Janet, Pierre

P. Janet (1859-1947) nacque a Parigi e la sua esistenza si dipanò tra due secoli, dal regno di Napoleone III all'intero arco della Terza Repubblica. Giovanissimo, nel 1870, avverte le ripercussioni della sconfitta della Francia nella guerra con la Prussia. Allevato in una famiglia medioborghese, presenta un curriculum studiorum di tutto rispetto; alla fine del liceo intraprende studi filosofici sotto la spinta dello zio paterno Paul, che godeva di una qualche rinomanza in qualità di filosofo. Nel 1879 entra all'École Normale Supérieure dove incontra H. Bergson, con il quale intratterrà per tutta la vita un fruttuoso rapporto intellettuale. Nel 1883, dopo un anno di insegnamento in una scuola secondaria, viene destinato al liceo di Le Havre, dove resterà per quasi sette anni. E in questa città che Janet comincia sistematicamente ad associare lo studio della filosofia con quello di alcune forme di patologia psichica che erano a quel tempo al centro dell'attenzione degli studiosi. I fenomeni isterici erano stati infatti elevati alla dignità di oggetto scientifico dal grande neurologo parigino J.-M. Charcot. A Le Havre Janet, che tra l'altro deve decidere l'argomento della sua tesi di dottorato, grazie all'intercessione di un medico locale, incontra un soggetto interessante, tale Léonie, passibile di essere ipnotizzata a distanza. Così, nel 1885, inizia i suoi esperimenti ipnotici, diretti e a distanza, con questa persona. Alla fine dello stesso anno la relazione intorno a questo caso viene presentata a Parigi alla Società di psicologia fisiologica: la sua lettura suscita un grande interesse e a Le Havre si recano Ch. Richet da Parigi e F. Myers dall'Inghilterra con una delegazione della Society for Psychical Research, con l'unico scopo di conoscere Léonie e di vedere dal vivo gli esperimenti di Janet. Forte di questo exploit, Janet ottiene di poter esaminare le donne isteriche ricoverate presso l'ospedale di Le Havre. Ai suoi occhi ciò si presenta come un enorme vantaggio perché, essendo malate nuove, può applicare l'ipnosi senza che esse siano influenzate da esempi già presenti e trattati, come succedeva alla Salpêtrière da Charcot e a Nancy da A.-A. Liébeault e H. Bernheim, i due centri dove l'ipnosi e la suggestione venivano applicate sistematicamente allo studio dell'isteria. Charcot, dal canto suo, si era reso conto che attraverso l'ipnosi era possibile far scomparire temporaneamente anche i sintomi fisici più gravi - le paralisi -dell'isteria, e ne aveva tratto la conclusione che i fenomeni ipnotici fossero una sorta di forma artificiale dell'isteria stessa, alla quale si collegavano per una struttura simile. A Nancy questa conclusione veniva rifiutata, in quanto si riteneva che l'ipnosi fosse solo il caso particolare del fenomeno più comune rappresentato dalla suggestione. È così che Janet pensa di prendere posizione all'interno del dibattito, e per far questo si impone tre regole metodologiche: innanzitutto, di esaminare i pazienti sempre da solo, senza osservatori; in secondo luogo, di prendere nota esattamente di tutto ciò che i pazienti dicono e fanno; infine, di esaminare analiticamente la storia dei pazienti e dei loro trattamenti. Janet arriva così, nel 1889, alla stesura della sua opera ancora oggi più nota, L'automatisme psychologique. La sua concezione suggerisce che tra psiche e soma ci sia una continuità e una stretta corrispondenza a ogni livello dell'organismo; dalle sensibilità elementari alle azioni e al movimento. Janet ritiene comunque che le funzioni psichiche si differenzino sempre più dal substrato organico a mano a mano che aumenta la loro complessità. Con l'evoluzione del sistema nervoso centrale, le funzioni psichiche si organizzano secondo una sorta di gerarchia: così l'opera di Janet si avvicina a, e in parte discende da, quella del famoso neurologo inglese J. H. Jackson, il quale aveva già insistito sulla distinzione tra funzionale e organico e anche sull'esistenza di una gerarchia evolutiva delle funzioni nervose superiori.

Janet pensa che nel caso dell'isteria la spiegazione possa consistere in una deficienza della funzione organizzatrice della coscienza, corrispondente alla massima complessità e quindi alla maggiore fragilità organizzativa, che liberi da sé, in una sfera che per la prima volta viene definita «subconscia», gruppi di idee, rappresentazioni o anche semplici riflessi. Questi ultimi, fuori dal controllo della coscienza, diventano automatici e appaiono quindi al soggetto come egodistonici, estranei alla sua esperienza. E evidente che si tratta però di fenomeni di origine psichica e non organica, che investono la sfera organica solo in un secondo momento: per questo Janet li denomina «automatismi psicologici».

Egli si rende comunque conto ben presto che i suoi studi filosofici e psicologici lo avrebbero limitato molto nel suo desiderio di dedicarsi alla ricerca clinica e psicopatologica; decide quindi di intraprendere gli studi di medicina, che termina dopo nemmeno quattro anni nel 1893. Nel frattempo, con il beneplacito di Charcot, prosegue le sue osservazioni cliniche alla Salpêtrière, ma l'isteria non è più il suo campo di indagine esclusivo, a questo si associa quello della nevrastenia. La sua ricerca è, a un tempo, estensiva, in quanto egli si occupa di molti pazienti presso il servizio ambulatoriale e nei reparti, e intensiva, in quanto sceglie un piccolo numero di pazienti che sottopone ad accurati e prolungati studi, che si protraggono anche per anni. Fra questi ultimi va annoverata una donna, che battezza come «Madeleine», ricoverata alla Salpêtrière nel febbraio 1896, con estasi religiosa delirante e stigmate; essa avrebbe occupato un posto centrale negli studi di Janet per molti anni. Quando, nel 1893, muore Charcot, a Janet, appena laureatosi in medicina, viene a mancare un potente protettore che gli aveva già messo a disposizione il laboratorio di psicologia alla Salpêtrière. Malgrado abbia un carattere schivo e non sia adatto agli intrighi accademici, Janet riesce a rafforzare la propria posizione entrando a far parte della Société de Psychologie Physiologique, fondata nel 1885 da Charcot, Richet e Th. Ribot. Lo stesso Ribot lo chiamerà a sostituirlo, dal 1895 al 1897, nell'insegnamento al Collège de France. Il successore di Charcot, F. Raymond, consente ancora che Janet sviluppi il suo laboratorio alla Salpêtrière, ma i successivi padroni della neurologia parigina, J.-J. Déjerine e J. Babinski, diventano presto sospettosi nei confronti di Janet perché lo accusano di perpetuare gli errori di Charcot, e nel 1912 gli impediscono di fatto di proseguire li le sue ricerche. Nel 1902, quando il Collège de France deve decidere il successore di Ribot, sceglie Janet preferendolo all'altro candidato A. Binet. Nel 1904 Janet fonda, con il suo amico G. Dumas, il «Journal de Psychologie». Dal Collège de France la sua fama si estende a livello internazionale ed egli viene chiamato a tenere conferenze in tutto il mondo occidentale. Anche i suoi campi di interesse vedono ampliarsi l'orizzonte e sembra realizzarsi il suo progetto di costituzione di una psicologia clinica che sia autonoma dall'ambiente ospedaliero e da quello accademico universitario.

A mano a mano che la sua posizione alla Salpêtrière si indebolisce, Janet compie uno sforzo di produzione teorico-clinica sempre più intenso; nel 1898 viene dato alle stampe Nevroses et Idées fixes, nel quale offre un'interpretazione della nevrosi come conseguenza di influsso di idee fisse subconsce che agiscono contemporaneamente a una «riduzione del campo di coscienza». Con Les obsessions et la psychasténie (1903) affronta a fondo il problema delle ossessioni, delle fobie e di tutta un'ampia serie di manifestazioni nevrotiche, collocandole nel quadro nosografico della «psicastenia», coniato allo scopo dallo stesso Janet. Vi fa la sua comparsa il concetto centrale di «funzione del reale», che sarà ripreso da E. Bleuler e da E. Minkowski, e anche una prima gerarchia delle funzioni psichiche, organizzata in base al concetto janetiano di «tensione psicologica».

Più tardi, nel 1919, Janet raccoglie le sue idee intorno alle invenzioni terapeutiche e a quello che è il rapporto di cura tra medico e paziente. In Les médications psychologiques troviamo il grande tema psicodinamico sottostante la formulazione del metodo di cura: quello del rapporto tra fattori organici e psichici nelle malattie mentali. L'opinione di Janet è che non si possa negare l'esistenza, in ogni tipo di espressione psicopatologica, di lesioni organiche, ma che si debba affermare la preminenza dell'aspetto «funzionale» psicologico sul substrato organico. In tal modo, restituendo attraverso la psicoterapia l'integrità delle funzioni psichiche colpite dalla malattia si può fare scomparire anche la lesione organica, purché non sia diventata nel frattempo irreversibile, mentre il cammino contrario non è possibile in quanto non si possono ricostituire funzioni più complesse a partire da quelle più semplici e appartenenti a un livello evolutivo anteriore. Comunque, secondo Janet, l'elemento essenziale di cui si deve tener conto nella terapia è l'energia di cui dispone il soggetto. Il libro sulle terapie psicologiche, preparato con dieci anni di lavoro e applicazioni, costituisce una sintesi del pensiero janetiano che elabora i quadri clinici più importanti. Ma è anche l'inizio di un nuovo orientamento che deriva da un'esigenza più sistematica e di completezza: viene accentuata la presenza degli elementi gerarchici nella descrizione della vita psichica e il loro inserirsi in uno schema evolutivo. L'idea di costruire una psicofilosofia concreta su base empirica, ma non riduttiva, comincia a delinearsi nelle opere che Janet pubblica dopo la Prima guerra mondiale: il suo interesse verte ora sul chiarimento dei concetti chiave già elaborati e sulla loro correlazione con uno schema gerarchico ed evolutivo di fenomeni psichici. In questo senso i concetti più importanti sono quelli di «tensione psicologica» (concetto energetico sia quantitativo che qualitativo), «condotta» (che riguarda i comportamenti organizzati) e «tendenza» (simile a un istinto, ma più flessibile). Si deve inoltre tener presente che anche lo schema assume un'ulteriore dimensione, in quanto l'idea di evoluzione è legata non più soltanto alle funzioni psichiche e fisiche, ma anche alle condotte sociali che esprimono gradualmente livelli sempre più alti e generali della capacità umana di progresso. Nelle ultime opere di Janet si fa sentire l'influenza del funzionalismo americano, in particolare di W. James: allontanandosi sempre più dallo studio delle strutture della psiche e dei fenomeni intrapsichici, Janet prende a volgersi verso l'analisi di funzioni che si costituiscono attraverso rapporti intersoggettivi, diventando così sensibile al contributo di nuove discipline quali la psicologia infantile, l'antropologia, la sociologia e l'etnologia. Quando, tra il 1926 e il 1928, pubblica i due volumi di De l'angoisse à l'extase, Janet definisce il quadro gerarchico-evolutivo delle condotte, dedicando un particolare rilievo allo studio dei sentimenti e delle credenze. Si può sostenere che nel campo della psicologia religiosa Janet abbia una posizione comparatista, nel senso che parte dalla psicopatologia per spiegare i diversi fenomeni con l'esperienza religiosa, dai più comuni ai più particolari, dalla possessione demoniaca al misticismo: detto molto brevemente, egli ritiene che nella religione si trovino già, in forma embrionale, quelle condotte sociali che con l'andare del tempo hanno preso un aspetto di maggior aderenza alla realtà.

Nonostante l'interesse ormai rivolto alle condotte sociali, o forse proprio per questo, all'inizio degli anni '30 Janet riprende lo studio di un peculiare quadro psicopatologico: la forma allucinatoria del delirio di persecuzione. Praticamente nello stesso periodo J. Lacan prepara la tesi di dottorato sul medesimo argomento. Nella teoria di Janet, dove il rapporto con la realtà ha un posto centrale, l'analisi della persecuzione diventa un momento di particolare importanza. Infatti la «non-razionalità» e la «non-realtà» del delirio paranoide e delle alterazioni connesse non hanno il carattere evidente e immediato che assumono invece nell'isteria e nella psicastenia: anzi, in questa forma psicopatologica deliri e allucinazioni pongono il problema di spiegare non tanto l'assenza o la carenza evidenti di rapporto con la realtà, ma l'esistenza di un sentimento di realtà proprio degli stati psichici che il soggetto esperisce apparentemente in piena coscienza. A questo punto è necessario un passo indietro, per dar conto dei non semplici rapporti tra Janet e la psicoanalisi freudiana. Quasi coetanei, Janet e Freud si interessano per molti anni degli stessi problemi: per quanto riguarda la nevrosi isterica, il lavoro di Janet sembra essere in leggero anticipo e Freud e Breuer glielo riconoscono negli Studi sull'isteria. In particolare, le loro interpretazioni concordano nello stabilire che l'isteria è una malattia in realtà indipendente sia dalla volontà del soggetto che dall'influenza del medico; che essa è altresì una malattia psichica, quindi non esclusivamente organica; che la sua origine è sostanzialmente psicogena. Le differenze cominciano comunque ad approfondirsi fin dal 1895 perché le «idee fisse subconsce» di Janet funzionano e hanno un significato ben diverso dalle «idee inconsce» di Freud. Mentre là sono al lavoro il «restringimento del campo di coscienza» e la «perdita della funzione del reale», qui l'agente principale è il «conflitto» emozionale all'interno del sistema inconscio. Il modello di malattia proprio di Janet è quello «deficitario» e si evidenzia attraverso gli automatismi mentali; Freud vede invece nella malattia nevrotica la manifestazione di una volontà inconscia intenzionale. E così, anche, che alla «dissociazione» deficitaria di Janet, Freud sostituisce la conflittuale «scissione» dell'Io. Le conseguenze sul piano del trattamento della patologia mentale sono altrettanto rilevanti: Janet risponde infatti a una sequela del tipo deficit-astoricità-compensazione, e se per lui la nevrosi è un guasto patologico del comportamento dovuto a un'astenia che diminuisce l'energia e la tensione dell' attività mentale, la terapia non potrà che essere riparatoria-ricostitutiva. Freud risponde invece alla sequela conflitto-storia-separazione e le psiconevrosi diventano espressione di guasti ineliminabili nell'ambito delle ineliminabili condizioni di civiltà; l'impegno terapeutico diviene allora quello di portare il soggetto malato da un'infelicità nevrotica a un'infelicità comune. Janet appare, rispetto a Freud, molto più figlio dell'800; anche il suo comportamento fa trapelare una maggiore adesione alla classe dirigente e intellettuale di cui fa parte. Anche se critico per molti versi, il suo atteggiamento risulta sempre responsabile e ben integrato. Così, da un certo periodo in poi non perde occasione per marcare la distanza della sua psicologia clinica dalla psicoanalisi e da Freud, che è invece consapevole di tutto ciò che le sue scoperte fanno vacillare e non solo sul terreno culturale e scientifico.

Nel 1907 si svolge ad Amsterdam il Congresso di Psichiatria e Neurologia: il tema in discussione è l'isteria; Freud non è presente, ma c'è Jung come suo portavoce. Janet vi tiene un'ampia relazione, nella quale ribadisce la sua concezione e afferma che Freud non fa che riprendere gli studi che i medici francesi stanno sviluppando da molti anni. Nel 1909, al Congresso di Psicologia di Ginevra, Janet rivolge alla psicoanalisi critiche più precise, soprattutto al concetto di inconscio; ma il punto più alto dello scontro tra Janet e Freud si ha al Congresso internazionale di Medicina che ha la sua assise a Londra nell'agosto del 1913. Anche questa volta Freud è assente mentre è presente Jung. Il Congresso è dedicato alla psicoanalisi, Janet deve tenere su di essa un rapporto critico e Jung ha il compito di difenderla. Contrariamente al suo stile, Janet si lancia in una critica spietata, molto appassionata e per nulla rispettosa dei criteri formali. Da un lato rivendica la sua priorità nell'aver scoperto l'origine traumatica dell'isteria e nell'aver inventato il metodo catartico che, solo in seguito, Freud e Breuer avrebbero pedissequamente riprodotto; dall'altro, si dichiara contrario al metodo freudiano d'interpretazione simbolica dei sogni e anche alla sua teoria sull'origine sessuale della nevrosi. Alla fine del suo rapporto, l'attacco più proditorio: la psicoanalisi non ha nulla a che vedere con la clinica, ma è solo un sistema metafisico. In seguito, nulla è migliorato tra Janet e la psicoanalisi. Janet continua a lavorare al suo sistema, che tuttavia non riesce a prendere la forma di un corpus unitario, fino alla morte. Il suo destino di studioso è stato peculiare: avviato verso una brillante carriera, non ha però fondato scuole o avuto proseliti; pur essendo famoso in vita, non è riuscito a farsi apprezzare né nel mondo dei medici ospedalieri, né in quello dell'università, né in quello psicoanalitico. Pur ligio alle convenzioni, Janet si è trovato sempre a essere un ricercatore contro tendenza. Con la morte la sua fama si affievolisce presto: anche in Francia sembra che si possa facilmente fare a meno di Janet. Eppure il suo lascito è immenso, e le sue osservazioni cliniche non hanno pari per acume psicologico e dottrina psicopatologica. E vero che fin dagli anni '60 è stata fondata una Association Pierre Janet, il cui presidente è stato H. Faure, ma fin qui non è riuscita a ripubblicare neppure tutte le sue opere già stampate.

Ciononostante si deve riconoscere che alcune sue idee, come ad esempio quella di présentification, cioè la formazione nella mente del momento presente, hanno ripreso a circolare oggi, anche se misconosciute, in quei ricercatori, come D. Stern, che tentano di ripristinare una relazione tra fenomenologia e psicoterapia sulla base degli studi di psicologia evolutiva e di neurofisiologia.

STEFANO MISTURA