Ideale dell'Io, idealizzazione

Il concetto di «ideale dell'Io» rimane sullo sfondo del pensiero di S. Freud per divenire oggetto esplicito e privilegiato di riflessione in alcune delle sue opere principali (in particolare 1914d; 19211a; 1922a; 1932). E importante considerare le date in cui furono scritti questi lavori: è infatti tra il 1914 e il 1922 che il concetto è sottoposto a significative modifiche, che coincidono con il passaggio dalla prima alla seconda topica e l'introduzione dell'istanza del Super-io, concetto dunque posteriore rispetto a quello di ideale dell'Io. Da allora, il termine ideale dell'Io non è più adoperato da Freud. Ciò non significa che sia ripudiato, piuttosto rimane nel sottofondo della metapsicologia, per ricomparire nel 1932 con un significato molto simile a quello che Freud gli diede in origine.

Se in Introduzione al narcisismo e in Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni) Freud ritiene che lo scopo per cui l'individuo crea un proprio ideale è dovuto al desiderio di ricongiungersi con la perfezione narcisistica infantile, nelle opere intermedie il termine ideale è usato in riferimento ai rappresentanti genitoriali, intesi come modelli ideali. Tuttavia, nonostante le modifiche concettuali apportate al termine di ideale dell'Io, si può affermare che era costante in Freud l'idea che l'uomo aspirasse costantemente nella propria vita a ritrovare in sé i propri ideali e che cercasse nell'altro positivi e ideali oggetti di identificazione. D'altra parte, per quanto possa esservi la creazione dell'ideale «come surrogato del narcisismo perduto dell'infanzia» (Freud,

1914d), J. Laplanche eJ.-B. Pontalis (1967) osservano che, con l'introduzione del concetto del Super-io, questo stato di narcisismo, che Freud paragona a un vero delirio di grandezza, è abbandonato «soprattutto a causa della critica esercitata dai genitori». Accanto all'aspirazione a essere come il genitore idealizzato, che si origina attraverso meccanismi di identificazione primitiva in cui vengono a coagularsi l'onnipotenza infantile e la fusione con le figure genitoriali idealizzate, viene anche a essere introiettato il rappresentante genitoriale inteso come censore e come coscienza; questa impostazione fa naturalmente confluire l'istanza dell'ideale dell'Io in quella del Super-io. La posizione di Freud sull'origine dell'ideale dell'Io come luogo assoluto di aspirazione del narcisismo perduto, o come luogo che si apre anche verso la coscienza e la censura, rimane questione alquanto sospesa, ma che sembra trovare una possibile declinazione verso la prima opzione quando Freud, verso la fine della sua vita, afferma che «l'ideale dell'Io è il sedimento dell'antica immagine dei genitori», l'espressione dell'ammirazione del bambino che li considerava allora «creature perfette» (1932). E innegabile tuttavia che la questione, riformulata in questo modo, lascia aperte molte possibilità interpretative.

Per avvicinarsi alla comprensione della collocazione dell'ideale dell'Io nella metapsicologia freudiana, è dunque necessario riflettere sia sul rapporto tra l'Io e il narcisismo primario, sia sulle vicissitudini teoriche del Super-io che, a seconda dei momenti di

riflessione di Freud, hanno confluito o si sono allontanate dall'ideale dell'Io. In Introduzione al narcisismo Freud affronta il complesso rapporto tra Io, narcisismo, pulsioni libidiche e rimozione; in questo intreccio si colloca la nascita dell'ideale dell'Io che risulta fondamentale per il processo di sviluppo dell'Io, a sua volta orientato verso la realtà esterna e verso la costituzione di relazioni oggettuali. L'Io necessita di prendere le distanze dal narcisismo primario dando luogo a un intenso sforzo inteso a recuperarlo. Tale recupero sembrerebbe possibile attraverso un processo di sedimentazione dell'ideale dell'Io, che viene emanato dall'Io medesimo. Questo processo avviene grazie allo «spostamento della libido narcisistica sull'ideale dell'Io»: in buona sostanza l'ideale dell'Io diviene un'istanza al servizio dell'Io stesso, un'area in cui viene conservato, nel tempo, il soddisfacimento insito nel narcisismo primario. L'ideale dell'Io, attingendo da questo serbatoio narcisistico, spinge l'Io verso un percorso evolutivo, canalizzando la libido narcisistica verso l'oggetto che, beneficiando di questa trasmissione libidica, potrà, a sua volta, arricchire l'Io della propria libido. Tuttavia le cose risultano meno semplici di quanto appaiono, poiché l'ideale dell'Io, per come viene formulato da Freud in Psicologia delle masse e analisi dell'Io, ad esempio, separandosi dall'Io, può percorrere una strada che entra in conflitto con l'Io stesso. Questo conflitto non necessariamente si risolve e anzi, talvolta, può andare a detrimento dell'Io medesimo, fondamentalmente per due diversi fattori: il primo è direttamente collegato alla spinta di attivazione del narcisismo primario attraverso una fusione tra oggetto e ideale dell'Io, osservabile per esempio negli stati di innamoramento; il secondo fattore, più complesso, è collegato alla qualità delle identificazioni tra l'ideale dell'Io e le richieste dell'oggetto esterno. A proposito del primo fattore, J. Chasseguet-Smirgel (1975), commentando le riflessioni di Freud sullo stato dell'innamoramento, ritiene che vi siano situazioni in cui l'ideale dell'Io assorbe l'Io e lo stato di innamoramento è «la celebrazione dell'Io con il suo Ideale, ovvero il ritorno ala fusione primaria».

In un certo qual modo, nella condizione di innamoramento è come se l'Io fosse schiacciato sia dall'oggetto che dall'ideale dell'Io, in una sorta di fusione tra questi due elementi: nell'innamoramento «una quantità notevole di libido narcisistica straripa nell'oggetto» e l'oggetto può sostituire «un non raggiunto ideale dell'Io» (Freud, 1921a). Siamo nel pieno dell'idealizzazione del legame ideale dell'Io-oggetto, con l'esito che l'Io risulterà svuotato e depauperato delle proprie risorse. Ora, se questa situazione risulta fisiologica e passeggera nelle situazioni di innamoramento, ha pesanti ricadute quando si perpetua nel tempo. Infatti, secondo Freud, quando l'ideale dell'Io si sostituisce all'Io, tale istanza è sottomessa a quello che Freud aveva definito un insaziabile e tirannico Io-Ideale; in tali condizioni psichiche si producono stati di elazione maniacale frammisti a una condanna da parte dell'ideale dell'Io sull'Io per il mancato raggiungimento dell'ideale; è qui che possono prodursi le patologie maniaco-depressive e le melanconie che Freud aveva trattato in Lutto e melanconia (1915f). L'esito è quello di vivere in un'illusione maniacale che può frantumarsi e spezzarsi improvvisamente nell'assenza di speranza e nell'improvvisa comparsa della disperazione per «l'abbandono, più o meno totale del progetto di unione tra Io e l'ideale» (Chasseguet-Smirgel, 1975); porzioni dell'Io possono sopravvivere infatti a questa condizione maniacale e bozzoli di coscienza possono rompere la bolla illusionale in cui un soggetto vive. Relativamente al secondo fattore, ricordiamo che Freud scrive che l'ideale dell'Io, erede del narcisismo originario, fa anche proprie, traendole dagli influssi dell'ambiente, le richieste che quest'ultimo pone all'Io e a cui l'Io non sempre si dimostra pari (Freud, 1921a); egli intende qui per ambiente la coscienza morale incarnata nella società e nella famiglia. Con tale formulazione, Freud ci indica che l'ideale dell'Io non è più soltanto il luogo di ricerca del narcisismo prima rio, ma comprende anche l'istanza della coscienza, le concezioni etiche e culturali, i modelli genitoriali ed educativi che vengono introiettati nell'ideale dell'Io: si tratta del punto di congiunzione, ancora non teorizzato, tra ideale dell'Io e la successiva concettualizzazione del Super-io. L'ideale dell'Io, nella sua complessità e articolazione, ha una collocazione davvero peculiare; una sorta di concetto-cerniera tra il narcisismo assoluto e l'oggettualità, tra il principio di piacere e il principio di realtà. Quando Freud arriva a formulare che il Super-io è anche l'esponente dell'ideale dell'Io, al quale l'Io si commisura, che emula, e la cui esigenza di una sempre più ampia perfezione si sforza di adempiere (1932), possiamo dire che questo concetto-cerniera si estende ulteriormente accogliendo nuovi significati. Possiamo inoltre affermare che vi è un rovesciamento di prospettiva tra il Freud che nel 1922 sosteneva che l'ideale dell'Io era una delle componenti del Super-io e il Freud del '32 che indica che la base rimane quella narcisistica, su cui anche il Super-io si edifica. La complessità del concetto va inserita nei cambiamenti apportati non solo dal passaggio da una topica all'altra, ma anche dagli sviluppi del pensiero freudiano sul narcisismo e l'Edipo e dalla riformulazione generale della teoria delle pulsioni. Fondamentale, ad esempio, è stato il passaggio dalla concezione monistica della libido (1914a) alla concezione dualistica degli istinti (1920d). La soluzione approntata in l'Io e l'Es, in cui la nuova nozione di Super-io viene considerata come sinonimo dell'ideale dell'Io diventando quindi un'unica istanza, formata per identificazione con i genitori correlativamente al declino dell'Edipo, che riunisce le funzioni di divieto e di ideale, in realtà segnala e apre un campo problematico. Se Freud non si è posto il problema se abrogare quanto detto nell’ Introduzione al narcisismo, anche se si può pensare a un'«abroga-zione implicita», dato che Freud dopo l'introduzione del Super-io non parlerà più di ideale dell'Io fino al 1932, far coincidere o meno i due concetti in un'unità rende estremamente complessa, ma anche contraddit toria, questa istanza; dietro vi è un percorso teorico molto travagliato che riprende nel dibattito psicoanalitico postfreudiano. La maggior parte degli autori, dopo Freud, si sono riproposti il problema se i due concetti di ideale dell'Io e di Super-io andassero differenziati o meno; questione controversa che investe tre poli fondamentali: la polarità narcisismo/Edipo, la polarità struttura preoggettuale / relazione d'oggetto, la polarità ideale/divieto, colpa, punizione. Le scelte di campo teorico e clinico avevano implicazioni rilevanti, soprattutto per quanto riguardava le origini del Super-io: inglobare l'ideale dell'Io nel Super-io significava, ad esempio, far convergere lo stesso Super-io nelle origini preedipiche, preoggettuali, primitive, e quindi farlo anticipare dalle fasi edipiche alle fasi più precoci dello sviluppo; il pensiero kleiniano, che focalizzerà l'attenzione clinica e teorica alle prime fasi della vita psichica, sarà il vettore principale di questa linea di orientamento. Dopo Freud, una parte della letteratura psicoanalitica mostra che il termine Super-io non ha fatto cadere in disuso quello di ideale dell'Io e che i due termini in generale non sono considerati sinonimi. Soprattutto la psicoanalisi francofona (in particolare B. Grunberger e J. Chasseguet-Smirgel) ritiene che le due strutture siano da considerare ben diverse. Per Grunberger (1971) vi è una necessaria separazione tra ideale dell'Io e Super-io, in quanto l'ideale dell'Io è di origine narcisistica mentre il Super-io è collegato all'ambiente esterno e affonda le sue radici sulla vicenda edipica. Questa prospettiva obbliga a seguire lo svolgimento di due istanze in divenire che possono confluire o interagire tra loro: da un lato vi è la linea di sviluppo «narcisismo - ideale dell'Io - ferita narcistica», dall'altro vi è il suo contrappeso pulsionale «pulsione - Super-io - timore di castrazione - senso di colpa». «Il Super-io è come la Bibbia», ma il narcisismo, il cui rappresentante è l'ideale dell'Io, è come Dio onnipotente. La Chasseguet-Smirgel, che ha sviluppato in modo originale il concetto di ideale dell'Io, oltre a differenziarlo dal Super-io ritiene che esso, attingendo alle fonti narcisistiche, contenga un serbatoio di energia libidica che può venire canalizzata in un ideale maturativo all'insegna di un progetto di speranza e orientato verso il futuro. In tale accezione l'ideale dell'Io nasce dalla spinta libidica e dal desiderio di che cosa l'individuo vuole essere, di come disegna i propri ideali personali e la propria creatività.

Molti altri autori tendono invece a considerare ideale dell'Io e Super-io come sinonimi, o più precisamente ritengono che l'ideale dell'Io sia una sorta di sottosistema del Super-io. Questa impostazione ha una sua legittimità clinica e teorica, ma il rischio è quello di comprimere l'ideale dell'Io nei reticolati del Super-io. Per esempio E. Jaqob-son (1964) ritiene che l'ideale dell'Io venga inglobato nel corso del tempo dal Super-io; tuttavia questa idea di inglobamento, possibile sul piano clinico ma più discutibile" dal punto di vista teorico, non consentirebbe di dare totale chiarezza alle origini dell'ideale dell'Io e quindi al suo luogo originario, quello del narcisismo primario. Di fronte al dubbio e all'incertezza se tenere separati o uniti il concetto di ideale dell'Io e il concetto di Super-io, vi sono delle correnti psicoanalitiche che si attestano soprattutto a considerare quelle che sono le evidenze cliniche; ad esempio H. Hartmann e R. Loewenstein (1962) sostengono che geneticamente ideale dell'Io e Super-io hanno origine diversa, ma nella vita dell'adulto queste due strutture sarebbero così intimamente intrecciate che risulterebbe molto difficile distinguerle dal punto di vista clinico. Posizione certamente pragmatica e realistica, ma che non tenendo nella dovuta considerazione le sottili differenziazioni tra l'ideale dell'Io e il Super-io, che vanno oltre la prospettiva genetica, forse rischia di non poter distinguere in modo del tutto adeguato le differenze tra la «malattia dell'idealità» e le malattie derivanti dall'oppressione di un Super-io quando esso diviene sadico, crudele, persecutorio.

Riconoscere che l'ideale dell'Io ha una sua specificità, fondata su un connubio identi-ficatorio primario tra il narcisismo originario e oggetti idealizzati, significa andare alle fonti del problema, come hanno fatto M. Klein con il concetto di idealizzazione, W. Bion in senso lato e diversi altri autori post-freudiani e postkleiniani. Prima di affrontare il tema dell'idealizzazione va precisato che idealizzazione e ideale dell'Io non sono concetti omologabili. L'ideale dell'Io è un'istanza dell'apparato psichico, mentre l'idealizzazione implica un processo dinamico relativo a un investimento su un oggetto; può sussistere una relazione dialettica in cui l'ideale dell'Io può usufruire del meccanismo dell'idealizzazione, ovvero può venire ampliato, attraverso il meccanismo dell'idealizzazione, dall'interiorizzazione di oggetti ideali.

Secondo la Klein (1955), l'individuo nella sua vita è alla ricerca del Sé ideale perduto e degli oggetti ideali perduti, e in particolare è teso al recupero della sua relazione d'amore con la madre. Il concetto di idealizzazione è uno degli assi portanti, insieme a quello di distruttività, della teoria kleiniana, ed è una derivazione e una rielaborazione, soprattutto clinica, del Freud di Al di là del principio del piacere. Se Freud elaborava il concetto della dualità delle pulsioni, la Klein riconduce questa concezione teorica, e persino filosofica, alla teoria delle relazioni d'oggetto, con particolare riferimento agli oggetti precoci. Per la Klein l'idealizzazione è un meccanismo difensivo contro la pulsione distruttiva, direttamente collegata all'istinto di morte freudiano, e in generale definisce l'idealizzazione, come già la scissione, la negazione, o dominio onnipotente sugli oggetti interni ed esterni, «una difesa fondamentale contro l'angoscia persecutoria». Il processo di idealizzazione, insomma, ha la funzione di salvare l'oggetto buono di fronte agli attacchi distruttivi dell'oggetto cattivo e persecutorio. Il problema diviene seriamente psicopatologico quando il processo di idealizzazione si fonde con una dimensione distruttiva e onnipotente che prende il sopravvento sul soggetto e sulla funzione dell'Io disintegrandone le competenze e favorendo in tal modo una visione paranoica dell'altro e del mondo.

Il bambino, fin dai primi giorni di vita, instaura delle relazioni d'oggetto parziali e necessita, per la propria sopravvivenza psichica, di scindere le parti buone e cattive di uno stesso oggetto - la madre e il seno - in modo da tollerare le ansie persecutorie relative alla madre e al suo seno (per esempio la rabbia quando l'oggetto materno non è presente); l'idealizzazione, quindi, derivante dalla suddetta scissione, consente mediante il meccanismo dell'identificazione proiettiva di parti buone e idealizzate del Sé di costituire, con l'introiezione, l'ideale dell'Io (Mancia, 1979). Se, quindi, per la Klein l'ideale dell'Io ha le sue origini nei primi mesi di vita, dall'identificazione con un oggetto idealizzato, come necessità difensiva tesa a negare la pulsione di morte manifestatasi sotto forma di fantasie invidiose, aggressive e distruttive, al contempo l'introiezione di un oggetto buono idealizzato è il punto di partenza per uno sviluppo favorevole della vita mentale. Nel corso della vita, l'individuo sarà alla ricerca della parte migliore della sua personalità, del suo ideale, soprattutto se è ancora alle prese con meccanismi di scissione che non gli hanno consentito una sufficiente integrazione in cui possano coabitare, nella sua mente, il senso del male e del bene a favore di quest'ultimo. Possiamo quindi dire che se Freud ha individuato nell'apparato psichico l'istanza dell'ideale dell'Io e le sue complesse connessioni con le altre zone della mente, la Klein ha avuto il merito di sviluppare e differenziare, da un punto di vista clinico, gli elementi buoni e patologici contenuti nell'ideale dell'Io.

Mentre la Klein non menziona esplicitamente il legame tra Super-io e ideale dell'Io, lasciando la questione nell'ombra, autori come H. Rosenf eld, D. Meltzer e L. e R. Grinberg si cimentano ulteriormente nel merito della questione. In particolare, Meltzer (1973) crea una nuova istanza, da lui definita «Ideale del Super-io», per indicare una relazione strutturale che si stabilisce tra ideale dell'Io e Super-io e in cui l'ideale dell'Io rappresenta una figura genitoriale con competenze sostenitive; si tratta di una figura che integra varie funzioni che erano in precedenza attribuite da una parte all'ideale dell'Io e dall'altra al Super-io. L'Ideale del Super-io è inteso come una funzione mobile e plastica, che parte dalle immagini che sono state trasmesse dai genitori al bambino per accogliere, nel corso dello sviluppo, nuovi modelli che consentono un'assimilazione di ottime qualità che possono sostenere e arricchire l'Io. L'idea di Meltzer è che dal legame fondamentale idealizzato madre/bambino, che consente lo sviluppo di amore, fiducia, gratitudine e speranza può prendere avvio un processo che integra le parti idealizzate buone del Sé e gli oggetti idealizzati buoni. Come vediamo, pur partendo da costrutti teorici molto diversi, Chasseguet-Smirgel e Meltzer confluiscono in una posizione simile; questo dipende dal fatto che i due autori hanno dato una collocazione specifica al luogo degli ideali come luogo di un rifornimento libidico che potrà trovare, nel corso dello sviluppo, le vie della creatività. Il modo di affrontare il tema dell'idealizzazione e dell'ideale dell'Io è molto mutato negli sviluppi della psicoanalisi postfreudiana e contemporanea. Un contributo fondamentale, in questo senso, è stato fornito da Bion, il quale ha affrontato il tema dell'idealizzazione in forma tangenziale e a partire da prospettive teoriche molto personali e fortemente trasformative. Bion parla implicitamente dell'idealizzazione, concetto che ritroviamo sotto una dizione diversa, per esempio quando utilizza il termine «atto di fede» (Bion, 1970): tale atto rappresenta la capacità di avere credenza assoluta in talune sensazioni e intuizioni che possono emergere improvvisamente dai substrati più profondi di se stessi. L'atto di fede possiede una peculiare dimensione inconscia, in quanto è collegato a qualcosa che ancora non è avvenuto e che ha a che fare con una sorta di persuasione assoluta, una «preconcezione». Per esempio il lattante presagisce, pur non avendone ancora interiorizzato l'esperienza, che il suo pianto evocherà un seno che placherà il suo lamento e la sua fame. Si tratta di un atto di fede che intuisce che l'assenza di seno, tramite il pianto, realizzerà un seno presente. Tale intuizione avviene fin dalla nascita, perché il bambino fa l'esperienza immediata della dimensione frustrante e limitante del proprio narcisismo e quindi la sua natura incompleta lo conduce alla ricerca di un seno ideale che da «non cosa» diventi cosa; se questo ideale si realizzerà esso potrà divenire l'apripista di ideali che gradualmente si svilupperanno durante lo sviluppo dell'individuo e che consentiranno l'apertura di uno spazio mentale che dalla madre verrà trasmesso al bambino che, a sua volta, potrà divenire capace di un progetto ideale, generativo e creativo. Questa intuizione del bambino si coniuga con la funzione di rêverie materna, ed è su questo incontro che si stabilirà il primo legame, quello del bambino con la propria madre. Siamo, con Bion, nel campo di esperienze primitive, sensoriali, intuitive che hanno consentito, nella pratica clinica, di avvicinarsi non solo ai livelli più primordiali della mente umana ma anche agli aspetti primari, sensoriali, intuitivi del legame tra individui. Il passaggio da una psicoanalisi monopersonale, basata fondamentalmente sull'apparato psichico del paziente e sul transfert, a una psicoanalisi bipersonale, centrata sulle dinamiche transferali-controtransferali, ha permesso di entrare in contatto non solo con gli elementi relazionali scissi e primitivi del paziente ma anche con quelli dell'analista: questo ha favorito nuova linfa nel trattamento di molti elementi arcaici della personalità dell'analista e del suo legame con il paziente, tra cui quello dell'ideale dell'Io e dell'idealizzazione. Con Bion, e con la teoria di campo di M. e W. Baranger, l'analista non è solo interprete del malessere generato dall'ideale dell'Io o dal processo di idealizzazione del paziente, ma diviene attento ascoltatore dei movimenti idealizzati che possono attivarsi, prodursi, generarsi nell'analista stesso e nella coppia analitica. L'idealizzazione diviene un evento che riguarda l'analista e il paziente, e sovente accade che il paziente effettui un transfert idealizzato nei confronti dell'analista e dell'analisi; questo comporta, nella mente del paziente, che analisi e analista debbano restare invulnerabili e non patire alcuna incrinatura. Un paziente, affetto dalla malattia esistenziale dell'idealità, è alle prese e alla ricerca di un oggetto che deve restare idealizzato, un oggetto in grado di risolvere ogni problema e di soddisfare ogni desiderio, quello che M. Spira (2005) definisce, con una formula dissacratoria, «una serva tuttofare».

Inevitabilmente, questa malattia si può riprodurre, fin dai primi istanti, all'inizio di un trattamento psicoanalitico. Ora, se un certo grado di idealizzazione è necessario alla creazione di un'alleanza terapeutica minimale, ovvero se l'analisi può originarsi da un «atto di fede», come dice Bion, gradualmente questo atto di fede deve trasformarsi in una fiducia e in una speranza realistica di un cambiamento psichico. Questo processo richiede gradualità e tatto, perché rompere in modo incauto e invadente il processo di idealizzazione può implicare una rottura e il crollo psichico di un individuo che, nelle situazioni più gravi, aveva fondato la sua esistenza sull'illusione della grandiosità e dell'onnipotenza di sé e dell'altro. All'inizio di un'analisi può risultare dunque necessario che l'analista si presti a un investimento idealizzato come base da cui partire per costituire una fiducia che consenta gradualmente una relazione oggettuale in cui rendere più reale, e quindi più umano, il contatto con se stesso e con l'altro. Questo percorso potrà consentire una trasformazione dall'idealizzazione a un progetto che sia fondato su ideali, tenendo conto che idealizzazione e ideale non sono tra loro interscambiabili. L'ideale ha a che fare con le idee, con i progetti, con le creazioni, con tensioni emotive e affettive verso un cambiamento, con un pensiero astratto che è ben lontano da concretizzazioni onnipotenti fondate su idoli e idolatrie. Nel dibattito psicoanalitico tale questione non riguarda soltanto la patologia del paziente, ma anche la malattia dell'idealità che può affliggere lo stesso analista o la sua concezione dell'oggetto-psicoanalisi, qualora questa venga pensata in termini sacrali e in violabili. La psicoanalisi contemporanea è ormai ben lontana dal concepire l'analista come figura oracolare e sfingea, così come sono stati messi fortemente in discussione e smussati assetti metodologici che parevano indiscutibili: per esempio, la stessa nozione di neutralità dello psicoanalista è stata ridimensionata al fine di evitare di immaginare una possibile totale neutralità, soprattutto perché questa raggiungerebbe il campo dell'idealizzazione di noi stessi.

RONNY JAFFÉ