Amnesia, ricordo di copertura |
Se S. Freud (1920a) affermava che la coscienza sorge al posto di una traccia mnestica, si sarebbe tentati di dire che la stessa teoria psicoanalitica sia subentrata al posto di una teoria della memoria. Benché non si presenti come tale, né ne proponga una nuova e autonoma, dalla propria specifica angolazione la psicoanalisi ne delinea alcune importanti caratteristiche, basa la sua topica sulla distinzione tra percezione e memoria, e soprattutto parte da un'amnesia per indagare le forme esplicite e implicite del ricordare. Non è infatti casuale che il famoso settimo capitolo dell' Interpretazione dei sogni (1899a), in cui Freud presenta pubblicamente un primo modello dello «strumento psichico» che occorre presupporre per spiegare il lavoro onirico, inizi proprio partendo dall'oblio dei sogni, da quell'amnesia che sembrerebbe sottrarre a monte lo stesso materiale per ogni indagine scientifica sul fenomeno onirico. Ciò che si ricorda del sogno è lacunoso e per di più infedele e falsato, fino a poter ricordare soltanto di aver sognato. Ma questo oblio si rivela per nulla casuale, bensì frutto di una censura psichica la cui tendenziosità è al servizio della resistenza. Lo mostra ad esempio quello che Freud definisce un «gradino preliminare del dimenticare» (1899a): l'emergere, durante il lavoro interpretativo del sogno, di un suo brano inizialmente dimenticato, che spesso risulta la via più breve verso il suo nucleo significativo, e proprio perciò il più esposto alla resistenza che ne aveva promosso l'oblio e il primo a ripresentarsi una volta che questa è stata superata. Cosicché Freud (1899b) respinge le obiezioni secondo le quali l'oblio dei sogni dipenderebbe dalle capacità di prestazione radicalmente differenti tra lo stato di veglia e quello di sonno, a cui era imputata una debilità mnestica e di pensiero, o sarebbe soltanto un caso speciale di amnesia per gli stati psichici dissociati. Afferma risolutamente che esso dipende, invece, inclito più dalla stessa attiva resistenza che nella veglia interferisce nel funzionamento psichico provocando sintomi, dissociazioni o ostacolando lo stesso lavoro interpretativo, e lo attribuisce alla rimozione. Il sogno, inclusa l'amnesia parziale o totale che l'accompagna, si comporta quindi semplicemente come un sintomo nevrotico, incrinando ulteriormente qualsiasi mito di una trasparenza dell'anima (Starobinski, 1971), che si rivela ancora più opaca e soprattutto, per così dire, dolosamente opaca a se stessa: nessuna anamnesi o introspezione sembra poter direttamente colmare queste lacune memoriali, che lo stesso funzionamento psichico introduce. Solo può permetterlo - ma con restrizioni via via più significative - un metodo, quello analitico, che le aggiri mediante le associazioni libere e la peculiare relazione con un altro che, a sua volta, privilegi un'attenzione liberamente fluttuante. Ciò che vale per l'amnesia dei sogni - e che varrà per la dimenticanza che rientra tra gli atti mancati della psicopatologia della vita quotidiana (Freud, 1901) - secondo Freud i valido anche per l'amnesia infantile e l'amnesia isterica, anche se bisognerebbe invertire l'ordine, dal momento che la cronologia delle scoperte ha proceduto in senso inverso. Come quella onirica, anche le altre amnesie non sono una scoperta della psicoanalisi, che si limita per così dire a meravigliarsene, sottraendole alla spiegazione - tanto immediata e scontata, quanto falsa - che le riconduceva a una disgregazione o riduzione delle capacità funzionali psichiche nel sonno, nell'infanzia, nella patologia. L'«amnesia infantile» è quella, caratteristica della maggior parte degli esseri umani, che ricopre con una spessa coltre gli eventi dei primi anni di vita facendo dell'infanzia di ciascun individuo una specie di epoca preistorica che cela i primordi della vita sessuale (Freud, 1905c). Estendendosi fino al tramonto del complesso di Edipo e all'inizio della cosiddetta fase di latenza, contribuisce al fatto che, in generale, all'età infantile non si attribuisca valore per lo sviluppo della vita sessuale. Freud rifiuta di ricondurre l'amnesia infantile a una assente o carente fissazione dei ricordi o alla loro soppressione dalla memoria del bambino, visto che l'infanzia ha lasciato dietro di sé tracce indelebili determinanti per il successivo sviluppo, benché ne restino pochi ricordi slegati, di valore spesso dubbio o enigmatico. Di conseguenza, non può trattarsi di una effettiva cancellazione delle impressioni d'infanzia, bensì di un'amnesia analoga a quella determinata da esperienze posteriori osservabile nell'isteria e più in generale nelle nevrosi, e consistente in un puro e semplice allontanamento dalla coscienza mediante la rimozione, più specificamente della sessualità infantile. Anzi, proprio l'amnesia infantile è considerata la premessa e la condizione dell'«amnesia isterica», che si spiega infatti soltanto perché già l'individuo possiede un patrimonio di tracce mnestiche che, sottratte alla disponibilità della coscienza, richiamano e attirano il materiale che può ricollegarvisi associativamente e che perciò è esso stesso successivamente rimosso. Senza amnesia infantile, cioè un già rimosso, non vi sarebbe amnesia isterica, e l'analogia fra tale amnesia patologica e l'amnesia normale degli anni della nostra infanzia diventa una prova degli intimi rapporti esistenti fra il contenuto della nevrosi e la vita infantile. Dunque l'amnesia, nozione descrittiva non specificamente psicoanalitica, che implicitamente fa riferimento a una psicologia della coscienza, in psicoanalisi non costituisce un meccanismo di difesa, ma l'effetto di uno di essi, anzi del loro prototipo: la rimozione. Quest'ultima, differentemente dall'ipotesi di una mancata o difettosa registrazione, implica la persistenza di qualcosa al di là dell'amnesia, di una traccia mnestica o memoriale inconscia la cui rimemorazione potrebbe colmare le lacune della coscienza ripristinandone la continuità e permettendo l'abreazione degli affetti originariamente connessi al trauma cui è legato quel ricordo assente. Una traccia mnestica che, essendo una trascrizione in relazione con altre tracce all'interno di sistemi associativi, è perciò rievocabile in base a certi contesti e non ad altri. Freud (1899a) è talvolta incline a negare qualità sensoriale a tali tracce mnestiche, mentre in altre occasioni attribuirà loro vivacità e freschezza sensoriale, essendo sottratte dalla rimozione a una normale usura, e avendo una disposizione intrinsecamente allucinatoria, che, da un lato, corrisponde all'accentuazione posttraumatica dell'impressione e, dall'altro, sarà connessa al carattere necessariamente figurativo e specialmente visivo delle rappresentazioni di cosa inconsce (1915a). Analogamente, Freud (1895) talora intende la trascrizione del ricordo non necessariamente come una riproduzione dell'oggetto, talaltra la indica come immagine mnestica, implicitamente una sorta di calco dell'oggetto corrispondente. L'amnesia resta comunque il segno di una forte restrizione delle competenze e delle capacità dell'Io, nonché dei contenuti psichici a sua disposizione, alcuni dei quali, inclusi alcuni fantasmi, non sono mai stati consci né potranno essere recuperati come ricordi. E resta legata a una concezione abreattiva della cura, mentre successivamente l'accento si sposterà sull'interpretazione e la costruzione, che mirano piuttosto alla rielaborazione, alla simbolizzazione e alla trasformazione. Queste amnesie hanno tuttavia, per così dire, tre «rovesci» mnestici: reminiscenza, ricordo di copertura, ripetizione. Oltre a soffrire di amnesie, l'isterico soffre infatti di reminiscenze, diranno Breuer e Freud (1892-95) in una celebre affermazione. La reminiscenza è una forma particolare di ricordo che condiziona il presente, ma è confusa, vaga, involontaria, deformata e soprattutto irriconoscibile come passato e come propria, e risulta difficile da trasformare o ritrasformare in ricordo, staccata com'è dalle sue origini. Essa costituisce un «corpo estraneo interno» che agisce a distanza di tempo dall'evento cui si riferisce anonimamente e acronicamente, ma come causa diretta e direttamente efficace, anziché mediante una catena di anelli causali intermedi. Il termine risale peraltro a Platone, che ne parla a proposito delle conoscenze acquisite senza apprendimento, e dunque equivalenti a una «stravaganza» in quanto provenienti da altrove: qualcosa di altro che agisce all'interno del soggetto in modo incongruo, restandovi però inastato, privo di connessioni con il tessuto circostante. Di certo la nozione di reminiscenza, oltre che l'opacità del soggetto (e dell'Io) a se stesso, accentua anche il suo decentramento rispetto a ciò che lo muove e ch'egli non può ricostituire come storia appropriandosene. Se l'analisi può parzialmente farlo, è solo in quanto la relazione analitica, ricentrando il soggetto sulla relazione con l'altro, può dischiudere quell'apertura originaria all'altro che a priori esclude per l'Io la possibilità di una definitiva chiusura e « appropriazione». Comunque, la stretta connessione dell'isteria con un'alterazione della rimemorazione spinge, inizialmente, a individuare l'obiettivo della cura analitica, che allora si andava definendo, proprio nel dissolvimento dell'amnesia: sia quella specifica di ricordi traumatici rimossi, cui risalirebbe eziologicamente l'isteria, sia la sua più generale premessa infantile. Questo obiettivo, in seguito, sarà sempre mantenuto, ma progressivamente rivisto e circoscritto, fino a escludere la possibilità di una completa eliminazione dell'amnesia infantile, dopo che sarà stata postulata una rimozione originaria e alcuni ricordi saranno perciò ritenuti irrecuperabili come tali ma solo ricostruibili, via via che porzioni fondamentali della memoria dell'infanzia saranno ritenute depositate nelle stesse strutture psichiche anziché in iscrizioni riproducibili in un ricordo e man mano che assumeranno rilievo meccanismi quali il diniego e la scissione dell'Io, che non implicano amnesie ma solo «spostamenti di valore» (Freud, 1938c). Cosicché la rimemorazione, anziché attraverso ricordi espliciti, passerà per altre dimensioni del transfert (Mancia, 2004) e per l'emersione di affetti intensi non provati al momento del trauma (Winnicott, 1974), permettendo all'Io, originariamente assente, di integrarli in una prima forma di legame. Affetti che, per di più, spesso emergono nell'analista, come ad esempio nella dream-like memory, quel «ricordo oniroide» che si presenta all'analista durante la seduta senza alcuno sforzo di rimemorazione, che W. Bion ( 1970) distinguerà dal ricordo rimemorato comunemente inteso, collegandolo alla differenza tra il conoscere e il divenire la realtà psichica (denominata «O»), che per l'appunto esige di svincolarsi da ciò che può saturare la mente di dati sensoriali o mnestici. Tra le reminiscenze isteriche rientra in un certo senso lo stesso sintomo, che Freud (1892-95) inizialmente considera equivalente a un simbolo mnestico o di ricordo: monumento commemorativo del trauma, cretto per mezzo dello spostamento su di una rappresentazione adiacente o su una sua circostanza secondaria, con un successivo suo isolamento. Proprio per questo esso assume una funzione simbolica (sottinteso: del trauma patogeno o del conflitto), sia pure al traverso una forma «primitiva» di simbolismo che utilizza la figurabilità corporea e che soprattutto, a differenza del simbolismo vero e proprio, rimpiazza in tutto e per tutto la cosa simbolizzata (Freud, 1895). Oltre la reminiscenza, vi è però un altro rovescio mnestico dell'amnesia (isterica, infantile o onirica), anch'esso con conseguenze che travalicano la clinica ripercuotendosi sulla stessa teoria della memoria. Sullo sfondo dell'amnesia infantile, si stagliano infatti dei ricordi, o più frequentemente dei frammenti mnestici, che contraddittoriamente si presentano perfino particolarmente vividi e chiari: fin troppo, nota Freud ( 1899b) parlando di Überdeutlichkeit, iperintensità. Per di più, vividi in alcuni particolari apparentemente insignificanti, mentre ci si aspetterebbe che restassero ben impressi nella memoria ricordi più decisivi dell'infanzia, semmai relativi allo stesso periodo o alle stesse situazioni. Se ci si meraviglia di dimenticare ricordi importanti, scrive Freud, ancora più sorprendente è ricordarne di anodini. Anche in questo caso, a scoprire questa stranezza della memoria umana non è la psicoanalisi, che si limita a meravigliarsene avvertendo il problema che si cela dietro di essa, ossia rifiutando di considerarla un fatto naturale da attribuire allo stato rudimentale dell'attività psichica infantile, in realtà già capace di prestazioni molto complesse, come si ribadirà sempre più nelle ricerche psicologiche del '900, nonostante sia ormai accertato che l'organizzazione neuronale della memoria infantile maturi anch'essa col tempo. Freud accoglie la spiegazione fornita da V. e C. Henri (1897) che avevano attribuito questi ricordi infantili a una memorizzazione incompleta e incomprensibile perché lacunosa, ma la psicoanalisi prova che l'impressione ricordata, una volta completamente richiamata, conferma il principio per cui nella memoria si conserverebbe soltanto ciò che è più importante. Individua perciò nella conservazione dell'insignificante l'effetto di due forze psichiche contrapposte, una che spinge a ricordare l'evento e l'altra che vi si oppone: il loro compromesso fa si che si ricordi non ciò che rende rilevante quell'episodio, bensì un elemento psichico spostato di circa un anello associativo, il che rende incomprensibile la significatività del ricordo. Ricorrendo a un'espressione tedesca comune per indicare la falsità di qualcosa, Freud (1899b) dirà che un certo episodio dell'infanzia persiste nella memoria non perché sia oro, ma perché si trova, o si è trovato, vicino all'oro. Per tale motivo Freud denomina «ricordo di copertura» questo tipo di ricordo in cui l'intensità psichica si è spostata in margine agli elementi originari più pregnanti, che così ne sono schermati. Peraltro, questi ricordi di copertura, contrariamente a quel che si potrebbe credere, non sono marginali nell'esiguo repertorio mnestico relativo all'infanzia, perché anche le memorie più fedeli agli eventi accaduti si rivelano il risultato di una costruzione articolata, per due aspetti. Per la commistione di elementi falsi risultato di spostamenti e condensazioni, alla maniera dei meccanismi che agiscono nella formazione del sogno, ma soprattutto per la presenza del soggetto stesso nell'immagine ricordata, come se quest'ultima fosse stata osservata e fosse ricordata da un osservatore esterno: una contrapposizione tra l'Io attore e l'Io evocatore che prova come l'impressione originaria, di cui nulla perviene alla coscienza, abbia subito una rielaborazione e sia stata ritradotta in un'immagine plastica e figurativa solo nel momento in cui è richiamata alla memoria. Ciò riduce la distanza che separa i ricordi di copertura dagli altri ricordi infantili, fino a mettere in dubbio per Freud la possibilità di avere ricordi coscienti provenienti dall'infanzia anziché ricordi costruiti sull'infanzia. Infatti, successivamente Freud paragonerà il rimaneggiamento subito dai ricordi alla formazione delle leggende dei popoli sulle loro origini (1914b), e i ricordi di copertura ai sogni (1914a), per via della figurazione presente in entrambi e del compromesso che li accomuna; fino a farne un derivato privilegiato dell'inconscio, la cui interpretazione traccia una sorta di seconda via regia verso di esso (oltre quella dell'interpretazione dei sogni). Infine, un'aggiunta del 1920 a Freud (1905c) collegherà i ricordi di copertura al feticcio, che velando la castrazione per evitarne la relativa angoscia, diventa simbolo mnestico, residuo e precipitato sensorialmente intenso di un'intera fase tramontata e dimenticata dello sviluppo sessuale. Ma è soprattutto nel 1910 che Freud mostra come la memoria sia pregna di fantasmi e deformata dai processi difensivi (1910c), nel senso che nessun ricordo è esente da infiltrazioni fantasmatiche e nessun fantasma è privo di elementi figurativi riportabili a tracce mnestiche: se il ricordo infantile è tout court un ricordo di copertura, vale a dire frutto di un compromesso fra tracce mnestiche e fantasmi di desiderio, allora occorre superare l'opposizione ricordo/ricordo di copertura e rimemorazione/costruzione. Più precisamente, si rafforza l'idea che il ricordo di copertura sia a tutti gli effetti un derivato dell'inconscio, e copra e sveli al tempo stesso, come il sogno, non tanto gli eventi dell'infanzia e il loro vissuto soggettivo, ma il deposito inconscio del vissuto infantile, ben più eterogeneo rispetto al vissuto di quanto lo sia il semplice ricordo, e che risulta da un processo infinitamente più deformante. Proprio qui si dividono coloro che ritengono che la deposizione nell'inconscio (vale a dire rimozione e introiezione) sia del tutto differente da un processo di memorizzazione perché, pur lasciando tracce psichicamente efficaci, le sottrae perennemente a ogni forma di rimemorazione (J. Laplanche), da quelli che sottolineano invece le analogie, come si trattasse di una sorta di seppellimento di Pompei (M. Moscovici; G. Pugh). Un'ultima forma di rovescio dell'amnesia è infine la «ripetizione». Fin dal 1895 Freud sembra individuare in quest'ultima, più che nel ricordo, il modo in cui emerge la traccia mnestica; oltretutto, mentre diventa sempre più palese lo scarto tra il ricordo e la percezione o l'evento originari, la ripetizione rivela una maggiore prossimità alla modalità allucinatoria di soddisfacimento del desiderio, per la sua dimensione di azione e di scarica. Ma sarà soprattutto con la delucidazione del transfert (1914a) che la ripetizione si imporrà come modalità sostitutiva della rimemorazione: la persona in analisi non ricorda assolutamente nulla di quanto dimenticato e rimosso, ma lo riproduce sotto forma di azioni. In generale sembra esservi consenso circa il fatto che Freud non costruisca, né miri a costruire, una nuova teoria della memoria, inserendo le sue osservazioni sull'influsso dell'inconscio nella rimemorazione in una teoria classica delle tracce che, dal Teeteto platonico passando per Cartesio, era comune nell'800, ad esempio nello psicologo Th. Ribot nonché nel filosofo H. Bergson, e restava sempre fedele a una serie già presente nel Fedro platonico, in Cartesio, in P. Janet e negli psicoterapeuti di fine '800: trauma, rimozione, oblio, sintomo, rimemorazione, guarigione. Proprio il fatto che Freud non introducesse una nuova teoria della memoria, basandosi sulle concezioni allora disponibili, per alcuni imporrebbe di rivedere le ipotesi psicoanalitiche alla luce delle nuove conoscenze sulla memoria, psicologiche e neuroscientifiche. In realtà, se da un lato è evidente la correlazione di queste ultime con osservazioni e nozioni freudiane e psicoanalitiche, ad esempio intendendo la rimozione come un'inibizione della memoria esplicita che lascerebbe inalterata la memoria implicita, ridurre queste ultime a quei meccanismi neuropsicologici potrebbe trascurarne la dimensione sessuale. Altri autori ritengono invece che molte delle idee innovative circa la memoria consonanti con i più recenti sviluppi neuroscientifici vadano rintracciate piuttosto in altri concetti freudiani (identificazione e Super-io) e post-freudiani, quali quelli kleiniani di oggetto interno e memories in feeling, ricordi sotto lorma di sensazione. ALBERTO LUCHETTI |