Edipo

S. Freud parla per la prima volta di Edipo in una nota lettera a W. Fliess del 15 ottobre 1897 (Freud, 1887-1904), nella quale viene colta un'analogia fra la tragedia di Sofocle e i propri sentimenti, nutriti durante l'infanzia, di desiderio per la madre e di gelosia e aggressività verso il padre, per altri versi amato. Freud identifica quindi se stesso con Edipo parricida e incestuoso. Estendendo la scoperta che aveva fatto su di sé, ipotizza che ognuno durante l'infanzia è stato «Edipo in germe e fantasia» e che si è ritratto poi inorridito dalla percezione dei propri vergognosi desideri, che vengono rimossi. Gli spettatori, nell’assistere alla tragedia, entrano in contatto con il loro rimosso e avvertono il particolare coinvolgimento emozionale che questa tragedia in genere suscita. Freud non ha però soltanto tracciato un parallelismo fra le proprie spinte incestuose e l'agire del protagonista della tragedia. Infatti, come riconobbe in occasione del suo cinquantesimo compleanno, essendo riuscito a illuminare aspetti dell'uomo in precedenza ignoti, si era identificato con Edipo che sa sciogliere gli enigmi. Una duplicità di significati è presente anche nel nome stesso di Edipo, come hanno rilevato due grandi studiosi della tragedia e del mito, J.-P. Vernant e P. Vidal-Naquet: esso può significare l'uomo dal piede gonfio [oidos] o l'uomo che sa (oida). La prima accezione allude al bambino dai piedi trafitti e legati tra loro, abbandonato e impotente. La seconda riguarda Edipo che sa risolvere l'enigma della Sfinge che allude alla condizione umana; quello che Edipo non sa è di essere lui l'uomo dell'enigma, non sa che si dovrà riconoscere nel bambino dai piedi trafitti, scoprendo così la drammaticità della sua esistenza.

Freud denomina «complesso di Edipo» un insieme ideoaffettivo caratterizzato da desideri amorosi e ostili, stimolati da valenze sessuali, che attraversano le relazioni tra genitori e figli, rendendole particolarmente complesse, problematiche, fonti di ansie e inconsci conflitti interni. Nella forma detta positiva, predominano desideri sessuali nei confronti del genitore di sesso opposto e odio verso quello del proprio sesso e, in tal senso, Freud istituisce un parallelismo tra questi sentimenti inconsci e la vicenda tragica di Edipo re. La forma negativa del complesso è caratterizzata invece da amore per il genitore del proprio sesso e odio per quello di sesso opposto. Gli inconsci desideri sessuali stimolano nel bambino inquietanti e oscuri interrogativi sugli aspetti sessuali della relazione tra i genitori, sulle caratteristiche dell'identità sessuale, sull'origine dei bambini. Queste problematiche infantili rappresentano un aspetto cruciale dello sviluppo individuale: incidono profondamente nella strutturazione del carattere, nello sviluppo dell'identità sessuale, indirizzano le successive scelte oggettuali; nei primi anni dell'infanzia il piccolo essere fissa la natura e la tonalità affettiva delle sue relazioni con le persone del suo stesso sesso e dell'altro sesso, dopodiché potrà svilupparle e trasformarle in certe direzioni, ma non potrà eliminarle. Le problematiche psicopatologiche sono sottese da dinamiche edipiche: quest'area fantasmatica continua infatti a esercitare nell'inconscio un'influenza straordinaria e persistente e con le sue diramazioni rappresenta il complesso nucleare di ogni nevrosi (Freud, 1909&). Benché Freud attribuisca quindi un'importanza cruciale nella strutturazione del mondo interno alle dinamiche connesse al complesso di Edipo, egli riconosce che la relazione con le figure genitoriali è in realtà più complessa e articolata.

All'interno dell'opera freudiana, la problematica edipica viene descritta la prima volta nell'Interpretazione dei sogni (1899a), dove si fa riferimento alla tragedia, intesa come espressione di un inevitabile dramma interno, determinato da conflitti tra primari desideri incestuosi, motivati da spinte naturali, che si scontrano con una loro rigida interdizione operata dalla morale. Successivamente (1912-13) Edipo, in senso più ampio, viene inteso come un eroe della civilizzazione: l'interdizione dell'incesto segna infatti l'origine stessa del processo di civilizzazione. Alcuni anni dopo (1922a), estendendo una sua precedente intuizione sulla presenza di problematiche edipiche negative in un caso clinico (1914a), Freud afferma che, anche se generalmente predominano problematiche edipiche positive, un'analisi più approfondita scopre in genere un complesso edipico «più completo», di natura duplice, positiva e negativa. Questa ipotesi della compresenza di spinte edipiche positive e negative viene motivata prevalentemente dalla natura primariamente bisessuale dell'uomo. Freud, pur attribuendo alle spinte naturali un ruolo fondamentale nella genesi di quest'area fantasmatica, rileva tuttavia che atteggiamenti seduttivi dei genitori possono sollecitare e rafforzare i conflitti infantili e, in tal senso, incidere sulle possibilità di elaborazione da parte del bambino di queste problematiche e sui loro esiti. Le complesse dinamiche che sottendono le primitive scelte oggettuali motivano identificazioni con le figure genitoriali e in particolare con il padre che proibisce l'incesto, consentendo così la formazione del Super-io, una delle caratteristiche evolutive, secondo Freud, più importanti dell'individuo e della specie. Le dinamiche che concernono la strutturazione del Super-io, e più in generale le problematiche edipiche, vengono ulteriormente sviluppate alla luce dell'ipotesi di una fase fallica (Freud, 1923a) dello sviluppo. Durante questa fase, entrambi i sessi ritengono che l'unico organo sessuale sia il fallo, e le diversità sessuali vengono pensate come coincidenti con l'opposizione fallico/castrato. Partendo da un simile presupposto, Freud sostiene la presenza di un nesso tra angosce di evirazione e complesso edipico, e ciò motiva una diversa caratterizzazione delle dinamiche edipiche nei due sessi, che in precedenza erano state invece considerate analoghe. Durante la fase fallica, il bambino nell'osservare l'anatomia delle bambine pensa che esse abbiano subito un'evirazione e teme di poter subire l'evirazione dal padre, come punizione per i propri desideri incestuosi; mosso da simili preoccupazioni, egli rinuncia a soddisfare i suoi desideri incestuosi e si identifica con la figura paterna; una dinamica che sottende la strutturazione del Super-io. Diversamente, la bambina considera il clitoride come un equivalente svalutato del pene, che le suscita sentimenti d'inferiorità nei confronti dei maschi e il senso di aver subito una castrazione. La bambina, spinta da simili vissuti di autosvalutazione e di rabbia nei confronti della madre, rivolge il suo interesse al padre, con l'intento di ricevere da lui un bambino, inteso come un equivalente del pene di cui ella è priva. Alla luce di una simile ipotesi, Freud (1925b) afferma che mentre il complesso edipico del bambino crolla a causa del complesso di evirazione, quello della bambina è reso possibile e introdotto dal complesso di evirazione. Queste differenze fanno si che il tramonto del complesso edipico nella bambina sia più problematico e sfumato e la strutturazione del Super-io sia generalmente carente, un aspetto che spiegherebbe il perché le donne abbiano un minor senso di giustizia e una morale meno esigente e scrupolosa di quella maschile. Le problematiche connesse alla fase fallica dello sviluppo, inoltre, fanno sì che la donna nutra inevitabilmente sentimenti di invidia, in parte insuperabili, verso gli uomini e abbia atteggiamenti di autosvalutazione nei confronti del proprio sesso, che possono esitare in un blocco della dimensione sessuale, in un accentuato atteggiamento maschile o infine in un difficile e tortuoso percorso verso la femminilità (1932). Per quanto concerne il superamento del complesso edipico, Freud ritiene che esso sia favorito da fattori esterni (delusioni, mortificazioni, nascita di fratelli) e fattori di sviluppo interni. Nell'ampio dibattito suscitato negli anni '30 dalle formulazioni di Freud intorno all'Edipo è possibile delineare fondamentalmente tre correnti di pensiero. La prima è rappresentata da studiosi che condividono complessivamente le ipotesi di Freud e ne indagano alcuni aspetti (H. Deutsch, J. Lampl-de-Groot, R. Mack Brunswick). Altri ritengono invece che le problematiche edipiche rappresentino il fulcro dello sviluppo infantile, ma non condividono alcuni aspetti del discorso freudiano e in particolare le formulazioni intorno alla fase fallica e quelle sulla femminilità (E. Jones, M. Klein, K. Horney). Infine i culturalisti (E. Fromm) hanno disconosciuto l'universalità dell'Edipo. La Klein ha apportato importanti contributi su questo tema; gli aspetti più salienti del suo discorso, che lo differenziano dai concetti freudiani, concernono in particolare un diverso peso e significato attribuito alla relazione primitiva con la madre (intesa come una relazione assai perturbante, fonte di sentimenti fortemente contraddittori in entrambi i sessi), un superamento dell'ipotesi del monismo fallico e, perciò, un'interpretazione delle angosce di castrazione e di invidia per il pene, come aspetti dinamici secondari e non primitivi, e infine un diverso modo di interpretare le dinamiche che sottendono la strutturazione del Super-io. La Klein (1928) ipotizza infatti una fase edipica precoce, che precede l'instaurarsi di problematiche edipiche più evolute, la quale è profondamente intrisa di angosce evocate dalla scena primaria. In tale ottica, parla di situazione edipica e considera il complesso di Edipo nel suo insieme come un processo evolutivo articolato, che ingloba lo sviluppo

psichico dopo i primi mesi fino al periodo di latenza. Freud aveva diversificato nettamente le fasi orale e anale dalla successiva fase fallica ed edipica, caratterizzata da desideri sessuali di tipo genitale; la Klein, invece, suppone che i bambini di entrambi i sessi posseggano una conoscenza innata del pene e della vagina e che precocemente, dopo i primi mesi di vita, abbiano una confusa percezione della sessualità dei genitori e avvertano spinte sessuali. Partendo da un simile presupposto, ella ipotizza che gli impulsi orali e anali veicolino fantasie sessuali, che hanno per oggetto l'interno del corpo materno «assunto a teatro di tutti i processi e le manifestazioni sessuali». L'infante desidera sadicamente impossessarsi dei contenuti, che egli immagina presenti nel corpo materno (peni, bambini, feci) e che sono collegati con rappresentazioni di rapporti sessuali, raffigurati con modalità orali, anali, uretrali. La fase edipica precoce è caratterizzata, quindi, da fantasmi intorno alla scena primaria; la madre primitiva viene percepita come assai potente e perturbante: il pene del padre viene considerato un suo possesso e in parte a lei assimilato. Quest'area fantasmatica, espressione di un'iniziale percezione della separazione, è attraversata da impulsi sadici e distruttivi che motivano sentimenti di colpa, di persecuzione, di curiosità e di impotenza: i più precoci desideri incestuosi sono intimamente associati con spinte distruttive, che motivano sentimenti di colpa e orrore evocati dall'incesto (Klein, 1932). Partendo da questa ipotesi, la Klein traccia un complesso percorso evolutivo, nel quale, particolarmente durante le prime fasi dello sviluppo, la presenza di spinte sadiche rivolte contro i genitori motiva paure di rappresaglie e rappresentazioni di oggetti cattivi che, in-troiettati, vanno a costituire in entrambi i sessi un Super-io primitivo, rigido e crudele, che è fonte di intense angosce persecutorie e di intollerabili sentimenti di colpa. Lo sviluppo del complesso edipico precoce è caratterizzato, inizialmente, da una fase femminile durante la quale sia il bambino che la bambina si identificano con la potente e invidiata figura materna. Una fase che motiva successivamente, negli uomini, atteggiamenti di invidia e rivalità nei confronti delle donne, che possono essere mascherati da disprezzo nei loro confronti. Durante le fasi successive, considerate in parte diverse nei due sessi e caratterizzate dal prevalere di fantasie connesse al complesso edipico positivo o negativo, si assiste a una graduale distinzione tra le figure genitoriali, a un'integrazione delle loro rappresentazioni scisse e infine al riconoscimento della propria ambivalenza nei loro confronti. Aspetti che vengono sviluppati in un lavoro nel quale la Klein (1945) rielabora le sue formulazioni in tema di Edipo articolandole con quelle sulla posizione depressiva. In questo stesso lavoro gli atteggiamenti edipici positivi e negativi non segnano fasi diverse dello sviluppo, ma sono considerati come posizioni che convivono e si intrecciano variamente. Successivamente la Klein riconsidererà le problematiche edipiche interrelan-dole con i concetti sulla posizione schizopa-ranoidea. W. Bion (1963), nello sviluppare i nessi ipotizzati dalla Klein tra angosce evocate dalla scena primaria e problematiche edipiche, sottolinea in particolare le loro implicazioni all'interno della sfera conoscitiva. In questo senso, Edipo rappresenta la stessa pulsione a conoscere e un simbolo del processo di sviluppo del pensiero. Ritornando al dibattito degli anni '30, la Horney, in una prima fase del suo percorso teorico, pur criticando le concezioni di Freud intorno alla fase fallica e più in generale al modo di intendere lo sviluppo femminile, aveva ritenuto valida l'ipotesi dell'universalità delle problematiche edipiche. Negli anni successivi, dopo il suo trasferimento dalla Germania in America, ha dato vita, insieme ad altri studiosi, a una corrente psicoanalitica denominata «culturalismo». All'interno di un simile indirizzo di pensiero, opera una critica radicale alla teoria freudiana del complesso di Edipo, inteso come espressione di una concezione biologista dell'uomo. I culturalisti trovano una conferma della validità delle loro critiche anche in alcune posizioni che hanno caratterizzato il dibattito antropologico di quegli anni. In particolare, B. Malinowsky aveva rilevato l'inadeguatezza delle formulazioni freudiane del complesso edipico per quanto concerneva le dinamiche familiari, così come si presentavano nelle isole Trobriand (Nuova Guinea), dove la società era di tipo matrilineare. In essa la struttura familiare sembrava stimolare infatti nel figlio ostilità e desideri di morte verso lo zio materno. Malinowsky denomina «avuncolare» questa variante e sostiene che il complesso di Edipo classico sarebbe invece più recente e nascerebbe in associazione alle società patrilineari. I culturalisti, accentuando la concezione relativista sostenuta in antropologia, la estendono anche alle società contemporanee evolute. In una simile ottica, la Horney afferma che i desideri incestuosi e omicidi del figlio verso il padre non sono naturali, ma sono stimolati dal comportamento poco affidabile dei genitori che manifestano un atteggiamento autoritario e narcisista allo stesso tempo. Fromm (1979) afferma che il nucleo del complesso edipico è costituito dalla legittima ribellione del figlio nei confronti dell'autorità paterna, derivata dalla struttura autoritaria della società patriarcale stessa. In anni recenti, in America, sia coloro che sostengono le posizioni relazionali (S. Mitchell), che si pongono in continuità con il culturalismo, sia coloro che fanno parte della corrente intersoggettiva (R. Stolorow, G. Atwood, B. Brandchaft), pur sostenendo posizioni che presentano tra loro alcune differenze teoriche sostanziali, concordano tuttavia nel porre l'accento sulle peculiarità dei conflitti individuali e delle dinamiche che sottendono ciascuna relazione analitica, e disconoscono perciò la possibilità di costruire schemi teorici universalmente validi dello sviluppo psichico, anche per quanto concerne specificamente l'Edipo.

In Francia, diversamente dalle critiche mosse dai culturalisti, gli studiosi hanno considerato l'Edipo uno dei concetti fondamentali del discorso psicoanalitico. J. Lacan, nel suo proporre la necessità di un ritorno a Freud, è partito da una critica radicale ad alcuni sviluppi della psicoanalisi americana e a quelle posizioni teoriche che avevano attribuito un'importanza cruciale non tanto alle dinamiche edipiche descritte da Freud, quanto piuttosto all'area preverbale e alla relazione primaria con la madre. Lacan, in realtà, rielabora profondamente le concezioni freudiane. Egli disarticola i complessi nessi tra biologia e sviluppo psichico e si ricollega alle concezioni strutturaliste del linguaggio sostenute da F. de Saussure e alle ipotesi antropologiche di C. Lévi-Strauss. Quest'ultimo sostiene che la proibizione dell'incesto, piuttosto che derivare da istanze psicologiche, costituisce la cerniera tra natura e cultura, fondando, attraverso lo scambio delle donne e l'esogamia, la rete dei legami di parentela. Partendo da simili presupposti, Lacan non considera l'Edipo soltanto come una fase dello sviluppo infantile, ma piuttosto una struttura astorica trasmessa tramite il linguaggio e che motiva fantasmi di castrazione insuperabili, connessi all'accettazione della legge del Padre che proibisce l'incesto. La relazione con la madre viene intesa come una dimensione immaginaria, caratterizzata da aspetti simbiotici e in cui il figlio viene inconsciamente percepito come un «Fallo», un oggetto immaginario che satura la mancanza. In modi riflessi, il bambino immagina se stesso come «Fallo» della madre. Il Padre ha la funzione di porre termine a questa relazione «incestuosa». Ciò che è importante non sono però il corpo reale, la percezione del pene assente o la proibizione proveniente realmente dal padre, quanto piuttosto una minaccia simbolica di castrazione che contraddistingue la condizione umana. Lacan considera in tal senso la legge del «Fallo» come una metafora, che allude aEa separazione dell'uomo dall'oggetto di desiderio e ciò riguarda sia il bambino sia la bambina. Per quanto concerne poi il parallelismo fallico/castrato-maschile/femminile, esso non sarebbe motivato da fattori biologici, ma piuttosto è determinato da strutture linguistiche fallocentriche, che indicano la femminilità come un polo negativo, come «mancanza». La castrazione si riferisce quindi alla rappresentazione simbolica della mancanza: nella realtà non c'è niente che manca. J. Chasseguet-Smirgel (1964; 1986) critica alcuni aspetti delle concezioni lacaniane e di quelle di altri autori, soprattutto per quanto concerne la fase del monismo fallico. Ella sostiene infatti che entrambi i sessi hanno precocemente un'inconscia percezione sia del pene che della vagina. Questa studiosa rileva inoltre alcune specifiche difese narcisistiche che possono essere utilizzate ai fini di aggirare le angosce connesse all'accettazione dell'importanza del padre e della propria esclusione dalla coppia genitoriale, che coincide con l'accettazione della triangolazione e del riconoscimento delle differenze tra i sessi e tra le generazioni. A. Green (1990) condivide pienamente l'importanza di un'elaborazione delle problematiche edipiche ai fini del riconoscimento di queste differenze. Tuttavia, egli attribuisce una maggiore importanza ai fantasmi di castrazione, ne sottolinea, come aveva riconosciuto Lacan, il significato metaforico e, in tal senso, valorizza la distinzione da lui operata tra il pene e il Fallo. Egli condivide inoltre l'ipotesi che l'Edipo rappresenti una struttura universale che sottende aspetti fondamentali del mondo interno e della cultura: le problematiche edipiche indirizzano infatti le scelte d'oggetto e rappresentano anche una struttura collettiva, che esercita significative influenze all'interno dello spazio della famiglia e della cultura. Green però, diversamente da Lacan, apprezza i nessi tra biologia e sviluppo evolutivo sostenuti da Freud e sottolinea la profonda articolazione tra gli aspetti universali e astorici e le peculiarità storiche: «per il fatto di essere strutturale l'Edipo non è meno storico». L'Edipo viene quindi considerato come una struttura globale suscettibile di delineare un fondo comune, che si declina però in vari modi nei diversi contesti culturali e che illumina nodi conflittuali che sottendono specificamente ciascun soggetto. Appare in tal senso suggestivo (e sembra avvalorare una simile articolazione tra universalità e storia) che alcuni antropologi (Johnson e Price-Williams, 1996), in un'accurata ricerca su questo tema estesa a moltepliciculture anche molto distanti tra loro, abbiano ritrovato in leggende e racconti, contrariamente alle loro aspettative, la presenza di alcune dinamiche relazionali che lasciano trasparire fantasmi e conflitti ascrivibili a problematiche edipiche.

CECILIA ALEARELLA e FRANCESCA GIUSTI