Analisi transazionale

L'analisi transazionale è una tecnica psicoterapeutica basata sui principi di fenomenologia dell'Io e di psichiatria sociale elaborati da E. Berne (1910-1970) negli anni intorno alla metà del secolo scorso. Berne era uno psichiatra canadese di nascita e californiano di adozione, il quale, dopo gli studi di medicina alla McGill University di Toronto, si trasferì prima nell'area di New York - dove fu in analisi con P. Federn - e successivamente a San Francisco dove continuò la propria formazione psicoanalitica con E. Erikson. La citazione dei due analisti con cui Berne lavorò non è irrilevante se si pensa ai concetti di «stato dell'Io» e di «copione», basilari nella teoria berniana e derivanti chiaramente dalla fenomenologia di Federn, il primo, e dagli studi di Erikson sullo sviluppo dell'identità, il secondo.

L'avventura psicoanalitica del fondatore dell'analisi transazionale, tuttavia, ebbe una vita relativamente breve, almeno dal punto di vista istituzionale; già alla fine degli anni '50, infatti, Berne abbandonò l'istituto psicoanalitico di San Francisco dopo quello che egli stesso ebbe a definire un «divorzio amichevole» (Berne, 1961). Ciò che egli addebitava alla psicoanalisi era, in sostanza, un eccesso di razionalizzazione accompagnato da uno scarso interesse clinico e per la cura dei pazienti: in varie occasioni egli espresse il proprio punto di vista secondo cui le cure psicoanalitiche erano troppo lunghe, soprattutto per pazienti affetti da una sintomatologia comportamentale grave e pericolosa per sé o per gli altri. Da questo punto di vista, uno dei motivi per cui l'analisi transazionale fu elaborata era quello di trovare una strategia di cura sintomatologica o, per usare le sue parole, di «controllo sociale» che permettesse a pazienti affetti da gravi problemi psicopatologici di migliorare e di raggiungere un certo benessere e una certa stabilizzazione sociale prima di decidere se intraprendere una cura psicoanalitica. I pazienti per cui l'analisi transazionale fu elaborata erano infatti pazienti giudicati allora non analizzabili e per i quali, in anni successivi, gli psicoanalisti elaborarono approcci diversi e sempre più orientati in una prospettiva interpersonale. In questo senso Berne riteneva che la psichiatria sociale e, in generale, un approccio gruppale potessero essere utili. Fin qui, quindi, il discostarsi dalla psicoanalisi non riguardava in nessun modo i suoi principi di base, sia teorici sia tecnici, che, anzi, dovevano essere il substrato profondo su cui l'analista transazionale basava la propria pratica: la polemica riguardava semmai aspetti in qualche modo istituzionali, a volte razionalizzati con il reciproco scambio di accuse di rinforzare le difese nei propri pazienti.

A questa motivazione pratica - l'interesse per la cura sintomatologica - si affiancò ben presto una motivazione, per così dire, etica. Influenzato, nello studio della psicologia umana, dalla cosiddetta terza forza del movimento psicoterapeutico, quella umanistico-esistenziale, dai movimenti studenteschi e giovanili pacifisti (egli fu, non a caso, l'analista di J. Baez) particolarmente vivaci nell'area di San Francisco, e dalla «psichiatria radicale» (in qualche modo il corrispettivo statunitense dei movimenti antipsichiatrici europei), Berne cercò di elaborare un sistema di cura che restituisse al paziente non soltanto la stessa dignità, ma anche lo stesso potere di conoscenza e analisi che sono appannaggio dell’analista. L'interesse per una cura rapida ed efficace, unito alla forte componente umanistica delle idee berniane, favorì il crearsi di un gruppo relativamente eterogeneo di professionisti interessati ad approfondire e sviluppare la nascente analisi transazionale.

Tra questi occorre citare, per l'importanza che ebbero come collaboratori di Berne e, soprattutto, per gli sviluppi successivi alla sua morte relativamente precoce e improvvisa, lo psichiatra radicale C. Steiner, J. Schiff, una mental social worker impegnata nel trattamento residenziale dei disturbi psicotici, e R. e M. Goulding, una coppia di terapeuti della Gestalt già allievi di F. Perls. Con questi e altri collaboratori Berne diede vita inizialmente al San Francisco Seminare on Social Psychiatry che ben presto si trasformarono nell'International Transactional Analysis Association (Itaa), che rappresenta tuttora la maggiore organizzazione internazionale di analisi transazionale.

Oltre ad articoli e pubblicazioni di tipo per così dire preanalitico transazionale, comprendenti vari lavori che spaziano da saggi di tipo psichiatrico a pubblicazioni di interesse antropologico ed etnopsichiatrico, l'opera di Berne di precipuo interesse per la fondazione dell'analisi transazionale comprende una serie di studi sull'intuizione (originariamente comparsi su varie riviste e successivamente ripubblicati in volume, Berne, 1977), tre volumi di impianto teorico-tecnico (1961, 1963 e 1966) e tre saggi teorici scritti anche per un lettore non professionale (1964, 1970 e 1972). I quattro grandi capitoli in cui si distingue generalmente l'impianto teorico dell'analisi transazionale -analisi strutturale (che riguarda lo studio degli stati dell'Io), analisi delle transazioni, teoria dei giochi psicologici e teoria del copione - erano già completamente delineati fin dal 1961, anche se per quanto riguarda i giochi psicologici e il copione sviluppi importanti si sono avuti nelle opere più divulgative del 1964 e del 1972.

In analisi transazionale, con il termine «stato dell'Io» si intende una particolare configurazione dell'Io che si manifesta sia intra-psichicamente sia comportamentalmente. Dal punto di vista fenomenico, uno stato dell'Io corrisponde a un particolare modo di sentire in relazione a qualcosa; si tratta quindi di uno stato di coscienza, mentre dal punto di vista operativo esso corrisponde a un insieme di modi comportamentali coerenti. Così come aveva notato Federn (1952) - che per primo introdusse il concetto -, certi stati dell'Io, ovvero certe modalità unitarie di sentire e agire, sembrano avere la caratteristica di non dissolversi nel momento di passaggio da uno stato di coscienza a un altro, essi vengono invece conservati (fissati) per ricomparire nei sogni o nel comportamento psicotico. In altri termini, una caratteristica importante degli stati dell'Io è la loro possibilità di venire fissati come stati mentali inconsci e virtuali, che possono ripresentarsi in certe circostanze.

Per Federn, solo alcuni stati dell'Io possiedono questa qualità: si tratta degli stati traumatici oppure di quelli legati a certe configurazioni di desiderio. Berne ritenne, invece, che tutti gli stati dell'Io avessero la possibilità di essere fissati, possibilità che di fatto si realizza molto spesso. Allo stesso tempo, secondo Berne, gli stati dell'Io rimossi possono, con maggior facilità rispetto a quanto ipotizzato da Federn, riemergere come stati di coscienza completi o parziali, dando luogo a stati dell'Io il cui rapporto con la realtà attuale è quantomeno problematico. Basandosi su osservazioni cliniche, Berne ipotizzò anche l'esistenza di stati dell'Io di derivazione esterna: si tratterebbe di stati della mente fissati in seguito all'identificazione con figure esterne (specialmente figure genitoriali) che rappresenterebbero quindi gli atteggiamenti dell'oggetto (con i comportamenti correlati) nei confronti del soggetto, e non viceversa. Berne definì un sistema classificatorio che permettesse di organizzare le sue osservazioni in modo fruibile; possiamo quindi comprendere gli stati dell'Io come appartenenti a una delle tre grandi categorie seguenti: l'Adulto, cui fanno riferimento quegli stati dell'Io in grado di compiere un coerente esame di realtà e che sono in contatto con la realtà attuale; il Bambino, che comprende quegli stati dell'Io che sono una reliquia del passato dell'individuo; il Genitore, che è rappresentato degli stati dell'Io «presi a prestito» da figure parentali.

La relazione interpersonale, quindi, può essere riformulata come relazione tra gli stati dell'Io attivi in un particolare momento tra due o più persone e si sostanzia in «transazioni» (da cui il termine analisi transazionale) che rappresentano lo scambio non solo di informazioni ma anche e soprattutto di riconoscimenti (stroke, nella terminologia originaria berniana, normalmente tradotto come «carezza»). Una transazione, quindi, è considerabile come l'unità minima del rapporto sociale ed è classificabile a seconda del tipo di stati dell'Io coinvolti. Gli stati dell'Io delle persone coinvolte nel rapporto sociale possono, infatti, essere omogenei, per esempio stati dell'Io Adulti o stati dell'Io Genitore-Bambino, ecc., oppure eterogenei, per esempio stati dell'Io Adulto-Bambino. Nel primo caso le transazioni sono dette «complementari», mentre nel secondo caso si definiscono «incrociate». Si può dare pure il caso frequente di transazioni che apparentemente (ovvero al livello dell'evidenza sociale) risultano implicare due stati dell'Io (tipicamente due stati dell'Io Adulti) mentre, in realtà, a un livello ulteriore più privato (che Berne definisce psicologico), gli stati dell'Io in gioco sono diversi (tipicamente uno stato dell'Io Genitore e uno stato dell'Io Bambino): in questo caso ci si trova di fronte a una transazione cosiddetta duplice o «ulteriore».

Dal punto di vista degli effetti prodotti a seconda del tipo di transazione presente in un certo rapporto sociale valgono quelle che Berne (1964) definì come «regole della comunicazione». La prima regola afferma che in caso di transazioni complementari la relazione può virtualmente proseguire all'infinito. La seconda regola afferma che in caso di transazione incrociata la relazione ha come una sorta di interruzione e le persone coinvolte devono in qualche modo cambiare perché la relazione possa riprendere. La terza regola della comunicazione, infine, stabilisce che l'effetto pragmatico di una relazione è definito più dal livello ulteriore psicologico che da quello superficiale sociale. In sostanza, nelle transazioni duplici, si riconosce l'intervento attivo non solo di stati dell'Io Adulti - modi di essere, cioè, in rapporto con la realtà attuale intersoggettivamente definita - ma anche, e contemporaneamente, di stati dell'Io Genitore e/o Bambino, modi di essere arcaici in rapporto con rappresentazioni oggettuali interiorizzate piuttosto che con la realtà così come la percepiamo. Le transazioni duplici, quindi, appartengono all'area dei fenomeni di transfert e sono, attraverso i giochi psicologici che veicolano, l'elemento in cui consiste la psicopatologia del rapporto sociale.

La teoria dei giochi psicologici è probabilmente il più originale contributo berniano alla psicologia sociale e alla psicopatologia dell'azione sociale. L'oggetto della teoria - il gioco psicologico - è costituito da modi di interazione pervasivi, inconsapevoli e dotati di un significato diverso da quello che quelle stesse azioni sembrerebbero indicare in un contesto quotidiano. In un linguaggio tecnico, essi sono catene di transazioni ulteriori volte a un fine particolare e difensivo: la gestione, attraverso modalità di rapporto socialmente accettabili e codificate, di proclività individuali quali desideri inconsci proibiti o conflitti intrapsichici rimossi. L'uso del termine «gioco» per questi modi relazionali si giustifica a due livelli. Da un lato si tratta di gioco in quanto opposto a un'attività che ha lo scopo di modificare in qualche modo la realtà; nel caso del gioco psicologico, infatti, non è la realtà esterna il fine ultimo della relazione, bensì l'omeostasi della realtà intrapsichica individuale. L'impossibilità, inoltre, di essere consapevoli di un gioco psicologico mentre lo si sta giocando pone il gioco stesso nell'ambito dei fenomeni di transfert. In altre parole, il Bambino, che attraverso il «come se» del gioco cerca per esempio una rassicurazione, non è in relazione con gli altri secondo la realtà consensualmente definibile, bensì secondo una visione dell'altro come se fosse un Genitore.

Questo vuol dire che il significato del gioco è spostato dal tempo e dalle relazioni presenti a un tempo e a relazioni passate. In secondo luogo, il termine gioco fa riferimento a un modo di interagire che è governato da regole: a una certa azione di uno dei giocatori corrisponde una precisa risposta dell'altro; azione e risposta hanno non solo una certa plausibilità sociale, ma sono anche, in qualche modo, determinate da regole di buon rapporto sociale. In questo senso i giochi psicologici sono descrivibili e classificabili in base alle loro caratteristiche sociopsicologiche (Berne, 1964). Per fare solo un esempio, nel gioco detto «Perché non... ? Sì, ma...» uno dei giocatori stimola gli altri giocatori a fornirgli consigli, che normalmente vengono offerti e immediatamente rifiutati, per ragioni del tutto accettabili. L'aspetto sociale del gioco segue una serie di regole di comunicazione e di interazione la cui violazione risulterebbe difficile per le persone coinvolte. Il piano psicologico, viceversa, tende a dare al giocatore che chiede consiglio la possibilità di dimostrare l'inadeguatezza di chi lo offre, ovvero delle figure genitoriali e delle loro capacità di guida.

Attraverso i giochi psicologici viene portato avanti il cosiddetto «copione» di vita. Nelle prime formulazioni (Berne, 1961) questo concetto indicava il tentativo di rimettere in scena un intero dramma transferale (la scena primaria, per esempio) attraverso simbolizzazioni e l'adattamento alle circostanze della vita attuale. Successivamente (1972) il concetto fu ampliato fino a fargli assumere un significato pervasivo in tutta la vita degli individui. In sostanza, secondo Berne, durante l'infanzia l'individuo, sulla base della propria interpretazione degli atteggiamenti genitoriali (detti ingiunzioni, controingiunzioni e incitamenti) e del proprio atteggiamento pulsionale (detto daimon), prende una serie di decisioni circa se stesso, gli altri e la qualità della vita. Tutto ciò forma un «protocollo» inconscio del copione che, attraverso successivi adattamenti alle circostanze di fatto lungo cui la vita procede, verrà recitato e formerà la base per tutti gli atteggiamenti preconsci nei confronti di sé e della vita. Sul piano metodologico, l'analisi transazionale si caratterizzava per essere un approccio gruppale e contrattuale (Berne, 1966).

Secondo i principi di psichiatria sociale professati da Berne, il gruppo rappresenta un microcosmo in cui i giochi psicologici e il copione di vita si evidenziano in modi particolarmente adatti a essere analizzati e interpretati. Attraverso la «diagnosi» degli stati dell'Io - attraverso cioè il riconoscimento diretto delle caratteristiche degli stati dell'Io Bambino e Genitore dei vari membri del gruppo -, l'analisi delle transazioni e dei giochi che avvengono nel gruppo stesso, come pure attraverso l'analisi del copione, il paziente dovrebbe raggiungere un livello di comprensione e di padronanza di sé tale da permettergli di fare a meno dei propri sintomi, rendendolo pronto per un trattamento psicoanalitico volto a esplorare più profondamente il proprio mondo intrapsichico. Il ruolo del terapeuta consiste in sostanza nell'evidenziare ciò che nel gruppo accade, in modi tali da evitare che l'analisi non sia essa stessa trasformata in un gioco psicologico difensivo (i giochi chiamati di «Psichiatria», in cui la razionalizzazione prende il posto della comprensione autentica, e della «Serra», in cui l'espressione delle emozioni viene asservita alla manifestazione di atteggiamenti regressivi). In sostanza il compito del terapeuta è quello di favorire il «lavoro» del gruppo rispetto agli attacchi che a esso vengono fatti dal «processo» del gruppo.

Il trattamento, inoltre, è condizionato dalla stipulazione di un «contratto» terapeutico che, riformulato di volta in volta sulla base del procedere del trattamento stesso, definisce non solo gli aspetti amministrativi del rapporto terapeutico, ma anche, e soprattutto, gli scopi per quel paziente, il risultato atteso della psicoterapia. Alla tecnica terapeutica appartiene anche l'uso particolare del linguaggio e degli strumenti comunicativi utilizzati da Berne. Allo scopo di permettere al paziente di appropriarsi il più possibile del proprio trattamento, rendendolo un protagonista attivo del processo terapeutico, Berne utilizzò fin dal principio un vocabolario icastico fatto di parole di uso comune altamente evocative e tali da stimolare la partecipazione emotiva del paziente: appartengono a questo linguaggio i nomi degli stati dell'Io, i titoli dei giochi psicologici, le parole chiave della teoria dei copioni, ecc. Egli inoltre favoriva l'apprendimento, da parte del paziente, degli aspetti di base della teoria dell'analisi transazionale e faceva uso, durante le sedute di gruppo, di una lavagna su cui, attraverso modelli grafici appositamente elaborati, rappresentava ciò che via via nel gruppo stava accadendo.

Nei due decenni successivi alla morte di Berne, la tecnica terapeutica dell'analisi transazionale subì una serie di variazioni dovute, soprattutto, all'inserimento di una prospettiva metodologica derivante dalla terapia della Gestalt e propugnata, nell'ambito del movimento analitico transazionale, dai Goulding (1979). L'elaborazione di ciò che accade nell'hic et nunc del gruppo, attraverso l'analisi delle transazioni e dei giochi, venne man mano sostituita dall'elaborazione degli aspetti intrapsichici e individuali del copione, attraverso soprattutto la tecnica gestaltica della «sedia vuota». Il gruppo, quindi, veniva a perdere la sua funzione di microcosmo in cui accadono delle cose per diventare una sorta di stimolatore dell'affettività, passando da una terapia di gruppo a una sorta di terapia individuale in gruppo. Questo approccio, detto «ridecisionale», si basa sull'idea che sia possibile individuare e cambiare le decisioni di copione originarie, sostituendole con altre più favorevoli al benessere psicologico del paziente.

Questi cambiamenti metodologici, tuttavia, non furono accompagnati da evidenti e approfondite revisioni teoriche; anzi, la teoria berniana venne in qualche modo mortificata e messa da parte a favore di una tecnica aperta agli influssi più diversi, dalla bioenergetica alle tecniche di derivazione new age. Verso la fine degli anni '80, invece, la teoria e la tecnica dell'analisi transazionale iniziarono a essere sottoposte a una revisione volta a renderle più coerenti internamente e in grado di interagire meglio con quanto stava succedendo nell'ambito della ricerca in psicoterapia, soprattutto all'interno dei modelli psicoanalitici e cognitivisti. In questo senso furono rivalutate e approfondite le radici psicoanalitiche del pensiero berniano e venne introdotto un punto di vista costruttivistico e intersoggettivo. Tale revisione si appuntò in particolare sulla teoria degli stati dell'Io (B. Loria, J. Alien e B. Alien, W. Galliano) e delle transazioni (M. Novellino), e sulla teoria del copione (W. Cornell, Galliano).

WILFREDO GALLIANO