Influenza, processi di

Con il termine «influenza sociale» ci si riferisce ai processi attraverso i quali gli individui o i gruppi, definiti fonti di influenza, modificano gli atteggiamenti, i giudizi e i comportamenti di altri individui o gruppi, ovvero i bersagli di influenza. Tale influenza può essere esercitata dalla fonte, in maniera intenzionale, ma può manifestarsi anche quando il bersaglio è semplicemente esposto agli atteggiamenti, ai giudizi e ai comportamenti della fonte.

L'interesse per il modo in cui la pressione sociale può indurre dei cambiamenti nel comportamento e nel modo di concepire la realtà si è sviluppato alla fine dell'800. In seguito ai cambiamenti economici prodotti dalla rivoluzione industriale, e alla presenza sempre più attiva delle masse sulla scena politica, alcuni studiosi italiani e francesi, tra i quali S. Sighele, G. Le Bon e G. de Tarde, hanno rivolto la loro attenzione verso i comportamenti delle folle al fine di darne una spiegazione. Per «folla» si intende un insieme di individui che, trovandosi insieme sotto l'impulso di uno stesso sentimento o di una stessa idea, agiscono in maniera irrazionale e acritica. Per spiegare questi comportamenti, gli studiosi delle folle hanno chiamato in causa il fenomeno della suggestione, inteso come rapida diffusione delle passioni e accettazione dei comandi rivolti alla folla stessa, per cui gli individui che la compongono acquisiscono un'anima collettiva. Nella relazione di suggestione, il comportamento sociale è soggetto a forze incoercibili che possono essere attivate dalla massa o da un leader di grande prestigio. Il ruolo della razionalità è semplicemente quello di frenare e inibire tali forze primitive. L'idea di Le Bon che le masse sono mosse da un inconscio collettivo - comportandosi come «orde primitive», incapaci di riflessione e ragionamento - ispirerà S. Freud (1921a).

In psicologia, le prime ricerche che non hanno utilizzato il concetto di suggestione per spiegare i cambiamenti indotti da forze sociali all'interno dei gruppi sono state condotte da M. Sherif a metà degli anni '30. Sherif, psicologo turco influenzato dalle vicende politiche del suo paese nel travagliato periodo successivo al crollo dell'Impero ottomano, ha rivolto i propri interessi scientifici verso i processi di gruppo e, in particolare, verso la formazione delle norme sociali. Secondo l'autore, in situazioni di incertezza o cambiamento, nelle quali mancano punti di riferimento stabili, gli individui costruiscono un insieme di norme capaci di orientare i loro comportamenti e i loro giudizi. Basandosi sul presupposto di un'analogia tra l'incertezza tipica delle situazioni sociali instabili e l'ambiguità del campo percettivo, Sherif (1935; 1967) ha messo a punto un esperimento in cui si è avvalso di un'illusione ottica nota come effetto autocinetico. Il compito richiesto a ogni partecipante era di giudicare l'ampiezza del movimento apparente di un punto luminoso proiettato su uno schermo in una stanza totalmente buia. Lo studio prevedeva tre diverse situazioni sperimentali. Una situazione individuale, in cui i partecipanti eseguivano il compito percettivo singolarmente; una condizione in cui il giudizio era espresso prima individualmente e successivamente in gruppo; infine, una terza situazione nella quale i partecipanti affrontavano il compito prima in gruppo e poi individualmente.

I risultati hanno mostrato che le valutazioni individuali potevano divergere in misura molto ampia tra i diversi partecipanti, mentre tendevano a convergere quando erano espresse in gruppo. Sherif ha concluso che le persone, davanti a una situazione ambigua e non strutturata, stabiliscono un punto di riferimento individuale sul quale basare i propri giudizi. Tuttavia, non appena si trovano in gruppo e devono confrontarsi con il giudizio degli altri, possono allontanarsi da tale riferimento per creare una norma di gruppo condivisa. Questo processo, secondo Sherif, va attribuito al fatto che, quando il giudizio di una persona diverge da quelli degli altri, essa si trova in una posizione deviante, sentendosi incerta e insicura. In sostanza, la convergenza dei giudizi verso una norma comune è la conseguenza di una risposta logica che le persone mettono in atto per affrontare una situazione ambigua e non del processo imitativo descritto dai teorici della psicologia delle folle.

L'interpretazione di Sherif è stata confermata da un'importante serie di esperimenti condotti da S. Asch negli anni '50 (1951; 1950). Asch ha applicato allo studio dell'influenza sociale i principi della Gestalt, secondo cui l'esperienza sociale non è arbitraria ma organizzata in modo coerente e dotato di senso. L'autore voleva dimostrare che l'influenza sociale non è il frutto di processi irrazionali, dovuti alla suggestione o al predominio dell'istinto sulla ragione, bensì di una scelta razionale e consapevole delle persone. Per questo motivo, Asch ha ideato una situazione sperimentale nella quale poneva i partecipanti davanti a una scelta percettiva non ambigua, ma chiara e inequivocabile. Più precisamente, i partecipanti dovevano giudicare quale fra tre linee di diversa lunghezza fosse uguale a una quarta linea separata dalle prime. Dal momento che le linee misuravano da 15 a 22 centimetri e la differenza tra la linea corretta e le due scorrette era di almeno 2 centimetri, il compito non presentava alcuna difficoltà. I partecipanti sedevano in semicerchio in gruppi di otto persone e ad ognuno era richiesto di formulare il proprio giudizio a voce alta. In realtà, l'individuo oggetto dello studio era solamente uno, mentre le altre sette persone erano complici dello sperimentatore, istruiti a fornire in maniera unanime e ripetuta una risposta sbagliata. In tal modo, il partecipante si trovava in una situazione nella quale la maggioranza delle persone intorno a lui contraddiceva l'evidenza della sua percezione visiva.

Con grande sorpresa di Asch, nella situazione in cui i complici dello sperimentatore fornivano in maniera concorde una risposta scorretta, circa un terzo dei partecipanti si conformava al giudizio della maggioranza, cioè forniva una risposta coerente con quella degli altri. Inoltre, sono state trovate nette differenze individuali nelle modalità di risposta, per cui alcuni partecipanti davano sempre un giudizio indipendente seguendo la propria percezione, mentre altri aderivano al giudizio della maggioranza in quasi tutte le prove. Al contrario, i risultati della condizione di controllo, in cui non erano presenti complici dello sperimentatore, hanno mostrato che solo lo 0,7% delle risposte era errato.

Asch ha interpretato i risultati dei suoi esperimenti sostenendo che le persone formulavano il loro giudizio in seguito a un processo di ragionamento, e non più di suggestione, tenendo in considerazione sia le chiare informazioni provenienti dai dati sensoriali, sia quelle provenienti dalla situazione sociale (dal gruppo). Le conclusioni a cui è giunto Asch erano sostenute dalle interviste a cui i partecipanti venivano sottoposti in seguito all'esperimento. Infatti, tutti erano in grado di ricostruire e spiegare il processo di ragionamento che li aveva portati alla formulazione del proprio giudizio, fosse esso corretto o scorretto. Gli esperimenti di Asch sono stati più volte replicati in differenti situazioni sperimentali, mostrando sostanzialmente lo stesso pattern di risultati.

Di particolare interesse sono gli studi che hanno consentito a M. Deutsch e H. Gerard (1955) di differenziare due processi principali di influenza sociale: l'influenza informativa e l'influenza normativa. La prima è la forza che induce le persone a conformarsi utilizzando le opinioni e i comportamenti degli altri come informazioni per interpretare la realtà. L'influenza normativa, invece, porta le persone a conformarsi alle aspettative degli altri membri del gruppo. Nel caso dell'influenza informativa, gli individui vengono influenzati soprattutto in situazioni di incertezza, quando si fidano di più del giudizio altrui che del proprio. Al contrario, nella situazione creata dall'esperimento di Asch, gli individui erano motivati ad adeguarsi alla norma stabilita dalla maggioranza per non sembrare deviano, subendo così un'influenza di tipo normativo.

Infatti, Deutsch e Gerard hanno dimostrato che quando le persone fanno parte di un gruppo sono più soggette a essere influenzate dalla pressione esercitata dalle norme del gruppo stesso, rispetto a quando fanno parte di un semplice aggregato. Tuttavia, il fatto che venga accettata la posizione della maggioranza non significa necessariamente che tale accettazione sia profonda e duratura. Gli stessi studi di Asch avevano già mostrato come i partecipanti tornassero ai giudizi dettati dalla propria percezione quando la risposta non veniva più fornita pubblicamente. Inoltre, numerose ricerche hanno chiarito che nel caso in cui l'influenza avvenga tramite una pressione sociale, l'accordo con la maggioranza rimane superficiale e non influisce sugli atteggiamenti privati. In tal caso, gli effetti dell'influenza sociale sono definiti «condiscendenza» e sono tipici dell'influenza maggioritaria.

I limiti di una prospettiva che vede l'influenza sociale come una forza di cui la maggioranza si serve per garantire il conformismo ed esercitare il controllo sociale sono stati messi in luce da S. Moscovici (1976). L'autore ha criticato in modo approfondito le ricerche svolte fino a quel momento sull'influenza sociale, giungendo alla conclusione che rientravano in un modello funzionalista di osservazione della realtà. Secondo tale modello, l'influenza sociale corrisponde al potere ed è distribuita in modo diseguale nella società. In altre parole, la maggioranza esercita influenza su chi ha meno potere, che non ha altra scelta se non conformarsi a tale pressione. In questa prospettiva, la funzione dell'influenza è quella di mantenere e rinforzare il controllo sociale, che nel clima culturale dominato da un'ottica funzionalista era considerato indispensabile per la formazione dei gruppi. Nella stessa prospettiva, le relazioni di dipendenza determinano la direzione e la rilevanza dell'influenza sociale esercitata in un gruppo. Di conseguenza, le persone che si trovano nei gradini più elevati delle gerarchie, sia per status che per competenza o per disponibilità di informazioni, hanno più influenza di coloro che si trovano nei gradini inferiori. Moscovici ha sottolineato che, nel modello funzionalista, l'influenza serve a raggiungere un consenso basato sulla norma dell'obiettività. Ciò significa che, quando non ci sono dati obiettivi per valutare una situazione, le persone si confrontano con gli altri e cercano una verità convenzionale basata sul consenso della maggioranza. Infine, il conformismo è stato considerato l'unico esito dell'influenza sociale, dando per scontato che tutti i cambiamenti avvengano nella direzione di un adattamento dell'opinione individuale a quella del gruppo preesistente.

Dal momento che nell'ottica del modello funzionalista l'influenza è esercitata solamente da chi detiene il potere verso chi ne ha meno, ovvero dalla maggioranza verso la minoranza, Moscovici si è chiesto come sia possibile che in questo quadro si originino processi di cambiamento. L'autore si riferiva, in particolare, al fatto che anche le minoranze sono in grado di esercitare un'influenza sulla maggioranza, e che gli esiti di tale influenza possono condurre al cambiamento sociale e all'innovazione. Al fine di spiegare non solo i processi di influenza maggioritaria, ma anche quelli di influenza minoritaria, Moscovici ha proposto un nuovo modello di influenza sociale: il modello genetico. Secondo questa prospettiva, l'influenza sociale è un processo simmetrico, per cui qualsiasi persona o gruppo sociale, indipendentemente dal potere e dallo status, può essere sia fonte che bersaglio di influenza. L'influenza non è solo funzionale al conformismo, e quindi al mantenimento del controllo sociale, ma può anche produrre innovazione. Infatti, possono esserci minoranze interessate a cambiare le norme esistenti con altre più vicine ai propri valori e modi di concepire la realtà.

Una differenza fondamentale, tra i due tipi di influenza, è che il bersaglio della maggioritaria accetta, almeno formalmente, gli atteggiamenti, le norme e i comportamenti imposti dalla maggioranza, mentre l'influenza minoritaria passa attraverso l'attivazione di una situazione conflittuale. Tale conflitto è provocato dal fatto che la minoranza, per poter influenzare la maggioranza, deve porsi in maniera antagonista rispetto ad essa e proporre un'alternativa. Per risolvere il conflitto che si viene a creare tra le due parti, entrano in gioco azioni di negoziato tra gli individui o tra i gruppi, per le quali sia la minoranza che la maggioranza esprimono il proprio punto di vista e prendono in considerazione quello dell'altro. Secondo Moscovici, questi fattori non sono sufficienti per rendere efficace l'influenza minoritaria, ma è decisivo lo stile di comportamento che la minoranza assume. Più precisamente, la minoranza deve proporre una posizione chiara, mantenerla tenacemente nel tempo e resistere alle pressioni della maggioranza. In altre parole, deve avere uno stile di comportamento consistente (ossia tenace e coerente). La consistenza deve essere espressa sia in maniera sincronica, cioè mantenendo una posizione consensuale, stabile e uniforme, tra i membri del gruppo meno vasto, sia in maniera diacronica, per cui i comportamenti devono essere ripetuti allo stesso modo, sistematico e senza contraddizioni, in situazioni successive. Attraverso tali comportamenti la minoranza può fornire informazioni sia su quello che vuole cambiare sia su quello che la contraddistingue, dimostrare di impegnarsi per raggiungere il proprio obiettivo e mostrare i sacrifici che è disposta ad affrontare per l'alternativa che propone. Solo così la maggioranza inizierà a prendere in considerazione le posizioni del gruppo minoritario, a mettere in discussione le proprie posizioni e, quindi, a essere influenzata.

Per dimostrare l'importanza di uno stile di comportamento consistente affinché si verifichi l'influenza minoritaria, Moscovici ha condotto una serie di esperimenti basati sulla percezione visiva, compiendo una sorta di rovesciamento del paradigma di Asch. In un primo esperimento, Moscovici, E. Lage e M. Naffrechoux (1969) hanno ideato una procedura molto semplice per simulare una situazione in cui una minoranza esprimeva un giudizio palesemente diverso da quello della maggioranza. Il compito dei partecipanti consisteva nel nominare a voce alta il colore di una serie di diapositive che potevano essere blu o verdi. Prima della prova, i partecipanti venivano sottoposti a un pretest per verificare che non avessero difficoltà nella percezione dei colori. Quindi gli stimoli percettivi venivano presentati a gruppi di sei persone, delle quali due erano collaboratori dello sperimentatore istruiti a rispondere che le diapositive erano verdi anche quando erano chiaramente di colore blu. In una condizione sperimentale, i collaboratori fornivano sempre e in maniera unanime la risposta errata, per simulare un comportamento consistente della minoranza, mentre in un'altra condizione rispondevano in maniera errata solo nei due terzi delle prove, per simulare un comportamento inconsistente.

I risultati hanno evidenziato che la minoranza era in grado di influenzare la maggioranza e che questo avveniva soprattutto quando mostrava un comportamento consistente. Infatti, nella condizione di consistenza, l'8,42% dei partecipanti rispondeva che le diapositive erano verdi anche quando erano blu, accordando il proprio giudizio con quello dei due collaboratori dello sperimentatore. In altre parole, osservando che due persone continuavano a sostenere con tenacia il loro giudizio anche se opposto a quello della maggioranza, i partecipanti iniziavano lentamente a mettere in discussione la correttezza della loro stessa percezione. Un altro importante risultato è stato ottenuto con un secondo esperimento che corrispondeva esattamente al precedente nella prima parte, ma al quale gli autori hanno aggiunto una prova finale. Dopo aver giudicato il colore delle diapositive blu o verdi, ai partecipanti veniva richiesto di valutare il colore di una serie di pastiglie, allo scopo dichiarato di misurare l'affaticamento nella percezione visiva dei colori. La maggior parte delle pastiglie apparteneva alla gamma dei colori tra il blu e il verde, quindi aveva un colore ambiguo, mentre solo tre erano decisamente blu o verdi.

I risultati hanno evidenziato come anche i partecipanti che, nella prima parte dell'esperimento, non erano stati apparentemente influenzati dalla minoranza, poiché avevano continuato a rispondere correttamente, tendevano a spostare le loro valutazioni verso il verde, cioè nella direzione del giudizio precedentemente espresso dalla minoranza. Ciò significa che la minoranza aveva influenzato i partecipanti in maniera indiretta e più profonda, modificandone il codice percettivo, ovvero i criteri utilizzati per valutare i colori. Moscovici ha concluso che l'influenza minoritaria non solo è possibile, ma anche che i suoi effetti non rimangono superficiali come quelli del conformismo, bensì rispecchiano un vero e proprio cambiamento percettivo in coloro che vengono influenzati, realizzando così processi di innovazione. Per riferirsi all'effetto latente prodotto dall'influenza sociale minoritaria, Moscovici ha introdotto il termine «conversione», in contrasto con la condiscendenza (compiacenza) generata dall'influenza maggioritaria. Numerosi studi hanno successivamente verificato che l'effetto di conversione produce cambiamenti profondi di giudizio. Secondo J. Perez e G. Mugny (1989), le ricerche sull'influenza sociale minoritaria, considerate nel loro complesso, hanno messo in evidenza effetti che, per manifestarsi, necessitano di un tempo più lungo rispetto alla risposta conformista indotta dall'influenza maggioritaria. Infatti, l'azione dell'influenza minoritaria richiede che le persone, in un primo momento, mettano in atto un confronto categoriale tra se stesse e la fonte d'influenza. Generalmente, l'esito di questo confronto è una risposta immediata di rifiuto del cambiamento, dovuto alla pressione della posizione dominante. Solo in un secondo momento gli individui bersagli dell'influenza potranno prendere in considerazione gli argomenti della minoranza, per valutarli ed eventualmente ridefinire la propria rappresentazione della realtà.

La maggior parte degli studi condotti per analizzare i processi d'influenza minoritaria sono stati realizzati in laboratorio, dove è possibile distinguere obiettivamente una risposta maggioritaria (il colore effettivo della diapositiva) da una minoritaria (il colore sbagliato). Tuttavia, Mugny (1982) ha osservato che nella società la distinzione tra minoranza e maggioranza non è semplice come nei compiti percettivi utilizzati da Moscovici e collaboratori. Ad esempio, in uno Stato vi sono leggi e norme che definiscono quali sono i comportamenti accettabili, anche se è possibile che nella popolazione vi sia un numero molto ampio di persone che la pensano diversamente. Quindi una maggioranza può essere tale, anche se numericamente inferiore, purché detenga il potere, così come tra la popolazione vi può essere una maggioranza che lo subisce senza condividerlo. In questo caso, per generare innovazione, la minoranza deve riuscire a influenzare la popolazione e non solo chi detiene il potere. Infatti, è stato chiaramente dimostrato che lo stile di negoziato messo in atto dalla minoranza è fondamentale per l'esito del processo di cambiamento.

Fermo restando che per esercitare influenza la minoranza deve adottare uno stile di comportamento consistente, uno stile troppo rigido, che rifiuta ogni compromesso con la popolazione, finisce per essere improduttivo. Infatti, quando le posizioni della minoranza sono troppo estreme e rigide, si viene a creare un profondo conflitto con la popolazione, che lo risolve screditando la minoranza stessa ed etichettandola come dogmatica. W. Doise, J.-C. Deschamps e G. Mugny (1978) hanno definito questo processo «naturalizzazione», per cui la società attribuisce le idee e i comportamenti dei deviami, in questo caso della minoranza, a cause biologiche, psicologiche o sociologiche stabili e immutabili. Al contrario, quando la minoranza adotta uno stile di negoziato rigido nei confronti del potere, ma flessibile nei confronti della popolazione, cioè è disposta a fare alcune concessioni per non esacerbare il conflitto, ha più possibilità di esercitare influenza.

AUGUSTO PALMONARI, LUCIA BOTINDARI e MICHELA MENEGATTI