Funzione |
Il termine «funzione», in psicologia, ricopre significati distinti. Anzitutto, «funzione» è un concetto matematico, che indica la relazione esistente fra due grandezze variabili e misurabili mediante un sistema numerico. Le leggi psicologiche vengono spesso espresse sotto forma di funzioni matematiche, a cominciare dalla famosa legge della psicofisica fechneriana. In un'altra accezione, il termine entra in psicologia provenendo dall'antropologia sociale di B. Malinowski, il quale affermava che le comunità umane tendono sempre alla conservazione delle proprie istituzioni, proprio come un organismo biologico tende sempre a mantenere un equilibrio tra le proprie funzioni vitali. Si può fare riferimento, poi, al funzionalismo linguistico di R. Jakobson, per il quale le unità linguistiche vengono identificate in base alle loro funzioni, e alla sociologia di T. Parsons e R. Merton, che ha influenzato una parte della psicologia sociale, secondo cui la medesima «funzione sociale» può essere svolta da istituzioni fra loro diverse e persino alternative. In psicologia, l'uso più recente del termine è riconducibile alla teoria del «funzionalismo computazionalistico», assai in auge nel contesto delle scienze cognitive. Secondo questa teoria, che si pone come critica filosofica - nel senso anglosassone di «filosofia della mente e del linguaggio» - del riduzionismo, gli stati mentali esistono - non però in senso ontologico o spiritualistico - indipendentemente dal loro supporto materiale (il cervello). Nella prospettiva funzionalistica di H. Putnam 1988), in particolare, le operazioni del computer non sono spiegate dalla struttura fisica del computer stesso, bensì dal programma in esso inserito. Strutture diverse possono esprimere la medesima funzione, analogamente a quanto viene sostenuto dalla succitata teoria sociologica di Parsons e Merton. Ma l'uso di gran lunga prevalente del termine «funzione», in psicologia, è legato storicamente alla scuola del funzionalismo, o scuola di Chicago, che si espresse negli Stati Uniti tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, prima di venire sostituita, e in parte inglobata, dal comportamentismo. I più importanti psicologi funzionalisti furono W. James, J. Dewey (anch'egli, come James, filosofo oltre che psicologo, e artefice di una celebre concezione pedagogica), J. Angeli (autore di un «manifesto» sulla psicologia funzionalistica), H. Carr, R. Woodworth e G. Hall. Il funzionalismo trae nutrimento da due grandi orientamenti di pensiero, particolarmente vivi nella cultura nordamericana alla fine dell'800: l'evoluzionismo darwiniano e il pragmatismo. Richiamandosi in particolare a L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali di Darwin (1872), i funzionalisti concepiscono i processi psichici come mezzi mediante i quali l'organismo si adatta all'ambiente che lo circonda, nella sua lotta per la sopravvivenza. I processi psichici sono pertanto «funzioni» adattative, come i processi biologici, di cui in fondo fanno parte; e vanno studiati in questa veste, non in quanto «strutture» autoreferenziali e scisse dall'ambiente, come avveniva nella scuola introspezionistica. Inoltre, i funzionalisti considerano le funzioni psichiche come attività dell'intero organismo, non di una sua singola parte: come è globale la situazione ambientale che pone difficoltà all'organismo, così non può che essere globale la risposta mediante cui quest'ultimo tenta di superare quelle difficoltà. Questo globalismo funzionalistico è espresso, in termini molto chiari, in Dewey (1896): lo «stimolo» e la «risposta» dell'organismo non possono essere considerati indipendentemente l'uno dall'altra, e l'«arco riflesso» che essi compongono va considerato un anello inscindibile, in una catena inscindibile di altri archi riflessi. Con questo globalismo, i funzionalisti anticipano un tema fondamentale della psicologia della Gestalt, mentre non anticipano il comportamentismo watsoniano, che preferirà attenersi al più «classico» elementismo della tradizione psicologica, a cominciare dalla prevalente impostazione wundtiana. Nel suo processo di adattamento all'ambiente, l'organismo è guidato da una legge psicologica generale, che i funzionalisti mutuano dallo psicologo associazionista E. Thorndike (1905). Si tratta della «legge dell'effetto», valida sia per gli esseri umani che per gli animali: ogni azione che, in una determinata situazione, genera soddisfazione, tende ad essere associata a questa situazione; pertanto, quando quest'ultima ricompare, l'azione ad essa associata tende a ripetersi con maggiore frequenza rispetto al passato. Simmetricamente, ogni azione che, in una determinata situazione, genera insoddisfazione, tende ad essere dissociata da questa situazione; pertanto, quando quest'ultima ricompare, l'azione da essa dissociata tende a ripetersi con minore frequenza rispetto al passato. Tra le varie funzioni psichiche, è la motivazione quella che viene privilegiata dai funzionalisti, perché particolarmente in linea con la nozione chiave di adattamento. Diversamente dagli stimoli non motivanti, quelli motivanti (come la fame, la sete, la pulsione sessuale, ecc.) sono caratterizzati dal loro persistere nel tempo, e dalla loro capacità di controllare il comportamento dell'organismo, fino a quando non vengono soddisfatti. La nozione di «motivazione» non verrà ereditata dal primo comportamentismo, che la considererà troppo soggettivistica, ma ricomparirà nell'opera di un comportamentista della seconda generazione, C. Hull (1943), che tenterà di formalizzarla all'interno di un sistema matematico dedicato, principalmente, allo studio dell'apprendimento dei ratti in condizioni di stretta sperimentazione. Dicendo «apprendimento», abbiamo designato il secondo oggetto principale della ricerca funzionalistica, e quello che maggiormente lo avvicina al comportamentismo. L'apprendimento è per sua natura una funzione adattativa, dotata di valore di sopravvivenza. Tutta la storia del rapporto fra ambiente e organismo può essere letta in termini di apprendimento: l'ambiente crea difficoltà all'organismo, e la sopravvivenza di quest'ultimo dipende dalla sua capacità di apprendere prima, e di non disapprendere poi, le risposte che si sono rivelate atte a superare tali difficoltà. Seppur in maniera meno vistosa, rispetto alla motivazione e all'apprendimento, anche tutti gli altri processi psichici possono essere interpretati in termini di funzioni adattative. In particolare, possono esserlo le emozioni, che mobilitano energie in grado di aiutare l'organismo a reagire con maggiore efficacia alle difficoltà ambientali (pensiamo alla tensione di uno sportivo prima della gara, o all'ansia funzionale di una persona che sta per essere sottoposta a un esame). Tuttavia, i funzionalisti riconoscono l'esistenza di emozioni fine a se stesse, cioè puramente espressive, prive di funzionalità per la sopravvivenza dell'organismo. Anche i processi sensoriali e percettivi hanno valore adattativo. Per esempio, P« abilità spaziale» consente all'organismo di valutare la collocazione e le dimensioni degli ostacoli presenti nello spazio che lo circonda. Quanto alla coscienza, da regina della scena, nella prospettiva introspezionistica, essa retrocede a personaggio secondario nella prospettiva funzionalistica, preparando il terreno alla propria scomparsa dalla scena, nella prospettiva comportamentistica. Lungi dall'essere una presenza costante e un filo conduttore dell'attività psichica, la coscienza, per i funzionalisti, è una funzione adattativa simile a tutte le altre; e, infatti, compare solo quando le difficoltà del rapporto con l'ambiente richiedono all'organismo la messa in atto di strategie più complesse di quelle, per così dire, «automatiche», poste in atto dai processi sensoriali e percettivi, dall'apprendimento e dalla motivazione. Ma la tendenza della coscienza è quella di scomparire, non appena essa ha assolto con successo alla propria funzione adattativa. Per esempio, la coscienza (anche molto acuta) delle operazioni che compio è necessaria quando inizio a imparare a guidare la macchina, perché in tal modo evito di compiere gravi (e pericolosi) errori; ma essa progressivamente si riduce, fino a scomparire, via via che l'apprendimento si consolida, fino alla guida «automatica» che è la caratteristica del guidatore esperto. In definitiva, la coscienza è soprattutto «presa di coscienza». In quanto tale, e in quanto processo globale, essa non può essere colta mediante l'analisi introspezionistica, che i funzionalisti ridimensionano drasticamente (pur non pervenendo alla sua liquidazione, come faranno i comportamentisti). Tuttavia, i funzionalisti riconoscono la presenza di questa «coscienza minore» anche negli animali, contraddicendo in tal modo l'impostazione introspezionistica, che escludeva gli animali dalla sfera d'indagine della psicologia. Sulla coscienza degli animali domestici, in particolare, essi scrivono molti articoli e volumi, che saranno poi duramente criticati - a causa del loro antropomorfismo - dai comportamentisti. Anche i processi intellettivi superiori, che i funzionalisti hanno il merito di includere fra gli oggetti della ricerca psicologica, precorrendo in ciò il cognitivismo, hanno un valore adattativo. L'intelligenza, in particolare, non è altro che una complessa strategia mediante cui l'organismo risolve i problemi posti dall'ambiente, trasferendoli sul piano dell'elaborazione simbolica. Istanza filosofica tipicamente nordamericana - anzi, bandiera dell'indipendenza culturale degli Stati Uniti rispetto alle tradizionali filosofie europee -, il pragmatismo si sviluppa soprattutto nella nuova Università di Chicago, e i suoi esponenti principali sono G. Mead, G. Moore e J. Dewey. Il pragmatismo - e, di conseguenza, il funzionalismo -affermano l'inscindibilità fra il momento «puro» della ricerca scientifica (nel caso specifico, psicologica), e il suo momento «applicativo». Inoltre, essi vedono nell'utilità etico-sociale l'unico criterio per la valutazione dei risultati della ricerca scientifica in generale, e quindi anche della psicologia. Per i pragmatisti la categoria concettuale del «vero», tradizionalmente autoreferenziale nel pensiero europeo (dal razionalismo cartesiano, al positivismo e al neopositivismo), deve essere invece identificata con la categoria concettuale dell'«utile», senza che ciò implichi una concezione utilitaristica in senso riduttivo, o strumentalistica, perché Inutilità» di cui si parla è strettamente legata all'eticità e soprattutto ai miglioramenti sociali. In concreto, il funzionalismo promuove le applicazioni della psicologia nella vita quotidiana e lo studio delle differenze interindividuali, che erano state entrambe trascurate dalla psicologia introspezionistica, tutta tesa alla rappresentazione di un «uomo universale e astratto». Così, i funzionalisti gettano le basi per lo sviluppo della psicologia clinica (aprendo, fra l'altro, i primi consultori familiari), della psicologia sociale (di cui Mead è uno dei padri riconosciuti), della psicologia dello sviluppo, della psicologia del lavoro. E creano un clima sociale e culturale favorevole a quello che sarà l'enorme sviluppo, negli Stati Uniti, della psicologia dei test, durante il periodo intercorrente fra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Inoltre, essi avviano la «psicologia della religione», un tipo di ricerca che la psicologia europea aveva osteggiato, a causa delle proprie pregiudiziali ideologiche positivistiche. I funzionalisti, invece, a cominciare da James, si dichiarano assai interessati allo studio del fenomeno religioso, ma in una prospettiva di «utilità sociale»: questo fenomeno coinvolge, infatti, milioni di cittadini, che lo pongono in stretto rapporto con i loro bisogni di senso esistenziale e di benessere mentale; in quanto tale, esso non può essere trascurato da una psicologia orientata in senso pragmatistico. Ben poco rigorosi sul piano della ricerca strettamente sperimentale - il che verrà loro rimproverato dai comportamentisti -, i funzionalisti sono però aperti a tutto ciò che vi è di nuovo sulla scena psicologica internazionale; e, con Hall, invitano nel 1909 Freud e Jung a tenere, negli Stati Uniti, quelle famose conferenze sulla psicoanalisi che, rimbalzate in Europa, contribuiranno in misura rilevante all'internazionalizzazione del movimento psicoanalitico, e alla sua grande diffusione negli Stati Uniti, soprattutto dopo il 1940. Fra gli anni '20 e gli anni '30 del '900 la grande maggioranza dei funzionalisti passa nel campo dei comportamentisti, ma il funzionalismo rimane, come motivo ispiratore, sulla scena psicologica nordamericana. E non solo: attraverso il ginevrino E. Claparède, esso compare sulla scena europea, e in Italia viene promosso da G. C. Ferrari, amico e traduttore di James e uno fra gli iniziatori della psicologia italiana sul piano istituzionale, nonché fondatore, nel 1905, della «Rivista Italiana di Psicologia». Tramontata l'era comportamentistica, le tesi del funzionalismo hanno ricominciato a farsi sentire. In particolare, la psicologia pia-getiana ha sempre sottolineato il proprio riferimento evoluzionistico, e la recente psicologia evoluzionistica si ricollega esplicitamente alle istanze funzionalistiche, anche nello studio degli animali. Più in generale, il termine «funzione» è entrato stabilmente nel linguaggio psicologico, come avviene ogniqualvolta si vuole sottolineare le basi biologiche-adattative di un processo psichico. Infine, il funzionalismo ha rappresentato un contributo di riflessione a sostegno di una visione unitaria e integrata dell'organismo-mente, in contrapposizione al dualismo della tradizione cartesiana. SADI MARHABA |