Anima/Animus
Le figure di Anima e Animus occupano un posto di primo piano nella psicologia analitica. Le definizioni più esaurienti si trovano in Aion (Jung, 1951a) e in Tipi psicologici (1921 ), ma approfondimenti importanti appaiono anche in altri scritti di C. G. Jung. Egli crea la polarità Anima/Animus per descrivere la componente di genere opposto che, secondo il «principio di complementarità» del funzionamento psichico, risiede in ciascuno di noi. In altre parole, definisce Anima la componente femminile che abita la psiche maschile, e Animus la componente maschile che abita la psiche femminile. Dal momento che queste due «sottopersonalità» risiedono a livello inconscio e, dice Jung, sono universalmente presenti, possono essere considerate archetipi dell'inconscio collettivo e dunque produrre immagini di aspetti «innati» dell'uomo e della donna. Jung tenta così di definire una psicologia del maschile e del femminile, impegnandosi in una lettura di tipo essenzialista da cui varie correnti dello junghismo critico contemporaneo hanno preso le distanze. E Jung stesso a definire ostici, incomprensibili e lontani dall'Io i «concetti» di Animus e Anima, che peraltro prendono forma sul terreno della sua riflessione clinica sulla psicosi (1952). Per sua stessa ammissione, fra tutte le figure della sua psicologia, queste sono le meno riconducibili a un linguaggio scientifico o razionale. Egli ribadisce tuttavia (1908-1914) l'irriducibilità della psiche ai soli metodi delle scienze naturali e utilizza il termine Seele, tradotto in italiano sia con «anima» sia con «psiche», la cui coincidenza va intesa come archetipo della vita stessa. L'uso di un termine anomalo per una disciplina scientifica mostra l'intenzione junghiana di impedire che la psicologia venga totalmente esaurita dalla conoscenza naturalistica.
La molteplicità di forme con cui si manifesta l'immagine dell'anima è inesauribile. Raramente assume un significato unico e quasi sempre si presenta dotata di qualità contrastanti (in forme positive o negative). Tramite la proiezione, Animus e Anima possono manifestarsi in uomini e donne reali, e così presiedere alle esperienze di comunicazione, comprensione e attrazione tra i sessi; i modi e l'intensità di tale proiezione determineranno configurazioni psichiche e relazionali più o meno patologiche o stereotipate. Con il termine «immagine dell'anima» (Seelenbild), Jung (1921) non intende tuttavia la riproduzione psichica dell'oggetto esterno, bensì un'«immagine fantastica» prodotta dall'inconscio e solo indirettamente riferita alla percezione dell'oggetto esterno. L'immagine dell'anima è un complesso funzionale autonomo, distinto dalla psiche intesa come totalità di processi consci e inconsci, che ha carattere di personalità e che nell'uomo opera in relazione al principio psichico femminile e nella donna in relazione al principio psichico maschile. Benché dissimili nel modo di manifestarsi, Anima e Animus condividono, in particolare, il fatto di appartenere alla psiche inconscia e di esprimersi attraverso immagini, le quali agiscono stimolando l'Io a identificarsi con le qualità e il comportamento dell'oggetto intrapsichico. Fino a quando non si diventa consapevoli dell'esistenza di una realtà psichica dalla quale si è stimolati, il comportamento che risulta da tale realtà è istintivo e indifferenziato. E «naturale» identificarsi con l'immagine dell'anima, ma altra cosa è l'incontro con l'immagine dell'anima che pone fine all'atteggiamento unitario della coscienza. E l'anima, secondo Jung, a fornire all'uomo l'esperienza dell'Eros (cioè le possibilità di una vita indistinta, panica, spinta verso la relazione e la soggettività), mentre è l'incontro con l'Animus ad avvicinare la donna all'esperienza del Logos (cioè all'essenza originaria dell'idea, spingendola così verso l'oggettività e l'apertura al mondo). Eros lega laddove Logos divide. L'equazione implicita che ne deriva (donna = femminile = Eros = sentimento e relazione psichica; uomo = maschile = Logos = ragione) vincola la psiche del soggetto alla concretezza della sua anatomia e alla sua appartenenza di genere: un limite della concettualizzazione junghiana che gli analisti postjunghiani affronteranno con una critica radicale alla posizione «controsessuale» di Jung. Se da una parte, infatti, Jung sembra parlare in termini simbolici di fattori psicologici indipendenti dal sesso anatomico, così che Logos e Eros esistono in ogni persona, dall'altra il suo modello teorico viene oscurato da una terminologia che risente della semantica dei generi.
Secondo Jung, il carattere sessuale complementare dell'immagine dell'anima esprime un aspetto assolutamente antitetico rispetto alla personalità cosciente; l'oggettivazione del complesso autonomo riesce nella misura in cui il sentimento coatto e l'opinione che ci ossessiona vengono distinti dall'Io e dalla sua realtà e così personificati. Nell'autobiografia (1961) Jung racconta la scoperta dell'«alterità» dell'Anima proprio attraverso il suo primo incontro con essa, in forma di voce interiore «di donna» che lo sfida a riflettere sugli aspetti artistici del suo cimento scientifico. E questa «fondamentale inconscietà» che Jung (1927-1931; 1939) vuole mettere in rilievo quando insiste sulla natura «sconosciuta» dell'Anima, affermando che, a differenza di altri contenuti, Anima e Animus rimangono sempre estranei al mondo cosciente, arrivando a paragonarli a intrusi, figure importune che possono saturare l'atmosfera con la sensazione di «sinistri presagi» o «disturbi mentali».
L'«inconscietà» delle immagini dell'anima è attribuibile alla loro natura archetipica. L'archetipo dell'immagine dell'anima, come lutti gli archetipi, è un sistema di disponibilità a priori che viene attivato in certe condizioni producendo immagini che raffigurano aspetti innati dell'uomo e della donna. È un fattore che «ci accade», un elemento a priori di umori, reazioni e impulsi per l'uomo e di impegno, convinzioni, ispirazioni per la donna. Secondo Jung, l'Anima non esprime i sentimenti propri di un uomo, così come l'Animus non esprime le idee proprie di una donna. Si tratta, piuttosto, di sentimenti e opinioni collettivi, universalmente validi, che però non colgono la situazione individuale, ma quella interiore collettiva. Dietro all'Animus, giace «l'archetipo del senso», così come l'Anima è «l'archetipo della vita stessa», secondo una fantasia degli opposti che rende la coppia Anima/Animus un'immagine della «totalità», opposizione e composizione di maschile e femminile, coniunctio oppositorum, sizigia (Jung, 1951). Fantasia rafforzata da considerazioni di carattere biologico, ovvero che il sesso è determinato dalla preponderanza numerica dei geni maschili e femminili, e che la minoranza di geni del sesso opposto non viene «vanificata» ma concorre a formare il lato controsessuale di ciascuno di noi. Nonostante il loro aspetto «inferiore» (nel senso sia di sotterraneo sia di antitetico rispetto alla coscienza), Animus e Anima hanno una funzione di guida interiore e di mediazione tra l'Io e il mondo interno. Le immagini dell'anima si manifestano come personaggi sempre carichi di affettività, conosciuti o sconosciuti, con carattere personale o collettivo. Nel vocabolario junghiano, l’Anima viene contrapposta alla Persona. Se con il termine Anima Jung indica l'atteggiamento verso il mondo interno, e dunque l'elemento psicologico e affettivo, con quello di Persona designa piuttosto l'atteggiamento verso l'esterno e il carattere sociale dell'esperienza. Ma anche se Anima in un certo senso coincide con la «personalità interiore» fino a diventare il vero centro dell'individuo, essa è sempre e comunque in rapporto complementare con la Persona, ed è anzi necessario che tra le due dimensioni si raggiunga una condizione di equilibrio. Quanto più la Persona è intellettuale, tanto più l'Anima sarà sentimentale; quanto più l'individuo si identifica con la Persona, tanto più la sua immagine dell'Anima rimarrà nel buio e verrà proiettata. Al contrario, l'uomo posseduto dall'Anima tende a perdere il contatto con la Persona (per esempio la sua padronanza sociale), è dominato dai suoi umori e può cadere in atteggiamenti «isterici», agendo in base ai «sentimenti» anziché secondo linee di comportamento concrete e oggettive. La donna posseduta dall'Animus si irrigidisce in argomentazioni logiche, è sorda agli appelli del sentimento e finisce per assumere un'«animosità» aggressiva che compromette la sua Persona. L'identificazione con l'Anima o con l'Animus dà luogo a caricature di quelle che Jung ritiene essere le caratteristiche del sesso opposto: l'adattamento al mondo esterno, interamente basato sulla propria percezione dei processi interni, risulterà in ogni modo difettoso.
Anima, al di là degli obblighi di genere e in opposizione al concetto di Persona, è dunque per Jung: a) sinonimo di psiche, b) personificazione della mente, e) atteggiamento interiore, d) funzione di relazione con l'inconscio. Se una proprietà dell'immagine dell'anima è anche quella di mettere in relazione coscienza e inconscio, essa si troverà a differenziare e al tempo stesso integrare le componenti della psiche. Da qui la definizione di Anima/Animus come «custodi della soglia» (Jung, 1928-1935). Da un punto di vista psicodinamico Jung distingue due possibilità: a) l'immagine dell'anima è cosciente, cioè distinta dall'Io e dalla Persona, ma in relazione con entrambi; b) l'immagine dell'anima è totalmente inconscia. Nel primo caso il soggetto è in rapporto con i suoi oggetti interni e/o esterni; nel secondo caso l'adattamento del soggetto sarà difficile e spesso impossibile. Se l'immagine dell'anima è totalmente immersa nella condizione inconscia, infatti, soggetto e oggetto, interno ed esterno risultano indifferenziati, o alternativamente non integrati: in ogni caso non in relazione.
La mancata differenziazione si esprime attraverso la proiezione dell'immagine dell'anima o l'identificazione con essa. In entrambi i casi il soggetto è privo di rapporto psichico col proprio mondo interno. Nella proiezione, l'oggetto si carica di significati affettivi che appartengono al soggetto, ma che questi non riconosce. Si crea uno stato di indistinzione e di legame incondizionato del soggetto con questa sua incarnazione dell'immagine dell'anima; fenomeno, entro certi limiti, normale e salutare. Nell'innamoramento, per esempio, il soggetto, attraverso la proiezione, entra in relazione non tanto con l'oggetto, quanto con la parte di sé che ha proiettato. Il rapporto consentito dalla proiezione dura fino a quando il comportamento dell'oggetto concorda con l'immagine proiettata dell'anima: ma poiché Animus e Anima sono manifestazioni archetipiche, esse non coincideranno mai con quello che un dato individuo effettivamente è. Una volta che ne diventiamo consapevoli, l'Io torna a disporre di una quantità di energia psichica che fino a quel momento era contenuta nella proiezione. Il confronto con l'immagine dell'anima è una delle tappe fondamentali dell'analisi junghiana. La consapevolezza del rapporto tra l'Io e l'inconscio, lungi dall'esaurire la conoscenza dell'inconscio stesso, permette tuttavia di differenziare l'anima quale terzo elemento di raccordo tra i due. Ciò consente uno scambio fecondo tra l'Io e il Sé e tra il Sé e il mondo. Jung si è occupato soprattutto dell'Anima, vedendo in essa una figura più affascinante e psichicamente complessa dell'Animus. Figlio del suo tempo, Jung tende a non differenziare, se non addirittura a sovrapporre, le componenti variabili dell'identità sessuale (sesso, genere, ruolo, orientamento). Con E.Jung (1934-1948) per la prima volta una donna parla dell'Animus: se da una parte sente il bisogno di sottolinearne le potenzialità evolutive in termini di tensione spirituale, rigore intellettuale e creatività, dall'altra ne conferma la visione negativa e culturalmente connotata che di frequente traspare dagli scritti del marito. La riflessione postjunghiana affronta in modo critico le idee di Jung su Anima e Animus, considerandole datate e gravate dai pregiudizi del tempo. Per A. Samuels (1985; 1989) i riferimenti a una psicologia maschile o femminile vanno sempre intesi in relazione al loro equilibrio all'interno di un soggetto, piuttosto che a individui specificamente sessuati. Maschile e femminile vengono a costituirsi in maniera complessa all'interno di ciascuno di noi, a partire dal substrato biologico fino a definizioni psichiche connotate in senso culturale e sociale. Se il sesso appartiene al corpo, il genere appartiene alla psiche ed è ampiamente determinato dal conscio collettivo. Una volta usciti dalla dimensione controsessuale e liberati i concetti di Anima e Animus dalle costrizioni anatomiche e di genere, quelle che ci ritroviamo di fronte sono figure che possiamo utilizzare per indagare la psiche individuale e confrontarci con i temi della differenza.
Anche J. Hillman (1972) critica la lettura controsessuale di Jung, e si domanda come si possa attribuire Anima solamente al sesso maschile. Come si può infatti affermare che il «femminile» e la «vita» riguardano soltanto lo psichismo inconscio maschile ? Che un archetipo può essere individuato nella psiche di un sesso a esclusione dell'altro ? Hillman (1985) discute anche l'idea che il sentimento sia una prerogativa femminile o che Anima sia una funzione di relazione tout court. Quando diciamo «anima come relazione», afferma Hillman, intendiamo indicare la configurazione che media tra il personale e il collettivo, tra la realtà immediata e ciò che la trascende, tra l'orizzonte cosciente individuale e il regno primordiale dell'immaginale, le sue figure, idee, emozioni. L'Anima funge da mediatrice e guida verso l'inconscio, e la qualità della relazione .ara determinata da questa sua funzione; ma poiché i rapporti dominati da Anima contengono anche il desiderio e la paura, l'impegno e il capriccio, la fede e il dubbio, quando parliamo di funzione di relazione siamo ben lontani da ciò che comunemente si intende per legame. Se vogliamo entrare in rapporto, dobbiamo essere consapevoli che niente più di Anima può turbare l'accuratezza del sentimento tra due persone; e dunque, conclude Hillman, Anima non è Eros e non è sentimento. Nei suoi scritti ultimi e più complessi, Jung tratta Anima e Animus come membri di una coppia divina, la sizigia, a indicare la complementarità interna della coppia di opposti. Come mette in luce Hillman (1985), sul piano fenomenico essi non possono mai apparire da soli: avere a che fare con Anima vuol dire avere simultaneamente a che fare con Animus. Tale sizigia si manifesta sia a livello interpersonale, tra due individui, sia a livello intrapersonale, in un uomo o in una donna. E la seconda sizigia, dice Hillman, quella a cui bisogna prestare più attenzione, anche perché, ingabbiati nella definizione controsessuale di Anima e Animus, è quella che è stata più trascurata. La valorizzazione di questo aspetto ha degli effetti anche sul concetto di Io, i cui atteggiamenti e comportamenti possono essere visti come facenti parte di una coppia. Infatti, gran parte di ciò che la psicologia chiama Io è la metà-Animus della sizigia e l'archetipo che sta dietro l'Io della cultura occidentale, quale si è formalizzato nella psicologia dell'Io, è l'Animus. Anzi, si potrebbe pensare che l'Io stesso è un'idea dell'Animus. Un Animus che smarrisce il suo nesso con l'anima (con Anima) e si pone in modo indipendente dalla sizigia è solamente «Io». «Io debole» sarà quello influenzato dalla sizigia con l'Anima, e «rafforzamento dell'Io» significherà rafforzamento dell'Animus. Più sinteticamente: la «coscienza improntata alla sizigia» è coscienza di e in una coppia, consapevolezza di trovarsi in un particolare abbinamento. La psicoterapia diventa così una tecnica di confronto dell'Io con l'immagine dell'anima come personificazione dell'inconscio. Uno degli scopi dell'opus psychologicum è per Jung la «presa di coscienza», ossia l'azione mediante la quale si riconoscono come propri i contenuti e le fantasie proiettati su se stessi e sugli altri, per produrre una personalità nuova che non costituisca un terzo intermedio tra coscienza e inconscio, ma sia «l'una e l'altro insieme». L'obiettivo sarà dunque ricreare quella «coppia regale» presente in ogni essere umano: questa nuova personalità potrà a ragione essere chiamata «Sé» anziché «Io».
VITTORIO LINGIARDI
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