Difesa, meccanismi di

I meccanismi di difesa sono processi mentali che hanno la funzione di eliminare o attenuare la sensazione di pericolo connessa a situazioni di conflitto o di stress riferibili a dati della realtà esterna o al mondo interno del soggetto. Spesso seguiti da una risposta comportamentale, funzionano prevalentemente in modo automatico e inconscio, e solo il ricorso alle difese più adattive può essere accompagnato da consapevolezza e intenzionalità.

Che la mente umana sia capace di «fabbricare» auto illusioni per proteggersi da sofferenze e frustrazioni è un'idea molto antica. Pietra angolare della teoria psicoanalitica classica, il concetto di difesa, variamente interpretato dalle diverse tradizioni psicodinamiche, è stato adottato dalla psichiatria (DSM-IV-TR, 2000), e oggi ricopre un ruolo importante anche nella psicologia cognitiva, nella teoria dell'attaccamento e nella developmental psychopathology. Se nell'originaria concezione freudiana le difese servono a tenere lontani dalla consapevolezza pensieri, impulsi o desideri inaccettabili, successivi contributi ne hanno evidenziato il ruolo nel mantenimento dell’autostima e, in casi estremi, nella coesione del sé. Gli studi cognitivo-comportamentali degli ultimi vent'anni sui meccanismi di difesa si sono concentrati sul rapporto tra adattamento e risposta individuale agli eventi stressanti. Si dà quindi il nome di meccanismi di coping a quelle manovre strategico-comportamentali, per lo più consapevoli, finalizzate ad affrontare in modo efficace e adattivo situazioni insolite, problematiche e difficili. Va naturalmente specificato che, quando parliamo di meccanismi di difesa, ci riferiamo a operazioni mentali che deduciamo dal riscontro di comportamenti o dal resoconto di pensieri e sentimenti. Questo aspetto inferenziale non impedisce comunque di descriverli, misurarli e classificarli: elementi di un modello teorico, ma anche operazioni dimostrabili sul piano empirico, i meccanismi di difesa costituiscono un'interfaccia preziosa tra osservazione clinica e valutazione empirica.

Alcune caratteristiche di base della personalità possono essere ricondotte a specifici stili difensivi: l'individuo ostile e diffidente che vede complotti ovunque ricorre alla proiezione pur di non fare i conti col proprio mondo interno; l'invidioso che non fa che sottolineare i difetti degli altri si serve della svalutazione per proteggere la sua fragile autostima. Sono state individuate correlazioni tra quadro diagnostico, in particolare i disturbi della personalità, e stile difensivo: il paziente borderline, per esempio, farà frequentemente ricorso a difese di acting out, alla scissione, all'identificazione proiettiva; l'antisociale all'acting out, all'onnipotenza, al diniego; il narcisista all'idealizzazione, alla svalutazione, all'onnipotenza. Questo non significa che tra personalità e difesa esista una corrispondenza stabile e unica. Il soggetto ha a disposizione, e tende a utilizzare, un'ampia gamma di meccanismi di difesa. In circostanze particolarmente stressanti, alcune difese vengono privilegiate e utilizzate in modo ripetitivo. Ciò che più spesso si osserva è un funzionamento difensivo organizzato attorno a due livelli: quello meno adattivo viene attivato nelle situazioni più minacciose e stressanti. Proviamo ora a ripercorrere brevemente la storia del concetto di difesa. Nel 1894 S. Freud, nel saggio Le neuropsicosi da difesa, descrive per la prima volta l'esistenza di operazioni inconsce volte a proteggere l'individuo da conflitti, idee ed emozioni disturbanti. Freud aveva già utilizzato il termine «difesa» nella Comunicazione preliminare degli Studi sull'isteria (1892-95) per spiegare il meccanismo patogenetico dell'isteria e come esempio di un fenomeno psichico suscettibile di osservazione scientifica. Agente delle operazioni difensive, l'Io viene qui concettualizzato come insieme di rappresentazioni che possono entrare in conflitto con una rappresentazione inconciliabile, segnalata da un affetto spiacevole. I meccanismi di difesa si differenzierebbero dunque in base al modo di gestire tale rappresentazione inconciliabile. Freud arriva così a formulare il concetto di «psiconevrosi da difesa», ed evita invece di utilizzare la nozione di difesa nella spiegazione delle «nevrosi attuali», dove un aumento della tensione interna, causato da un accumulo di libido non scaricabile, trova espressione attraverso sintomi organico-vegetativi. Gli Studi sull'isteria rappresentano un primo tentativo di differenziare i procedimenti difensivi in base alle diverse turbe psiconevrotiche e di costruire un modello neuropsicologico della difesa. Alla base di tale modello vi è la contrapposizione tra eccitamenti esterni e interni, laddove un aumento di eccitamento interno rappresenterebbe una minaccia da cui l'Io non può fuggire se non attraverso modalità difensive: con il passaggio dalla teoria del trauma alla teoria della seduzione, la fonte dell'eccitazione da cui l'Io si difende è spostata dall'esterno all'interno, per cui i due poli del conflitto diventano ora l'Io e la pulsione. Vedremo come contributi successivi, postfreudiani e non, svincoleranno lo studio dei meccanismi di difesa da una lettura esclusivamente centrata sul compromesso tra pulsione e difesa. Mentre il concetto di difesa è trasversale a tutta la modellistica freudiana, una classificazione dei meccanismi di difesa compare solo in modo sporadico. Freud (1896a) distingue tre meccanismi: la «conversione isterica», la «sostituzione ossessiva» e la «proiezione paranoica». Più avanti (1905b), egli descrive meccanismi separati, che si riserverà di approfondire successivamente: rimozione, humor, spostamento, repressione, fantasia e isolamento (anche se il termine «processo di difesa» viene ad essere quasi completamente assorbito da quello di «rimozione»). Negli scritti metapsicologici del 1915, Freud nomina i meccanismi di difesa per intendere procedimenti nevrotici e, in un'accezione un po' diversa, per indicare il diverso «destino» delle pulsioni: le rappresentazioni ideative ad esse collegate possono essere ad esempio rimosse e gli affetti trasformati nel loro contrario. In Inibizione, sintomo e angoscia (1925c), Freud ripristina il concetto di difesa per disporre di un costrutto più ampio, che permetta di includere, oltre alla rimozione, anche altre modalità difensive. Si riaffaccia il tentativo di ricondurre alcune patologie psichiche a specifici meccanismi di difesa e viene ipotizzato che i diversi «metodi di difesa» possano differenziarsi in base al livello di organizzazione psichica, in particolare prima e dopo la differenziazione delle tre istanze ipotetiche che costituiscono l'apparato psichico. Il termine difesa viene quindi inteso come «designazione generale» per le diverse tecniche che l'Io utilizza per affrontare i conflitti. Secondo Freud, le persone provano angoscia quando le difese vengono smascherate o comunque messe in crisi; l'angoscia non è quindi una conseguenza della rimozione, bensì la sua causa: i meccanismi di difesa sono attivati dall'Io quando un segnale di angoscia lo avverte della presenza di un pericolo proveniente dalla realtà esterna, dall'Es o dal Super-io. Freud distingue inoltre fra un'angoscia automatica che si manifesta quando l'Io viene «allagato» da una quantità di energia psichica troppo grande in un lasso di tempo troppo breve per poterla elaborare (questa è l'essenza dei «traumi»), e un'angoscia segnale che mette in evidenza la presenza di una situazione di pericolo prima che essa evolva in un trauma vero e proprio. Nelle opere successive, Freud individua altri meccanismi e ipotizza una relazione tra difese, angosce, patologie e fasi dello sviluppo psicosessuale. In Analisi terminabile e interminabile (1937a) precisa che la funzione dei meccanismi di difesa è tenere lontani i pericoli e le angosce che minacciano l'Io, ma che essi stessi possono divenire pericoli in quanto alcuni possono «fissarsi» nell'Io diventando modalità abituali di reagire e attivandosi, al di là dell'epoca in cui si sono rivelati utili, anche quando non sono più necessari e favorendo così lo sviluppo di una nevrosi.

La sistematizzazione dei meccanismi di difesa, problema ormai ineludibile, è una delle eredità che Freud lascia alla figlia. Nella sua opera più famosa, A. Freud (1936) fornisce il primo elenco, mette in discussione ogni distinzione precostituita tra difese «normali» e «patologiche», sottolinea che l'intento difensivo serve ad arginare non solo le pretese pulsionali ma tutto ciò che può suscitare l'angoscia. Infine, pone l'accento sull'aspetto adattivo delle difese e sull'importanza della loro relazione con l'ambiente. Per questo, consiglia di valutarne gli aspetti funzionali e disfunzionali attraverso i criteri di intensità, adeguatezza all'età, equilibrio e reversibilità (intesa come capacità di «disattivare» un meccanismo di difesa quando cessa di essere funzionale). Oltre ai meccanismi «classici» già descritti dal padre (1925c: regressione, rimozione, formazione reattiva, isolamento, annullamento retroattivo; 1915: rivolgimento contro di sé, trasformazione nel contrario; 1921d: introiezione, proiezione), la Freud introduce due nuovi meccanismi, particolarmente importanti in quanto implicano per definizione un'interazione personale: l'identificazione con l'aggressore, che verrà approfondita da J. Sandler, e l'altruismo. La rassegna si conclude con la descrizione di due meccanismi considerati specifici dell'adolescenza (ascetismo e intellettualizzazione) e motivati dalla paura della forza degli istinti che caratterizza l'epoca puberale. Il lavoro di A. Freud ha portato alla redazione dell'Indice Hampstead (dalla Hamp-stead Clinic di Londra, ora Anna Freud Centre), primo tentativo di classificare e standardizzare il materiale relativo ai meccanismi di difesa. Secondo gli autori, tutte le attività dell'Io possono avere funzione difensiva, ed è utile distinguere tra uno specifico meccanismo di difesa e una generica misura difensiva. L'Indice Hampstead cataloga il materiale clinico raccolto nel trattamento psicoanalitico di bambini. Nonostante la sua importanza storica, è stato oggetto di critiche a causa delle lacune metodologiche, ed è considerato un esempio di come una classificazione cronologica delle difese e un tentativo di collegare singoli meccanismi con specifiche fonti d'angoscia possano essere fallaci. Sulla scia dell'Indice Hampstead è comunque fiorita un'ampia letteratura di tipo empirico-sperimentale con l'obiettivo di ottenere definizioni condivise e accedere alla possibilità di «misurare» i meccanismi di difesa con appositi strumenti.

Sandler (198512) ha raccolto le sue conversazioni con A. Freud all'Hampstead Clinic. Sul tema dell'identificazione con l'aggressore, la difesa per cui introiettando un attributo dell'oggetto fonte di angoscia il soggetto riesce ad «assimilare» un'esperienza angosciosa, Sandler ricorda le descrizioni fatte dalla Freud del bambino che cercava di dominare la propria angoscia facendo delle smorfie che «imitavano» l'espressione arrabbiata del maestro, o della bambina che padroneggiava la paura del buio «fingendo» di essere un fantasma (comportamento che si ritrova tra l'altro anche in cerimonie religiose primitive), e inserisce questo tema nel contesto più ampio dei meccanismi di identificazione, proiezione e trasformazione nel contrario.

Non va trascurata, poi, la riconcettualizzazione dei meccanismi di difesa operata dagli psicologi dell'Io. Mettendo in evidenza le aree aconflittuali dell'Io, H. Hartmann (1937) sottolinea la connessione tra meccanismi di difesa e funzioni adattive; successivamente, con E. Kris e R. Loewenstein arriva a concettualizzare le difese come una delle tante funzioni di cui dispone l'Io per affrontare e mediare tra esigenze della realtà esterna e pretese pulsionali. Anche R. Schafer (1968) pone l'accento sulle proprietà «dinamiche» dell'Io, mostrando come le difese non siano soltanto dei «controinvestimenti» neutrali. Al contrario, afferma, se da un lato cercano di ostacolare l'espressione di contenuti indesiderati, dall'altro permettono di esprimere impulsi indesiderati consentendo così la gratificazione. Per Schafer le difese sono double agents: difendono, e contemporaneamente appagano. Contrapponendosi ai modelli di A. Freud e degli psicologi dell'Io, M. Klein e gli autori kleiniani offrono un contributo radicalmente diverso allo studio dei meccanismi di difesa. Una prima novità deriva dal fatto che la Klein rivolge la sua indagine soprattutto ai meccanismi di difesa «primitivi», legati cioè agli stati psicotici. Nell'accezione kleiniana, si definiscono psicotici quei meccanismi primitivi che vengono impiegati contro angosce derivanti dall'attività dell'istinto di morte; come tali, essi sono da contrapporre alle difese nevrotiche, in particolare la rimozione, che agiscono contro la libido. I meccanismi di difesa primitivi determinano le caratteristiche delle posizioni psicotiche (schizoparanoide e depressiva) e comprendono il diniego,'la scissione, le forme estreme di proiezione e introiezione, l'identificazione proiettiva, l'idealizzazione e le «difese maniacali» (trionfo, controllo e disprezzo).

Rispetto alla teorizzazione freudiana, la Klein dà una speciale importanza evolutiva alle difese, collocandole nelle prime fasi dello sviluppo. Inoltre, mentre A. Freud è più interessata al funzionamento delle difese e dunque al ruolo dell'Io nello sviluppo del carattere, la Klein preferisce indagare il contenuto profondo delle fantasie angosciose. Alla base della comprensione delle difese, la

Klein pone il concetto di «oggetti interni», per cui i meccanismi di difesa non si limiterebbero solo a proteggere l'Io da sentimenti dolorosi, ma fungerebbero da principi organizzatori della vita psichica e dell'attività mentale. In particolare, la Klein descrive la proiezione come una difesa arcaica contro l'angoscia di annientamento, e l'identificazione proiettiva come caratteristica della posizione schizoparanoide. Quest'ultimo meccanismo di difesa viene descritto come il prototipo di una relazione oggettuale in cui si verificherebbe un'introduzione forzata all'interno dell'oggetto di parti dell'Io al fine di assumere il controllo dei suoi contenuti o di dominarlo. Sarà poi W. Bion (1957) a descrivere il ruolo dell'identificazione proiettiva anche nel funzionamento normale dell'individuo e come strumento di comunicazione preverbale. O. Kernberg è un autore, che ha cercato di integrare i contributi freudiani, kleiniani e della psicologia dell'Io, leggendo i meccanismi di difesa sui versanti sia intrapsichico sia delle relazioni oggettuali. Nel suo modello (1984; 1996) le difese, insieme all'esame di realtà e al livello di integrazione dell'identità, sono un criterio strutturale che definisce le tre organizzazioni di personalità: psicotica, borderline e nevrotica. Kernberg (1987) ha approfondito gli aspetti evolutivi di meccanismi di difesa come la «scissione» e l'«identificazione proiettiva», sottolineandone l'importanza all'interno del processo diagnostico.

Il primo passo verso concettualizzazioni di stampo relazionale viene compiuto da D. Winnicott (1965b), che distingue tra difese rivolte all'emergenza pulsionale e difese organizzate contro i fallimenti ambientali traumatici, che sarebbero alla base di costruzioni autoprotettive come gli adattamenti falso-Sé. In altre parole: perché il bambino possa sviluppare in modo armonioso la capacità di utilizzare le varie funzioni dell'Io, è necessario che i suoi bisogni incontrino l'ascolto e l'accoglienza del genitore. Se il caregiver non è in grado di sostenere l'Io del piccolo, l'esperienza delle spinte pulsionali può assumere connotazioni traumatiche analoghe a quelle di eccessive «pressioni» ambientali. Un bambino che impara che i suoi gesti non vengono accolti né intesi come significativi dal caregiver, che magari gli chiede di accogliere i propri bisogni, finisce per credere che è meglio nascondere l'espressione spontanea del proprio vero-Sé. Tale «occultamento» potrebbe essere la metafora winnicottiana per «meccanismo di difesa» - una difesa contro la manifestazione (e, nelle forme più estreme, la consapevolezza) dei propri sentimenti e bisogni, così da «proteggere» sia la spontaneità del vero-Sé sia la relazione con il caregiver. Da qui lo sviluppo del falso-Sé, che si basa su un'identificazione compiacente con le richieste e la personalità del genitore. Winnicott (1974) affronta inoltre il tema delle difese psicotiche, tentativo di risposta ad agonie primitive e impensabili, caratteristiche del bambino dipendente e presenti negli stati psicotici e borderline della personalità. Più che strategie dell'Io finalizzate a risolvere i conflitti tra le pulsioni e le esigenze della realtà, per H. Kohut (1984) i meccanismi di difesa sono tentativi finalizzati a proteggere la fragilità del Sé, sistemi organizzati fin dall'infanzia contro i deficit dovuti ai fallimenti empatici di «oggetti-Sé». Secondo Kohut e gli psicologi del Sé i pattern transferali idealizzanti dei pazienti narcisistici, in particolare, e le difese narcisistiche contro angosce di frammentazione, in generale, non vanno interpretati immediatamente. Il paziente li potrà abbandonare, infatti, solo quando si sarà instaurata un'atmosfera empatica di sicurezza e comprensione. Le interpretazioni saranno adeguate solo quando il paziente non avrà più bisogno di affidarsi a queste difese in modo massiccio e potrà vivere una relazione differenziata e serena con E terapeuta. Nel suo impegno sul fronte della comprensione delle patologie narcisistiche, Kohut descrive in particolare l'idealizzazione e la svalutazione dell'oggetto, e E senso di onnipotenza (Kohut, 1971). Un modello dello sviluppo e del funzionamento mentale che ha contribuito a spostare l'attenzione sulle funzioni interpersonali delle difese è quello proposto da J. Bowlby, il quale ha riletto il concetto classico di meccanismi di difesa in termini di strategie cognitive fondate sull'esperienza affettiva e in grado di organizzare e programmare il comportamento. È dunque possibile stabilire una relazione tra i concetti di stile difensivo e di «modello operativo interno». Secondo Bowlby, il bambino costruirebbe una serie di rappresentazioni di sé e degli altri basate su modelli delle esperienze interattive ripetute, che una volta generalizzate andrebbero a formare dei modelli rappresentazionali relativamente fissi, utilizzati per relazionarsi con la realtà esterna. I modelli operativi interni sono dunque strutture cognitive che includono processi attentivi e percettivi in grado di guidare i comportamenti e i sentimenti verso altre figure significative del proprio ambiente relazionale. Questi modelli, che con il tempo diventano sempre più automatici e meno consci, possono naturalmente strutturarsi in modo rigido e disfunzionale, fino a coincidere con veri e propri stili difensivi patologici. Basandosi sulla teoria dell'elaborazione dell'informazione, Bowlby (1980) afferma che modelli operativi interni inadeguati presentano processi di «esclusione difensiva» in grado di eliminare percezioni, pensieri e sentimenti forieri di angoscia. Tali processi hanno una funzione autoprotettiva nell'immediato, ma finiscono con interferire con l'acquisizione di informazioni determinando una cattiva regolazione del sistema di attaccamento, fino alla sua disattivazione. P. Fonagy (Fonagy et al., 1992; Fonagy e Target 2001) ipotizza che i modelli di attaccamento siano funzione anche dei meccanismi di difesa che il bambino utilizza nel relazionarsi con i caregivers, e dunque abituali modelli di relazione sviluppati dall'Io per minimizzare l'angoscia e ottimizzare l'adattamento. L'attaccamento evitante, per esempio, potrebbe essere radicato in primitive strategie passive di allontanamento da figure importanti, ma intollerabilmente ansiogene, mentre quello ansioso/ambivalente può essere riletto come una strategia attiva di protesta, finalizzata ad attrarre l'attenzione della figura di accudimento. Fonagy e collaboratori hanno inoltre cercato di dimostrare che le costanti transgenerazionali nella classificazione dell'attaccamento possono essere comprese come l'interiorizzazione delle difese mobilitate nel caregiver dal distress dell'infante. S. Fraiberg (1982) ha descritto alcuni comportamenti difensivi patologici adottati da neonati e bambini deprivati: evitamento della madre, freezing (congelamento), fighting (lotta, attacco), trasformazioni affettive, reversai (ribaltamento, rivolgersi contro di sé). Da un punto di vista intersoggettivista, cioè di una psicoanalisi attenta principalmente allo studio dei processi che coinvolgono e influenzano reciprocamente paziente e terapeuta, le difese non sono più considerate un fenomeno prevalentemente intrapsichico, un sistema chiuso che permette alla personalità di funzionare più o meno adattiva-mente. Al contrario, come ogni altro aspetto del funzionamento psichico esse sono piuttosto considerate inscindibili dai processi relazionali e di regolazione reciproca. Oltre che della clinica psicoanalitica, lo studio dei meccanismi di difesa è patrimonio anche della ricerca empirica. Il processo di operazionalizzazione del costrutto è merito soprattutto di autori come G. Vaillant, M. Bond e J. Perry, che hanno affrontato i complessi problemi metodologici connessi alla valutazione e misurazione delle difese. L'influenza di questo approccio sul processo diagnostico è evidente. Conoscere la struttura difensiva di un paziente fornisce informazioni importanti sul suo funzionamento interpersonale, ed è molto probabile che ci sia una correlazione tra tipo di difese prevalentemente impiegate e diagnosi di personalità. Inoltre, il livello globale del funzionamento difensivo ha un certo valore prognostico, e lo stile difensivo può essere utilizzato in senso predittivo in riferimento, per esempio, a successivi ricoveri, rischi di deterioramento, espressività sintomatologiche, ecc. Vaillant (1977; 1992) ha costruito un modello gerarchico delle difese basato sul loro livello di maturità, partendo da una prospettiva evolutiva. Per Vaillant è possibile collocare le difese lungo un continuum che esprime due dimensioni diverse ma correlate: immaturità/maturità e psicopatologia/salute mentale. I meccanismi di difesa sono visti come processi in diretta relazione col conflitto psichico, che può derivare dai bisogni istintuali, dalla realtà esterna, dalle relazioni interpersonali e dalla coscienza morale. Vaillant ha raggruppato i meccanismi di difesa in quattro categorie o livelli: psicotici, immaturi, nevrotici e maturi. La Defense Mechanism Rating Scale (Dmrs) di Perry (1990) è lo strumento di valutazione che si basa sulla teoria gerarchica di Vaillant. Consiste in una griglia applicabile a trascritti di materiale clinico (colloqui diagnostici, sedute di psicoterapia, ecc.) e comprende una lista di 27 meccanismi di difesa selezionati sulla base di una dettagliata rassegna della letteratura e di trial clinici. Nella Dmrs i singoli meccanismi di difesa sono raggruppati in sette livelli: difese mature; difese ossessive; altre difese nevrotiche; difese di distorsione minore dell'immagine o narcisistiche; difese di diniego; difese di distorsione maggiore dell'immagine o borderline; difese di acting. Va contemplato inoltre un livello di disregolazione difensiva (fuori scala), caratterizzato dal fallimento dell'organizzazione difensiva e implicante una netta frattura con la realtà oggettiva (distorsione psicotica, negazione psicotica, proiezione delirante). Oltre alla Dmrs, la cui valutazione richiede l'uso di trascritti, e alle tecniche proiettive, esistono alcuni strumenti autosomministrati che permettono di rilevare le difese in modi relativamente affidabili. Tra questi ricordiamo il Defense Mechanism Inventory, il Defense Style Questionnaire, il Life-Style Index e il Response Evaluation Measure. Il clinico che si propone di valutare i meccanismi di difesa deve naturalmente ben considerare che, oltre alla posizione occupata nel continuum gerarchico, il potenziale disadattivo di una difesa è sempre legato: all'esclusività (cioè se il soggetto ha un repertorio difensivo evoluto o si limita a impiegare una sola difesa in modo ripetitivo); all'intensità (cioè al suo impatto quantitativo); all'età del soggetto; al contesto d'azione. Ricordiamo ancora che, sul piano diagnostico, non esiste una corrispondenza stabile e univoca tra personalità e difesa. Ogni individuo ha a disposizione e tende a utilizzare un'ampia gamma di meccanismi di difesa. In circostanze particolarmente stressanti, e in relazione alla propria struttura di personalità, alcune difese vengono utilizzate in modo ripetitivo.

VITTORIO LINGIARDI