estendendola anche agli ambiti psichici per i quali è impossibile utilizzare queste categorie conoscitive. Infine, in un passo celebre, Jaspers annota che la diagnosi è l'ultima delle preoccupazioni nell'indagine psicopatologica e nella comprensione di un caso psichiatrico, a parte - ovviamente - la diagnosi di processi cerebrali concomitanti. Perché se la diagnosi diviene il bersaglio essenziale dell'approccio psicopatologico, non solo si fa spesso una indebita anticipazione, ma si corre il rischio che la potenziale ricchezza conoscitiva di una moltitudine di fenomeni psichici venga sepolta sotto un'etichetta diagnostica.

In un paragrafo essenziale Jaspers delinea il compito e i modi di procedere dello psicopatologo, il cui tentativo deve essere quello di conoscere la realtà della vita psichica, cioè afferrare-attualizzare-analizzare che cosa gli esseri umani pensano, provano, sentono, sperimentano nel loro mondo interiore, rifiutandosi di sostituire a questa conoscenza preconcetti teorici e pregiudizi. Perché ciò sia possibile, il ricercatore non può essere solo una sorta di vuoto intelletto, poiché è in gioco la sua stessa vitalità, l'esistenza di colui che ricerca. I presupposti sono i movimenti che provengono dalla stessa vita psichica del ricercatore psicopatologo, la cui caratteristica essenziale deriva dal fatto di trattare con esseri umani, facendo opera di chiarificazione in se stesso non meno che nella persona che indaga.

Quanto ai metodi della ricerca psicopatologica, Jaspers osserva che vengono utilizzati contemporaneamente metodi diversi, che dal punto di vista epistemico egli separa in tre gruppi: «apprensione dei singoli dati di fatto», «ricerca delle relazioni» e «modo di cogliere la totalità». Poiché nell'approccio scientifico alla vita psichica si parte dal cogliere e delimitare i singoli fenomeni in modo chiaro, univoco e riproducibile, si dovrà prescindere dagli eventuali criteri di insorgenza del fenomeno osservato e dai rapporti reciproci tra i fenomeni, così come da ogni teoresi interpretativa, per rivolgersi esclusivamente a quanto è sperimentato e vissuto in modo reale. Questa è la fase più propriamente fenomenologica, la presentificazione e descrizione delimitativa delle esperienze psichiche del malato, che si colgono in base alle autodescrizioni del malato e che ci sforziamo di comprendere in analogia con il nostro interno esperire.

Fin dall'inizio della Psicopatologia Generale, Jaspers pone la distinzione fra prassi psichiatrica e «psicopatologia come scienza». Nella prassi lo psichiatra non può prescindere dalla totalità della persona, dagli aspetti globali del suo mondo, e inoltre ha sempre a che fare con casi individuali, caratterizzati da una singolarità irripetibile; ma lo psicopatologo deve indagare modi di esperire e strutture generali della vita psichica morbosa il più possibile validabili e generalizzabili al di là del singolo malato, pur restando consapevole del limite di non poter mai riassumere il singolo paziente in quei concetti generali che osserva e indaga, anzi avvertendo sempre che vi è in ognuno un alone e un nucleo non conoscibile, dato che ogni persona è «un infinito inesauribile», oggetto di valutazioni etiche, estetiche, metafisiche che nulla hanno da spartire con l'analisi psicopatologica. Tuttavia Jaspers sottolinea come nella psichiatria siano importanti conoscenze intuitive e per esperienza, diverse dal pensiero concettuale e comunicabile della scienza psicopatologica, conoscenze che non possono essere trasmesse semplicemente mediante un libro, ma - a persone disponibili - mediante un rapporto personale.

Con il comprendere genetico - che è uno spiegare psicologico, assai diverso e contrapposto allo spiegare causale, oggettivo -tocchiamo presto un limite oltre il quale i fenomeni psichici ci appaiono emergere in modo incomprensibile. A questo ambito di sequenze temporali incomprensibili appartengono le tappe dell'evoluzione psichica normale, e soprattutto le fasi e i periodi della vita psichica abnorme. Per evitare ambiguità o imprecisioni Jaspers userà sempre il verbo «comprendere» (verstehen) per l'immedesimazione intuitiva, una sorta di visione dall'interno dell'esperire psichico, e il verbo «spiegare» (erklaren) per l'illustrazione di nessi causali.

Per Jaspers la psichiatria, piuttosto che catalogo di bizzarrie e stravaganze comportamentali, diviene uno studio dei modi di essere espressi nei vissuti della persona, accolti senza inferenze interpretativo-teoriche, ma appunto quali «fenomeni» da studiare nella loro concretezza vissuta. Ne sono derivate ineccepibili analisi dei vissuti psicotici che, in conseguenza del metodo adottato, si sono rivolte tradizionalmente ai cosiddetti sintomi «produttivi» delle psicosi e in particolare al delirio, la cui essenza la psicopatologia japersiana cercò di cogliere mediante gli strumenti conoscitivi che si rifanno alle nozioni di «incomprensibilità» e di «processo». Jaspers precisava che si possono indicare come «vere idee deliranti» solamente quelle idee deliranti basate su un'esperienza patologica «primaria», vale a dire non rivivibile e quindi incomprensibile da parte dell'osservatore, mentre chiamava «idee deliroidi» quelle che sorgono in modo comprensibile. Nonostante siano state contestate da alcuni le ispirazioni husserliane della Psicopatologia Generale, Jaspers, come E. Husserl, è sul piano generale poco interessato al contenuto del delirio, perché ogni registrazione del contenuto è solo uno strumento per l'analisi fenomenologica delle caratteristiche formali e intenzionali che sono ubiquitariamente valide. L'elemento essenziale dell'esperienza interna psicotica è in effetti non semplicemente un nuovo significato, ma un esperire completamente diverso.

Il tema della «incomprensibilità», che Jaspers pone quale unica identificabile caratteristica della forma delle esperienze psicotiche, resta nell'ambito della psicopatologia clinica un parametro che non si può eludere. Il grande respiro spirituale dell'autore sta anche nella consapevolezza sistematica dei limiti del conoscere, della provvisorietà dell'orizzonte di verità della psicopatologia, per cui, nonostante il metodo psicopatologico sia teso a fondare una scienza «oggettiva» (nel senso della comunicabilità e trasmissibilità) del «soggettivo», lo psichiatra formato alla sua lezione non sarà liberato dallo stupore e di fronte al singolo malato si ritroverà sempre nella posizione dell'«eterno debuttante», come Husserl indicava per il fenomenologo.

ARNALDO BALLERINI