Controtransfert

In uno scritto di S. Freud (1910b) viene utilizzato, per la prima volta, il termine «controtraslazione» (controtransfert), al fine di indicare risposte motivate da dinamiche inconsce dell'analista rispetto al transfert del paziente, che determinano un problema «tecnico», che interferisce negativamente nella comprensione analitica. Alcune reazioni controtransferali peculiari vengono analizzate in riferimento al transfert erotico (Freud, 1914c), che può indurre l'analista a non comprendere la realtà psichica del paziente e a rispondere invece con un «agito» alle sue richieste amorose. Freud sembra quindi implicitamente riconoscere una dimensione relazionale alle dinamiche che interrelano il controtransfert al transfert. Le difficoltà, che interferiscono negativamente nella comprensione analitica, non sempre però sono stimolate dal paziente: problemi inconsci, rimozioni non risolte dell'analista, possono infatti determinare «macchie cieche» nella sua percezione (1912b). In uno dei suoi ultimi lavori, Freud (1937a) riconosce che, a causa di meccanismi difensivi inconsci, l'analista può finanche utilizzare il suo ruolo per negare i propri conflitti e riversarli in parte sul paziente, finendo così con l'abusare del proprio potere. Le comunicazioni inconsce tra analista e paziente, se da un lato costituiscono un ostacolo, talvolta insormontabile, rappresentano però anche un indispensabile strumento della comprensione analitica: Freud paragona infatti l'inconscio dell'analista a un organo ricevente dell'inconscio del paziente, paragonato invece a un microfono trasmittente. Successivamente gli studiosi hanno utilizzato il termine «controtransfert» per indicare qualcuno o l'insieme di questi diversi aspetti che caratterizzano l'ascolto analitico.

Le riflessioni di Freud intorno alle problematiche relative al controtransfert vanno inserite all'interno del suo progetto metodologico, caratterizzato in parte dal tentativo di estendere il metodo empirico, proprio delle scienze della natura, allo studio dell'apparato psichico. In una simile prospettiva, la relazione tra analista e paziente viene considerata come una peculiare metodologia os-servativa, fondata su confronti tra i dati ricavati dall'osservazione clinica e le ipotesi teoriche, confronti indispensabili per lo sviluppo della disciplina e ai fini di un avvicinamento conoscitivo alla realtà psichica del paziente, che coincide con le finalità terapeutiche. In una simile ottica, l'analista viene considerato un osservatore e, in tal senso, Freud (1912b) utilizza le note metafore dello specchio e del chirurgo: il contro transfert e aspetti inconsci dell'analista possono interferire negativamente, ostacolando le sue capacità osservative e di comprensione. Dopo Freud, per diversi anni, anche se vi sono stati alcuni contributi su questo tema, l'interesse per il controtransfert è stato complessivamente scarso. Successivamente, a partire dalla fine degli anni '40, inizi anni '50, si è aperto un ampio dibattito su questo tema, considerato tuttora un aspetto fondamentale della metodologia psicoanalitica. I diversi modi di intendere il controtransfert motivano molteplici e variegate posizioni teoriche, che contribuiscono a determinare un panorama teorico assai ampio e articolato. Tuttavia, semplificando, possono essere distinte, fondamentalmente, tre correnti di pensiero: quella classica, connessa alle concezioni di Freud, quella cosiddetta totale, nella quale il controtransfert viene considerato uno strumento privilegiato ai fini della comprensione del transfert, e infine alcune posizioni (campo analitico, relazionali, intersoggettive) nelle quali la relazione analitica viene intesa in modo simmetrico e il controtransfert è considerato come un complemento o una controparte naturale del transfert del paziente e del suo stile di interazione.

A. Reich (1950; 1960), una delle più significative rappresentanti dell'indirizzo classico, delimita l'uso del termine controtransfert a problematiche che ostacolano la comprensione e che esprimono dinamiche transferali dell'analista, motivate da propri bisogni e conflitti inconsci, che si palesano, a suo avviso, tramite emozioni e sentimenti particolarmente intensi. Questa studiosa differenzia il controtransfert in senso stretto o acuto (dinamiche stimolate da un particolare paziente) dal controtransfert cronico, termine utilizzato nell'intento di evidenziare ulteriormente l'incidenza delle difficoltà dovute alla personalità dell'analista, che erano state in precedenza intraviste da Freud (1937a). Esse possono far siche l'analista adoperi inconsciamente l'analisi al fine di appagare bisogni propri (come, ad esempio, desideri di gratificazioni narcisistiche o al fine di attenuare l'ansietà o sensi di colpa), tanto che l'analizzare può finire con l'assumere complessivamente il significato di un acting out. M. Gitelson (1952) ha ulteriormente analizzato gli ostacoli interni connessi al controtransfert che possono determinare alcune difficoltà nell'ascolto analitico. D. Winnicott (1960) condivide l!uso del termine controtransfert privilegiato dagli autori classici, ma differenzia il controtransfert patologico da quello «normale», caratterizzato, talvolta, da sentimenti controtransferali molto intensi. Un atteggiamento analitico corretto non implica quindi una distanza emozionale e una mancanza di sentimenti intensi verso il paziente, così come gli autori classici avevano generalmente inteso, in parte fraintendendola, la concezione di Freud dell'incontro analitico. Diversamente da coloro che privilegiano l'indirizzo classico, alcuni studiosi hanno considerato il controtransfert non un ostacolo, ma, piuttosto, uno strumento prezioso. Questa concezione è stata sostenuta la prima volta in un breve scritto di P. Heimann (1950), che ha avuto un significato storico rivoluzionario. Questa studiosa critica la posizione classica, poiché, in essa, l'enfasi viene posta sui pericoli connessi al controtransfert con il diffondersi di atteggiamenti eccessivamente distaccati negli analisti, i quali avevano interferito negativamente nel loro lavoro. La Heimann ribalta una simile ipotesi e definisce il controtransfert uno dei più importanti strumenti di lavoro, uno strumento di ricerca nell'inconscio del paziente, poiché è l'inconscio dell'analista che comprende quello del paziente e ciò affiora in tutti i sentimenti che l'analista sperimenta verso il paziente. La Heimann ribadisce quindi l'importante ruolo, riconosciuto da Freud, svolto dalle comunicazioni inconsce del paziente. Il termine controtransfert viene però utilizzato per descrivere aspetti della relazione analitica in parte diversi. In realtà, anche la Heimann riconosce che se le emozioni contro-transferali sono eccessive esse possono indurre l'analista ad agire piuttosto che comprendere, tuttavia le difficoltà e i pericoli che derivano da problemi dell'analista vengono scarsamente considerati. La posizione teorica della Heimann ha avuto un enorme rilievo nel dibattito psicoanalitico, soprattutto, ma non esclusivamente, all'interno della psicoanalisi inglese e in alcune correnti latino-americane, filoni di ricerca che hanno ulteriormente sviluppato le ipotesi sul controtransfert, ricollegandole al concetto kleiniano di identificazione proiettiva, inteso in una dimensione relazionale. In tal senso, le dinamiche relazionali motivate da meccanismi di identificazione proiettiva si prestano a comprendere le comunicazioni non verbali e i sottili meccanismi che consentono al paziente di «porre» nell'analista alcune parti proprie. L'enfasi su questi aspetti della relazione analitica è stata motivata da diversi fattori, tra i quali i tentativi di estendere la terapia analitica sia ai bambini, sia ai pazienti con patologie borderline e schizofrenici, nei quali le comunicazioni non verbali acquistano centralità ai fini della comprensione analitica. Un altro fattore, che ha inciso nello sviluppare questa linea di tendenza, è stato uno spostamento dal primitivo interesse rivolto prevalentemente a una ricostruzione in senso storico della realtà psichica agli «accadimenti» durante l’hic et nunc della relazione analitica. Numerosi studiosi, tra i quali R. Money-Kyrie, H. Racker e L. Grinberg, hanno offerto contributi all'interno di una simile concezione del controtransfert. Il primo si è soffermato sulle differenze tra il controtransfert normale e quello patologico. Racker è ritornato a più riprese a discutere su questo tema e ha posto in luce (Racker, 1957) due modi fondamentali con i quali l'analista interagisce con il transfert: controtransfert concordante o complementare. Nel primo caso, l'analista identifica ogni parte della propria personalità con le parti psicologiche corrispondenti del paziente, e ciò fa si che egli possa positivamente comprenderlo e risuonare empaticamente con lui. Diversamente, nei casi nei quali predomina invece un controtransfert «complementare», l'analista può identificarsi con un oggetto interno del paziente e interagire negativamente,

identificando, ad esempio, il paziente con un Super-io rigido e accusatorio. Grinberg (1979), infine, ha differenziato le identificazioni complementari di cui parla Racker, espressioni di irrisolti conflitti nevrotici dell'analista, da controtransfert che sono dovuti a controidentificazioni proiettive, motivate invece dall'intensità e dalla qualità dei meccanismi di identificazione proiettiva utilizzati dal paziente. J. Sandler (1976) ha rilevato che il paziente tende, inevitabilmente, ad attribuire inconsciamente dei ruoli all'analista, il quale, se il suo controtransfert è sufficientemente «corretto», risponde tramite atteggiamenti, pensieri, sentimenti, che esprimono una «risonanza di ruolo». Senza dubbio l'aver riconosciuto l'importanza degli indizi offerti dai vissuti contro-transferali dell'analista ha rappresentato un'importante svolta teorica. Tuttavia, l'enfasi posta sul contro transfert, considerato come uno strumento di conoscenza, ha lasciato in ombra numerosi problemi: la complessità delle dinamiche che lo sottendono, le inevitabili difficoltà connesse al differenziare gli aspetti normali del controtransfert da aspetti problematici e infine gli ostacoli che si incontrano nel tentare di comprendere le dinamiche che sottendono emozioni proprie. In una simile ottica, D. Carpy (1989) rileva l'utilità nella terapia di tollerare i vissuti di controtransfert, piuttosto che ritenere di poterli facilmente utilizzare ai fini conoscitivi.

Un terzo filone di ricerca sul controtransfert può essere individuato in alcune posizioni che, pur presentando al loro interno differenze teoriche sostanziali, possono tuttavia essere accomunate per il fatto che in esse la situazione analitica viene considerata come una relazione simmetrica tra analista e paziente, caratterizzata da una continua interazione tra controtransfert e transfert. In una simile ottica, l'enfasi cade sugli aspetti relazionali, considerati oggetto della psicoanalisi, mentre la realtà intrapsichica non è intesa come una dimensione in parte autonoma dalle dinamiche relazionali, che può essere avvicinata conoscitivamente. All'interno di queste posizioni teoriche, i nessi tra conoscenze teoriche e clinica vengono scarsamente valutati, mentre l'attenzione viene rivolta alla dimensione clinica, nella quale un atteggiamento empatico dell'analista rappresenta un aspetto cruciale ai fini terapeutici. Tra i precursori di queste correnti vanno ricordati H. Sullivan e H. Searles. T. Ja-cobs (1999) ha proposto un'accurata rassegna delle molteplici posizioni teoriche sul controtransfert che confluiscono in questo filone di ricerca, cercando di analizzare alcune differenze teoriche tra diversi punti di vista.

Freud ha messo in luce alcuni aspetti inconsci che caratterizzano la relazione analitica, i quali lasciano intravedere la complessità delle dinamiche che sottendono il controtransfert, inteso in modi estensivi. Il dibattito sul controtransfert e gli importanti contributi offerti dalle diverse posizioni teoriche rendono evidenti significative peculiarità dell'oggetto di indagine e della metodologia freudiana, la cui specificità viene oggi generalmente da tutti riconosciuta. Tuttavia, le divergenze teoriche, che si riscontrano in tema di controtransfert, aprono interrogativi epistemici, ai quali non sono state date risposte pienamente esaustive e convincenti e, in tal senso, sarebbe necessario un ulteriore approfondimento di queste problematiche, utilizzando parametri non delimitati esclusivamente all'hic et nunc dell'incontro analitico.

CECILIA ALBARELLA