Apparato psichico

Che lo «spirito», l'«anima», lo «psichismo» o la «mente», indipendentemente dal considerare equivalenti o meno questi termini, possano costituire un «apparato», cioè un insieme integrato e coordinato di organi combinati per svolgere una funzione alla stessa stregua di quello polmonare, digerente, ecc., o esserne il prodotto, era ben presente e corrente nella cultura scientifica specialistica dell'800, nella quale si ricercava una rappresentazione del funzionamento psichico, animale e umano, che si conformasse agli assunti e ai metodi delle scienze della natura, in particolare della fisica. Una tendenza che si potrebbe far risalire molto indietro nella storia della filosofia e della conoscenza, ad esempio alla suddivisione delle facoltà dell'anima proposta da Aristotele. Ma potrebbe essere più utile fermarsi, a cavallo tra '700 e '800, al programma organologico di F. Gall, che individuava nel cervello l'organo dell'anima e la concepiva connessa a un'organizzazione suddivisibile in parti cui sono devolute le diverse sue funzioni innate, peraltro reputandole individuabili in superficie (frenologia). Tale programma fu all'origine di una corrente localizzazionista presente anche nella teorizzazione freudiana dell'apparato psichico (Freud, 1920), benché egli vi si fosse direttamente opposto sia nella sua concezione delle afasie che al di là di essa (Freud, 1899; 1938).

Oppure ci si potrebbe arrestare, ancora più prossimamente, nel tempo e nello spazio, a quel movimento che tentava di applicare la mathesis intensorum, le grandezze intensive, ai fenomeni della psiche, abbozzando una «misurazione dell'anima» (Martinelli, 1999). Esso partiva dalla meccanica dello spirito di J. Herbart e dalla soglia percettiva o di distinzione della sensibilità di E. Weber per approdare alla matematizzazione della sensazione nella psicofisica di G. Fechner e alla meccanizzazione fisiologica della percezione di H. Helmholtz.

Proprio perché usuale, Freud utilizza fin da subito il termine «apparato psichico» senza sentire la necessità, per così dire, di introdurlo. Oltre ad attribuirvi quell'estensione virtuale o effettiva diversamente negata ad esso da Cartesio e Kant, subito comincerà a proporne delle modellizzazioni, sia pure parziali e legate alle esperienze cliniche che andava accumulando. Ad esempio, l'andamento dell'analisi e le resistenze che essa incontra (Freud, 1892-95) suggeriscono l'idea che il materiale psichico sia disposto secondo una triplice stratificazione intorno al nucleo mnestico patogeno: una disposizione lineare cronologica per temi (che nell'analisi procede in ordine rigorosamente inverso); una disposizione concentrica di questi ultimi in strati di crescente resistenza nella direzione del nucleo; infine una disposizione dinamica zigzagante e ramificata secondo il filo logico del contenuto di pensiero. Benché Freud continui in seguito a ricorrere ad analogie per costruire modelli parziali di aspetti specifici dello psichismo (come per la metafora archeologica: Freud, 1929), nella corrispondenza con W. Fliess verranno messi a punto più dettagliatamente i due primi modelli fondamentali e più completi dell'apparato psichico.

Il primo (Freud, 1895), quando si propone di fornire una rappresentazione dei processi psichici normali e patologici come stati quantitativamente determinati (intendendo l'eccitamento come quantità in movimento) di particelle materiali identificabili (neuroni), distinte tra loro e connesse da barriere di contatto di differente e variabile permeabilità. In esso solo differenziati tre sistemi di neuroni: φ (percettivi), permeabili e raggiunti dagli stimoli esterni; ψ (psichici), impermeabili e raggiunti anche dagli stimoli endogeni, le cui differenti facilitazioni reciproche costituirono la funzione della memoria; infine un terzo e ultimo sistema, ω, al quale sarebbe deputata la funzione della coscienza, anch'esso di neuroni permeabili analogamente agli organi percettivi. Permeabilità e impermeabilità dei tre sistemi sarebbero soprattutto funzione delle diverse quantità che vi circolano: maggiori in φ, minori in ψ e ancora minori in ω, i cui neuroni assimilerebbero piuttosto il periodo dell'eccitamento, che sarebbe alla base della coscienza (un dato, questo, consonante con le recenti ricerche sulla coscienza). In φ è poi postulata un'organizzazione di neuroni, l'Io, dotati di una carica costante (la scorta necessaria alla funzione secondaria del pensiero, passibile di coscienza) e tra loro fortemente facilitati, la cui funzione essenzialmente inibitoria è esplicata mediante un investimento laterale.

Il secondo modello, proposto nella lettera del 6 dicembre 1896 sempre al suo corrispondente berlinese (Freud, 1887-1904), è invece essenzialmente traduttivo o trascrittivo, basato sull'ipotesi che la memoria sia fissata in diversi tipi di segni, e che l'apparato psichico sia costituito da successive trascrizioni separate anche topicamente, spesso risalenti a epoche successive ed effettuate sulla base di nuove possibilità (anche fisiologiche) di decodificazione e comprensione. Vi troviamo così disposta, subito dopo la percezione cui è collegata la coscienza ma che non conserva alcuna traccia, una prima trascrizione in segni della percezione, strutturati in base ad associazioni di simultaneità e del tutto incapaci di pervenire alla coscienza; segue la trascrizione inconscia, ordinata in base ad altre relazioni, per esempio causali, e infine la trascrizione preconscia, connessa alle rappresentazioni della parola e perciò trasmissibile a una coscienza seconda, di pensiero. La possibilità che si sviluppi dispiacere impedirebbe la traduzione di una trascrizione, e questo suo fallimento, equivalente alla rimozione, lascerebbe sopravvivere anacronismi, tracce mnestiche non ritrascritte appartenenti a fasi anteriori, contro le quali è necessario ricorrere a una difesa patologica anziché a una difesa normale.

E' solo con la pubblicazione della strana «anatomia dell'anima» (Freud, 1899a) che aveva messo a punto - come farà dire a un ipotetico interlocutore imparziale in un suo scritto successivo (1926) -, che è avvertita l'esigenza di esaminare preliminarmente il significato che l'utilizzazione di modelli o «finzioni» può avere in psicoanalisi, siano essi fisici (ottico, idraulico, energetico, archivistico, notes-magico, ecc.), biologici (vescicola protoplasmatica, arco riflesso) o di altra origine, e siano essi omogenei o eterogenei. Una questione né semplice né lineare, giacché queste finzioni talvolta accostano, sovrappongono e sovraimpressionano campi completamente eterogenei secondo un procedimento apparentemente antirazionale e anticartesiano. C'è tuttavia chi intravede in questa loro caratteristica un riflesso del metodo associativo prescritto per l'interpretazione dei sogni, deducendone che qualcosa di ciò che ha costruito il sogno e lo stesso apparato psichico consista, per qualche verso, proprio nell'inserire in un medesimo sacco delle cose completamente eterogenee (Laplanche, 1981).

In ogni caso, la metapsicologia è appunto la teoria psicoanalitica nei suoi livelli più astratti che mira a descrivere lo psichismo in quanto apparato. Le sue tre coordinate indicano, appunto, le tre dimensioni essenziali, tra loro interconnesse: quella topica (la differenziazione in luoghi o parti), quella dinamica (la descrizione di processi che sono il prodotto dell'interazione di forze) e quella energetica (i processi psichici impiegano, trasmettono e trasformano un'energia). Qui, nell'uso banale del termine di apparato psichico, confluisce inoltre l'adesione all'idea fechneriana di una «scena» dei sogni diversa da quella della vita rappresentativa vigile su cui si svolge la meccanica herbartiana delle rappresentazioni. Evitando con cura la tentazione di determinare in senso anatomico questa località psichica, è rivendicata la necessità di modellizzarla utilizzando, come dirà sempre Freud (1926), uno strumento composito costruito di parti - le «istanze» o «sistemi» - di cui non è tanto rilevante la materia e, in fondo, nemmeno la disposizione spaziale. È invece essenziale il fatto che in esse è trasmessa e trasformata, secondo un ordine ben preciso, un'energia la cui quantità tende a essere mantenuta la più bassa possibile, dunque la raffigurazione di una direzione privilegiata che va dall'estremità percettiva a quella motoria: poiché per Freud tutta la nostra attività psichica parte da stimoli (interni o esterni) e sfocia in innervazioni, l'apparato psichico è costruito come un apparato riflesso. Il ricorso a questi paragoni, è precisato, ha soltanto il valore di un'approssimazione a un fenomeno sconosciuto e il compito di sostenere nel tentativo di comprendere la complessità dell'attività psichica scomponendola in singole prestazioni, attribuendo queste ultime a singole componenti dell'apparato e infine stabilendone le articolazioni.

Anche nel modello del 1899, come in quello trascrittivo del 1896, all'estremità percettiva seguono successivi sistemi di tracce mnestiche collegate tra loro associativamente. In prossimità dell'estremità motoria avremmo invece il sistema preconscio (i cui processi di eccitamento sono passibili di giungere alla coscienza senza ulteriori impedimenti o quasi, giacché devono disporsi nel suo obbligatorio défilé) e, dietro quest'ultimo, il sistema inconscio, che ha accesso alla coscienza solo attraverso il preconscio. L'orientamento intrinseco a questo modello permette di spiegare l'inversione della normale progressione che avverrebbe nel sogno (caratterizzato da una vividezza sensoriale e dal blocco della motricità), l'allucinazione primaria (per riattivazione dei segni della prima esperienza di soddisfacimento fino all'identità di percezione, che equivale alla definizione freudiana del desiderio) e il pensiero, attivato dalla frustrazione per il persistere del bisogno nonostante il reinvestimento allucinatorio, che esige una modifica del mondo esterno.

Questo modello «onirico» si varrà poi di un suo concreto prototipo (Freud, 1924c), soprattutto per ribadire la necessaria distinzione tra sistema percettivo e mnestico e per raffigurare il periodico investimento di attenzione inviato al sistema percezione-coscienza, nonché quello strato protettivo che aveva postulato qualche anno prima (1920a), utilizzando questa volta un modello biologico: quello di una vescicola protoplasmatica. Quest'ultimo è un modello apparentemente semplice, in cui è privilegiata la funzione dei limiti e la differenza di livello energetico che essi permettono e preservano, e da cui sono al tempo stesso costituiti. Ma complicato dal fatto che è interpretabile ad almeno tre diversi livelli: quello di un corpo elementare che, come per ogni animale, è caratterizzato da una forma chiusa che definisce un interno da un esterno; quello di un apparato psichico con differenti parti specializzate; infine quello di un Io. L'involucro superficiale, in questa modellizzazione, si modificherebbe poi, per effetto del bombardamento di stimoli esterni, in uno strato permeabile percettivo, e in uno più resistente, dalla duplice funzione protettiva e di parastimoli, per ridurre proporzionalmente le intensità degli stimoli a grandezze trattabili dall'apparato, assumendo il mondo esterno a piccole dosi mediante gli organi di senso.

Proprio l'inesistenza di un parastimoli all'interno rende ragione del fatto che le sensazioni interne di piacere-dispiacere finiscano con il predominare e si instauri la tendenza a proiettarle per trattarle alla stregua di stimoli esterni. È attraverso questo modello biologico che si passa poi ai modelli tripartiti, che tengono conto della nuova suddivisione topica (Freud, 1922a; 1932) o strutturale, come alcuni preferiscono definirla. Sempre forme chiuse - o pressoché tali, dal momento che il modello del 1932 è aperto in basso verso il corpo - per illustrare il passaggio, ma anche il mescolarsi, della seconda e prima topica, nonché l'ipotesi di una differenziazione dell'Io dall'Es per azione del mondo esterno attraverso il sistema percezione-coscienza. E per stabilire una proporzione fondamentale: la percezione sta all'Io come la pulsione sta all'Es. Modelli che, secondo alcuni, coerentemente con la seconda topica, implicitamente danno più spazio ai rappresentanti della pulsione che alle rappresentazioni, e annullano il riferimento alla coscienza, acuendone eterogeneità (radici biologiche dell'Es e culturali del Super-io) e conflittualità.

Da questo tronco freudiano, dalle vicende di per sé complesse, le successive modellizzazioni psicoanalitiche dell'apparato psichico se ne dipartono a mo' di ramificazioni: alcune di esse si sono, per così dire, rinsecchite, altre hanno infine trovato proprie radici a lato del fusto freudiano, separandosene (o tentando di separarsene) pressoché completamente (Jung, Adler, Rank), altre ancora hanno in un certo senso escluso a monte la necessità di una metapsicologia sulla base di una critica del suo meccanicismo, o sostituendovi altre formulazioni, ad esempio quelle informatiche di processamento dell'informazione.

Delle altre residue, è possibile indicare almeno quattro direzioni: quelle che hanno cercato di evidenziare i modelli espliciti e impliciti nella concezione freudiana; quelle che hanno preso a oggetto soprattutto lo sviluppo di questo apparato psichico, anche in rapporto ai quadri nosologia; quelle che sono slittate dall'apparato psichico alla struttura del soggetto; quelle che hanno tentato un ampliamento o una generalizzazione dei modelli freudiani dell'apparato psichico restandovi più o meno ancorati.

Al primo gruppo potrebbe appartenere D. Rapaport (1960), che rivendicando la valenza puramente psicologica e la maggiore inclusività del modello psicoanalitico, propone una serie di modelli (primari e secondari) della conazione, della cognizione e dell'affetto, per approdare al modello di una gerarchia delle motivazioni e dei controlli, dello sviluppo dell'affetto e della relativa autonomia funzionale. Certo rilanciando così l'annosa problematica dei rapporti psicoanalisi/psicologia: mentre egli intendeva la prima come inclusiva della seconda, altri (Laplanche, 1987; Green, 1997) vedono proprio in questa inclusione il germe di una desessualizzazione, per così dire di ritorno, della teoria, con un riassorbimento della psicoanalisi nella psicologia (dinamica o meno).

Fra i tentativi di integrazione del modello freudiano con i percorsi evolutivi dell'apparato psichico, può essere incluso il modello gerarchico di J. Gedo e A. Goldberg (1973), da loro applicato alla descrizione di singoli casi clinici nonché a una schematizzazione della nosologia psicoanalitica e delle diverse modalità di trattamento. Esso considera i modelli freudiani e postfreudiani come descrittivi di fasi e modi differenti di funzionamento psichico, e include una gerarchia delle situazioni di pericolo, del narcisismo, del senso di realtà (già delineata in S. Ferenczi), delle operazioni difensive e delle sottostrutture del funzionamento psichico.

Oppure vi si può inserire la strutturologia psicogenetica di J. Bergeret (1974), che costruisce un modello evolutivo dei diversi apparati psichici che caratterizzano le differenti organizzazioni psicopatologiche, con alcuni momenti organizzatori e una divided-line (situata, con K. Abraham, tra le sottofasi di espulsione e ritenzione della fase sadico-anale) che segna il momento di coagulazione di una strutturazione nevrotica, psicotica, o di un tronco comune organizzato su cui possono incidere traumi disorganizzatori tardivi determinando depressioni, regressioni psicosomatiche, stati limite.

Decisamente strutturale, invece, la modellizzazione di J. Lacan, che nei suoi schemi - L, R, I (1957a e b) e ottico (1961b) -, nei suoi grafi (del desiderio: 1966c) e nelle sue figure topologiche (1958), più che un apparato psichico descrive, per l'appunto, la struttura del soggetto diviso dal taglio che la catena significante produce intersecando la spinta del bisogno, e annodando i tre registri immaginario, simbolico e reale in modo peculiare per ogni soggetto. Raffigurandone la mancanza strutturale che lo fonda, egli radicalizza il venir meno della differenziazione tra interno ed esterno, profondo e superficiale, che già in Freud era stata ampiamente messa in discussione con l'idea di un corpo estraneo interno intorno al quale si organizza lo psichismo: per l'Io che non è padrone in casa propria, ma resta pur sempre in casa propria, qui comincia a sfumare l'idea stessa di una casa.

Con W. Bion (1962a e b) abbiamo invece la costruzione di un apparato per pensare i pensieri, basato sulla differenziazione tra contenuti (preconcezioni e concetti) e operazioni (evacuazione o elaborazione) su di essi, e soprattutto su un primato genetico dei pensieri rispetto al lavoro di pensiero. Ribaltando il principio della psicologia fisiologica secondo cui i pensieri sarebbero il prodotto dell'attività cerebrale, così come la bile lo è di quella epatica, qui è l'accumulo di elementi a creare un apparato per elaborare i pensieri - come se la bile producesse il fegato che la secerne -, mentre gli elementi che ne sono i residui si agglutinerebbero in un apparato di evacuazione.

Con I. Matte Bianco (1975) ci si sposta prevalentemente verso un modello logico dell'inconscio, radicalizzando la duplicità del processo primario e secondario in una logica bivalente, di cui una fondata sui noti principi di identità e non contraddizione, e l'altra invece simmetrica, per la quale ogni relazione è reversibile e ogni sottoinsieme è equivalente all'insieme a cui appartiene, alla stessa stregua degli insiemi infiniti cantoriani.

Con J. Laplanche (1993; 2000b), invece, i modelli freudiani sono recuperati e rifondati a partire dal modello freudiano traduttivo della rimozione del 1896, per il quale è quest'ultima a fondare al tempo stesso l'inconscio e l'Io che ne è il correlato. Rivisitando il modello dell’Interpretazione dei sogni, egli vi scorge la modellizzazione della tangenza fondamentale prodotta dalla seduzione originaria, che nel funzionamento autoconservativo «pela» un circuito controcorrente, quello del sessuale pulsionale. Estenderà poi (Laplanche, 2004) la prima topica con l'ipotesi di un inconscio «intercluso» che non è il correlato del preconscio, ma resta «a fior di coscienza», mantenuto da un sottile strato di difesa cosciente che funziona secondo una modalità «operatoria» basata sul diniego; questo inconscio intercluso è separato dall'inconscio-preconscio dalla linea della scissione, mutevole con il procedere delle incessanti operazioni di traduzione-detraduzione-ritraduzione che caratterizzano l'essere umano, incluse quelle che avvengono in analisi.

ALBERTO LUCHETTI