Comprensione |
Il termine «comprensione» acquista un significato specifico nell'ambito delle scienze sociali quale polo dicotomico del termine «spiegazione». L'origine della dicotomia risale a W. Dilthey (1883), il quale, in opposizione alle correnti positivistiche di fine '800 che volevano estendere i metodi esatti e sperimentali anche alle scienze dell'uomo, affermava la necessità di distinguere in modo netto le «scienze naturali» dalle «scienze dello spirito». Tale distinzione deriva dalla differenza essenziale degli oggetti di studio: le scienze naturali hanno come oggetti fatti che si presentano alla coscienza dall'esterno, mentre quelle dello spirito, fatti che sorgono originariamente dall'interno come una connessione vivente. La forma conoscitiva che compete alla conoscenza dei fatti esterni è la spiegazione; quella che compete ai fatti interni è la comprensione. Secondo la sintetica espressione di Dilthey, noi spieghiamo la natura e comprendiamo la vita psichica. La spiegazione stabilisce un collegamento ira fatti esterni, all'interno di un contesto storico, per dedurne regolarità, dipendenze e leggi generali. I fenomeni interni, invece, sono dati immediatamente, nelle loro proprie connessioni, a un'apprensione che non coinvolge solo la razionalità ma l'intera sfera d'esperienza. Le scienze sistematiche dello spirito, dunque, pur non rinunciando alla ricerca di relazioni universali, devono seguire la via della comprensione, intesa come conoscenza originaria, non solo logica, ma emotivo-affettiva, della vita interiore. Le scienze umane non possono assumere i metodi propri delle scienze naturali per due fondamentali ordini di motivi. In primo luogo, ciò che le caratterizza è la coappartenenza del soggetto conoscente all'oggetto conosciuto. Mentre nella spiegazione la ragione che formula le ipotesi è del tutto estranea ai fatti che intende spiegare, la comprensione si configura come un «rivivere dal di dentro» le connessioni esperite. La spiegazione, inoltre, è una conoscenza astorica, che pretende di possedere una validità svincolata dalle condizioni temporali in cui i fenomeni si realizzano. La comprensione è, al contrario, un «intendere storico», rivolto alla conoscenza della vita attraverso i processi che la manifestano nel suo divenire. Sulla base del vissuto originario (Erlebnis), della comprensione dei fenomeni interni, prende forma la comprensione dell'altro. Questa, infatti, si basa sull'evidenza che tra il soggetto della comprensione e il suo oggetto non c'è una distanza irriducibile, poiché entrambi partecipano della vita, comune fondamento che rende possibile il processo di riproduzione dell'altrui vissuto. Tale processo passa attraverso il linguaggio e le manifestazioni dell'interiorità, attraverso l'espressione, che è il termine intermedio tra l’Erlebnis e la comprensione. Ogni volta che l'interiorità vivente dell'altro viene ad espressione, nelle parole o nei gesti, siamo portati a coglierla secondo le forme della nostra vita psichica; la comprensione è, dunque, ampliamento dell'esperienza vissuta originaria che, nell'altra esperienza, coglie uniformità e differenze. L'ampliamento dell'Erlebnis originario si realizza compiutamente, tuttavia, solo nelle manifestazioni vitali fissate in modo durevole, nelle oggettivazioni storiche della vita, nel linguaggio scritto, nella letteratura e nelle opere d'arte, dove l'interiorità trova la sua più completa espressione. La conoscenza del mondo umano può svilupparsi così in modo ordinato, attraverso il confronto tra le diverse interpretazioni, rivelando nel consenso la natura stessa della comprensione, profondamente radicata nell'esperienza originaria della vita. Sulla scia delle tematiche diltheyane, oltre che della fenomenologia husserliana, K. Jaspers (1913) fonda l'ambito della «psicologia comprensiva», contrapposto a quello della «psicologia esplicativa». Anche per Jaspers l'opposizione tra comprendere e spiegare si basa sull'opposizione tra interno ed esterno: la comprensione indica la visione intuitiva dell'interiorità, mentre la spiegazione è la conoscenza dei nessi causali obiettivi visti dal di fuori. A partire da tale premessa egli può distinguere anche una «psicopatologia obiettiva», intesa come studio delle manifestazioni esteriori dei cosiddetti disturbi mentali, da una «psicopatologia comprensiva», intesa come penetrazione intuitiva dei fenomeni soggettivi della vita psichica normale e patologica. Jaspers non condivide, però, con Dilthey l'idea che lo psichico sia il campo della comprensione e il fisico il campo della spiegazione causale. Non esiste alcun fenomeno, sia di natura fisica sia di natura psichica, che non possa essere affrontato in termini di causa/effetto. Nel campo psicopatologico possiamo, ad esempio, trovare il nesso causale tra una malattia oculare e l'allucinazione, ma tale spiegazione non ci restituisce alcun contenuto psicologico. Solo il comprendere, per Jaspers, è autentica conoscenza psicologica, perché consente, attraverso la partecipazione affettiva, di accostarci all'altro dal suo versante (ciò che, per principio, è negato alla spiegazione oggettiva e causale). In questo senso Jaspers afferma che è possibile spiegare pienamente qualcosa senza comprenderla: attraverso lo sguardo oggettivo possiamo conoscere i rapporti necessari che intercorrono tra due fatti, senza che, con ciò, si sia compreso nulla dei significati e della loro struttura. La comprensione, invece, penetra nello psichico per cogliere la sua origine all'interno dello psichico stesso: le relazioni comprensibili sono una sorta di «causalità dal di dentro», che può essere colta in maniera evidente e immediata, come accade quando comprendiamo la rabbia di una persona aggredita o la gioia che deriva da un amore ricambiato. A differenza delle regole causali, ricavate induttivamente dai casi in cui si manifestano, le relazioni comprensibili non sono subordinate ai fatti esterni e alla loro frequenza, ma sorgono dall'evidenza del legame strutturale tra i fenomeni. La relazione tra suicidio e stagione autunnale, ad esempio, è una relazione che resta comprensibile, anche se smentita dai dati statistici. Ogni comprensione di fenomeni psichici non può, quindi, presentarsi come conoscenza oggettiva e non è affatto neutrale: non si limita a dire «ciò che è», ma implica sempre una forma di partecipazione soggettiva. Per Jaspers, infatti, la vita può essere compresa solo attraverso la vita, e ciò comporta che lo psicopatologo metta in gioco, oltre al proprio sapere, anche la propria capacità di vedere, di rivivere interiormente le forme fondamentali dell'esperienza umana e di ampliare, per quanto possibile, i propri orizzonti di comprensione. Rispetto alla conoscenza causale oggettiva, che non trova mai limiti, il comprendere invece trova limiti ovunque. Qualsiasi comprensione psicologica urta contro i limiti dell'incomprensibile, che si manifesta nei due lati dell'extracosciente e dell'esistenza incondizionata. L'extracosciente è la dimensione corporea e meccanica soggetta alla spiegazione delle scienze naturali: i fatti biologici e fisici che sottostanno ai processi psicologici. L'altro lato dell'incomprensibile è l'esistenza stessa nelle sue infinite possibilità, la libertà dell'uomo che può decidersi in modo incondizionato, il senso imperscrutabile della vita, che sfugge a ogni considerazione di ordine empirico e si affida alla chiarificazione filosofica. Il comprendere psicologico contiene sempre, e lascia essere sullo sfondo, questi diversi lati dell'incomprensibile, trovandosi proprio sul crinale tra i due versanti. La metafora che usa Jaspers per parlare della vita psichica è quella di un continente esplorabile da diverse direzioni, ma che conserverà sempre, per tutti gli esploratori, una vasta zona di territorio sconosciuto. Anche da qui prende spunto la sua critica alla psicoanalisi che vuol tutto comprendere, rimanendo cieca di fronte a questi limiti. La psicologia comprensiva di Jaspers costituisce una novità radicale nella psicopatologia e nella psichiatria del primo '900, fino ad allora dominata dal paradigma kraepeliniano, che vedeva ogni malattia mentale come malattia del cervello. Per la prima volta viene sottolineata l'importanza della relazione medico/paziente e tematizzata la necessità di prendere in considerazione le esperienze dei malati non solo come sintomi, ma come espressioni del loro mondo interiore. Il limite che molti autori successivi imputano alla psicopatologia di Jaspers è di aver racchiuso l'esperienza psichica dentro i confini della «comprensibilità», consegnando le manifestazioni incomprensibili, come il delirio e le allucinazioni, all'ordine delle spiegazioni organicistiche. La successiva psicopatologia di orientamento fenomenologico tenterà di oltrepassare tale limite, riferendosi soprattutto al contributo di M. Heidegger. Nella filosofia di Heidegger (1927), il termine «comprensione» assume un significato più ampio, radicato su un terreno ontologico, quale fenomeno fondamentale dell'Esserci (Dasein), presupposto di ogni altro sapere. La comprensione, quale possibile modo di conoscenza distinto da altri, ad esempio dallo spiegare, è un derivato di tale comprensione originaria, in cui l'essere-nel-mondo si rivela a se stesso come progetto. Con Heidegger, pertanto, la comprensione esce dai confini di un metodo particolare, relativo al dominio delle scienze dello spirito, per diventare il modo originario di ogni conoscenza. Il Dasein, l'esserci come presenza situata, è l'ente al cui modo di essere appartiene la comprensione dell'essere, è apertura alla verità dell'essere. L'esistenza coincide con questa apertura al senso e non può risolversi in mera fatticità, al pari degli altri enti di natura. La comprensione dell'essere è la porta di accesso alla comprensione di ogni ente, in quanto è il modo originario in cui l'essere si trova presente all'esserci dell'uomo. L'analitica esistenziale heideggeriana si svolge quindi come analisi delle strutture ontologiche fondamentali che tracciano l'orizzonte dell'apertura della presenza all’essere e alla sua comprensione, prima di ogni analisi psicologica o antropologica. Il punto di partenza dell'autocomprensione dell'esserci è dato dal mondo-ambiente, visto come insieme degli enti semplicemente presenti, utilizzabili in vista di uno scopo. È questo il mondo dell'anonimia e della chiacchiera, dove domina il «si» impersonale, indeterminato e anonimo («si fa», «si dice», «si pensa»), dove la possibilità è ridotta a uniformità e la coesistenza con altri uomini a mera compresenza. L'esistenza può sottrarsi al dominio del «si» impersonale scoprendolo come equivoco e aprendosi alle sue autentiche possibilità. L'essere-nel-mondo si rivela, allora, a se stesso come con-esserci (Mit-dasein) e il mondo come mondo comune {Mit-welt). Questo mondo comune si sedimenta nel linguaggio nel quale ci troviamo immersi e che costituisce l'orizzonte di «precomprensione», l'intreccio vitale di connessioni e di rimandi in cui si manifestano le strutture esistenziali dell'uomo. Il Dasein non può sottrarsi all'incontro prospettico con tali strutture che lo costituiscono, ed è sempre coinvolto nell'interpretazione del suo essere-nel-mondo. Tutta la conoscenza, dunque, per Heidegger, è interpretazione, non nel senso tradizionale di «lettura» dei significati linguistici, ma nel senso più radicale di svelamento dell'essere. Ogni interpretazione si muove, da sempre, in una situazione circolare: senza l'originaria apertura alla comprensione non si potrebbe dischiudere alcun significato, e ogni significato rimanda al senso d'essere della presenza, perché i modi della comprensione sono i modi stessi con cui l'essere si svela. L'ermeneutica diventa così, con Heidegger, profonda riflessione sul «senso» del comprendere che radicalizza la distanza dai modelli e dalle metodologie naturalistiche, già tracciata da Dilthey e Jaspers. Qualsiasi scienza, secondo Heidegger, se riguarda l'uomo, non può rivolgersi a «enti di natura», ma deve lasciar essere l'esistenza quale originaria apertura all'essere. Si può capire come, nonostante la sua innegabile centralità nella cultura novecentesca, il pensiero heideggeriano (con l'eccezione della corrente fenomenologica della psicopatologia e di autori isolati quali Th. Luckmann, A. Schiitz, A. Giddens in campo sociologico) sia a lungo rimasto fuori dall'ambito disciplinare delle scienze sociali. Il motivo heideggeriano della conoscenza come interpretazione sarà ripreso nell'originale elaborazione dell'ermeneutica di H. Gadamer (1960). Ogni comprensione e ogni interpretazione, anche per Gadamer, si attua all'interno di un orizzonte storico culturale e linguistico di precomprensione che ne costituisce la condizione, dando vita a quel «circolo ermeneutico» che, piuttosto che un difetto della conoscenza, ne esprime la struttura fondamentale. Poiché i nostri pregiudizi di conoscenza sono ineliminabili, è necessario esserne consapevoli, rinunciando fin dall'inizio all'obiettiva neutralità presupposta dalle scienze naturali. Chi vuol comprendere, dunque, deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa dall'alterità, e nello stesso tempo essere cosciente delle proprie precomprensioni, in una continua tensione tra estraneità e familiarità, sostenuta dall'appartenenza a un comune mondo di significati. Ogni esperienza dell'altro si propone, fin dall'origine, nella forma del dialogo ermeneutico, che conduce a una «fusione di orizzonti» e a una trasformazione reciproca. La prospettiva ermeneutica, che, dopo Heidegger e Gadamer, ha i suoi maggiori rappresentanti in P. Ricoeur, J. Derrida, J. Habermas, K. Apel, R. Rorty, mette fuori gioco la possibilità di una conoscenza oggettiva e neutrale, sulla base del riconoscimento che ogni conoscenza è inevitabilmente prospettica e situata in un orizzonte storico-culturale. La comprensione dell'alterità diventa così non tanto un processo empatico e misterioso, lasciato alle disposizioni personali, ma una condizione per la condivisione di significati e la costruzione di una realtà comune mai definitivamente compiuta. Raccogliendo le suggestioni fin qui delineate si sviluppa, pur con esiti differenziati, la corrente fenomenologica della psicopatologia e della psichiatria. Tale corrente offre una fondazione teoretica e un metodo rigoroso alla comprensione dell'esperienza psicotica, vista non più come espressione sintomatica di processi patologici, ma come forma di vita e come peculiare progetto di mondo. Se H. Gruhle accoglie da Jaspers la concezione della comprensione come immedesimazione, la Daseinanalyse (letteralmente: «analisi dell'esserci», con evidente riferimento alla lezione heideggeriana), inaugurata da L. Binswanger (1955), fa cadere la preclusione jaspersiana della comprensibilità dei fenomeni psicotici. Indagando sulle strutture trascendentali che costituiscono l'essere-nel-mondo, la comprensione si rivolge ai modi fondamentali con cui si declina e si progetta un'esistenza, cercando di coglierne il senso attraverso l'incontro coesistentivo. Non si tratta tanto di una comprensione per immedesimazione affettiva, quanto di una chiarificazione della norma interna di quel particolare progetto di mondo, al di qua della distinzione tra normalità e patologia. In questa prospettiva, infatti, anche la cosiddetta malattia mentale appare come una variazione, più o meno difettiva, dell'a-priori comune essere-nel-mondo. E. Minkowski (1966) propone una diagnosi «per penetrazione», in cui la comprensione della struttura esistenziale dell'altro è affidata al fenomeno dell'eco o della risonanza. Nella sua opera egli delinea una psicologia «in seconda persona» che, superando la contrapposizione tra psicologia in «prima» e «terza» persona, si configura come confronto tra esperienze, per rintracciarne la struttura comune. Anche nel caso in cui lo psicopatologo si incontri con psicotici gravi, anche quando si rompano i vincoli usuali della comprensibilità, è possibile, per Minkowski, trovare una risonanza nel fondo della vita stessa, di cui partecipano sia l'esperienza dell'alienato sia quella del medico. Comprendere significa dunque saper vedere i fenomeni vitali negli eventi psicopatologici. Per questo motivo la psicopatologia di Minkowski si definisce «strutturale» o «formale»: perché, andando oltre le constatazioni empiriche della clinica, cerca di penetrare fino al «fenomeno generatore» che le sottende tutte. Per raggiungere questo strato di profondità, ben diverso dall'inconscio psicoanalitico, l'intuizione, come atto conoscitivo che si contrappone all'intelligenza geometrica della scienza, è una forma privilegiata di conoscenza che non può essere sostituita da nessun metodo codificato. Le opere degli esponenti della corrente fenomenologica evidenziano, anche attraverso l'illustrazione di esemplari casi clinici, la messa in atto della comprensione come analisi delle modalità esistenziali dei pazienti (dei loro modi di vivere il tempo, lo spazio, l'alterità) e la valorizzazione del loro linguaggio quale luogo primario della rivelazione dei significati e dell'incontro interumano. In epoca più recente il tema della comprensione è diventato centrale nelle correnti co-struttiviste e costruzioniste della psicologia e della sociologia. L'epistemologia costrut-tivista si propone come alternativa all'oggettivismo che ha caratterizzato la psicologia fin dalla sua nascita, guardando alla realtà come continua e creativa costruzione di significati soggettivi e intersoggettivi. A partire dalTinterazionismo simbolico di G. Mead, la conoscenza psicologica non è più intesa come rappresentazione della realtà esterna, ma come attivo coinvolgimento dell'osservatore nella realtà osservata, come esperienza totale, in cui non sono implicati solo i processi cognitivi, ma anche quelli emotivi e relazionali. Da tali premesse epistemologiche deriva la rivalutazione della comprensione quale forma di conoscenza «interessata», inevitabile in ogni conoscenza umana sull'umano. Una scienza rivolta all'esperienza e ai significati comporta, infatti, l'impossibilità di una posizione neutrale e la riscoperta della presenza altrui come garanzia del mondo condiviso. E’ significativo il fatto che la prospettiva costruttivista sia emersa soprattutto da campi di ricerca come la biologia, la fisica, la cibernetica, e si stia diffondendo anche nell'ambito delle neuroscienze, con sorprendenti riscoperte di autori e argomenti connessi al tema della comprensione. Per questi esiti epistemologici, il confine tracciato da Dilthey tra scienze della natura e scienze dello spirito si è molto assottigliato. Già Ricoeur (1986) aveva mostrato come i tradizionali concetti di comprendere e spiegare stiano tra loro in rapporto dialettico e non di mutua esclusione: la comprensione è il momento non metodico che precede e circonda la spiegazione; la spiegazione, per contro, sviluppa analiticamente la comprensione, consentendo la formulazione di ipotesi che possono essere invalidate o confermate. La proposta scientifica di H. Maturana e F. Varela sembra realizzare tale incontro dialettico, vincolando la spiegazione alla posizione dell'osservatore e situandola tutta dentro il mondo dell'esperienza. Maturana ha sviluppato il tema dell'identità tra vita e conoscenza, che era già presente in Dilthey; ma, in particolare, la neurofenomenologia proposta da Varela (1996) recupera l'intenzione di gettare un ponte tra la conoscenza scientifica in terza persona e quella soggettiva in prima persona, passando per l'esperienza dell'altro come eco consensuale della propria esperienza. In direzione analoga, la seconda cibernetica di H. von Foerster (1991; 2002) conduce a interrogarsi sulla comprensione della comprensione e a riconoscere l'esigenza di guardare con gli occhi dell'altro, mentre una serie di nuove scoperte nel campo delle neuroscienze ricoEoca l'alterità al centro dell'interesse. In questi nuovi scenari scientifici il termine «comprensione» si ripropone con una rinnovata densità, non più come peculiare forma di conoscenza adatta a certi ambiti inaccessibili alla spiegazione, ma come strato originario di ogni universo linguìstico e come necessità epistemologica strutturalmente connessa con la dimensione etica. MARIA ARMEZZANI |