Cervello

Il termine «cervello» appare per la prima volta nella storia della scienza in un resoconto medico risalente al periodo dell'antico impero egizio, circa 3000 anni a.C. Questo papiro è il primo documento conosciuto in cui il cervello non solo viene citato, ma viene messo in relazione con il movimento di parti del corpo situate a grande distanza dal cranio. Tuttavia, per lungo tempo nell'antichità non il cervello, ma il cuore era stato considerato la sede delle sensazioni, delle passioni e dell'intelligenza. Questa tesi, che costituirà la parte integrante della dottrina di Aristotele, influenzerà negativamente per secoli la ricerca sul cervello.

Alcuni spunti a favore del ruolo del cervello si possono già rintracciare nel v secolo a.C. nel pensiero di Democrito («il cervello, guardiano del pensiero e dell'intelligenza») e vennero ulteriormente sviluppati dalla scuola di Ippocrate. Nel III secolo a.C., Erofilo ed Erasistato compiono enormi progressi iniziando studi anatomici del sistema nervoso e descrivendo l'encefalo, il cervelletto, i nervi di «movimento» e di «sentimento». Questi studi vennero successivamente ampliati, nel II secolo d.C., da Galeno che per primo studia la fisiologia cerebrale, distinguendo la «sostanza del cervello», simile a quella dei nervi, dalle cavità o ventricoli in essa contenuti, sede dello «pneuma psichico». Secondo Galeno, tale fluido o «organo dell'anima» scorrerebbe nei nervi e metterebbe in comunicazione gli organi di senso con il cervello, e questo con gli organi di moto. Galeno individua inoltre le varie componenti di questo «organo dell'anima» quali la facoltà motrice, quella sensibile e quella raziocinante, quest'ultima composta a sua volta da immaginazione, raziocinio e memoria.

Solo dopo il XVII secolo, in Europa, la conoscenza del cervello supererà i livelli raggiunti dalla scuola di Ippocrate e da Galeno. Dopo la stasi della ricerca scientifica che caratterizza il Medioevo, nel Rinascimento vengono sviluppate le conoscenze anatomiche del cervello con i famosi lavori (e disegni anatomici) di Leonardo da Vinci e di Vesalio. La ricerca sul cervello presentava tuttavia non pochi rischi per le implicazioni che aveva sul concetto di immaterialità dell'anima.

Fu merito di Cartesio separare il corpo (res extensa), inteso come macchina dove agiscono gli «spiriti animali», dall'anima immateriale (res cogitans), spirituale e immortale, del tutto eterogenea rispetto al primo. Anche se questa interpretazione è stata molto criticata quando si è giunti alla convinzione che la mente non era altro che il prodotto dell'attività del cervello e che quindi mente e cervello non erano separabili, all'epoca risultò essere una presa di posizione favorevole alla conoscenza del cervello, poiché ha permesso un intenso sviluppo delle ricerche su di esso, inteso come macchina nervosa, senza il concreto pericolo di infrangere tabù teologici o religiosi. Confinando nella ghiandola pineale il luogo dell'unione dell'anima col corpo, Cartesio svolse fondamentali ricerche sul funzionamento dell'occhio e delle vie visive e sull'arco riflesso che lo portarono a enunciare schemi assai vicini a quelli attuali.

Finalmente, nel XVIII secolo, il dualismo cartesiano venne superato con l'enunciato di P. Cabanis che «il cervello secerne il pensiero come il fegato la bile»: inizia, circa 3000 anni dopo la scuola ippocratica, un lungo periodo di studio che arriva fino a oggi, in cui mente e cervello vengono considerati come indissolubilmente legati.

Anche se con molti limiti scientifici, agli inizi del XIX secolo F. Gall consolida questa visione moderna del cervello fondando la dottrina della frenologia, secondo la quale il comportamento, ovvero le facoltà intellettuali e morali, sono prodotti del cervello e hanno una precisa localizzazione corticale. Se questo enunciato è in qualche modo rivoluzionario, il metodo adottato da Gall per dimostrarlo è quanto meno pittoresco. Partendo dal presupposto che l'espressione marcata di un tratto comportamentale sia il risultato di una «ipertrofia» dell'area cerebrale corrispondente, i frenologi misuravano con precisione la morfologia del cranio con l'idea che essa riproducesse fedelmente sporgenze e avvallamenti della corteccia cerebrale sottostante, una sorta di «imaging indiretto» (cranioscopia).

Gall e i suoi adepti viaggiarono alla ricerca di individui che presentassero teste con conformazioni fuori dal normale e costruirono un ricco catalogo sulle relazioni tra particolari caratteristiche mentali e le protuberanze del cranio. Alcune delle intuizioni del movimento frenologico furono rivoluzionarie, come asserire che il cervello era un aggregato di molte strutture, ciascuna con una specifica funzione psicologica, concetto che non solo andava contro al dualismo cartesiano che separava la biologia dalla mente, ma introduceva anche il moderno concetto della specializzazione funzionale.

Anche se la frenologia, soprattutto nei suoi aspetti più empirici, venne aspramente criticata, solide prove a favore del modello teorico di Gall vennero sia dagli esperimenti di ablazione di J.-M.-P. Flourens sia, più tardi, dalle osservazioni di J.-B. Bouillaud sulle turbe del linguaggio conseguenti a traumi cerebrali.

Bisognerà aspettare i risultati delle ricerche anatomo-funzionali di P. Broca sulle lesioni alla base delle turbe del linguaggio e di K. Brodmann, che compone una mappa particolareggiata delle aree cerebrali della scimmia e dell'uomo, perché la teoria della localizzazione cerebrale delle funzioni superiori venga ampiamente accettata. Brodmann identifica nel cervello dell'uomo 52 aree corticali che comprendono sia aree primarie di proiezione motrice o sensoriale (come l'area 4 motoria, l'area 17 visiva, le aree 41 e 42 uditive), sia aree di associazione, meno legate ad aspetti funzionali obiettivabili e dedicate a funzioni di integrazione corticale. La «nuova frenologia» di Brodmann, proposta nel 1909, rappresenta una rigorosa caratterizzazione anatomo-funzionale della corteccia cerebrale ed è tuttora usata, a quasi un secolo dalla sua presentazione.

Al giorno d'oggi, mediante tecniche sofisticate di imaging funzionale, come la Positron Emission Tomography (pet), la Single Photon Emission Computerized Tomography (spect), la risonanza magnetica funzionale (fMRI) o l'elettroencefalografia ad alta risoluzione, è possibile ottenere immagini dell'attività di ristrette aree cerebrali da pazienti o volontari perfettamente svegli mentre compiono particolari compiti motori o intellettuali suggeriti dallo sperimentatore. Queste metodologie, che hanno dato un impulso fondamentale allo studio della localizzazione corticale delle funzioni superiori, rappresentano, dopo quasi due secoli, la rigorosa traduzione in dati scientifici delle idee frenologiche. Mediante questi approcci, non solo è possibile identificare e correlare disfunzioni a carico di specifiche aree cerebrali con deficit comportamentali, ma è possibile studiare e definire il contributo di aree cerebrali discrete a processi cognitivi complessi come l'attenzione, la percezione, la memoria o il linguaggio.

Se sottoposto a una semplice indagine visiva, il cervello dell'uomo risulta essere composto dalla cosiddetta «sostanza grigia», contenente i neuroni, e dalla «sostanza bianca», formata dagli assoni mielinizzati dei fasci nervosi. Il cervello si presenta come un grosso bulbo, l'encefalo - composto a sua volta da una parte profonda, o diencefalo, e da una parte esterna, o telencefalo - che è sostenuto da uno stelo, il tronco encefalico che, fuoriuscendo dalla cavità cranica attraverso l'osso occipitale si continua caudalmente nel midollo spinale. L'insieme di queste strutture costituisce il sistema nervoso centrale. All'ispezione anatomica, il cervello ci appare ricoperto da uno spesso mantello, la corteccia cerebrale, ripiegato in numerosi solchi e circonvoluzioni che aumentano enormemente la sua superficie. Sotto la corteccia, oltre ad altre strutture telence-faliche, come i nuclei della base e l'ippocampo, vi sono due importanti strutture diencefaliche: il talamo, filtro fondamentale per le informazioni che raggiungono la corteccia, e l'ipotalamo, che sovrintende alla nostra vita vegetativa e rappresenta l'interfaccia tra vita vegetativa e sfera emotiva. Visto dall'esterno, il cervello appare costituito da due masse simmetriche, gli emisferi cerebrali destro e sinistro, separati da un profondo solco (scissura interemisferica) e uniti da milioni di connessioni che formano nell'insieme il corpo calloso e le commessure anteriore e posteriore. La parte più superficiale della corteccia degli emisferi, detta neocorteccia, è formata da sei strati identificabili di cellule nervose ed è suddivisa in lobi (frontale, parietale, temporale, occipitale e limbico) a loro volta composti da varie aree catalogate secondo la classificazione di Brodmann.

Il cervello umano adulto ha un peso di circa 1300-1400 g e rappresenta circa un quarantesimo del peso corporeo. Nella maggioranza degli animali il peso del cervello rappresenta una percentuale molto inferiore del peso corporeo rispetto all'uomo (un decimillesimo nella balena blu, a fronte di un peso assoluto del cervello di 6 kg), mentre in piccoli mammiferi come il furetto la percentuale supera quella dell'uomo. La superiorità del cervello umano rispetto a quello degli altri animali si può dimostrare con un grafico logaritmico che mette in relazione il peso del cervello con quello del corpo. Si può così osservare che, all'interno di una stessa specie, vi è una relazione lineare tra peso del cervello e peso corporeo (o meglio superficie corporea), a testimoniare che la dimensione del cervello, a parità di organizzazione, è dimensionata alla superficie del corpo. Tuttavia specie diverse (insettivori, carnivori, proscimmie, scimmie fino all'uomo) formano rette parallele via via più elevate che rappresentano salti evolutivi progressivi nell'organizzazione e nelle prestazioni del cervello, ovvero la presenza di variazioni qualitative e non solo quantitative nella struttura cerebrale. Questo approccio ha permesso di definire un «indice di encefalizzazione» che, eliminando l'effetto della massa corporea, descrive quantitativamente i salti evolutivi nello sviluppo cerebrale: il cervello dell'uomo ha il massimo indice (29), seguito, a breve distanza, da delfini (20), foche (15) e primati (12).

Il processo di encefalizzazione che si verifica durante l'evoluzione consiste nel progressivo sviluppo di strutture di grado superiore che non sostituiscono le strutture preesistenti, meno sofisticate, ma le controllano instaurando un'organizzazione strettamente gerarchica, in cui le strutture sono ordinate secondo la loro età filogenetica. La filogenesi del cervello avviene non secondo un principio di sostituzione, in cui le strutture più primitive vengono sostituite da strutture più sofisticate, ma secondo un principio di ac-crezione in cui le strutture più recenti controllano quelle più antiche inibendo le loro attività più primitive, ma sfruttando i loro meccanismi neurali già ampiamente collaudati nel precedente corso evolutivo. Il processo di encefalizzazione si è verificato attraverso un grande sviluppo della neocorteccia, che ha superato di gran lunga lo sviluppo delle strutture più profonde (e filogeneticamente più antiche).

Il sistema limbico, l'ipotalamo e il tronco encefalico, responsabili della vita emotiva e vegetativa, sono cambiati molto limitatamente durante l'evoluzione. Tali differenze dello sviluppo evolutivo delle varie aree cerebrali risultano particolarmente evidenti se si osserva che l'estensione della corteccia cerebrale rispetto alla massa dell'encefalo è aumentata di 156 volte dai mammiferi più primitivi all'uomo, quella dei gangli della base di 16 volte, mentre quella del sistema olfattivo è diminuita di circa 50 volte. Questo enorme sviluppo della neocorteccia che si osserva nei primati e nell'uomo ha seguito due linee fondamentali di sviluppo: 1) innanzitutto, è avvenuto non per aumento della densità di neuroni per unità di superficie corticale, ma per un incredibile aumento della superficie della corteccia (22 dm2 nell'uomo rispetto ai 5 dm2 dei primati e agli 0,05 dm2 del ratto) che, a tal fine, si è progressivamente corrugata formando circonvoluzioni e solchi profondi; 2) l'aumento dell'estensione delle aree primarie (o di proiezione) che si osserva lungo l'evoluzione dai mammiferi più primitivi all'uomo è stato molto più modesto e proporzionato all'aumento della superficie corporea rispetto all'aumento di estensione della corteccia associativa che è stato spettacolare soprattutto passando dai primati all'uomo.

Questo ordinato processo di sviluppo del cervello era stato identificato dal neuropsichiatra J. H. Jackson, alla fine dell'800, il quale affermava che, nell'evoluzione filogenetica del cervello, le funzioni più complesse, come la coscienza e la razionalità, venivano acquisite in uno stadio evolutivo successivo rispetto alle funzioni emotive e vegetative, e che lo sviluppo ontogenetico del cervello di un singolo individuo ripercorre la filogenesi.

A questo riguardo, verso la metà del secolo scorso, il fisiologo americano P. MacLean sosteneva che nell'uomo potevano essere identificati tre cervelli corrispondenti a successivi stadi evolutivi. Il primo cervello, il più semplice e primitivo, detto «rettiliano», corrisponde al midollo spinale e al tronco encefalico, ed è responsabile delle attività vegetative e riflesse finalizzate alla sopravvivenza dell'individuo. Il secondo cervello, detto «paleocervello», corrispondente all'ipotalamo e al lobo limbico, è responsabile degli stati emotivi e del comportamento aggressivo e sessuale. Il terzo cervello, il più recente e sofisticato, detto «neocervello», è rappresentato dal manto neocorticale ed è responsabile delle attività cerebrali più elevate, comprese quelle morali, razionali e creative. Anche se questa teoria appare oggi eccessivamente semplificata, mantiene il merito di riferire le funzioni cerebrali di complessità crescente a livelli distinti del sistema nervoso che si sono sviluppati in fasi successive dell'evoluzione. Lo sviluppo ordinato del cervello durante l'evoluzione, con le strutture più recenti che controllano le strutture più antiche, dà luogo a un'organizzazione gerarchica che è di fondamentale importanza per la comprensione dell'attività cerebrale sia in condizioni fisiologiche, sia nel corso di patologie del sistema nervoso. Nella scala gerarchica, le strutture superiori (corteccia cerebrale) elaborano le strategie comportamentali che vengono poi inviate per la loro esecuzione verso le strutture gerarchicamente inferiori (tronco encefalico e midollo spinale), più primitive, ma molto efficienti nei compiti esecutivi. Per rendere possibile una fedele esecuzione dei comandi discendenti, le strutture superiori devono anche tenere sotto uno stretto controllo inibitorio le attività primitive delle strutture inferiori.

Il sofisticato compito strategico delle strutture cerebrali superiori è reso possibile da un'ampia gamma di afferenze non solo sensitive e sensoriali (tattili, propriocettive, visive, uditive), dalla memorizzazione di esperienze precedenti, da informazioni riguardanti lo stato emotivo e da un grado elevato di plasticità, mentre le strutture inferiori hanno afferenze molto più limitate e un grado di plasticità notevolmente inferiore. Seguendo questo modello di gerarchia strutturale si può comprendere la ragione per cui, in caso di una disconnessione di tipo traumatico o ischemia) tra strutture superiori e inferiori, accanto a una perdita di strategia (sintomi di «deficit»), emergano attività primitive non più represse dalle strutture superiori (sintomi di «release»).

Mentre il cervello dell'uomo ha compiuto un lungo percorso evolutivo per arrivare alla struttura e funzioni attuali, il cervello del singolo individuo si sviluppa rapidamente nei primi anni di vita, permettendo al neonato non autosufficiente di affrontare ben presto l'ambiente acquistando il controllo della locomozione, del movimento volontario, del linguaggio, della memoria e del pensiero. In che modo il progetto del cervello è prescritto dal genoma e quanto di questo progetto viene modificato dall'esperienza?

La strategia seguita dall'ontogenesi cerebrale è mista, genetica ed epigenetica. Lo sviluppo del cervello nei suoi stati iniziali (essenzialmente durante la vita intrauterina) è dettato dal patrimonio genico. Tuttavia non c'è proporzionalità tra patrimonio genico, o quantità di Dna, e complessità del cervello. Il cervello dell'uomo, nella sua sorprendente complessità, si costruisce, in maniera riproducibile, a partire da un numero relativamente piccolo di determinanti genici, non molto diverso da quello dei roditori. In base all'accensione o allo spegnimento temporalmente regolato di una lunga serie di geni, i neuroblasti si formano dal neuroectoderma, si moltiplicano, migrano in regioni appropriate, divengono neuroni e danno luogo a connessioni appropriate con i loro bersagli fisiologici. In questa fase di creazione dell'«hardware del cervello», sotto il controllo del Dna, il numero di neuroni che si generano è largamente in eccesso rispetto alle necessità. In seguito allo sviluppo iniziale del sistema nervoso, i neuroni in sovrannumero rispetto alle necessità vanno incontro a morte cellulare programmata, o apoptosi.

Gli studi pionieristici di V. Hamburger hanno dimostrato che il 40-50% dei motoneuroni o dei neuroni sensitivi va incontro ad apoptosi nelle fasi precoci dello sviluppo embrionale, e che la sopravvivenza dei rimanenti è assicurata da messaggi trofici prodotti dai bersagli fisiologici di tali neuroni, producendo in tal modo un size matching che adegua il numero di neuroni all'estensione del bersaglio. In seguito a questo processo di selezione «naturale», il neonato nasce con un corredo adeguato di neuroni, ma con un numero relativamente piccolo di connessioni, appena sufficienti per sostenere le funzioni essenziali del corpo e alcune funzioni motorie elementari come il succhiamento, il pianto e presto il sorriso. Da questo momento in poi, l'ambiente e l'esperienza iniziano a plasmare il tessuto nervoso stimolando la formazione di nuove connessioni e modificando quelle preesistenti, in virtù della sorprendente plasticità del tessuto nervoso.

La relativa importanza dei fattori genetici ed epigenetici è diversa da specie a specie. Nella cavia, per esempio, il cervello alla nascita ha quasi interamente completato la formazione dei circuiti nervosi e delle connessioni sinaptiche tra neuroni; gli erbivori e i carnivori sono in grado di acquisire subito dopo la nascita capacità locomotorie simili a quelle degli animali adulti.

L'uomo, al contrario, nasce con un cervello ancora ampiamente immaturo, molto meno adatto a sostenere una vita autonoma rispetto agli altri mammiferi, e con attività comportamentali primitive (come gli automatismi locomotori) che vengono in gran parte inibite. Questo stadio prematuro dello sviluppo cerebrale alla nascita, pur esponendo il neonato a dei rischi, lascia ampio spazio al completamento epigenetico dello sviluppo cerebrale diretto dalle esperienze e soprattutto dal linguaggio e dalla cultura a esso indissolubilmente legata. Questa enorme plasticità del cervello del neonato rimane elevata nella vita infantile, ma diminuisce marcatamente durante la vita adulta; questo fenomeno, unito al fatto che i neuroni hanno una vita finita e, tranne che in rarissimi casi, hanno perso la capacità di riprodursi, fa si che l'invecchiamento riduca considerevolmente le prestazioni cerebrali. Il fenomeno dell'invecchiamento cerebrale può rimanere entro limiti «fisiologici», in cui la compromissione delle funzioni cerebrali è limitata e tardiva, anche grazie alla notevole ridondanza anatomo-funzionale dei circuiti nervosi, o essere aggravata da processi degenerativi.

Pochi dissentono sul fatto che la mente e la coscienza siano il prodotto dell'attività cerebrale di livello più elevato. La mente umana, sede della coscienza, della personalità e della coscienza morale, centro focale della nostra vita interiore, interfaccia tra materia e spirito, è un'entità che probabilmente è emersa molto tardi nella storia dell'evoluzione cerebrale, correlata all'espansione della corteccia.

Poiché la mente umana è la creatrice dell'intera cultura, e la cultura è uno degli elementi più importanti che dirige lo sviluppo epigenetico del cervello, è possibile capire, sulla base di questo sistema autorigenerativo, l'enorme balzo in avanti compiuto dal cervello dell'uomo rispetto a quello dei primati e degli altri mammiferi. Se fino alla nascita e alla diffusione della cultura l'evoluzione del cervello era scandita dai lenti mutamenti genetici e dalle risposte adattative al mutare dell'ambiente, dopo il balzo culturale l'evoluzione del cervello si è resa in larga misura indipendente dal mutamento genetico.

FABIO BENFENATI