Corteccia cerebrale |
La corteccia cerebrale rappresenta la struttura più evoluta e complessa fra tutti i sistemi viventi. E all'enorme complessità di questa struttura (si stima che nell'uomo la superficie corticale sia attorno a 2600 cm2, il numero di neuroni corticali attorno ai 30 miliardi, quello delle sinapsi a un milione di miliardi e che i possibili circuiti che ne potrebberò emergere siano io seguito da un milione di zeri) che si devono le nostre capacità sensoriali, motorie e percettive, la memoria e tutte quelle funzioni che chiamiamo superiori (linguaggio, coscienza, capacità logica, previsione delle conseguenze delle nostre azioni e creatività). Sotto la denominazione di «corteccia cerebrale» s'includono strutture tra loro diverse per caratteristiche morfofunzionali. Generalmente, si distinguono tre tipi di corteccia cerebrale: archicorteccia, paleocorteccia e neocorteccia; le prime due sono congiuntamente definite allocorteccia, mentre la neocorteccia è chiamata anche isocorteccia. L'archicorteccia è costituita dall'ippocampo, dal giro dentato e dal subicolo; la paleocorteccia comprende sostanzialmente il trigono olfattivo, le circonvoluzioni olfatto-rie e la corteccia piriforme e la sua stretta, ma non esclusiva, associazione con la funzione olfattiva spiega perché nel passato le strutture paleocorticali furono chiamate anche «rinencefalo». La neocorteccia compare nei mammiferi, è già la massa prevalente della corteccia cerebrale nei placentati e raggiunge un'estensione imponente nei primati, soprattutto nell'uomo. L'aumento del volume del cervello verificatosi nel corso dell'evoluzione dei mammiferi è stato determinato soprattutto dall'aumento della neocorteccia: il suo sviluppo nei primati e nell'uomo è così imponente che il termine neocorteccia è diventato quasi sinonimo di corteccia cerebrale. Il considerevole aumento della neocorteccia ha determinato nei primati, e soprattutto nell'uomo, una caratteristica fondamentale, la girificazione, un meccanismo evolutivo che ha permesso di aumentare enormemente l'estensione della superficie corticale e di ridurre le distanze tra varie regioni corticali. In questa sede, quando non diversamente specificato, i termini corteccia cerebrale, corteccia corticale, ecc. si riferiscono alla neocorteccia. La funzione della corteccia dipende dalle complesse interazioni che s'instaurano tra circuiti costituiti da neuroni appartenenti a diverse famiglie, che liberano diversi neurotrasmettitori che possono agire su diversi tipi di recettori, i quali determinano effetti diversi anche in relazione alla modulazione esercitata dalle afferenze sottocorticali. Tratteremo qui due aspetti, tra loro connessi, che costituiscono l'imprescindibile introduzione a qualunque ulteriore analisi della corteccia cerebrale: l'architettonica e l'organizzazione modulare della corteccia cerebrale. Esistono diverse maniere di descrivere l'architettonica della corteccia cerebrale sulla base delle sue caratteristiche anatomiche. Oltre alla citoarchitettonica, basata sullo studio delle dimensioni e della distribuzione dei neuroni e sulle loro variazioni nella superficie corticale, su cui qui ci concentreremo, esistono infatti anche la mieloarchi-tettonica (basata sulla distribuzione degli assoni mielinici), la pigmentoarchitettonica (basata sulla distribuzione dei granuli di li-pofuscina nei neuroni), Pangioarchitettonica (basata sulla densità, la distribuzione e il calibro dei capillari), la glioarchitettonica (basata sulla distribuzione e organizzazione delle cellule gliali) e la chemioarchitettonica (più recente e basata sulla distribuzione di vari enzimi, spesso in rapporto con la sintesi o la degradazione di neurotrasmettitori); infine, è stata recentemente proposta una nuova architettonica, la cronoarchitettonica, basata sul decorso temporale dell'attivazione di diverse suddivisioni corticali in risposta a condizioni naturali. Nonostante la varietà di metodi di parcellizzazione della corteccia, la citoarchitettonica è di gran lunga la tecnica più utilizzata e i dati citoarchi-tettonici sono ancor'oggi usati come riferimento in studi basati sull'impiego di tecniche più moderne, come la tomografia a emissione di positroni e la risonanza magnetica funzionale. Per queste ragioni, tratteremo qui dello sviluppo storico, dell'importanza e dei limiti della sola citoarchitettonica. La storia della citoarchitettonica inizia a metà del XIX secolo, quando vengono introdotti i primi metodi di fissazione del tessuto cerebrale e diviene così possibile visualizzare in maniera convincente i neuroni corticali. L'introduzione nel 1858 della marcatura con coloranti al carminio da parte di J. von Gerlach precede infatti di pochi mesi la prima descrizione della distribuzione delle cellule e della loro organizzazione in strati corticali da parte di R. Berlin. L'impulso decisivo allo studio dell'organizzazione della corteccia cerebrale viene tuttavia dallo psichiatra viennese Th. Meynert - che studiò in maniera sistematica la laminazione corticale dapprima nei pipistrelli (1867-1868) e successivamente nell'uomo e in altri animali (1869-72) - e si sviluppa sulla scia delle grandi scoperte sulla localizzazione delle funzioni corticali. Meynert descrisse variazioni della laminazione in diverse regioni corticali (cinque strati nella corteccia pre-centrale e otto nella corteccia occipitale). Un altro importante contributo allo sviluppo della citoarchitettonica è rappresentato dal lavoro di V. A. Betz, che in una serie di saggi pubblicati fra il 1874 e il 1881, dedicati a P. Broca, descrisse l'esistenza di differenze nella composizione cellulare tra la corteccia situata anteriormente al solco di Rolando e quella localizzata posteriormente, sottolineando come nella corteccia anteriore predominino le cellule piramidali mentre in quella posteriore sono prevalenti quelle granulari, e descrivendo nella prima la presenza di cellule piramidali giganti (che oggi portano il suo nome). Successivamente, nel 1878 e più compiutamente nel 1886 (nella seconda edizione del famoso The Functions of the Brain di D. Ferrier), B. Lewis riportò che la corteccia precentrale è costituita da cinque strati e che le altre regioni presentano sei strati. Negli anni successivi, compaiono numerosi studi sulla corteccia cerebrale, primi fra tutti quelli del grande istologo spagnolo S. Ramon y Cajal sulla corteccia cerebale dell'uomo (1899; 1900; 1901; 1902, poi ripresi nella Textura del 1904 e nella celeberrima Histologie del 1909-911) utilizzando la tecnica messa a punto nel 1873 da C. Golgi; in questi studi, tuttavia, l'enfasi è più sulle caratteristiche delle cellule che sulla loro distribuzione o sulle sue differenze regionali e perciò il loro impatto nella storia della citoarchitettonica della corteccia cerebrale è certamente secondario. Grande impulso agli studi citoarchitettonici viene dato dall'introduzione nel 1884 di una nuova tecnica di colorazione del tessuto cerebrale, sviluppata da un giovane studente di Medicina dell'Università di Monaco, F. Nissl, e basata sull'uso di coloranti basici di anilina. La colorazione di Nissl aumentò notevolmente sia la ripetibilità delle osservazioni sia la risoluzione dei dettagli, permettendo l'impressionante sviluppo che gli studi citoarchitettonici ebbero negli anni successivi. Compaiono così i primi rudimentali atlanti, derivati dallo studio di pazienti neuropsichiatrici (Hammarberg, 1895; Bolton, 1900), che aprirono la strada al primo studio sistematico e comparativo sulla citoarchitettonica e la mieloarchitettonica dell'uomo, dello scimpanzè, del cane, del gatto e del maiale pubblicato nel 1905 dall'australiano A. Campbell, con l'aiuto determinante di Ch. Sherrington. Egli propose una suddivisione in sette strati, derivante dalla separazione del III strato di Lewis in due strati, uno esterno costituito da cellule piramidali di medie dimensioni e uno interno costituito da cellule piramidali di maggiori dimensioni. Campbell notò variazioni della laminazione corticale e propose una suddivisione della corteccia cerebrale in dodici aree. Per molti anni, il rigore delle osservazioni e la sobrietà dello stile di Campbell furono universalmente riconosciute e contesero alla scuola tedesca il consenso degli studiosi. Nel 1907 furono pubblicate le osservazioni di G. Elliot-Smith, che sostenevano una suddivisione in cinquanta aree. La suddivisione in sei strati fu poi ripresa da K. Brodmann, che, lavorando nel laboratorio di Berlino di O. e C. Vogt dal 1901 al 1910, studiò la corteccia cerebrale di numerose specie, incluso l'uomo. A sottolineare il ruolo ancillare che ancora rivestiva la citoarchitettonica all'inizio del XX secolo è interessante ricordare che quando, nell'autunno del 1901, Brodmann entrò nel laboratorio dei Vogt gli fu assegnato il compito di studiare sistematicamente la distribuzione delle cellule della corteccia cerebrale utilizzando la colorazione di Nissl, mentre i Vogt si riservarono il compito di effettuare uno studio parallelo sulla mieloarchitettonica.Nei suoi primi studi, Brodmann si dedicò all'analisi delle aree motorie e visive, cercando correlazioni tra il numero di strati nella corteccia fetale e quello della corteccia adulta; successivamente, pubblicò la sua prima mappa completa della corteccia cerebrale della scimmia, nella quale per la prima volta compare il suo famoso sistema di categorizzazione numerica delle aree citoarchitettoniche. Nel 1908 Brodmann pubblicò i risultati dei suoi famosi studi sulla corteccia dell'uomo, che furono successivamente modificati, ampliati e integrati con quelli dei suoi studi sulla corteccia di molte altre specie nella celeberrima monografia Vergleichende Lokalisationlehre der Grosshirnrinde del 1909 e in due successivi lavori pubblicati nel 1912 e nel 1914. E qui che viene introdotto per la prima volta il termine «area» (anatomica o citoarchitettonica), che da allora entra nella terminologia neuroscientifica. Brodmann usava intercambiabilmente le dizioni area corticale e area citoarchitettonica. Oggi sappiamo che le due dizioni esprimono concetti diversi: un'area corticale è infatti generalmente definita come una regione di corteccia cerebrale che, oltre a possedere caratteristiche citoarchitettoniche peculiari, è caratterizzata da un insieme di proprie connessioni estrinseche e da neuroni con specifici attributi funzionali. Brodmann sottolineò con forza il concetto che la corteccia cerebrale fosse costituita da sei strati, correlati ai sei strati dello sviluppo fetale, e su questa base differenziò le aree citoarchitettoniche in omotipiche omogenetiche (le aree che nell'adulto sono costituite da sei strati) ed eterotipiche omogenetiche (quelle che nell'adulto non presentano i sei strati). Lo schema organizzativo della corteccia omotipica proposto da Brodmann, che si è dimostrato corretto e che è ancora in uso, pur con qulche modifica, è il seguente: il I strato (molecolare), situato immediatamente al di sotto della pia, è ricco di fibre ma contiene poche cellule (le cellule di Cajal-Retzius); il II strato (granulare esterno) è costituito da cellule piccole e fittamente addensate: alcune sono piramidali (con dendrite apicale diretto verso l'alto), altre rotondeggianti o stellate; il III strato (piramidale) è costituito prevalentemente da cellule di forma piramidale (con dendrite apicale verso l'alto) e di medie dimensioni: le più grosse sono situate nella parte più profonda; il IV strato (granulare interno) contiene prevalentemente piccole cellule fittamente addensate: la maggior parte è costituita da cellule stellate; il V strato (ganglionare) è costituito prevalentemente da cellule piramidali di medie o grosse dimensioni con ampie arborizzazioni dendritiche basali e dendriti apicali che ascendono verso il I strato; il VI strato (multiforme) contiene cellule di varie forme, piramidali, piramidali invertite (con dendrite apicale diretto verso il basso), rotondeggianti, stellate e fusate. Sono spesso distinguibili uno strato VIa (esterno e più ricco di cellule) e uno strato VIb (interno e scarsamente popolato) che gradualmente si fonde con la sostanza bianca. Brodmann inoltre riconobbe che durante lo sviluppo alcune aree (bulbo olfattivo, tubercolo olfattivo, amigdala, ippocampo, presubivolo, corteccia entorinale, setto e corteccia prepiriforme) non presentano i caratteristici sei strati e le definì aree eterogenetiche. I due fondamentali tipi corticali descritti da Brodmann furono successivamente definiti rispettivamente isocortex e allocortex dai Vogt. Nella neocorteccia dell'uomo, Brodmann numerò 52 aree citoarchitettoniche, ma ne descrisse 43 nella sua monografia riassuntiva, e non tralasciò di discutere i limiti della parcellizzazione citoarchitettonica, soprattutto la difficoltà di definire con certezza bordi netti tra aree contigue; fu anzi il primo a sottolineare con forza la necessità di integrare i dati degli studi citoarchitettonici con quelli ottenuti da altri studi, in particolare quelli fisiologici. Il lavoro di Brodmann e dei Vogt decretò il pieno successo della scuola tedesca di citoarchitettonica, alla quale appartennero anche K. von Economo e G. Koskinas. Anche se nato in Romania da nobile famiglia greca, cresciuto a Trieste e laureato in Medicina a Vienna, Von Economo può essere considerato espressione della scuola tedesca di citoarchitettonica sia per l'influenza che la cultura tedesca aveva in quelle regioni sia per le dirette esperienze professionali che egli ebbe a Strasburgo, Monaco di Baviera e Berlino. Koskinas, greco anch'egli, lasciò il suo paese pochi anni dopo la laurea in Medicina e con all'attivo solo una breve esperienza clinica; la sua formazione anatomica è totalmente viennese (e quindi culturalmente germanica), dapprima con H. Obersteiner e successivamente con J. Wagner-Jauregg, il successore di Meynert nella Clinica neuropsichiatria, che nel 1927 sarà insignito del premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina per la scoperta dell'efficacia della malarioterapia nella demenza paralitica, scoperta alla quale contribuì lo stesso Koskinas. Nel 1925 i due pubblicarono il più completo studio citoarchitettonico sulla corteccia dell'uomo, frutto di più di dieci anni di lavoro. Nelle 810 pagine e nelle 112 fotografie di quest'opera, descrissero meticolosamente 107 aree citoarchitettoniche della corteccia cerebrale dell'uomo, raggruppate poi sulla base di caratteristiche comuni e suddivise in cinque tipi fondamentali: tipo I (corteccia agranulare), tipo II (corteccia di tipo frontale), tipo III (corteccia di tipo parietale), tipo IV (corteccia di tipo polare) e tipo V (corteccia granulare o koniocortex). I tipi corticali frontale, parietale e polare presentano i sei strati descritti sopra, anche se non tutti esibiscono lo stesso grado di sviluppo, e sono definiti corteccia omotipica. I tipi I e V costituiscono invece le cortecce eterotipiche, nelle quali non sono distinguibili i sei strati canonici. In particolare, la corteccia di tipo 1 è caratterizzata dall'assenza (o dalla scarsissima rilevanza) degli strati II e IV (che sono ricchi di cellule granulari; per questa ragione, questo tipo di corteccia è definito agranulare) e da cospicui strati III e V; la corteccia agranulare è caratteristica delle cortecce di tipo motorio. Al contrario, la corteccia di tipo V è caratterizzata dalla ricchezza di cellule rotondeggianti, da strati II e IV ben sviluppati e da strati III e V scarsamente sviluppati; questo tipo di corteccia, definita granulare, è caratteristico delle aree corticali che ricevono afferenze sensoriali. Anche se numerosi altri studi citoarchitettonici sono stati pubblicati nei decenni successivi, la storia della citoarchitettonica raggiunge il suo apice e sostanzialmente termina con Brodmann e Von Economo, anche per il sopraggiungere di critiche metodologiche, procedurali e concettuali quali il limitato numero di cervelli utilizzati, la variabilità individuale, la mancata conferma della chiara esistenza di bordi distinti e dell'esistenza di numerose aree descritte da Von Economo, la non totale concordanza tra le mappe e, soprattutto, il decadere dell'idea di «organi cerebrali» separati. Queste critiche ebbero, tra gli altri, il merito di spingere i ricercatori a cercare di dimostrare l'esistenza di correlazioni tra la citoarchitettonica e le caratteristiche fisiologiche e odologiche, spinta che ha rappresentato una tappa importante nella moderna corticologia, o di applicare, come per esempio negli studi di K. Zilles e dei suoi collaboratori, i moderni metodi di quantiz-zazione e di analisi dell'immagine allo studio della parcellizzazione anatomica della corteccia cerebrale. In ambito medico le mappe citoarchitettoniche sono di fondamentale ausilio nell'interpretazione dei dati di risonanza magnetica funzionale e in neurochirurgia. Da questo punto di vista, è quindi estremamente utile accennare a un aspetto critico: la variabilità individuale, un problema recentemente affrontato per due aree del lobo frontale, la 9 e la 46, nel laboratorio di P. Goldman-Rakic e per le aree 17, 18, 4 e 41 in quello di Zilles. Utilizzando sofisticati metodi quantitativi d'analisi, entrambi i gruppi hanno dimostrato l'esistenza di un'ampia variabilità dell'estensione di queste aree. L'esistenza di limiti della citoarchitettonica non deve tuttavia in alcun modo far dimenticare il ruolo fondamentale che la delineazione delle varie aree citoarchitettoniche, soprattutto nella versione e nella terminologia di Brodmann, ha avuto, e ha tuttora, nello studio della corteccia cerebrale. Di fatto, essa ha rappresentato uno dei pochi strumenti attraverso i quali per decenni gli studiosi hanno potuto comunicare tra loro; inoltre, la maggior parte delle aree di Brodmann è stata confermata anche da indagini elettrofisiologiche, odologiche e, più recentemente, da quelle basate sulle tecniche di imaging. Per quanto concerne l'organizzazione modulare della corteccia cerebrale, sin dai primi grandi studi anatomici e istologici su di essa, si è cercato di comprendere se l'eterogeneità funzionale della corteccia fosse determinata da (o correlata a) una eterogeneità morfologica o se, viceversa, la corteccia fosse una struttura morfologicamente unitaria le cui varie regioni ricevevano una specificazione funzionale in relazione alle diverse afferenze. Cenni a questo problema compaiono nelle pagine di molti dei principali studiosi citati sopra, ma colui che ha segnato questo campo è stato certamente R. Lorente de Nó, un allievo di Ramon y Cajal che aveva trascorso anche un breve periodo nel laboratorio dei Vogt. Basandosi sui suoi studi (e su quelli di altri) eseguiti con la tecnica di Golgi, Lorente de Nó riuscì a differenziare i terminali assonici delle diverse fibre afferenti alla neocorteccia, evidenziò che le fibre afferenti talamocorticali terminano nel IV strato e, sulla base delle relazioni di prossimità tra terminali assonici e neuroni, riuscì a trarre conclusioni sulle relazioni sinaptiche tra i diversi tipi di neuroni. Sulla base di queste osservazioni, egli ipotizzò che i neuroni corticali fossero connessi in modo tale da formare catene verticali ,e nel suo famosissimo capitolo sulla corteccia cerebrale pubblicato nel 1938 nella Physiology of the Nervous System di J. Fulton introdusse il concetto di «unità corticale elementare di operazione». Nel 1922, Lorente de Nó aveva descritto specializzazioni anatomiche (che chiamò glomeruli) nel IV strato della corteccia somatosensoriale del topo (in realtà riteneva di aver studiato la corteccia uditiva), un'osservazione che è stata successivamente ripresa ed estesa da Th. Woolsey e H. Van der Loos nel 1970, quando furono descritti i cosiddetti «barilotti», aggregati citoarchitettonici discreti che hanno costituito un modello interessante e largamente usato di modulo corticale elementare. Per Lorente de Nò, la corteccia cerebrale è costituita da piccoli cilindri composti da catene verticali di neuroni che attraversano tutti gli strati, e ogni cilindro è l'unità elementare. L'idea di Lorente de Nò non lasciò tracce profonde nella letteratura scientifica successiva, ma tornò di grande attualità quando nel 1957 V. Mountcastle scopri che un microelettrodo fatto scendere verticalmente nella corteccia somestesica prima del gatto registrava l'attività elettrica di neuroni che avevano sempre lo stesso campo recettivo e rispondevano sempre alla stessa submodalità. Mountcastle riportò anche che questo fenomeno si ripeteva con una periodicità costante. Sulla base di queste osservazioni e della descrizione anatomica di Lorente de Nò, Mountcastle ipotizzò che la corteccia cerebrale fosse costituita da una serie di moduli, unità operative elementari che defini «colonne». Le osservazioni elettrofisiologiche di Mountcastle sono state confermate in seguito in tutti i tipi di corteccia esaminati e in diverse condizioni sperimentali. Un notevole contributo alla definizione del concetto di organizzazione colonnare della corteccia cerebrale è stato fornito dagli studi neuronatomici. Dapprima, D. Hubel e T. Wiesel (1977) hanno dimostrato che l'iniezione di un aminoacido triziato (che viene incorporato dalle cellule retiniche e trasportato transsinapticamente fino alla corteccia cerebrale) in un occhio permette di evidenziare nella corteccia visiva primaria la presenza di chiazze chiare (marcate) che si ripetono con successione periodica e hanno le dimensioni di una colonna (colonne di dominanza oculare), provando che le fibre talamocorticali sono organizzate in fascicoli funzionalmente omogenei che terminano in maniera colonnare. Successivamente, è stato dimostrato che l'organizzazione colonnare è ancora più evidente nelle proiezioni corticocorticali, particolarmente in quelle callosali. Anche lo studio degli eventi che si verificano durante lo sviluppo ontogenetico della corteccia cerebrale ha fornito importanti dati in favore dell'organizzazione colonnare. In un'elegante serie di studi, P. Rakic ha infatti dimostrato che gruppi di neuroni migranti, provenienti da specifiche regioni della zona ventricolare, ascendono muovendosi lungo i processi delle cellule di glia radiale che formano specie di palizzate ira il neuroepitelio e la corteccia primitiva, e che si dispongono radialmente nella corteccia (secondo un modello dall'interno all'esterno, per cui i primi neuroni che giungono alla corteccia vanno a costitutire il VI strato, quelli successivi il V, e così via). E noto che nelle prime fasi dello sviluppo postnatale della corteccia il numero di gap junctions è elevato; recentemente è stato dimostrato che i piccoli gruppi di neuroni corticali presentano anch'essi uno sviluppo radiale. Poiché è stato suggerito che i neuroni che in epoca postnatale sono connessi da gap junctions saranno tra loro connessi da sinapsi chimiche alla maturazione, quest'osservazione suggerisce l'esistenza di un'organizzazione colonnare. L'ipotesi colonnare postula che l'unità elementare della neocorteccia matura sia rappresentata dalla cosiddetta minicolonna, una stretta catena di neuroni che si estende verticalmente attraverso gli strati II-VI. Ogni minicolonna contiene circa 80-100 neuroni (con l'eccezione della corteccia visiva primaria, area 17, in cui il numero è maggiore) ed è prodotta dalla divisione iterativa di un piccolo gruppo di cellule progenitrici del neuroepitelio. In ogni colonna sono presenti i principali tipi cellulari, densamente connessi lungo l'asse verticale. Secondo questa ipotesi, una minicolonna rappresenta la più piccola unità di elaborazione della neocorteccia. Quest'ultima versione dell'ipotesi colonnare della corteccia cerebrale è leggermente diversa da quella originaria, se non altro per quanto concerne le dimensioni delle colonne. Questa considerazione offre lo spunto per sottolineare che, per quanto sostenuta da una considerevole quantità di dati sperimentali, l'organizzazione colonnare della corteccia è ancora un'ipotesi, anche se molto probabile e di enorme valenza euristica. Il largo seguito che ha avuto tra gli studiosi della corteccia cerebrale è da ricercare nel fatto che, ipotizzando un'organizzazione modulare, questa ipotesi risulta estremamente suggestiva sia in chiave filogenetica, per spiegare l'aumento dello sviluppo corticale e delle capacità cerebrali (l'aumento di volume della corteccia viene ottenuto aumentando il numero di moduli interconnessi), sia in termini operativi, proponendo un modello semplificato (una minicolonna) utilissimo per cercare di comprendere il flusso di informazioni tra neuroni corticali, in analogia con quanto è stato fatto, per esempio, nella corteccia cerebellare. Al contrario, letture rigide e schematiche, come per esempio quella secondo cui il numero assoluto di neuroni e la proporzione tra neuroni piramidali e nonpiramidali in una striscia di corteccia larga 30 °m e spessa 25, con l'eccezione dell'area 17, simile in tutte le aree corticali di tutte le specie (incluso l'uomo), trascurano innegabili specificità di area e di specie, specificità che possono sottendere importanti differenze funzionali. In questo contesto è utile ricordare che la specificità anatomo-funzionale può essere rilevata a livelli diversi di risoluzione: l'esempio forse più eclatante al riguardo deriva dall'osservazione che nella scimmia il numero di spine dei neuroni piramidali della corteccia prefrontale è circa 16 volte maggiore di quello dei neuroni piramidali dell'area 17 e che i neuroni piramidali della corteccia prefrontale dell'uomo possiedono più spine di quelli dell'area omologa della scimmia. FIORENZO CONTI |