Carattere

Il «carattere» in senso etimologico è il segno distintivo di riconoscibilità di un ente sia nella sua struttura che nella sua funzione. In psicologia, invece, i caratteri sono modi abituali di percepire, reagire e comportarsi che distinguono un individuo da un altro. Una classificazione selettiva e coerente di caratteri porta a enucleare delle tipologie che descrivono omogeneamente vocazioni o attitudini morali tipiche, definite anche come caratterologie. Teofrasto nei suoi Caratteri descrisse i tipi del bugiardo, dell'adulatore, dell'avaro, ecc.; tale tradizione classica dello studio del carattere rimarrà attiva nelle epoche successive, coinvolgendo in modo particolare la letteratura e il teatro. La metodologia su cui si fondava questa caratterologia letteraria era quella congeniale alle capacità descrittive e intuitive del narratore. I caratteri erano tratteggiati in base a racconti esemplificativi e bozzettistici che delineavano le differenze fra l'uno e l'altro tipo; l'originario elenco di Teofrasto servi da modello e fu arricchito da molti altri «caratteri». La logica classificatoria sottesa alle caratterologie letterarie era ricca di pregiudizi moralistici, e i caratteri venivano elencati solitamente in base al senso comune e alla cultura dello scrittore. J. de La Bruyère, moralista francese del '600, è ricordato come l'autore che, dopo Teofrasto, elaborò la caratterologia di maggior successo, tutta volta a descrivere gli aspetti più oscuri e contraddittori della natura umana. A partire dal '700 la caratterologia andrà gradualmente affermandosi anche con modalità desunte dalle scienze naturali; la logica della spiegazione su base empirica dei caratteri sostituì la logica descrittiva e soggettivistica della caratterologia letteraria. In tal senso, una concezione del carattere si ritroverà negli scritti di orientamento frenologico e poi, soprattutto, nei lavori dei biotipo-logisti. Lo studio dell'individuo e dei tipi psicologici, fino alla prima metà del '900, soprattutto nei paesi dell'Europa centrale, si diffuse quindi come «caratterologia»; in seguito la caratterologia, in quanto scienza degli individui, fu progressivamente sostituita dalla psicologia della personalità, ambito disciplinare che, dagli anni '30, si radicò prima negli Stati Uniti e poi negli altri paesi industrializzati.

Lo studio del carattere era, soprattutto in Europa, sinonimo di indagine sulle differenti tipologie temperamentali e in tal senso, a partire dall'800, molti ricercatori svilupparono una personale «teoria del carattere»: A. Bain, J. Bahnsen, Th. Ribot, G. Le Bon, A. Binet, B. Perez, F. Paulhan, A. Fouillée, F. Queyrat, A. Lévy, L. Klages furono tutti autori che si occuparono in modo specifico di caratterologia. Ma alcuni ricercatori, più di altri, influenzarono le successive indagini scientifiche.

Le più influenti teorie del carattere, elaborate fra '800 e '900, possono sostanzialmente essere classificate secondo tre punti di vista: 1) caratterologie fondate su correlazioni del carattere con aspetti somatici, antropometrici e costituzionali; 2) caratterologie costruite su correlazioni del carattere con i sistemi o concetti legati alla fisiologia che rifletterebbero differenze temperamentali (prospettiva psicofisiologica); 3) caratterologie derivate dalla verstehende Psychologie e di ispirazione fenomenologica. Le prime due tradizioni di ricerca sono accomunate dall'intento di correlare il carattere con aspetti corporei o comunque legati alla biologia umana. Una differenza può essere rintracciata rispetto alle variabili che di volta in volta il ricercatore evidenziava come determinanti della propria teoria del carattere. Tra le caratterologie costruite soprattutto in base ad aspetti costituzionali e biotipologici, occorre ricordare quelle di C. Sigaud, L. MacAuliffe, A. De Giovanni, N. Pende, E. Kretschmer e W. Sheldon, mentre fra le tipologie derivate da concezioni differenziali di aspetti psicologici correlati ad aspetti fisiologici occorre menzionare quelle che fanno riferimento ai nomi di Ribot, P. Malapert, G. Heymans ed E. Wiersma e soprattutto I. Pavlov (Lombardo e Foschi, 2002; Roback, 1927; Strelau, 1998). La tradizione fisiognomica che legava le proporzioni dell'intero corpo al carattere si deve far risalire agli studi di G. Della Porta; J. Lavater, al contrario, aveva considerato soprattutto gli elementi differenziali del volto come lo specchio del carattere. Della Porta caratterizzò invece la sua «fisiognomica» come studio del temperamento nella sua correlazione con il corpo, dove vengono descritte le proporzioni delle varie parti del fisico, ed è dato risalto alle differenti lunghezze del tronco nella categorizzazione dei caratteri. Nella tradizione costituzionalista, che fu per lo più di matrice medica, l'individuazione di un legame fra l'aspetto fisico, il carattere e l'intelligenza risultava un irrinunciabile presupposto della ricerca.

Soprattutto in Italia, dalla seconda metà dell'800, fiori una vera e propria scuola caratterologica, morfologica e biotipologista, che idealmente si collegava alla tradizione ippocratico-galenica e che giunse a classificare tipi temperamentali in base a correlazioni morfologiche e costituzionali. A. De Giovanni fondò, sulla base della misurazione antropometrica, questa tradizione costituzionalista, e classificò le persone in brevi-linei, longilinei e normali, sulla base della rilevazione di differenze nella struttura del tronco. Gli allievi di De Giovanni, G. Viola e N. Pende, stabilendo delle correlazioni fra misure antropometriche e funzionamento endocrino, perfezionarono l'approccio del maestro; in particolare, Pende (1947) giunse a una biotipologia che correlava misure morfologiche ed endocrine con il carattere. In questa visione, il carattere risulterebbe un epifenomeno delle funzioni ghiandolari.

Pende, in una prospettiva metodologica di tipo anatomo-clinico, elaborò una complessa tipologia «ormonale» della personalità, fondata sull'individuazione di differenti costituzioni fisiche, che ebbe una vasta eco nella cultura scientifica italiana. Egli basò la sua classificazione differenziale del carattere sul presupposto che ognuna delle caratteristiche comportamentali evidenziabili corrispondesse al funzionamento delle ghiandole endocrine. Quindi, classificò almeno dieci grandi categorie «morfologico-somatiche» del carattere: tipo ipertiroideo, ipotiroideo, iperpituitario, ipopituitario, ipersurrenalico, iposurrenalico, ipergenitale, ipogenitale, ipertimico e ipoparatiroideo; ad ognuno di questi tipi corrispondeva una «faccia» morfologico-costituzionale di tipo longilineo (stenico o astenico) o brevilineo (stenico o astenico).

Sempre sul versante costituzionale, E. Kretschmer e W. Sheldon costruiranno invece una tipologia del carattere fondata sulla corrispondenza con la morfologia somatica che avrà importanti ricadute in ambito psicopatologico. Per Kretschmer (1921) il carattere, attraverso la mediazione del sistema umorale, era correlato con la costituzione fisica. Egli approdò pertanto a una teoria differenziale della costituzione in cui a una determinata tipologia somatica corrisponderebbe, oltre che una diversificazione del carattere, una caratteristica predisposizione psicopatologica. La sua teoria differenziale, sulla base della comparazione di molte misurazioni di differenti porzioni del corpo umano, individuava quattro tipologie caratterologiche principali: il tipo astenico, l'atletico, il picnico e il displasico. Il tipo astenico risulterebbe caratterizzato da corpo longilineo ed elevata attività mentale con tendenza all'isolamento, e in questa categoria sarebbero maggiormente rappresentati gli schizofrenici; il tipo atletico, in equilibrio fra l'astenico e il picnico, viene considerato un normotipo; il tipo picnico è obeso con inclinazione alla calma e all'immobilità; questi sarebbe socievole e tenderebbe alla ricerca di compagnia; in tale categoria risulterebbero maggiormente rappresentati i disturbi dell'umore; il tipo displasico è caratterizzato da corpo asimmetrico, con tendenza alla bruttezza fisica e alla disarmonia comportamentale. Sheldon, d'altro canto, utilizzò la comparazione di immagini fotografiche, ricavandone una caratterologia costituzionale che classificava i soggetti entro tre grandi categorie: l'endomorfia, la meso-morfia e l'ectomorfia. L'endomorfo è rotondeggiante e molle, il mesomorfo muscoloso e robusto, mentre l'ectomorfo allungato e fragile. Dal punto di vista psicologico-temperamentale all'endomorfo corrisponderebbe un carattere viscerotonico (espansivo, estroverso, socievole con tendenza ai disturbi dell'umore), al tipo mesomorfico corrisponderebbe un carattere somatotonico (attivo, energico, operoso e aggressivo) e, infine, all'ectomorfo sarebbe correlato un carattere cerebrotonico (chiusura in se stesso, timidezza, inibizione, irritabilità con tendenza alla schizofrenia).

Nella prima metà del '900 l'approccio costituzionalista ebbe una grande diffusione, sia in Europa che negli Stati Uniti. Occorre aggiungere che tale approccio e gli studi dell'espressione mimica, anch'essi di originaria matrice fisiognomica e temperamentale, furono tragicamente utilizzati per la diagnosi del carattere dal fascismo italiano e dal nazismo tedesco, sia nella selezione professionale e lavorativa, sia come giustificazione «pseudoscientifica» del razzismo; probabilmente sia per l'uso razzista ed eugenista di questi modelli del carattere, sia per la loro concezione intrinsecamente statica, descrittiva e fatalista degli individui, sia per l'assenza di un significativo sostegno sperimentale, la prospettiva costituzionalista ha progressivamente perduto rilevanza nella ricerca scientifica sulla personalità. Già G. Allport (1937) valutò criticamente il contributo di Kretschmer, trovando insignificanti le connessioni ipotizzate fra corpo, carattere e profilo psicopatologico. Per questi il corpo non poteva essere considerato il fondamento del carattere; ciononostante Allport ritenne il temperamento come prodotto della «chimica» del corpo e medium di collegamento tra corpo e carattere, una nozione, elaborata dall'approccio biotipologico, meritevole di sistematici approfondimenti. L'indagine sul temperamento, per lo più sconnessa da pseudoscientifiche dimensioni fisiognomiche, costituisce oggi un'area di ricerca che mantiene elementi di continuità fra le caratterologie, le biotipologie e la moderna psicologia della personalità.

La seconda tradizione di studi caratterologici, storiograficamente identificabile, descrive il carattere correlandolo alla fisiologia umana in generale, o più specificatamente come prodotto epifenomenico di differenti tipi di funzionamento del sistema nervoso. In tal senso, questi studi sono collegabili a una tradizione di ricerca che si può definire come psicofisiologica ed è intrecciata alle indagini su differenti tipi di temperamento. Tale tradizione, diversa da quella biotipologica e che non fa riferimento a misure del corpo come dimensioni di differenziazione o correlazione fra gli individui, rappresenta una prospettiva di ricerca della psicologia scientifica delineatasi a partire dalle sue origini ottocentesche; i ricercatori che si mossero in questo ambito spesso si riferivano a tipi di funzionamento del corpo umano e del sistema nervoso, assunti da una fisiologia e una neurofisiologia «concettuale» che, differenziandosi dalla neuroanatomia descrittiva, elaborava i primi modelli funzionalistici del sistema nervoso correlatori a differenti tipi caratteriali. In tal senso, fra i primi Ribot, nel 1892, propose una classificazione del carattere distinguendo tra individui attivi-sensibili e apatici. Malapert proseguì il lavoro del maestro proponendo una successiva classificazione in sei tipi caratterologici - apatici, affettivi, intellettuali, volontari, attivi, temperati - che risulterebbero dalla combinazione di tre elementi di baci sensibilità-intelligenza, volontà, socievolezza. Nella tradizione francese ritroviamo anche una caratterologia che richiama una nota tipologia moderna; Binet nel 1903 descrisse il carattere in base a una differente attitudine percettiva orientata verso l'esterno (tipo «obiettivo») o verso l'interno (tipo «soggettivo»), similmente alle contemporanee tipologie dell'estroverso e dell'introverso descritte in base a un differente funzionamento fisiologico.

In una prospettiva affine, S. Freud e C. G. Jung formularono differenti teorie caratteriali sempre riferibili a una originaria matrice temperamentale e fisiologica. Il primo propose una caratterologia fondata sulle fasi di sviluppo della libido, fornendo soprattutto una descrizione del cosiddetto carattere anale; Jung ritenne invece che il carattere differisse per il diverso legame libidico che unisce il soggetto con gli oggetti circostanti: all'estroverso, che investe di libido il mondo circostante, si contrappone l'introverso, in cui è il polo soggettivo a essere investito dalla libido. In questa concezione erano quindi contemplate due disposizioni del carattere, l'estroversione e l'introversione, che Jung correlò con la predominanza di quattro diverse funzioni psichiche; due di esse - l'intuizione e la sensibilità - risulterebbero maggiormente emotive e irrazionali, altre due - il pensiero e il sentimento -sarebbero connotate da «razionalità».

Fra le teorie pulsionali del carattere occorre ricordare quella di W. Reich, che concettualizzò il carattere come un'organizzazione di mediazione fra la spinta al soddisfacimento delle pulsioni e il loro «imbrigliamento». Il carattere risulterebbe dunque come un'istanza emergente dal conflitto tra la sessualità e la repressione sociale e si configurerebbe come una struttura di protezione dell'individuo dalla sua realtà psichica, una sorta di «armatura» tramite la quale si entra in contatto con gli altri e che si manifesta nello scontro tra bisogni naturali e realtà sociale che non è in grado di soddisfare pienamente queste tendenze psicofisiologiche. Queste caratterologie, in realtà, non avevano un aggancio con la concreta ricerca neurofisiologica, e risultavano piuttosto delle classificazioni teorico-concettuali elaborate sulla base di un ragionamento solo indirettamente riferito alla ricerca sperimentale.

Agli inizi del '900 si assistette però in Europa anche al fiorire delle prime ricerche psicofisiologiche sul carattere che «oltrepassavano» elaborazioni meramente concettuali, Leoriche, filosofiche o letterarie, e che derivavano da indagini empiriche o laboratoristiche. Dobbiamo probabilmente a G. Heymans un primo tentativo di fondare su basi empiriche una caratterologia temperamentale. Egli descrisse un sistema fondato su tre inclinazioni temperamentali, l'emozionalità, l'attività e la risonanza primaria o secondaria, concetti ispirati dal modello di funzionamento del sistema nervoso elaborato da O. Gross. Heymans ed E. Wiersma cercarono la convalida empirica di questo modello del carattere con una ricerca psicometrica, per certi versi paradigmatica, che servi agli studiosi a differenziare otto tipi caratteriali che risultavano dalla correlazione delle tre caratteristiche temperamentali fondamentali (emozionalità, attività e risonanza primaria o secondaria). Ma il più noto e fruttuoso tentativo di descrivere una caratterologia su basi psicofisiologiche fu quello elaborato da Pavlov, che propose un modello differenziale di funzionamento del sistema nervoso come base su cui costruire una tipologia differenziale del carattere. Egli notò differenze nella sensibilità dei cani al condizionamento e, su questa base, derivò una caratterologia riflessologica elaborata a partire dagli esperimenti sui cani e generalizzata all'essere umano in cui descriveva tipi di sistema nervoso deboli e forti che esprimevano caratteri dello stesso tipo.

A partire dal primo dopoguerra iniziò a diffondersi una terza tradizione di studi caratterologici, collegabile alla verstehende Psychologie e alla filosofia fenomenologico-esistenziale europea, che si differenziò dalle altre due in quanto espressione di una critica all'impostazione positivista dell'indagine sul carattere. Lo storicismo diltheyano rappresentò un primo aggancio per tutti coloro che credevano impossibile categorizzare l'individualità entro rigide classificazioni prototipiche di tipo costituzionale e psicofisiologico. Alle caratterologie biotipologiche e psicofisiologiche si affiancarono teorie, anche differenziali, che facevano riferimento al carattere come istanza morale che guida nei singoli la concreta esperienza individuale. Massimo esponente di questa prospettiva fu E. Spranger, allievo di W. Dilthey, che elaborò una psicologia dei «valori» in base alla quale era possibile descrivere caratteri distinguibili sulla base dei valori cardinali della vita di ognuno. Per Spranger le persone dovrebbero, quindi, essere schematicamente suddivise, in base ai rispettivi riferimenti a sistemi di valori di fondo, nei caratteri religioso, estetico, teoretico, economico, sociale o politico. Lo stesso Allport riconobbe la caratterologia di Spranger come una delle principali fonti della propria psicologia della personalità.

A partire dai medesimi presupposti, anche A. Gemelli propose un indirizzo caratterologico che si poneva in discontinuità con le altre caratterologie fondate sulle biotipologie, sull'antropologia lombrosiana o sulla mera psicofisiologia (Lombardo e Foschi, 2000). Gemelli analizzò criticamente la logica riduzionista dell'approccio biotipologico come incapace di cogliere la complessità e la dinamicità del carattere. Egli propose un orientamento «finalistico» che aveva come obiettivo quello di descrivere il carattere in funzione della relazione di adattamento individuo/ambiente. In questa visione il carattere perdeva le caratteristiche fataliste dell'immutabilità e della fissità proprie dell'approccio tipologico per diventare una strutturazione psicologica di natura reattiva all'ambiente. Compito della caratterologia non è pertanto quello di determinare i singoli tipi o caratteri e classificare gli esseri umani per il loro proprio carattere, ma di studiare la genesi dell'azione umana nelle sue caratteristiche individuali. Il punto di vista di Gemelli risulta paradigmatico e, per certi versi, analogo a quello contemporaneamente espresso da Allport che, dagli anni '20 del '900, fu il principale artefice di un graduale processo di sostituzione, all'interno della comunità scientifica, del termine carattere, favorendo al suo posto quello di personalità.

Dagli anni '30, com'è noto, la personalità sostituì del tutto il concetto di carattere nel mainstream della psicologia scientifica e, a partire dagli Stati Uniti, apparve una vera e propria psicologia della personalità con proprie finalità e metodi che solo parzialmente e criticamente attingeva alle tradizioni delle precedenti caratterologie. «Personalità» sembrò essere un termine neutro e maggiormente adatto come oggetto della ricerca e dell'intervento psicologico. L'indagine caratterologica è attualmente di scarso rilievo e il carattere rimane piuttosto un soggetto dell'indagine storiografica. In tal senso, I. Nicholson (1998) ha analizzato il complesso intreccio che condusse alla scelta del termine personalità dimostrando come Allport abbia abbandonato il «carattere», ritenendo tale termine carico di ingombranti ipoteche moralistiche e quindi di controversa utilità in quanto categoria di ricerca; la personalità, al contrario, entro la cultura scientifica, tecnologica e imprenditoriale del '900, divenne la nozione psicologica ideale per attuare specifiche politiche di ricerca e intervento.

GIOVANNI PIETRO LOMBARDO e RENATO FOSCHI