Colpa, senso di colpa |
S. Freud non scrisse mai un saggio dedicato interamente al tema della colpa, ma i suoi numerosi interventi sparsi fanno di lui l'autentico iniziatore dello studio scientifico del senso di colpa e il suo primo sistematizzatore. Parti dall'osservazione dei pazienti ossessivi, per passare in seguito a quelli affetti da melanconia, che gli permisero di formulare un'ipotesi più elaborata del senso di colpa (teoria classica), in particolare del senso di colpa persecutorio, risultato d'un conflitto provocato dal Super-io in occasione di desideri sessuali e aggressivi. Il contesto è quello del complesso edipico e del timore della castrazione. Oltre a ciò, contribuì marcatamente a evidenziare alcuni caratteri di quella che più avanti chiameremo «logica della colpa». Per avere un'idea della sua rottura con la tradizione, basti accennare al fatto che la cultura ufficiale, negli anni in cui la psicoanalisi esisteva già da un quarto di secolo, per lo più non considerava la colpa come entità psicologica (senso di colpa). Per esempio il Dictìonary ofPhilosophy and Psychology a cura di J. Baldwin (1925) ignora questa voce, nonostante fossero stati chiamati a collaborarvi alcuni tra i maggiori protagonisti della cultura americana ed europea dell'epoca: P. Janet, J. Dewey, W. James, C. S. Peirce, E. Morselli. Alla ricerca di una causa cui attribuire l'origine del senso di colpa, in Totem e tabù (1912-13) Freud collegherà il senso di colpa con una situazione avvenuta nella notte dei tempi e caratterizzata dalla presenza di un padre prepotente che teneva per sé tutte le femmine e scacciava i figli che via via crescevano. La colpa verrà collegata all'omicidio di questo padre ad opera dei figli coalizzati, e all'ambivalenza degli stessi figli che si, odiano il padre, ma contemporaneamente lo amano e lo ammirano. Commesso il parricidio, i figli consumano il pasto totemico che permette loro di interiorizzare il padre e con lui il senso di colpa. Questa ipotesi, se analizzata come una semplice figura retorica, ci permette di vedere che per Freud il senso di colpa nasce da un omicidio (un vero e proprio «atto criminale»), ma che prima del crimine gli assassini avevano subito una forte violenza, quindi una situazione traumatica. Uno dei contributi rivoluzionari di Freud (1907) è quello di aver scoperto il «senso di colpa inconscio». Si potrebbe precisare che talvolta è solo la motivazione a restare inconscia, mentre in altri casi è lo stesso «sentirsi in colpa» a non venire avvertito: si pensi ai cosiddetti corrispettivi somatici della depressione dove il senso di colpa si trasforma in un sintomo corporeo, oppure agli acting out autolesionistici di individui maniacali o ipomaniacali, dove il senso di colpa è sottoposto a diniego, ma resta avvertibile nelle conseguenze. L'Io non è padrone in casa propria, per ricordare la celebre metafora dello stesso Freud, anche perché non conosce tutte le spinte che lo fanno agire. E sono impulsi che ritroviamo nella sfera morale. Questa scoperta mette in questione l'etica tradizionale, così come il quotidiano senso della morale. Freud sposta ogni cosa su un'altra scena, che peraltro gli si presenta tutt'altro che facile da districare. Egli mostra inoltre (1916) un altro importante «paradosso» che va a incidere su molte idee a sostegno del libero arbitrio: il senso di colpa può precedere il delitto. In questi casi la colpa non deriva dall'aver commesso il crimine, ma è il crimine che avviene come conseguenza del senso di colpa. Freud riportò il caso d'un paziente che soffriva di un opprimente senso di colpa di origine sconosciuta e che, dopo aver commesso il misfatto, senti che il peso veniva mitigato, in quanto finalmente poteva attribuire il senso di colpa a qualche cosa. Il caso di Enrichetta Cornier, descritto da É.-J. Georget nel 1826, sembrerebbe confermarlo: la donna voleva essere accusata e condannata. In seguito le ipotesi psicoanalitiche sulle cause che contribuirebbero a far emergere e a intensificare la colpa si diversificano. Sono state individuate nel trauma della nascita, come riflesso dell'istinto di morte, come risultato di un cattivo rapporto con il seno e con la madre, con il predominio della frustrazione sulla gratificazione e così via. Oggi si potrebbe riassumere dicendo che, accanto a una serie di conflitti, è possibile pensare a una serie di deficit, di carenze affettive. La carenza e il trauma suscitano aggressività e questa può provocare sensi di colpa, che non di rado possono restare fuori della coscienza. Gli approfondimenti e le sistemazioni di cui siamo debitori a psicoanalisti come D. Win-nicott, M. Klein, F. Fornari, S. Lebovici, per citare solo alcuni nomi, sono numerosi. Oggi il modello derivato dall'osservazione dei bambini fa nascere questo stato d'animo dalle relazioni interpersonali primitive. Degni di essere sottolineati sono almeno questi risultati degli sviluppi del pensiero psicoanalitico: a) la distinzione tra diversi tipi di sensi di colpa, b) il rapporto tra colpa e determinismo, e) quello tra la colpa e l'onnipotenza, d) la definizione della «logica della colpa» e del suo superamento, e) la riparazione mossa dal senso di colpa e quella mossa dal dolore psichico (Speziale-Bagliacea, 1997; 2004). La differenziazione tra i diversi tipi di sensi di colpa è uno dei meriti dell'analista argentino L. Grinberg (1963), che per illustrarli adotta il modello di sviluppo della Klein, che qui seguiremo, indipendentemente dal fatto di condividere o meno tutti gli aspetti del pensiero kleiniano e facendo una doverosa aggiunta: a differenza di quanto abitualmente si trova scritto, è importante dare rilievo al fatto che, così come è stata proposta dalla Klein, l'evoluzione della psiche si articolerebbe non in due, ma in tre momenti: quella che chiama «posizione schizoparanoide», la «posizione depressiva» e una terza, il «superamento dalla posizione depressiva». A quest'ultima fase la Klein accenna soltanto senza però svilupparla con ipotesi teoriche, che possono venire ricavate indirettamente. Il suo modello descrive un'evoluzione non lineare, con avanzamenti e regressioni. È importante aggiungere che, a un esame approfondito, questi tre momenti danno luogo a tre modi di pensare e a tre diversi modi di reagire nei rapporti con gli altri. Lo stato psichico chiamato posizione schizoparanoide sarebbe caratterizzato dal bisogno di proiettare e di scindere, e sarebbe permeato di persecuzioni. Il tipo di senso di colpa sperimentato durante questo stato mentale è rappresentato dalle Erinni, e Grinberg lo ha chiamato «colpa persecutoria». Quando ne siamo oppressi, ci sentiamo bersagliati da un'accusa o da una punizione che ci sovrasta come una spada di Damocle, spada che può staccarsi e colpire. Le atmosfere descritte da F. Kafka, la colpa dei padri che ricade per generazioni sui figli, sono esempi d'obbligo. È il tipo di colpa che aveva attratto l'attenzione di Freud, mentre la Klein preferì parlare di angosce persecutorie. Sovente, per far emergere questo vissuto di colpa, sotto la generica sensazione d'angoscia, il terapeuta deve fare un sensibile e lungo lavoro. Si può riassumere dicendo che, in questi casi, ci sentiamo vittime, siamo incapaci di autocritica e ragioniamo come chi si sente perseguitato. L'altro tipo di colpa è quella depressiva, così chiamata perché tipica della posizione depressiva. Sarebbe caratterizzata da una spinta alla riparazione. Si inizia a provare questo tipo di colpa quando si riesce a cogliere che la sofferenza arrecata alla persona amata è causata - in fantasia o nella realtà - dai nostri stessi impulsi aggressivi e dal nostro risentimento (tema quest'ultimo su cui si sofferma anche L. Kancyper, 2003); il desiderio di riparare i danni nasce da questa presa di coscienza. In questi casi ci si sente l'artefice del danno, non più la vittima. Può arrivare a provare questo secondo tipo di colpa solo un individuo sufficientemente integrato, che ha la capacità di rappresentare dentro di sé una persona che soffre a causa sua. E clinicamente utile distinguere anche altri sensi di colpa, come la colpa depressiva ingiunta persecutoriamente (quella che il Commendatore ingiunge a don Giovanni e che questi rifiuta), la colpa segnale, la cui funzione positiva è quella di frenare prima che l'azione dannosa sia compiuta, e la colpa-vergogna (Goldberg, 1985). Quanto abbiamo ricordato sul senso di colpa inconscio, che può provocare un crimine, sarebbe sufficiente a far comprendere come la psicoanalisi veda l'essere umano condizionato da forze estranee alla sua volontà. In realtà, Freud spiega ben altro mostrando come l'individuo sia manovrato inconsapevolmente da spinte che gli provengono dall'inconscio (un misto di impulsi biologici e forze culturali: pulsione e Super-io). Si pensi al fenomeno che chiamò «coazione a ripetere». Si tratta di un automatismo per cui il soggetto si pone attivamente in situazioni penose o per lui dannose (per le quali potrà anche sentirsi in colpa), con ciò ricalcando vecchie esperienze traumatiche senza ricordarsene, avendo invece la viva impressione che si tratti di qualcosa di nuovo che è pienamente motivato dalle circostanze presenti. Freud, in questo, si rivela un erede delle concezioni deterministiche che hanno come premessa la rivoluzione scientifica di Galileo e che hanno dominato il pensiero occidentale dal '600 all'800; si può dire che divenne il più influente rappresentante del determinismo psichico. In etica con questo nome si allude alla teoria per cui le scelte morali sono il risultato di condizioni di natura metafisica, psicologica, biologica, sociologica, economica, o altro ancora, in opposizione alle dottrine che prevedono il libero arbitrio. Perché la colpa allora domina praticamente incontrastata ? Una delle ragioni che la psicoanalisi ha individuato riguarda il guadagno in onnipotenza che il sentirsi in colpa procura. Consideriamo un esempio paradigmatico, noto a tutti gli antropologi: come si comporta il contadino primitivo che ha avuto distrutto ogni suo avere, e perfino perso familiari, per l'eruzione d'un vulcano o per un terremoto ? Prende ciò che di valore gli è rimasto e, per farsi perdonare, lo sacrifica al nume che con quei fenomeni lo ha punito per i suoi peccati. In altre parole, inconsciamente stravolge magicamente la realtà in modo tale da sentirsi colpevole (quindi artefice delle disgrazie che gli piovono addosso) piuttosto che vittima impotente e incapace di soluzioni. Quest'ultima situazione potrebbe infatti risultare disperante per chi non possiede risorse adeguate. Ricorrono al «pensiero onnipotente» non solo gli esseri primitivi ma anche persone colte che creano nessi come quello di Madame de Renai che, nel Rosso e il nero di Stendhal, è convinta che il figlio si sia ammalato perché lei è l'amante di Julien Sorel. Queste e altre considerazioni portano a dire che la colpa non è solo un concetto legale e morale o un sensazione psichica, ma anche un modo onnipotente di ragionare, una «logica», ovvero una «visione del mondo». Ad essa si contrappone la logica della responsabilità tragica. Le due logiche costituiscono due diversi modi di vedere le cose del mondo e di pensarle, due modi che si escludono, anche se sovente sono vissuti in un'alternanza inconsapevole. La logica della colpa può essere colta ogni qual volta si giudica, si condanna, si assolve, si punisce o si perdona, oppure ci si vendica. Questa logica parte dal presupposto che l'individuo agisca liberamente, salvo casi estremi circoscritti dalle norme. Pertanto l'individuo normale è responsabile e punibile. Alle sue radici questa logica è stata da sempre messa in discussione dai determinismi che, come abbiamo ricordato, sostengono un qualsiasi condizionamento degli esseri umani. Se la prima logica porta a giudicare, la seconda porta a comprendere, senza giudicare, le cause che sono entrate in azione. Il passaggio da una logica all'altra è di centrale importanza perché trasforma gli affetti (emozioni e sentimenti) che entrano in gioco e la modalità di agire che su questi affetti si fonda. Un pregiudizio diffuso e duro a morire si frappone all'accettazione della logica che trascende la colpa: erroneamente si è spesso portati a identificare questo «comprendere» con «giustificare» o «accettare supinamente». Gli interventi dello psicoanalista, e di quanti intendano curare con un approccio psicoterapico che crede nel determinismo psichico, non possono che venire ispirati da una logica che trascende la colpa e che accetta la tragica ineluttabilità degli accadimenti che sfuggono alla volontà umana. Si tratta di seguire l'invito di Spinoza a cessare di considerare gli uomini come si vorrebbe che fossero e iniziare à vederli per quello che sono in realtà. Il prezzo che l'analista ancorato alla logica della colpa fa pagare ai suoi pazienti è l'esclusione di parti della loro personalità che rimarranno scisse e irrecuperabili. Queste ultime considerazioni normalmente fanno sorgere interrogativi allarmanti: qualora la responsabilità basata sulla colpa venisse meno, qualora non facesse più presa il timor Dei, si teme l'ingovernabilità delle pulsioni e il caos. A queste inquietudini avevano già risposto i giuristi dell'Illuminismo: il diritto penale può fondarsi adeguatamente anche sul mero bisogno delle istituzioni e dei cittadini di proteggersi. I diffusi timori di esplosioni anarchiche, peraltro, non tengono conto del fatto che, qualora nell'individuo non alberghi un Super-io distorto (come capita nelle personalità ciniche, delinquenziali e perverse), al posto della colpa può sorgere il dolore psichico. E a questa trasformazione della colpa che l'intervento psicoterapico dovrebbe mirare. Chi pensa esclusivamente all'interno della logica della colpa potrebbe faticare a comprendere che cosa si deve intendere per dolore in questo caso, poiché è per lo più considerato normale un certo tasso di senso di colpa, non di dolore psichico. La caratteristica che maggiormente contraddistingue questo tipo di dolore è l'assenza di onnipotenza. Coloro che lo sperimentano hanno accettato l'ineluttabilità degli eventi tragici della vita, non si fanno illusioni, ma allo stesso tempo non si tirano indietro. È ciò che si potrebbe definire il senso della responsabilità tragica, implicitamente sostenuto anche da Freud, che combatté ogni forma di illusione durante tutta la sua esistenza. Questo tipo particolare di dolore fa accedere alla comprensione della realtà meglio di quanto possa fare il senso di colpa, che contiene sempre una certa dose di velleità. Il dolore così inteso, infatti, dirige le proprie capacità restauratrici imparzialmente su chi è stato offeso e su chi ha offeso. Alcuni autori ritengono che la psicoanalisi si debba occupare unicamente del senso di colpa e non della colpa intesa come misfatto reale o azione dannosa concreta. L'opinione non sembra condivisibile. La psicoanalisi (e gli approcci terapeutici che ad essa si ispirano) si occupa anche di trasmettere un sapere e una tecnica attraverso le proprie istituzioni; le due cose, cura e gestione del sapere, sono strutturalmente interconnesse. I responsabili delle conoscenze da comunicare, così come i singoli membri, possono agire in un modo che possiamo chiamare colpevole in senso giuridico o in senso etico. I modelli teorici e tecnici incompleti o erronei, oppure la formazione inadeguata dei terapeuti, possono creare danni. Contrariamente a quanto pensava Freud, infatti, l'analista, per usare le parole dell'Uomo dei lupi, può fare disastri. Siamo nell'ambito degli effetti iatrogeni della cura, ben noti alla medicina. Se ad esempio, per mancanza di preparazione idonea, come capitò a Freud e a numerosi pionieri della psicoanalisi, l'analista non tollera che gli venga attribuito il ruolo del persecutore, e quindi non è in grado di accettare e interpretare adeguatamente il transfert del paziente nella sua globalità, senza rendersene conto può spingerlo a operare delle dissociazioni che coinvolgono la coppia analitica. L'esperienza clinica successiva a Freud si è di molto affinata e ha potuto registrare che, in questi casi, il paziente riverserà il proprio odio su una persona diversa, poniamo il coniuge, lo tramuterà in un essere totalmente «cattivo», al punto da usargli violenza fisica o da divorziare; contemporaneamente, lo stesso paziente, per evitare il proprio crollo psichico, idealizzerà l'analista che diventerà sommamente positivo. Queste «colpe» a loro volta possono ingenerare inediti «sensi di colpa» sia nell'analista che nel paziente. Sono questioni che rientrano nei compiti che lo psicoanalista, sovente incaricato di seconde analisi, dovrebbe saper affrontare e, quando possibile, risolvere. Per questi motivi, quando non abbiamo specificato altrimenti, abbiamo ritenuto «senso di colpa» e «colpa» intercambiabili. ROBERTO SPEZIALE-BAGLIACCA |