Attenzione

Il termine «attenzione» è troppo impreciso per permetterne un uso appropriato quando si vuole indicare uno specifico processo cognitivo. Tuttavia, è diventato così frequente nell'uso comune da non poterlo abbandonare, dunque la cosa migliore è usare degli aggettivi per indicare i vari aspetti dell'attenzione. L'importante è non dimenticare che, in realtà, non si tratta di aspetti diversi di uno stesso processo ma di processi diversi. Probabilmente, ciò che accomuna i vari procèssi che, nel linguaggio comune, sono impropriamente raccolti sotto il termine «attenzione» è la selezione. La selezione è il risultato comune di processi diversi: la divisione delle informazioni in due grandi categorie, la categoria delle informazioni che devono essere ulteriormente processate e la categoria di quelle che non devono esserlo. Per semplicità, ci si limiterà a trattare i tre aspetti principali dell'attenzione: spaziale, selettivo e intensivo.

Un osservatore può selezionare una porzione dello spazio che lo circonda orientandovi l'attenzione. L'orientamento più frequente riguarda lo spazio visivo e avviene grazie a una rotazione degli occhi e della testa. La rotazione degli occhi créa un problema per lo studio dell'attenzione, perché fa si che la posizione spaziale selezionata sia allineata, oltre che con il fuoco dell'attenzione, anche con la porzione della retina (la fovea) nella quale l'acuità è massima. Il primo problema da risolvere nello studio dell'attenzione spaziale è, perciò, quello di separare la direzione dell'attenzione dalla direzione dello sguardo. Fortunatamente, in laboratorio, ma anche nella vita di tutti i giorni, è possibile spostare l'attenzione nello spazio senza muovere gli occhi. Si distingue fra orientamento esplicito, accompagnato da movimenti oculari, e orientamento implicito, non accompagnato da movimenti oculari. Gli studi che hanno indagato gli effetti dell'orientamento implicito hanno dimostrato che il corretto orientamento dell'attenzione produce «benefici attentivi», cioè un processamento più efficiente, mentre l'errato orientamento dell'attenzione produce «costi attentivi». Se il compito richiede il processamento di informazione visiva (il riconoscimento di un oggetto, per esempio), il processamento sarà più efficiente (in termini sia di velocità che di precisione) quando l'attenzione spaziale è diretta sull'oggetto rispetto a quando è diretta da qualche altra parte.

Un'altra distinzione importante è quella fra orientamento volontario e orientamento automatico dell'attenzione spaziale. Entrambi possono avvenire con, oppure senza, movimenti oculari. L'orientamento volontario si verifica, per esempio, quando lo spazio visivo circostante è attivamente esplorato da un osservatore in cerca di qualche oggetto, per esempio il proprio ombrello in mezzo a molti altri. L'orientamento automatico si verifica quando l'attenzione è «catturata» da un evento improvviso, come l'apparire repentino di un oggetto molto luminoso alla periferia del campo visivo. Tre sono le caratteristiche principali che distinguono l'orientamento volontario da quello automatico: l'orientamento volontario può essere interrotto, è influenzato da quanto è noto all'osservatore sulle probabilità di trovare ciò che cerca, ed è rallentato se contemporaneamente l'osservatore deve svolgere un altro compito; l'orientamento automatico non può essere interrotto una volta iniziato, non è influenzato dalle conoscenze dell'osservatore e non è rallentato da un compito concomitante. L'orientamento implica che il fuoco dell'attenzione si muova nello spazio. Il fuoco dell'attenzione è stato descritto, metaforicamente, come un fascio di luce o come il fuoco di una lente che possono essere diretti su una posizione nello spazio. Gli oggetti presenti in questa posizione sono illuminati (metafora del fascio di luce), mentre quelli in altre posizioni rimangono al buio, oppure sono rappresentati in modo più dettagliato (metafora della lente) rispetto agli altri.

Le ricerche hanno dimostrato che il fuoco dell'attenzione si muove in modo continuo da una posizione all'altra, interessando, in tempi successivi, tutte le posizioni intermedie; che ha dimensioni variabili a seconda delle richieste del compito da svolgere; e che non ha confini netti, ma piuttosto sfuma gradualmente nello spazio circostante. Molto interessante è il fatto che esista una relazione inversa fra dimensioni del fuoco ed efficienza di processamento: più piccolo è il fuoco dell'attenzione, più efficiente è il processamento al suo interno, e viceversa. Va infine tenuto ben presente che il fuoco dell'attenzione può con difficoltà essere diretto su una posizione spaziale «vuota», non occupata da oggetti. Le operazioni del fuoco dell'attenzione avvengono più efficientemente quando la posizione sulla quale è diretto il fuoco dell'attenzione è occupata da un oggetto. E’ necessaria la presenza di un oggetto percettivamente saliente che agisca da bersaglio perché il fuoco dell'attenzione si sposti rapidamente e venga regolato con precisione. Dunque, l'evidenza empirica sembra favorire l'ipotesi «basata sull'oggetto» rispetto a quella «basata sullo spazio» per quanto riguarda gli spostamenti del fuoco dell'attenzione.

Si è visto che un osservatore può selezionare una posizione nello spazio (a condizione che sia occupata da un oggetto) e che l'informazione proveniente da questa posizione è processata in modo particolarmente efficiente. La posizione nello spazio è una caratteristica particolarmente importante per la selezione attentiva e si parla, appunto, di attenzione spaziale, per la quale esistono meccanismi nervosi specifici. Tuttavia, non è certo l'unica caratteristica che può essere selezionata. Si immagini una situazione nella quale sono presentati sullo schermo di un computer, tutti nella stessa posizione (in modo da non fare intervenire l'attenzione spaziale), degli oggetti che differiscono per colore (rossi, gialli o verdi), forma (quadrati, triangoli o cerchi) e dimensioni (3, 2 e 1 cm). Il compito dell'osservatore è di rilevare la presenza di uno stimolo bersaglio, che è, a volte, definito da una sola caratteristica (per es. rosso), dalla combinazione di due caratteristiche (un cerchio rosso), oppure dalla combinazione di tre caratteristiche (un cerchio rosso piccolo). Se lo stimolo è presentato per un tempo sufficientemente lungo (100 ms circa) e le caratteristiche sono ben discriminabili, il compito risulta facile. Anzi, nel caso di una singola caratteristica, può essere svolto in modo «preattentivo», cioè senza l'intervento dell'attenzione selettiva; l'attenzione selettiva interviene soltanto quando il bersaglio deve essere selezionato sulla base di una combinazione di caratteristiche.

Dunque, l'attenzione selettiva permette di selezionare per un ulteriore processamento gli oggetti visivi che possiedono una certa combinazione di caratteristiche, a spese di quelli che non la possiedono. Ci si può chiedere che fine facciano gli oggetti che non vengono selezionati, cioè quegli oggetti che non vengono ammessi a un ulteriore processamento grazie all'opera dell'attenzione selettiva. Ovviamente, la stessa domanda può essere posta per l'informazione che non viene ammessa a un ulteriore processamento grazie all'opera dell'attenzione spaziale. Che fine fa l'informazione che proviene da posizioni nello spazio sulle quali non è stata diretta l'attenzione spaziale?

Il destino dell'informazione non selezionata dall'attenzione spaziale o selettiva è spiegato in due modi molto diversi: l'ipotesi della selezione precoce e l'ipotesi della selezione tardiva. La prima sostiene che il processamento dell'informazione non selezionata è interrotto molto presto; la seconda sostiene che il processamento dell'informazione non selezionata è praticamente completo. A condizione che non diventi un soggetto sperimentale, un osservatore si trova normalmente di fronte a un ambiente complesso e ricco di oggetti. Per comportarsi in modo efficace deve selezionare alcuni di questi oggetti e trascurare gli altri. Come abbiamo visto, il problema viene risolto con l'orientamento dell'attenzione spaziale e con l'intervento dell'attenzione selettiva. Il fuoco dell'attenzione è diretto su una porzione delimitata dello spazio e alcuni degli oggetti che qui si trovano sono selezionati. Questi oggetti guidano il comportamento cosciente. La domanda cruciale è: che cosa accade agli oggetti che non sono stati selezionati dall'attenzione spaziale (che sono al di fuori del fuoco dell'attenzione) oppure non sono stati selezionati dall'attenzione selettiva (che non sono rilevanti per il comportamento in atto) ?

I sostenitori della selezione precoce affermano che soltanto singole caratteristiche fisiche degli oggetti (come il colore o la forma) possono essere processate senza l'intervento dell'attenzione spaziale o selettiva; sono cioè processate preattentivamente. Non è, però, possibile identificare oggetti che cadano al di fuori del fuoco dell'attenzione o le cui caratteristiche non siano combinate per mezzo dell'attenzione selettiva. Dunque, secondo l'ipotesi della selezione precoce, l'attenzione (spaziale e selettiva) agisce come un filtro che esclude dal processamento successivo gran parte dell'informazione che raggiunge gli organi sensoriali.

I sostenitori dell'ipotesi della selezione tardiva affermano che il processamento è identico, cioè completo, per tutte le caratteristiche degli oggetti, indipendentemente dall'intervento o meno dell'attenzione spaziale e selettiva. Gli oggetti che non sono selezionati dall'attenzione spaziale o selettiva sono processati completamente e identificati. Il filtro attentivo interverrebbe molto tardi, al momento dell'accesso alla coscienza e della selezione della risposta. Le molte ricerche che dimostrano che caratteristiche non rilevanti per il compito, e che perciò non sono selezionate, influenzano però l'esecuzione del compito stesso (per esempio, gli effetti Navon, Simon e Stroop e il priming negativo: Umiltà, 1997), sono invocate a favore della selezione tardiva. Infatti, se la selezione fosse precoce, il processamento delle caratteristiche non rilevanti dovrebbe essere bloccato molto presto e non si dovrebbero avere effetti di interferenza. Nella situazione sperimentale più nota, il compito Stroop, l'osservatore deve denominare il colore di una striscia di lettere. A volte, la striscia di lettere è una parola che denota colore, per es. giallo scritto in rosso. La risposta corretta è «rosso». Se la selezione fosse precoce, il significato della striscia di lettere, non rilevante per lo svolgimento del compito, non dovrebbe essere selezionato e non dovrebbe influenzare la risposta. Invece la risposta «rosso» è più lenta quando la striscia di lettere è giallo, piuttosto che rosso oppure barca.

Dunque, il significato della striscia è processato anche se non è selezionato. L'ipotesi della selezione precoce è contraddetta anche dai risultati ottenuti con pazienti affetti dalla sindrome di eminegligenza spaziale, causata da lesioni al lobo parietale (di solito, destro). La sindrome si manifesta come una gravissima compromissione dell'attenzione spaziale, con incapacità di orientare l'attenzione verso una metà dello spazio (di solito, sinistro). I pazienti si comportano come se lo spazio di sinistra non esistesse. A prima vista ciò pare confermare l'ipotesi della selezione precoce: l'attenzione spaziale non può orientarsi verso sinistra e ciò rende impossibile processare gli stimoli che provengono dalla metà sinistra dello spazio. Tuttavia, molte ricerche hanno dimostrato che l'informazione proveniente dalla parte sinistra dello spazio è completamente processata, anche se il risultato dell'elaborazione non ha accesso alla coscienza. Non abbiamo bisogno di molte prove per convincerci che è più difficile eseguire due compiti contemporaneamente che uno alla volta. È arduo cercare di risolvere un problema mentre si segue alla radio una partita. Ciò non è sempre vero, però. Non abbiamo difficoltà a parlare mentre camminiamo e neppure ad ascoltare la musica mentre leggiamo. In altri casi, la possibilità di eseguire in modo efficiente due compiti simultaneamente dipende dalle circostanze. In condizioni di traffico normale, non è difficile, per un guidatore esperto, condurre una conversazione con un passeggero, oppure ascoltare notizie alla radio. Risulta molto più difficile farlo durante un sorpasso o quando la visibilità è scarsa. Perché svolgere due compiti contemporaneamente può portare a uno scarso rendimento per almeno uno dei due? Se i due compiti che devono essere eseguiti contemporaneamente condividono uno stadio di processamento, o richiedono l'impiego di uno stesso meccanismo, è impossibile mantenere l'efficienza a un livello paragonabile a quello che si raggiunge quando i compiti sono eseguiti separatamente. E' praticamente impossibile masticare e parlare contemporaneamente. E molto difficile ascoltare musica mentre si segue una conversazione. Questi sono esempi di interferenza strutturale causata dalla competizione per meccanismi piuttosto periferici (muscoli e organi sensoriali).

L'interferenza strutturale può però verificarsi anche quando i due compiti competono per l'accesso a stadi di processamento centrale. I casi che interessano chi si occupa di attenzione sono quelli nei quali l'interferenza da doppio compito si verifica in assenza di competizione per un meccanismo (o stadio di processamento) comune. Guidare un'automobile e ascoltare un notiziario radiofonico sono due attività che non condividono alcun processo cognitivo. Si può, perciò, escludere un'interferenza strutturale. Tuttavia, un principiante è costretto a trascurare il notiziario se vuole guidare bene; e anche un guidatore esperto perderebbe i dettagli di molte notizie se la situazione del traffico rendesse la guida impegnativa. Dunque, l'interferenza da doppio compito si verifica anche quando non ci sono le condizioni per un'interferenza strutturale. Il fenomeno viene attribuito al fatto che i processi cognitivi non automatici richiedono una certa quota di «risorse» attentive (attenzione intensiva).

Poiché la quantità complessiva di risorse attentive a disposizione dell'organismo sarebbe limitata, tanto maggiore è la quota di esse impegnata per l'esecuzione di un compito, tanto minore è la quota residua disponibile per l'esecuzione di un secondo compito. Il compito che riceve la quota di risorse sufficiente per un'esecuzione ottimale viene di solito definito come «compito primario» (nell'esempio, il compito primario sarà, si spera, guidare). Il compito che riceve solo la quota residua di risorse e che, perciò, non sarà eseguito in modo ottimale, viene di solito definito come «compito secondario» (ascoltare il notiziario). In questa maniera si stima la quantità di risorse attentive erogate durante lo svolgimento di un compito (primario) sulla base del livello di prestazione ottenuto in un altro compito (secondario), svolto contemporaneamente. L'idea è che il compito secondario sia eseguito sfruttando le risorse attentive lasciate libere dall'esecuzione ottimale del compito primario. Il livello della prestazione nel compito secondario sarebbe, perciò, inversamente proporzionale alle quantità di risorse utilizzate dal compito primario. Per esempio, se la prestazione nel compito secondario è inferiore quando è eseguito contemporaneamente al compito primario A, rispetto a quando è eseguito contemporaneamente al compito primario B, si può concludere che il compito primario A richiede più risorse del compito primario B. Se il compito secondario non può essere eseguito contemporaneamente a un compito primario, ciò significa che quel compito primario utilizza tutte le risorse in quel momento disponibili.

Poiché manca una definizione precisa di che cosa esattamente si intenda per «risorse attentive», l'attenzione intensiva risulta essere un concetto molto più vago di quelli di attenzione spaziale e di attenzione selettiva.

II fatto stesso che i termini introdotti per indicarla siano molti, e usati in modo interscambiabile, ne attesta lo stato concettualmente incerto (per esempio, si parla anche di «impegno mentale e di «impegno attentivo»). E indubbio, tuttavia, che tutti abbiano, introspettivamente, esperienza dell'attenzione intensiva. E, infatti, molto facile intendersi quando si parla dell'intensità dell'attenzione (dell'impegno attentivo) necessario per eseguire bene una prestazione di qualche tipo.

La prestazione di un essere umano in molti compiti percettivo-motori si modifica profondamente con l'esercizio. Quando si impara a guidare l'automobile, a giocare a tennis o a suonare uno strumento musicale, inizialmente ogni singolo gesto è preceduto da una decisione cosciente. Le azioni richiedono molto impegno attentivo (attenzione intensiva) e sono lente e goffe, con frequenti errori. Non si può svolgere contemporaneamente nessun altro compito, neppure pensare all'azione successiva (interferenza causata da un doppio compito). Con il protrarsi dell'esercizio si verifica un grande cambiamento e l'esecuzione dell'azione diventa molto più facile. Intere sequenze di gesti si svolgono in modo fluido e veloce, in assenza di processamento cosciente, e richiedono scarso o nullo impegno attentivo. Gli errori sono rari. E possibile pensare a strategie anche complesse che guideranno le azioni successive.

Si può sostenere che ciò che caratterizza la prestazione dell'esperto è la possibilità di elaborare una strategia mentre sono eseguiti in modo rapido e accurato i gesti richiesti dalla situazione contingente. Cambiamenti simili si verificano non solo per compiti percettivo-motori, ma anche per compiti nei quali prevalgono le componenti puramente cognitive. Quando si impara a leggere in una lingua nuova è necessario molto impegno attentivo per assemblare le parole e pronunciarle. Il significato sfugge quasi completamente. Una volta diventati esperti, si possono processare molte lettere contemporaneamente, le parole emergono senza impegno attentivo e si afferra immediatamente il senso di ciò che si sta leggendo. Gli effetti dell'esercizio sulle attività umane sono così grandi e sorprendenti da avere indotto molti studiosi a sostenere l'esistenza di due modi di processamento: il processamento automatico e quello controllato.

Il processamento automatico compare con l'esercizio e non richiede attenzione intensiva (risorse attentive). Inoltre è rapido e non coinvolge la memoria a breve termine. Poiché non richiedono attenzione intensiva e non sono soggetti ai limiti della memoria di lavoro, diversi processi automatici possono svolgersi simultaneamente, in parallelo, senza causare interferenza. Introspettivamente, danno l'impressione di svolgersi senza monitoraggio cosciente. In genere, non possono essere interrotti volontariamente e, una volta iniziati, si completano. Il processamento controllato è lento, è soggetto ai limiti di capacità della memoria a breve termine e, soprattutto, richiede l'attenzione intensiva (risorse attentive). I processi controllati non possono svolgersi in parallelo ma devono svolgersi in serie, a causa sia dell'interferenza strutturale, dovuta alla competizione per l'accesso alla memoria a breve termine, che per l'interferenza dovuta alla competizione per le risorse attentive. Introspettivamente, i processi controllati danno l'impressione di essere sotto continuo monitoraggio cosciente e possono, perciò, essere volontariamente interrotti in qualsiasi momento.

CARLO UMILTÀ