Apprendimento

Il termine «apprendimento», in ambito psicologico, si riferisce a un complesso processo che, nella sua accezione più ampia, riguarda qualsiasi modificazione del comportamento di un qualsiasi organismo animale, non del tutto riconducibile a risposte innate o a meccanismi di maturazione. L'esposizione che segue si limita alla nozione di apprendimento specifico della specie umana, che sottintende la dimensione dello sviluppo verso modalità cognitive sempre più complesse.

Storicamente, la «teoria dell'apprendimento», nella sua accezione più ristretta, ha inizio nei primi anni del '900 con J. Watson (1924) e l'approccio comportamentista. Secondo questo modello, l'apprendimento è semplice acquisizione e consolidamento di determinate risposte causate da specifiche situazioni-stimolo, basate su sistemi più o meno complessi di ricompense. Negli anni '30 e '40 si sviluppa una prima prospettiva costruttivista, rappresentata da F. Bartlett (1932) con la teoria dello schema e l'approccio della Gestalt che, con le ricerche di G. Katona (1940), sottolinea il ruolo dell'organizzazione delle tracce e del loro significato. Secondo questa prospettiva, la realtà, e quindi il suo apprendimento, non può essere considerata come qualcosa di indipendente dal soggetto che la sperimenta, perché è il soggetto stesso a creare e costruire ciò che crede che esista. Contemporaneamente, B. Skinner (1948b) introduce il concetto di «scatola nera» e indaga il condizionamento operante (o condizionamento strumentale), che si distingue dal condizionamento classico. Mentre in quest'ultimo la presenza del rinforzo è segnalata dalla presentazione di un determinato stimolo, nel condizionamento operante il rinforzo positivo o negativo viene presentato solo se il soggetto fornisce una determinata risposta strumentale.

In seguito, tra gli anni '60 e '80, verranno studiati i meccanismi e i processi di apprendimento alla luce di una teoria cognitivista generale, che considera l'essere umano come un soggetto che trasforma, elabora, riduce, immagazzina e recupera l'informazione. Scopo di molti cognitivisti diventa dunque quello di individuare le procedure di elaborazione dei dati. Successivamente, anche i modelli teorici comportamentisti si sono evoluti, fino ad ammettere la legittimità epistemologica di ipotesi relative ai processi interni.

La principale teorizzazione sistematica di quegli anni sullo sviluppo cognitivo è quella di J. Piaget e della sua scuola, secondo cui la genesi della conoscenza è un progressivo sviluppo delle strutture cognitive verso forme sempre più sofisticate; da qui deriva lo studio dell'« epistemologia genetica» (Piaget, 1970). Le dimensioni fondamentali dello sviluppo cognitivo sono distinte in «funzioni» invarianti e «strutture» variabili. La prima funzione invariante è l'adattamento, che si articola in assimilazione, accomodamento e successivamente equilibrazione tra i due processi, che, quando non si realizza, porta a una struttura cognitiva nuova. L'assimilazione è il processo attraverso cui un nuovo dato, proveniente dall'ambiente esterno, viene inserito in schemi mentali sensomotori e concettuali già preesistenti; l'accomodamento invece è il processo con cui gli schemi vengono trasformati in funzione dell'interazione del soggetto con la realtà fisica e culturale. La seconda funzione invariante è l'organizzazione, che rappresenta la strumentazione cognitiva di cui il soggetto è dotato. Le strutture variabili sono il risultato del funzionamento cognitivo. I sistemi organizzati e integrati di azioni e di operazioni corrispondono agli stadi dello sviluppo cognitivo, che riflettono cambiamenti qualitativi nel contenuto e nella struttura cognitiva e che sono ordinati in una sequenza universalmente invariante, perché le strutture più primitive sono incluse gerarchicamente in quelle successive, e la progressione interna è garantita sul piano logico, prima che su quello psicologico.

Un elemento fondamentale, nei progressi della psicologia a partire dagli anni '60, è costituito dal riferimento al computer. Infatti, i suoi processi e modi di funzionamento consentirono di istituire analogie con i processi cognitivi umani, pervenendo a un vocabolario e a un sistema di concetti, e rendendo così possibile una rappresentazione del funzionamento della mente attraverso la simulazione di alcuni processi. Una revisione della teoria piagetiana è compiuta da una linea di ricerca denominata neopiagetiana, che ha mantenuto alcuni costrutti, come il cambiamento strutturale o la costruzione attiva degli stadi, ma ne ha introdotti altri tratti dal modello del computer, come quello di capacità limitata di memoria e di concetti specifici per dominio. I concetti o stadi specifici per dominio sono quelli che sono pertinenti solamente a una particolare area e implicano un'accurata analisi di sin: goli compiti (ad esempio il contare e il concetto di numero).

A partire dagli anni '80 sono emersi nuovi temi, come quello del cambiamento concettuale e degli scripts, a cui si riferisce K. Nelson (1986) nei suoi studi sullo sviluppo del ricordo di scene, eventi e storie nella vita quotidiana. In quest'ottica, la prima concettualizzazione prelinguistica del mondo è legata a generalizzazioni all'interno di una conoscenza di scripts, costituita cioè da sequenze spaziotemporali di azioni concatenate e contestualizzate. Generalizzazioni che, come le categorie superordinate presenti nel linguaggio e utilizzate dagli adulti, si riferiscono a ruoli funzionali, sono astrazioni dal mondo reale e sono denominate diversamente dagli elementi che le costituiscono, consentendo poi di stabilire una relazione semantica di tipo gerarchico. L'acquisizione della categorizzazione gerarchica è possibile perché l'uso del linguaggio da parte degli adulti fa scoprire al bambino la categoria generale e la relazione di inclusione: ciò lo conduce a una riorganizzazione concettuale mediata dalla rappresentazione semantica. Il linguaggio assume un ruolo essenziale nell'apprendimento, e quindi nella costruzione e trasmissione della conoscenza. Al riguardo le posizioni sono molto diverse, a seconda di quanto e come venga riconosciuto questo ruolo. Riconoscere il ruolo del linguaggio, infatti, significa riconoscere anche quello dell'interazione sociale: non solo perché questa è alla base del primo formarsi dellinguaggio, ma anche perché lo scambio sociale, in situazioni di insegnamento/apprendimento, è sempre mediato da forme diverse di linguaggio.

A questo proposito scaturiscono ricerche di grande rilevanza che muovono dalla teorizzazione di L. Vygotskij U934), poi sviluppata soprattutto negli Stati Uniti dalla corrente neovygotskijana. Il meccanismo essenziale dello sviluppo è dato, secondo Vygotskij, dal passaggio graduale dal sociale all'individuale, dal funzionamento interpersonale a quello intrapsico-logico: in questo passaggio avviene l'interiorizzazione delle funzioni psichiche superiori, che si manifestano prima nella relazione sociale e poi nel pensiero individuale. Lo sviluppo, e quindi anche l'apprendimento, è un processo di appropriazione di esperienze sociali preesistenti, cristallizzate in forme molteplici, quali possono essere sistemi di strumenti, oggetti prodotti, segni. Trasmissione della cultura e insegnamento sistematico possono «precedere» e sostenere lo sviluppo cognitivo, focalizzano l'attenzione e le risorse mentali del bambino, operano sulla sua zona di sviluppo prossimo, definita come la distanza tra ciò che riesce a fare da solo e ciò che è in grado di capire e/o di risolvere con l'aiuto di un adulto o di un compagno più competente: ciò porta anche a una misura dinamica, e non più statica, dell'intelligenza.

In questo quadro teorico si possono identificare due direzioni di ricerca: una «sociale», che evidenzia il ruolo dell'altro nella costruzione della conoscenza individuale, e una «linguistica», relativa al passaggio dal linguaggio per gli altri al linguaggio per sé, e alla successiva disponibilità di un metalinguaggio. Lo studio del ruolo delle relazioni sociali nell'apprendimento ha contribuito a chiarire i modi in cui l'intervento dell'adulto può sostenere l'attività cognitiva del bambino: attraverso il tutoring, cioè le modalità attraverso cui l'adulto competente sollecita nei bambini la capacità di risolvere i problemi, lo scaffolding, cioè la costruzione da parte dell'adulto di una impalcatura di sostegno che serve a guidare il meno competente verso la soluzione del problema, e l'aiuto reciproco tra coetanei.

Nella loro diversità per contesti, metodi e situazioni presentate, queste ricerche hanno in comune, in termini molto generali, il riconoscimento della facilitazione sociale all'apprendimento, costituita dalla presenza e dall'attività non casuale di altri in genere più competenti. L'apprendimento di abilità o conoscenze risulta attivato dal sostegno sociale, che può assumere la forma dell'opposizione e del conflitto cognitivo, ma anche quella della co-costruzione delle conoscenze attraverso il discorso e il ragionamento collettivo. Dalla trasmissione del sapere si passa, quindi, a una costruzione attiva della conoscenza da parte di tutti i partecipanti all'evento educativo, come mostrano le ricerche sul cooperative learning (Johnson e Johnson, 1987). Questi studi dimostrano che il lavoro di gruppo permette di raggiungere livelli di elaborazione dei concetti più sofisticati, e che le informazioni apprese in tali contesti sono ricordate più a lungo di quelle apprese studiando da soli. Lo sviluppo di diversi modelli di apprendimento collaborativo porta a una diversa rappresentazione della conoscenza e della mente, a un cambiamento del ruolo dell'insegnante, della struttura dei compiti, della classe e del gruppo, e necessita di strategie di valutazione sostanzialmente differenti da quelle utilizzate nella lezione tradizionale: strategie che tengano conto anche dell'abilità di costruire con gli altri.

I modelli più recenti sviluppati dalle neuroscienze suggeriscono che l'apprendimento produce modifiche strutturali biologiche, plasmando costantemente i circuiti cerebrali non solo del bambino, ma anche dell'adulto. Ciò sostiene l'ipotesi che l'uomo non sia completamente determinato dal proprio patrimonio genetico, ma dipenda anche dal «contatto» con gli altri e con la propria cultura. Se si considera l'apprendimento come il risultato della partecipazione di un essere umano di qualunque età a un'attività socioculturale, esso ha forti componenti di socializzazione «situata», cioè di adattamento e reciproco negoziato di un «non esperto» nei confronti di una situazione specifica. L'apprendimento, di fatto, si presenta prevalentemente come un apprendistato, cioè simile al modello dell'apprendere nell'ambito di un mestiere o di un'arte, dove il maestro mostra all'apprendista come svolgere un compito, poi gli assegna gradualmente parti sempre maggiori del compito, fino alla delega dell'intero processo. L'apprendista impara come usufruire di materiali e persone in quelle circostanze specifiche che sono appropriate per raggiungere gli obiettivi, basandosi sugli strumenti intellettuali ereditati dalle generazioni precedenti e sulle risorse sociali fornite da altre persone. L'apprendistato cognitivo, quindi, implica una riflessione metacognitiva destinata a rendere possibile il confronto tra il ragionamento dell'allievo e quello del maestro, esplicitare quello che sa e che pensa e far vedere ciò che sa fare. Non si contrappone a ciò che avviene al di fuori della scuola, come per esempio in famiglia.

Nell'ambito di questa concezione, J. Bruner (1996) indica una serie di principi attraverso cui è possibile chiarire perché apprendimento e socializzazione avvengano sia nel contesto scolastico sia nel contesto familiare e quotidiano. Tra questi: a) il principio del costruttivismo, per cui la realtà è costruita dai partecipanti nell'attività di dare insieme significato; b) il principio dell'interazione e dell'intersoggettività, che è alla base di qualsiasi scambio umano, perché è attraverso lo scambio con gli altri che si scopre e si entra nella cultura. La dimensione intersoggettiva è essenziale alla costruzione di significati e delle conoscenze da parte dei soggetti meno esperti, e quindi anche per qualsiasi tipo di socializzazione e di apprendimento, qualunque sia il contesto in cui hanno luogo; c) il principio di esternalizzazione, che sostiene come la funzione principale di ogni attività culturale, collettiva o individuale, sia quella di produrre opere e testi e di lavorare su prodotti esterni; d) il principio istituzionale, che caratterizza l'educazione formale nei paesi sviluppati e richiede sempre spazi, tempi e soprattutto personale specializzato (gli insegnanti); e) il principio dell'identità e dell'autostima e f) il principio narrativo, infine, hanno ambedue a che fare con la costruzione di una propria identità e memoria autobiografica, come memoria dei propri precedenti incontri con il mondo, che viene estrapolata anche per essere usata nel futuro, nel mondo del possibile.

L'apprendimento può anche essere considerato come un sottoprodotto della più generale attività cognitiva che ha luogo continuamente, poiché coinvolge in ogni caso l'utilizzazione di conoscenze e abilità precedentemente acquisite. Alcuni ricercatori (Voss, 1987) propongono il modello generale del problem solving per spiegare l'attività conoscitiva degli individui in situazioni e contesti diversi. Leggere per capire, e ancor più per apprendere un testo, significa rappresentarsi l'informazione che è nel testo sulla base della precedente conoscenza dell'argomento, e implica quindi un passo necessario per l'apprendimento, cioè l'integrazione di ciò che è nel testo con ciò che è già conosciuto.

A differenza della concezione comune dell'apprendimento come proprio della scolarità, nella prospettiva qui esposta l'apprendimento è un processo attivo a tutti i livelli ili sviluppo, dalla nascita all'età adulta e nei relativi contesti, oltre che in tutti gli ambiti disciplinari, dalla matematica alla lettura-scrittura e alle abilità di studio. Troppo spesso i professori universitari guardano alla didattica solo dal punto di vista dell'insegnamento e non dedicano sufficiente attenzione alle condizioni in cui i loro allievi possono effettivamente imparare. L'apprendimento è un processo in cui nessun elemento è neutrale, ma partecipa in modo dinamico alla sua attivazione e realizzazione in qualunque contesto educativo, inclusa la formazione universitaria e permanente. Le situazioni di problem solving, intese in senso lato, sono considerate come le più adeguate per capire quali sono i processi messi in atto con successo dagli «esperti» di un campo disciplinare e che costituiscono invece ostacoli cognitivi per i «novizi». Il confronto tra le procedure usate dagli uni e dagli altri ha portato a identificare i diversi aspetti per cui i due gruppi differiscono: gli esperti, infatti, hanno più conoscenze, organizzate e integrate in modo più coerente ed economico, e pertanto anche più facilmente accessibili in memoria. Essi dispongono, inoltre, di strategie metacognitive, cioè di capacità di ragionare sul proprio ragionamento, di verificare e rivedere la propria comprensione, e di riflettere sulla pianificazione delle proprie strategie.

Come hanno dimostrato alcune ricerche, ciò può essere indipendente dall'età e dall'ambito disciplinare, anche se la sofisticazione delle strategie può aumentare con l'età e l'acquisizione delle strategie di apprendimento non può non essere in rapporto con i contenuti. I nessi tra meta-cognizione e cognizione restano molto stretti, e hanno un interesse diretto per l'apprendimento nelle istituzioni formative. Una conoscenza metacognitiva non solo si basa su esperienze cognitive oggetto di riflessione (riconoscere che «non distinguo bene tra due teorie se non facendo riferimento ad esempi applicativi»), ma soprattutto si traduce in azioni o nell'uso consapevole di strategie cognitive («ho bisogno di rileggere e prendere nota dei casi esemplificati»). Queste strategie hanno nessi molto stretti con le abilità di studio: leggere più volte, sottolineare, prendere appunti, ecc.; sono tecniche generali messe in atto in modo più o meno sistematico se la riflessione metacognitiva ne ha constatato la necessità e l'efficacia. Le tecniche o abilità di studio possono essere, in gran parte, insegnabili: raramente, però, questa possibilità si traduce in realtà nell'insegnamento ordinario.

CLOTILDE PONTECORVO e BARBARA MARONI