Esperimento |
L'esperimento è la fase della prassi scientifica in cui le ipotesi sono sottoposte al controllo empirico. Lo scopo elementare di un esperimento è verificare il rapporto tra due variabili (categorie che assumono diversi valori) e consiste nella manipolazione di una variabile (detta indipendente o sperimentale) e nell'osservazione dell'eventuale modificazione occorsa a un'altra variabile (detta dipendente). Il controllo sperimentale di un'ipotesi è ottenuto eliminando o riducendo l'influenza delle variabili estranee a quelle indagate, A tale scopo, il laboratorio, uno spazio-tempo asettico, in cui le potenziali variabili «confuse» sono il più possibile neutralizzate, è il luogo adatto alla pratica sperimentale. La modalità sperimentale dipende, oltre che dallo scopo specifico della ricerca, anche dalla natura dell'oggetto indagato. È quindi utile introdurre il tema dell'esperimento nella scienza, per poi circoscrivere la trattazione alla specificità metodologica propria dei diversi paradigmi interni alla psicologia. L'esperimento è uno strumento in uso già nei pensatori antichi (ad esempio in Stratone di Lampsaco, nel m secolo a.C.). Anche se, fino al Rinascimento, experimentum è stato perlopiù sinonimo di experientia. L'esperimento è diventato costituivo del metodo scientifico a partire dal XVII secolo, grazie alla riflessione di F. Bacone e G. Galilei. Secondo entrambi, lo scienziato non si sarebbe più dovuto limitare ad «ascoltare» la natura, ma avrebbe dovuto interrogarla. Tuttavia, se l'interrogazione di Bacone aveva lo scopo di cercare la forma, lo schematismo latente, le note comuni dei fenomeni, l'interrogazione di Galileo si proponeva di scoprire le leggi dei fenomeni nei termini di relazioni matematiche. Per Galileo era quindi necessario trovare la corrispondenza tra fenomeni e numeri, occorreva cioè procedere alla misurazione. Sino alla fine dell'800, con la massima sistemazione teorica di J. S. Mill, l'esperimento non è stato oggetto di discussione. Sarà il fisico P. Duhem, ai primi del '900, a elaborarne la critica più avanzata. Egli concepirà una tesi olistica, secondo la quale un'ipotesi, soprattutto nelle discipline più teoriche come la fisica, non è mai una proposizione isolata, è sempre connessa logicamente a molteplici assunzioni. Quindi, un esperimento non può mai falsificare una teoria, poiché falsa potrebbe essere una delle assunzioni a essa connesse. Ma la definizione classica di «esperimento» è entrata in crisi con la fisica quantistica giacché, con la dimostrazione metodologica del principio di indeterminazione di W. Heisemberg, la stessa osservazione può perturbare l'osservato. Si perviene così ai casi limite, non infrequenti nella microfisica contemporanea, in cui le entità indagate sono ridotte a mere idealizzazioni matematiche, non più assoggettabili al controllo empirico. In psicologia, l'esperimento è stato introdotto alla fine dell'800. Sebbene I. Kant avesse distinto la psicologia dalla filosofia, e avesse riconosciuto alla prima una base empirica, egli riteneva che le esperienze del «senso interno» non si sarebbero potute esprimere in termini matematici come, in fisica, si esprimevano le esperienze dei sensi esterni. Di conseguenza, la psicologia non poteva costituirsi come scienza. Fu il fisico e medico G. Fechner che, intorno alla metà dell'800, si propose di trovare una relazione universale, esprimibile in una formula matematica, tra la materia e lo spirito. Perfezionando una già nota scoperta del fisiologo E. Weber, Fechner pervenne a una legge psicofisica che metteva in esatta relazione gli stimoli fisici e le sensazioni corrispondenti nell'organismo. Gli esperimenti consistevano nell'ordinare una serie di oggetti di peso fisico crescente, e stimare il peso soggettivo per ciascuno o nel confronto tra un paio di oggetti. La misurazione dei fatti psichici era così avviata e, con essa, si delineavano le prime tecniche sperimentali. Solo in seguito all'influenza di alcuni fisiologi, tra cui F. Magendie e H. von Helmholtz, l'esperimento si è però imposto nella nascente psicologia. Quest'ultima si è anzi potuta emancipare dalla filosofia proprio in virtù del carattere «sperimentale». Il primo laboratorio di psicologia sperimentale è stato istituito all'Università di Lipsia, nel 1879, da W. Wundt. Nell'autunno dello stesso anno, sotto la supervisione di Wundt, il dottor M. Friedrich, un insegnante di liceo scomparso di lì a poco, realizzò i primi esperimenti sulla percezione degli intervalli temporali. Nella pratica sperimentale, Wundt ha attinto a tal punto dalla fisiologia sensoriale che, negli Elementi di psicologia fisiologica (1873-74), ha usato la locuzione «psicologia fisiologica» come sinonimo di «psicologia sperimentale». I suoi principali metodi sperimentali erano i tempi di reazione (gli intervalli temporali che intercorrono tra la presentazione dello stimolo e la risposta comportamentale), così definiti da S. Exner ma concepiti dal fisiologo olandese F. Donders, e le tecniche psicofisiche di Fechner. Wundt collocò al centro della sua ricerca la dipendenza funzionale tra le condizioni di stimolazione fisica e l'esperienza sensoriale, come la durata temporale, l'intensità, la localizzazione spaziale, ecc. L'esperimento era dunque perlopiù circoscritto all'area della sensazione e della percezione, poiché questi aspetti della mente, con i quali riteneva di ridurre al massimo l'influenza della riflessione cosciente, gli sembravano sperimentalmente più vicini a quelli della percezione esterna. Non è un caso che, nel descrivere il proprio laboratorio, Wundt puntualizzi l'estrema cura nell'isolare le stanze adibite agli esperimenti da rumori o illuminazione indesiderati, per ottenere la massima validità sperimentale nelle ricerche in campo visivo e acustico. In quegli anni, il laboratorio e l'attività sperimentale di Lipsia sono stati, per i molti psicologi in visita da tutto il mondo, i modelli da imitare ed esportare per promuovere la nuova disciplina scientifica. Grazie a una struttura universitaria che ha promosso la specializzazione, l'autonomia della psicologia si è affermata prima ancora negli Stati Uniti che in Germania. Da li ha avuto inizio il «ripudio» di Wundt e l'allargamento dello studio sperimentale ad altri aspetti della mente, come il pensiero e i sentimenti più complessi. Il nuovo progetto disciplinare della psicologia è stato promosso in primo luogo da due allievi di Wundt: E. Titchener a New York e O. Küpe a Würzburg. Questo progetto, che si è basato sull'introspezione sistematica, ha però mostrato presto i propri limiti metodologici. Il metodo infatti non permetteva che le descrizioni delle esperienze interne, da parte del soggetto sperimentale, fossero indipendenti dall'esperienza stessa. In assenza di un elemento intersoggettivo di controllo, lo sperimentatore non poteva discernere tra le descrizioni e i contenuti delle descrizioni delle esperienze. Il superamento dell'indagine sperimentale centrata sull'esperienza interna è avvenuto a partire dall'opera di H. Ebbinghaus (1885), il quale è stato il primo a studiare sperimentalmente la memoria utilizzando sillabe senza senso, con le quali escludeva l'influenza di associazioni indesiderate. Gli esperimenti consistevano nel riprodurre una serie di sillabe sino a raggiungere il ricordo completo oppure osservare, per ogni riproduzione, quante sillabe erano state ricordate. Variando alcune condizioni, ad esempio la lunghezza della serie, il numero di riproduzioni o il tempo tra le riproduzioni, egli confrontava la prestazione di memoria. In questo modo, Ebbinghaus ha spostato l'indagine sperimentale sullo studio quantitativo delle capacità. In Inghilterra, negli stessi anni, F. Galton sviluppò un modello sperimentale alternativo. Nel 1884, con l'obiettivo di valutare le facoltà mentali, allestì, all'International Health Exhibition di Londra, un laboratorio antropometrico, dove migliaia di visitatori, pagando tre pence, si sottoposero alla misurazione di alcune delle loro capacità. Una delle principali differenze nella sperimentazione, rispetto al modello di Lipsia, consisteva nel ruolo metodologico dei soggetti sperimentali. L'obiettivo di Wundt era l'indagine dei processi mentali universali, sicché la replica di un esperimento con altri soggetti serviva solo per aumentarne l'attendibilità. Tant'è che lo stesso sperimentatore assumeva abitualmente il ruolo di soggetto. Per Galton, invece, era necessario un considerevole numero di soggetti sperimentali allo scopo di ottenere un dato statistico: delle norme di prestazione rispetto alle quali si sarebbero potuti confrontare altri individui. Galton non attuava dei veri esperimenti, nella misura in cui non era in grado di manipolare a piacere i valori della variabile indipendente. I soggetti non potevano essere assegnati casualmente a variabili già date in natura, come «maschio» e «femmina». Ciò nonostante, grazie anche al crescente successo pratico delle statistiche in campo sociale, e all'attraente possibilità per gli sperimentalisti di eludere la variabile delle differenze individuali, l'uso dell'aggregato di soggetti si affermò ben presto nella maggior parte della psicologia sperimentale. La nuova metodologia, che si affermò a partire dagli anni '20, individuava una norma statistica delle risposte, in rapporto alla quale la risposta di un singolo individuo era ritenuta essere soltanto una deviazione. Nella ricerca di base, tuttavia, l'utilizzo dell'aggregato di soggetti si impose con gradualità, in particolare nel mondo tedesco, dove dal secondo decennio agli anni '50, ha avuto un ampio consenso la psicologia della Gestalt. Il modello sperimentale della psicologia della Gestalt ha avuto come capostipite F. Brentano, l'iniziatore della fenomenologia, il quale progettò un gabinetto sperimentale a Vienna negli stessi anni di Wundt. Il filosofo austriaco operava già, negli esperimenti dimostrativi sulle illusioni ottico-geometriche, entro i confini del dato sotto osservazione. Il metodo fenomenologico-sperimentale è stato però affinato successivamente nel laboratorio di G. Müller, a Gottinga, dall'allievo D. Katz, e a Lovanio da A. Michotte, ed è esemplare nello studio sull'organizzazione percettiva del gestaltista M. Wertheimer (1923). Quest'ultimo dimostra che l'unificazione degli oggetti nel campo fenomenico risponde a determinate leggi strutturali. L'esperimento dimostrativo, a prescindere dalle opzioni ontologiche sul dato fenomenico, si realizza manipolando una variabile fenomenica per osservare immediatamente la variazione occorsa a un'altra variabile fenomenica. È tuttavia necessaria la prescrizione dell'epoché: l'osservazione sperimentale deve essere neutra, sgombra di pregiudizi o conoscenze che potrebbero inquinare la purezza delle cose così come appaiono. All'opposto dell'introspezionismo di Titchener e Külpe, l'esperienza percettiva è orientata al dato pubblico, esterno al soggetto, e quindi oggettivo. Nelle dimostrazioni percettive i fenomeno-logi sperimentali non hanno lasciato troppo spazio al valore medio ottenuto da un aggregato di soggetti, e spesso nemmeno a un dato statistico, giacché la dipendenza tra variabili riscontrata sperimentalmente era ritenuta universale, propria di una dinamica di campo dei fenomeni, ed eventualmente isomorfa alla dinamica dei campi cerebrali. Assieme alla psicologia della Gestalt, il paradigma comportamentista ha dominato la psicologia a partire dagli anni '20. Il pioniere, J. Watson, ha avanzato un'incisiva critica all'introspezionismo. L'attacco sul terreno metodologico era però una conseguenza del nuovo oggetto di studio: il comportamento manifesto, che portava a escludere l'indagine sperimentale della coscienza o della mente. Lo schema sperimentale comportamentista consiste nel manipolare lo stimolo, definito come energia fisica ambientale, per osservare la risposta dell'organismo come comportamento osservabile intersog-gettivamente. Per Watson, il comportamento osservabile era ridotto alle reazioni muscolari e ghiandolari esterne; ma, con l'evoluzione del paradigma, questa posizione è stata sfumata da altri esponenti. Da un punto di vista metodologico, sono da sottolineare la rigorosa standardizzazione del setting sperimentale, nel quale l'interazione tra il soggetto e lo sperimentatore è stata ridotta al minimo, e la sistematica critica al risultato medio di B. Skinner. Questa critica ebbe risonanza anche perché la maggior parte degli psicologi operava ormai di regola con gruppi di soggetti e, in seguito allo sviluppo dei metodi statistici di R. Fisher, adottava disegni sperimentali sempre più complessi. Inoltre, sin dal primo decennio del '900, fu introdotto, dall'ispettore scolastico inglese R. Winch, il metodo del gruppo sperimentale da confrontare con un gruppo di controllo che differisce solo per l'assenza del trattamento. Negli anni '50 si è realizzata la rivoluzione cognitivista. La teoria comportamentista giustificava con crescente difficoltà l'influenza delle variabili intervenienti - variabili mentali come l'attenzione, la motivazione, l'immaginazione e via dicendo - che si inseriscono tra lo stimolo e la risposta. Il nuovo paradigma, lo Human Information Processing, ha intrapreso lo studio del funzionamento della mente identificando il computer come modello di riferimento. Per inferire come la mente elabora l'informazione proveniente dai sensi, l'esperimento tipico misurava i tempi di reazione. Il computer è diventato lo strumento per l'esecuzione dell'intero processo sperimentale: l'allestimento e la presentazione degli stimoli, la raccolta dei dati, l'analisi statistica, ecc. Inoltre, è entrata in uso una nuova procedura: la simulazione. La verifica di un modello algoritmico di una funzione mentale è infatti data anche dall'implementazione su un computer. U. Neisser (1976), uno dei principali fondatori del paradigma cognitivista, propose delle fondamentali riflessioni critiche, una delle quali di rilievo metodologico: egli notava che l'esperimento della psicologia cognitivista era diventato una pratica che si esauriva nel produrre una modellistica sempre più sofisticata, senza essere in grado di formulare concezioni della natura umana da applicare fuori dal laboratorio. L'obiettivo di Neisser non era criticare l'esperimento di laboratorio in sé, ma marcare l'importanza della validità ecologica degli esperimenti, la richiesta cioè che i risultati siano generalizzabili nei contesti della vita quotidiana. Il problema della validità ecologica di un esperimento era già stato definito nel 1956 da E. Brunswik, e più recentemente rimarcato da J. Gibson. Ed è stato proprio quest'ultimo (Gibson, 1979) a rinnovare il setting sperimentale, a partire dallo studio della percezione. Gibson ha superato il classico dualismo psicofisico a vantaggio di una concezione sistemica, in cui l'azione ha un ruolo chiave nella relazione organismo/ambiente. Allo scopo di adattarsi, l'animale seleziona infatti attivamente l'informazione disponibile nell'ambiente. Pertanto, l'esperimento gibsoniano non forza il soggetto sperimentale con il poggiatesta, chiedendogli di mantenere lo sguardo su un punto di fissazione, presentandogli immagini istantanee; ma lo dispone alla visione naturale, con un corpo libero di muoversi, al fine di cogliere gli eventi nell'articolazione spaziotemporale, in sinergia con l'ambiente. Le critiche di Neisser e Gibson hanno provocato una scissione della psicologia ecologica dalla scienza cognitiva. Quest'ultima, che ha iniziato ad affermarsi alla fine degli anni '70, è principalmente composta da due paradigmi: il connessionismo e il mo-dularismo. La prassi di ricerca del connessionismo consiste prevalentemente nel simulare, con reti neurali, il funzionamento del cervello. Il modularismo, che ha avuto un largo riscontro in neuropsicologia, ha prodotto una consistente ricerca correlazionale ma si è anche servito dell'esperimento tradizionale. Con l'affermazione delle neuroscienze, i laboratori di psicologia si sono sempre più attrezzati con apparecchiature per osservare, in modo indiretto, il funzionamento del cervello, sede dei processi mentali. Oggi, l'esperimento in psicologia presenta un'articolata differenziazione settoriale e vanta lo sviluppo di sofisticate tecniche, pur conservando i caratteri generali che si sono consolidati nella storia della disciplina. Più che la discussione metametodologica sull'esperimento in sé, gli psicologi hanno indagato i fattori sociali del setting sperimentale e hanno risposto a cruciali istanze etiche. Le ricerche volte a comprendere i fattori di ordine sociale che possono compromettere la validità di un esperimento sono iniziate negli anni '30. Un esempio è l'«effetto Pigmalione», che consiste nell'influenza indesiderata sui risultati dovuta all'aspettativa di chi conduce l'esperimento. L'effetto fu confermato in un esperimento in cui furono indotte ingannevoli aspettative negli sperimentatori (che a loro insaputa erano i veri soggetti sperimentali) riguardo alla mobilità di alcune planarie. Le aspettative portarono a riconoscere un gruppo di planarie più mobili di un altro gruppo, nonostante fossero state scelte a caso. Un modo per evitare questo effetto è l'adozione del metodo doppio cieco, in cui anche il conduttore dell'esperimento è tenuto all'oscuro delle ipotesi sperimentali. Ma la validità sperimentale può essere minacciata anche dalle aspettative del soggetto sperimentale. L'esempio più noto è l'«effetto placebo», tipicamente descritto come l'effetto dovuto non al farmaco assunto dal paziente, ma alle aspettative indotte dal farmaco. Anche in questo caso, un esperimento con tre gruppi di soggetti, a cui si assegnano le condizioni: 1) sperimentale, con il farmaco da testare, 2) placebo, con un farmaco innocuo, e 3) controllo, senza somministrazione alcuna, informa sia sulla validità del farmaco che sul possibile effetto dell'aspettativa del soggetto. Infine, un'ulteriore peculiarità dell'esperimento psicologico: l'utilizzo di esseri umani o animali come soggetti sperimentali. Questa specificità, pur non esclusiva della disciplina, ha imposto alla comunità degli psicologi una riflessione etica. La riflessione divenne vieppiù impellente con l'incremento delle ricerche che usavano gli animali e alcuni esperimenti finiti sulla ribalta per gli abusi nei confronti dei soggetti sperimentali. Come il celebre esperimento di Watson, il quale corroborava l'efficacia della sua teoria inducendo, con successo, una nevrosi fobica in un bambino di nome Albert. Nel 1953 è stato pubblicato, dall'American Psychological Association, il primo codice etico degli psicologi americani, con numerose revisioni successive. In Italia, il codice etico relativo alla sperimentazione in psicologia è stato promulgato nel 1998, dall'Associazione Italiana di Psicologia. Le norme etiche sono a tutela dei soggetti - oggi ridefiniti «partecipanti» - di un esperimento, giacché richiedono il loro consenso informato, stabiliscono la possibilità di ritirarsi, prescrivono l'assenza di rischi di danni, impongono la riservatezza, limitano l'inganno. MICHELE SINICO |