Cervelletto |
Le nostre conoscenze sul cervelletto si sono sviluppate secondo una stretta associazione fra gli studi di anatomia, di fisiologia e di clinica. I primi studi di anatomia hanno identificato il cervelletto come una struttura nettamente distinta dal resto del sistema nervoso e successivamente si sono avute descrizioni sempre più accurate dell'aspetto macroscopico e delle sue principali suddivisioni. All'inizio del XIX secolo la descrizione della struttura anatomica fu compietà e furono intrapresi gli sudi sulla funzione. Si eseguirono esperimenti di lesione del cervelletto su animali per studiare le alterazioni del comportamento. Questi studi sugli animali influenzarono profondamente l'interpretazione dei sintomi osservati in pazienti affetti da lesioni traumatiche o da malattie cerebellari. Già nel XIX secolo gli studiosi si posero una serie di domande, alcune delle quali rimangono ancora senza adeguata risposta. Una prima domanda riguarda il problema della localizzazione delle funzioni nel cervelletto: 1) si possono attribuire funzioni diverse a regioni diverse del cervelletto ? Esiste una rappresentazione somatotopica nella corteccia cerebellare e nei suoi nuclei? 2) Qual è la funzione o quali sono le funzioni degli emisferi cerebellari? Essi rappresentano la quasi totalità del volume cerebellare nell'uomo e una parte largamente preponderante nei primati, ma la disputa sulla loro funzione è ancora aperta. La mancanza di prove a favore di funzioni ben definite ha portato alle più disparate speculazioni. 3) Se una parte del cervelletto viene lesa, è possibile che la sua funzione sia vicariata da un'altra regione ? Un'ulteriore conseguente domanda è se la funzione motoria normale è possibile in casi di completa o quasi completa agenesia del cervelletto. 4) Vi sono poi domande non risolte a livello cellulare. Nonostante i numerosi studi di anatomia e fisiologia non vi è ancora accordo sulle funzioni delle due principali vie afferenti alla corteccia cerebellare, che terminano come fibre muscoidi e rampicanti. La nostra capacità di rispondere a queste domande dipende dall'esame delle scoperte e degli errori dei nostri predecessori. Esamineremo qui i principali contributi forniti dai principali attori di questa storia. Ulteriori contributi si trovano in diverse opere. L'opera di E. Clarke e Ch. O'Malley (1968) costituisce una guida molto utile della letteratura più antica; André-Thomas (1912) riassume lo stato delle conoscenze alla fine del xix secolo, mentre R. Dow e G. Moruzzi (1958) quello fino alla metà del XX secolo. Una breve rassegna dell'anatomia del cervelletto si trova in J. Voogd e M. Glickstein (1998). Fin dalle prime descrizioni anatomiche del cervello è apparso chiaro come il cervelletto fosse una regione ben distinta. Il cervelletto è stato riconosciuto come struttura autonoma da Galeno, mentre Vesalio lo ha disegnato e ha contestato la descrizione fatta da Galeno, suggerendo che fosse sbagliata probabilmente perché era stata dedotta da osservazioni fatte non sull'uomo, ma sugli animali. In molti mammiferi, ma non nell'uomo, il cervelletto è visibile quando si apre il cranio dall'alto, procedura comune fino a quell'epoca. Fu C. Varolio a introdurre la tecnica di dissezione dal basso e a illustrare il ponte come struttura intimamente legata al cervelletto. Nel periodo successivo si ebbe una descrizione accurata della struttura anatomica della corteccia cerebellare e la scoperta delle strutture sottocorticali, ottenuta mediante sezione del cervelletto, consentì di individuare i nuclei intracerebellari inclusi all'interno della sostanza bianca. In parallelo, vi fu anche una crescita, talvolta caotica, della terminologia delle sue parti. M. Malpighi, nel 1665, descrisse la ramificazione delle fibre del cervelletto, e nel 1684 R. Vieussens identificò i nuclei intracerebellari. Alle suddivisioni del cervelletto cominciarono a essere attribuiti dei nomi. M. Malacarne nel 1776 battezzò molte regioni del cervelletto in base alla loro somiglianza con altri oggetti, quali lingula (linguetta) e uvula (ugola). A Malacarne si deve la prima ipotesi secondo la quale il cervelletto è coinvolto in processi di plasticità. Egli notò una grande variabilità nel numero di folia cerebellari che andava da 500 a 780. Inoltre riportò che i folia di un idiota erano 340. In una serie di lettere scambiate con l'anatomista svizzero C. Bonnet, egli si chiedeva se tale variabilità fosse innata o non piuttosto il frutto dell'esperienza. In queste lettere propose di far crescere coppie di animali gemelli in condizioni ambientali diverse per verificare la sua ipotesi. Non è noto se tale esperimento sia mai stato eseguito. Uno degli ultimi lavori di anatomia descrittiva fu quello di J. Reil, il quale usò la tecnica di fissazione con alcol per avere una visione più chiara della struttura. Egli interpretò la disposizione regolare dei folia cerebellari come i costituenti di una pila di Volta e quindi capace di generare una specie di elettricità animale. Questo atteggiamento rifletteva la tendenza, che ancora ci accompagna, a interpretare la funzione in termini delle più recenti scoperte della fisica. Le prime ipotesi sulle funzioni del cervelletto si basarono su dati sperimentali molto deboli. La scoperta di Volta di una produzione di elettricità da un contatto bimetallico era una delle più recenti acquisizioni della fisica. Reil e altri pensarono che gli strati alterni di sostanza bianca e grigia costituissero una specie di pila voltaica. Altre interpretazioni si basarono su prove ancora più deboli. I frenologi intravidero nel cervelletto l'organo della sessualità, e la proposta fu presa in seria considerazione da alcuni, ma rigettata da altri. G. Andrai, che fu tra i sostenitori, nelle sue lezioni sulle malattie del cervello, pubblicate sulla rivista «The Lancet» (1835-36), citò M. Voisin, il quale aveva studiato le teste di 372 condannati e detenuti nelle galere di Tolone. Sulla base della forma del cranio egli identificò 20 di questi pazienti come potenziali colpevoli di reati sessuali. In effetti, 13 di loro erano stati condannati per stupro come attentatori della castità femminile. Voisin citava a sua volta il dott. Ferraresi di Torino, il quale aveva curato una giovane donna affetta da ninfomania, e due uomini che soffrivano di una incorreggibile tendenza alla masturbazione, con l'applicazione di ghiaccio alla parte posteriore della testa al di sotto della protuberanza occipitale. In quello stesso periodo, i risultati di esperimenti sugli animali suggerirono un'interpretazione più accurata delle funzioni cerebellari. L. Rolando, nel 1804, sostenne che la mancanza di attività motoria era proporzionale alla lesione più o meno grande indotta nel cervelletto, e concluse che il cervelletto era la regione del cervello responsabile di iniziare i movimenti, ma i suoi esperimenti erano piuttosto grossolani. Con lo sviluppo delle abilità chirurgiche, e in seguito all'applicazione di tecniche asettiche, fu possibile una più accurata valutazione degli effetti delle lesioni cerebellari. Due dei più grandi sperimentatori del XIX secolo furono J.-M.-P. Flourens e L. Luciani. L'osservazione fondamentale di Flourens (1824) fu che dopo lesioni cerebellari, gli animali non erano paralizzati e il fatto che i movimenti fossero ancora presenti lo portò a concludere che era piuttosto la coordinazione dei movimenti a essere alterata. Flourens prese pure in seria considerazione le funzioni sessuali del cervelletto. Egli rimosse il cervelletto nel gallo maturo. L'animale era ancora interessato alle galline, ma la sua disfunzione motoria rendeva difficile l'espressione dei suoi desideri verso di esse. La descrizione di Flourens degli effetti delle lesioni cerebellari rimase un lavoro definitivo per la maggior parte del secolo. Nel 1891 Luciani, che nel frattempo aveva ulteriormente raffinato le tecniche chirurgiche e le procedure di sterilità, riprese il problema dei sintomi cerebellari. Luciani distinse fra effetti immediati e transitori ed effetti più duraturi. Egli sottolineò che le conseguenze permanenti delle lesioni cerebellari potevano essere interpretate in termini di deficit più elementari nel controllo motorio. Secondo Luciani i tre sintomi cardinali erano atonia, astenia e astasia, che corrispondono rispettivamente a mancanza di tono muscolare, riduzione della forza di contrazione e tremore durante l'esecuzione di movimenti volontari. Tuttavia egli non trovò prove della localizzazione di funzioni nel cervelletto. Gli studi condotti con tecniche di lesione negli animali influenzarono profondamente l'interpretazione dei sintomi in clinica. Due grandi neurologi ottennero su pazienti dati sperimentali di grande rilievo. J. Babinski, dopo Flourens, confermò l'esistenza di deficit di coordinazione, specialmente fra muscoli antagonisti, che si potevano rilevare durante l'esecuzione di sequenze rapide di movimenti (adia-dococinesi), mentre G. Holmes, sulla base degli esperimenti e delle conclusioni di Luciani, sottolineò la perdita di tono muscolare, la debolezza della contrazione e l'affaticamento. All'inizio, gli studi di anatomia comparata rivelarono fra i vertebrati somiglianze e differenze della struttura cerebellare. Vesalio e altri avevano sottolineato che le pieghe e le fissure del cervelletto sembravano molto meno variabili fra le diverse specie di mammiferi di quanto non si osservasse nella corteccia cerebrale. Pochi autori avevano notato differenze sistematiche nella superficie cerebellare. Uno dei grandi contributi, oggi poco riconosciuto, si deve all'anatomista olandese L. Bolk, che paragonò la struttura del cervelletto in 69 differenti specie animali. Egli divise il cervelletto in quattro regioni fondamentali: un unico lobo anteriore con il lobulo simplex, un verme posteriore e un paio di emisferi cerebellari. Egli sostenne che ciascuna di queste quattro suddivisioni si basava su «centri di crescita» indipendenti, e adottò uno schema generale applicabile praticamente a tutti i mammiferi. Infatti, dimostrò che vi è una sequenza di folia che è continua dalla parte rostrale fino a quella caudale. I folia più anteriori costituiscono il lobo anteriore per continuare lungo l'intero verme fino alla parte più caudale. Immediatamente dietro il lobulo simplex la sequenza dei folia si divide in tre parti: una catena centrale continua caudalmente come verme, mentre i due emisferi posti lateralmente divergono. Nonostante che in molti mammiferi l'aspetto del cervelletto appaia contorto, Bolk sottolineò come vi fosse continuità nella catena di folia sia nel verme che negli emisferi. Lo schema generale di Bolk (1906) fu adottato e ampliato da O. Larsell, il quale fece notare che i folia del verme caudale sono in continuazione con i corrispondenti folia degli emisferi. Larsell identificò dieci zone fondamentali del verme e le denominò con numeri romani dalla parte rostrale verso quella caudale (le corrispondenti regioni emisferiche furono identificate con gli stessi numeri da I a X preceduti dalla lettera H. Così, ad esempio, la regione emisferica del lobulo VI fu chiamata HVI). Fin dall'inizio fu chiaro che dopo lesione del cervelletto vi è un notevole recupero funzionale. In casi estremi, sulla base dell'esame clinico di pazienti con agenesia cerebellare, è stato perfino proposto che il cervelletto non sia normalmente importante per i movimenti abituali. Per quanto molti autori abbiano concluso che l'agenesia del cervelletto non è necessariamente associata ad alterazione delle funzioni motorie, tale conclusione è verosimilmente errata. La giovane donna studiata da G. Anton e H. Zingerle non imparò mai a parlare chiaramente, anche se era in grado di comprendere il linguaggio. Fino all'età di tre anni non fu in grado di stare in piedi e, successivamente, ebbe bisogno di aiuto. L'identificazione di cellule e fibre nel cervelletto fu molto importante per lo sviluppo della dottrina del neurone. Di fatto, le prime cellule del cervello umano furono accuratamente descritte da J. Purkyn (Purkinje) nel 1837, due anni prima della formulazione della dottrina cellulare elaborata da Th. Schwann. All'epoca di Purkyn non erano disponibili tecniche per fissare e colorare il tessuto nervoso. Paradossalmente, il più importante contributo per lo sviluppo degli studi di istologia del cervelletto e per convalidare la dottrina del neurone fu la cosiddetta «reazione nera» di C. Golgi. Egli identificò due tipi di cellule nel cervello, quelle con assone lungo (tipo I) e quelle con asso-ne breve che ramificavano in un territorio ristretto (tipo II) e osservò che le cellule con assone lungo avevano rami collaterali. Si noti che gli assoni delle cellule a canestro si estendono oltre la base delle cellule di Purkyn. Anche Golgi, come Bolk, fece un errore fondamentale: assumere che le connessioni funzionali importanti del cervello fossero dovute alla fusione di assoni in plessi. Egli ritenne che il plesso fosse formato da collaterali di assoni e da rami di assoni afferenti (teoria reticolare dell'organizzazione neuronale). Il soma e i dendriti avevano soltanto funzioni trofiche. Le ipotesi di Golgi costituirono oggetto di disputa con S. Ramon y Cajal. Questi sosteneva che non vi era fusione di assoni o di dendriti, ma che l'interazione tra neuroni avveniva per contatto fra un assone e il soma o i dendriti di una cellula che si trovava a valle della catena neuronale. Inoltre, Cajal descrisse due tipi di fibre afferenti alla corteccia cerebellare: le fibre muscoidi e le fibre rampicanti. A partire dagli anni '60 del '900, per il cervelletto iniziò una nuova fase (Eccles, Ito e Szentàgothai, 1967). J. Szentàgothai, con i suoi studi di morfologia, e J. Eccles, con quelli di elettrofisiologia, fornirono per la prima volta una descrizione precisa dell'architettura funzionale dei circuiti cerebellari, con l'identificazione della natura eccitatoria e inibitoria dei singoli neuroni, e dell'origine delle fibre afferenti che terminano come fibre rampicanti e che hanno il loro corpo cellulare nell'oliva inferiore. Nello stesso periodo Ito dimostrò la natura inibitoria delle cellule di Purkyn. Quest'ultima scoperta andava contro il dogma che i neuroni inibitori fossero interneuroni locali deputati a cambiare il neurotrasmettitore e trasformare l'effetto di un segnale afferente eccitatorio in inibizione. Le cellule di Purkyn, infatti, sono neuroni ad assone lungo che dalla corteccia si estendono ai nuclei intra-cerebellari e al tronco dell'encefalo. Notevole fu anche il contributo di J. Voogd (1969), il quale dimostrò che la corteccia cerebellare era organizzata in una serie di lunghe bande parasagittali contigue. Ogni banda riceve afferenze da un gruppo ben delimitato di cellule dell'oliva inferiore e a sua volta proietta a una precisa area dei nuclei intracerebellari. L'orientamento di tali bande risulta pertanto perpendicolare alla direzione dei folia e quindi delle fibre parallele. L'organizzazione longitudinale delle bande è stata corroborata da ricerche di elettrofisiologia condotte in modo particolare da O. Oscarsson. Tali bande sono poi state correlate con le funzioni motorie della corteccia cerebellare. Le bande più mediali sono deputate alla regolazione della muscolatura assiale, mentre quelle più laterali ai movimenti degli arti. Queste nuove scoperte fornirono le basi per tutti gli studi successivi, fino ai tempi nostri, sulla fisiologia del cervelletto, e inoltre fornirono un modello di studio eccellente per varie tematiche inerenti alla neurobiologia. Un'altra svolta importante si deve al lavoro di un matematico, D. Marr (1969), diventato famoso per la formulazione di modelli di funzionamento del sistema nervoso. Marr parti dall'esame dell'architettura cerebellare e forni, per la prima volta, un'ipotesi sul ruolo dei due sistemi afferenti alla corteccia cerebellare che terminano come fibre mu-scoidi e rampicanti. Egli suggerì che il cervelletto poteva funzionare come un perceltrone dove i segnali portati alla corteccia attraverso l'alto numero di granuli, con le loro fibre parallele (il numero di granuli nell'uomo è di circa 10ˡˡ), potevano essere rafforzati mediante un aumento duraturo dell'efficacia sinaptica a livello delle cellule di Purkyn, indotto dalla contemporanea scarica delle fibre rampicanti. In altre parole, le fibre rampicanti servirebbero come veicoli di un'informazione di errore del movimento, rilevato in periferia, durante la fase di apprendimento di un compito motorio. Il cervelletto, dunque, sarebbe la sede della memoria motoria. J. Albus modificò tale teoria proponendo che la modificazione sinaptica a lungo termine tra fibra parallela e cellula di Purkyn consistesse in una depressione. Questa ipotesi è stata sottoposta a verifica sperimentale con una serie di esperimenti eseguiti soprattutto da Ito nel sistema vestibolo-oculare. Egli, dapprima, dimostrò che senza il flocculo cerebellare non era possibile calibrare l'ampiezza del riflesso vestibolare in seguito all'esperienza visiva e, successivamente, dimostrò per la prima volta che la stimolazione congiunta delle fibre parallele e rampicanti portava a una depressione di lunga durata delle sinapsi fra fibra parallela e cellula di Purkyn (Ito, 1984). Oggi tale teoria prende il nome di teoria di Marr-Albus-Ito. Si deve poi principalmente a R. Thompson e Ch. Yeo la dimostrazione che il cervelletto è coinvolto nella memoria legata al riflesso condizionato classico dell'ammiccamento. In tempi recenti è stato proposto che il cervelletto sia coinvolto nel controllo di funzioni non motorie. La stimolazione del verme induce comportamenti emotivi nell'animale e sintomi psicotici nell'uomo. Inoltre, in diverse patologie del cervelletto sono stati descritti disturbi della sfera emotiva come la paura e la depressione. Infine, attualmente si sono accumulate prove che il cervelletto sia anche coinvolto in funzioni nervose superiori come la coscienza e il linguaggio: Tale concetto è emerso dalla considerazione che nell'uomo e nei primati superiori questa struttura è composta da un verme di dimensioni relativamente ridotte e da emisferi molto grandi. Inoltre, in pazienti con lesioni dell'emisfero destro del cervelletto si hanno difficoltà a svolgere compiti che richiedono di esprimere un verbo appropriato quando viene suggerito un nome. Per esempio, se a un paziente si dice la parola «albero», una risposta adeguata potrebbe essere «arrampicarsi»: le risposte più frequenti, invece, non sono correlate con il concetto di «albero». Siccome l'emisfero cerebellare di destra è connesso con l'emisfero cerebrale di sinistra, in cui risiede l'area del linguaggio di Broca, si ritiene che il cervelletto sia necessario per facilitare l'insorgenza di un verbo appropriato. Tuttavia, questi nuovi dati sono ancora oggetto di controversia e pertanto il ruolo del cervelletto nei processi cognitivi è ancora un'intensa area di studio. MITCHELL GLICKSTEIN e PIERGIORGIO STRATA |