Ambiente |
L'«ambiente» in psicologia ha alcuni significati leggermente diversi, che in comune hanno il fatto di riferirsi a tutto ciò che circonda l'individuo e con cui l'individuo si può mettere in relazione. L'influenza che l'ambiente fisico e quello sociale hanno sull'individuo è studiata dalla psicologia dello sviluppo, a volte in contrapposizione con l'influenza del patrimonio genetico, come per esempio nel dibattito sul ruolo rispettivo di eredità e ambiente nella determinazione dell'intelligenza. Un altro punto di vista è quello degli studi di metodologia della ricerca psicologica, che hanno messo in luce gli «effetti di disturbo» che possono intervenire in una ricerca sperimentale a causa dell'influenza dell'ambiente, al quale il soggetto può rispondere come a un «oggetto-stimolo» non considerato dallo sperimentatore. Una distinzione importante, introdotta dagli psicologi della Gestalt, è quella tra ambiente geografico e ambiente comportamentale, cioè tra gli oggetti fisici e gli oggetti fenomenici, che sono il risultato della nostra elaborazione percettiva. Oltre a questa distinzione, la psicologia della Gestalt mette in luce il ruolo attivo del soggetto nella percezione e l'impossibilità di considerare la percezione di un oggetto indipendentemente dal suo contesto. In particolare, K. Lewin (1936) attribuisce all'ambiente un ruolo centrale nel comportamento umano nella sua famosa equazione: B = f (E,P) in cui il comportamento (Behavior) è definito come funzione dell'ambiente (Environment) e della persona (Persoti). Nell'ambiente, secondo Lewin, sono compresi anche i fattori sociali, cioè gli altri individui e i loro comportamenti. Della relazione individuo/ambiente si sono occupate diverse altre scienze: la geografia umana, la biologia, l'antropologia, la sociologia, l'architettura, tra le altre, hanno messo a fuoco aspetti spaziali, climatici, relazionali dell'ambiente già molti anni prima che nascesse la psicologia ambientale. Dalla psicologia architettonica (cioè da studi focalizzati sull'influenza delle strutture architettoniche sul comportamento umano) presero le mosse, all'inizio degli anni '60 del '900, quelli che possono essere considerati i fondatori della psicologia ambientale, gli inglesi T. Lee e D. Canter e gli americani W. Ittelson e H. Proshansky. Come si percepisce un ambiente è stato studiato soprattutto da Ittelson (1976). Le principali differenze tra la percezione nelle teorie psicologiche classiche e la percezione nella psicologia ambientale sono le seguenti: 1) innanzitutto, nello studio della percezione ambientale è molto difficile separare il soggetto dall'ambiente. Il soggetto è infatti immerso nell'ambiente, e i movimenti che compie al suo interno possono modificare le relazioni spaziali e percettive con gli oggetti, anche negli aspetti sociali e motivazionali. Nella percezione ambientale - realizzata di solito attraversando un ambiente ed esplorandolo visivamente -il soggetto non può mai prescindere dalla sua collocazione nello spazio, e quindi deve tenere conto anche delle coordinate spaziali che fanno riferimento a lui stesso. 2) Nella percezione ambientale quasi mai viene usato un solo canale sensoriale, mentre molto più frequente è il caso in cui diversi canali sensoriali vengono attivati contemporaneamente. Diventano inoltre molto rilevanti le informazioni che vengono da canali diversi da quello visivo e acustico, come quello tattile e olfattivo, e ci si basa anche, in gran parte, su percezioni corporee tradizionalmente meno studiate, come sono le sensazioni di temperatura, movimento, equilibrio, benessere o disagio fisico. 3) Nella ricerca tradizionale sulla percezione, che si svolge in laboratorio, di solito si analizza come viene percepita un'informazione circoscritta nel tempo (un tempo istantaneo, come per esempio in una fotografia o in un disegno, oppure un tempo limitato con precisione, come nella percezione del movimento reale o apparente). Nella percezione ambientale, invece, di solito si ha un flusso di informazioni che entra ed esce continuamente dalla coscienza del soggetto, come dal suo campo visivo: cambiano distanze e prospettive, si sposta l'attenzione e di conseguenza cambiano i livelli di attivazione emozionale e motivazionale. 4) Infine, come aveva intuito la psicologia della Gestalt, la percezione di un oggetto non avviene con un bombardamento di stimoli separati, ma con un'attività di raggruppamento degli stimoli in oggetti unitari, secondo leggi di vicinanza, somiglianza, rapporto figura/sfondo, e così via. Già nella prima elaborazione a livello percettivo, ma in modo più evidente nell'apprendimento e nella memorizzazione di un ambiente, l'individuo attiva uno schema ambientale che dà senso all'esplorazione dei singoli oggetti, nonché alla scoperta delle loro qualità estetiche, funzionali e affettive. L'apprendimento e la conoscenza di un ambiente avvengono attraverso gli schemi ambientali, che contengono tre tipi di informazione (Mandler, 1984): a) informazione di inventario, che indica quali oggetti ci devono essere perché un certo ambiente sia riconosciuto come appartenente a una certa categoria di ambienti: per esempio banchi, cattedra e lavagna sono elementi che caratterizzano un'aula scolastica; b) informazione sulla relazione spaziale, che descrive la posizione tipica che devono avere gli oggetti nello spazio di quel dato ambiente: per esempio, in un'aula scolastica, la lavagna deve stare verticale di fronte ai banchi e non disegnata sul pavimento o sul soffitto; e) informazione descrittiva, che riguarda le caratteristiche degli oggetti che possono variare, almeno entro certi limiti, relativamente a quell'ambiente: per esempio, sempre nell'aula scolastica, le finestre possono essere grandi o piccole, di diverso numero, con imposte o persiane, e così via. Secondo J. Mandler, gli oggetti sono codificati più facilmente quando sono presentati in una scena organizzata; inoltre, le scene bene organizzate si ricordano meglio di quelle non organizzate. Anche se gli oggetti anomali sono riconosciuti e ricordati facilmente, le informazioni rilevanti per lo schema (cioè quelle relative agli elementi che caratterizzano quello schema ambientale) sono ricordate più accuratamente di quelle irrilevanti (per esempio, restando nell'aula scolastica, la lavagna - rilevante per lo schema -avrebbe più probabilità di essere ricordata rispetto al termosifone - irrilevante rispetto allo schema). La rappresentazione mentale che abbiamo di un ambiente, ricavata dalla nostra percezione, conoscenza e memoria, è chiamata «mappa cognitiva». Secondo il modello classico di K. Lynch (1960), le componenti principali di una mappa cognitiva sono cinque: paths (i percorsi, le strade), edges (i margini che separano aree con funzioni diverse, e possono essere visibili, come siepi e muri), districts (le zone con caratteristiche visibili diverse, come piazze o parchi), nodes (i punti cruciali in cui si incrociano i percorsi, come gli incroci) e landmarks (punti di riferimento, percettivamente evidenti, come per esempio un monumento o un semaforo, fondamentali quando impariamo un percorso). A questa classificazione sono poi state aggiunte da ricercatori successivi altre componenti più sociali e affettive, che sottolineano il fatto che la conoscenza di un luogo si intreccia con le motivazioni, le emozioni, gli affetti positivi e negativi del soggetto. Quando impariamo a orientarci in un luogo sconosciuto, per esempio in una città in cui non siamo mai stati, inizialmente la nostra mappa cognitiva comprende solo la parte di ambiente con cui entriamo in contatto visivo. Successivamente ci formiamo una rappresentazione di parti dell'ambiente che impariamo a conoscere, di solito caratterizzate da un landmark, cioè da un elemento percettivamente vistoso per le sue caratteristiche o per la sua posizione. Con ripetute esperienze, queste isole di conoscenza vengono messe in rapporto tra di loro. Il passo successivo consiste nell'inserirle in un sistema di riferimento più generale, cioè in coordinate geografiche stabili e indipendenti dal soggetto, che potrebbero essere i punti cardinali, oppure la direzione rispetto a landmarks geografici relativamente lontani: un fiume, un lago o una montagna. Come nell'apprendimento infantile, si passa da una fase di conoscenza «egocentrica», basata solo su poche esperienze personali, a una conoscenza condivisa, basata su coordinate ambientali indipendenti dal soggetto e valide per tutti. In questa fase finale, anche le distanze tra i vari elementi dell'ambiente vengono rappresentate nella mappa cognitiva. Tra i primi studi sulle emozioni ambientali vi sono quelli sulla valutazione affettiva applicata agli stimoli ambientali. Il modello di J. Russell e U. Lanius (1984) è basato sulla collocazione di etichette linguistiche (che si riferiscono a stimoli ambientali, ma che in realtà potrebbero riferirsi a qualsiasi altro oggetto) nello spazio semantico definito da due assi ortogonali: piacevole/spiacevole e attivante/soporifero. Il limite principale di questo modello è che non tiene sufficientemente conto dell'interazione tra le caratteristiche fisiche dell'ambiente e le caratteristiche personali e motivazionali dei soggetti. Un modello successivo, che tiene maggiormente conto del ruolo attivo del soggetto nell'esplorazione dell'ambiente, ha cercato di individuare quali siano, in un ambiente, i «predittori» di un giudizio valutativo positivo da parte dei soggetti. Questi predittori sono strettamente connessi ai processi cognitivi attivati dal soggetto in presenza dello stimolo costituito da un ambiente nuovo. Per R. e S. Kaplan (1982) le dimensioni da considerare sono due: la comprensione e l'esplorazione, che sono due gradi successivi di approfondimento della conoscenza dell'ambiente. La comprensione consiste nel tentativo di dare un senso a quello che percepiamo, attivando uno schema mentale (se lo possediamo già), e l'esplorazione nell'elaborare ulteriormente le informazioni in funzione delle azioni da compiere nello spazio. Le condizioni da soddisfare, perché la valutazione affettiva del soggetto sia positiva, sono le seguenti: per la comprensione, la coerenza e la leggibilità; per l'esplorazione, la complessità e il mistero. Un ambiente ci si presenta coerente quando siamo capaci di categorizzarlo e riconoscerlo. E leggibile quando offre informazioni che facilitano la comprensione, come può essere una città con buone indicazioni stradali o una biblioteca in cui sia facile reperire i libri che servono. Un ambiente non coerente e non leggibile frustra i nostri sforzi cognitivi, suscita un sentimento di inadeguatezza e una valutazione negativa. La complessità è data dalla ricchezza di stimoli e in genere suscita una valutazione positiva, a patto però che non sia eccessiva e non vada a scapito della leggibilità. Quando poi un ambiente ci dà l'impressione che, addentrandoci, scopriremmo ancora più informazioni (come per esempio una stanza con una finestra da cui si può guardare fuori) si ha la percezione del «mistero», cioè di una situazione in cui il nostro piacere di avere nuove conoscenze sarà soddisfatto. Diverse ricerche successive hanno condotto verifiche sperimentali sul modello dei Kaplan, arrivando alla definizione di altri fattori che entrano nella predizione delle preferenze ambientali, e cominciando a mettere in luce il ruolo di fattori soggettivi come età, esperienze precedenti, ruoli e scopi del soggetto. Il modello di preferenza ambientale attualmente più accettato è quello cosiddetto «della discrepanza», elaborato da A. Purcell (1986; 1987), in cui è cruciale il ruolo delle aspettative del soggetto. Nella percezione di un nuovo stimolo, il soggetto attiva lo schema ambientale che possiede: la valutazione di piacevolezza o spiacevolezza dipende da quanto l'ambiente percepito si discosta dall'immagine prototipica che ha il soggetto rispetto a quella categoria di ambienti. Esiste un grado ottimale di discrepanza tra questa immagine e l'ambiente percepito, sufficiente per attivare l'attenzione e l'interesse del soggetto, ma non così forte da mettere in questione lo schema attivato, o addirittura da non corrispondere a nessuno schema noto e da bloccare così il processo di conoscenza. Una lieve discrepanza fa attivare una risposta fisiologica del sistema nervoso autonomo e mettere in atto un'ulteriore esplorazione, mentre sul piano affettivo il risultato è uno stato piacevole. Questo modello ha il merito di mettere al centro le caratteristiche del soggetto, spiegando così la variabilità delle valutazioni di piacevolezza rispetto a uno stesso ambiente, ma è evidente il ruolo che anche qui giocano la complessità e la leggibilità di un ambiente, legati in gran parte alle sue caratteristiche fisiche. La discrepanza non è un valore misurabile in assoluto, ma è determinata soggettivamente, tra le aspettative schematiche di un determinato soggetto e un determinato ambiente. Lo sviluppo di relazioni affettive con l'ambiente è stato studiato da molti punti di vista. Una particolare accezione di ambiente viene adottata dalla psicoanalisi, in particolare da D. Winnicott (1965b), per il quale lo sviluppo psichico del bambino avviene grazie alle cure che gli vengono offerte dalla figura di accudimento, che viene chiamata «madre-ambiente». In questo senso c'è una profonda analogia tra il sostegno fisico offerto dall'ambiente e la protezione psichica offerta dalle cure materne, che permette lo sviluppo delle prime relazioni oggettuali. Per Winnicott assistere un bambino dalla nascita in poi significa fornirgli un ambiente favorevole per la salute mentale e per lo sviluppo affettivo. Sono frequenti anche i richiami all'ambiente in senso strettamente fisico e spaziale. Il bambino comincia a esplorare l'ambiente, nei suoi aspetti umani e non umani, sperimentando la separazione dalla madre e la possibilità di ritornare da lei. Molto presto il suo campo visivo e il suo spazio conosciuto si ampliano, e la conoscenza dell'ambiente si arricchisce. Un ambiente «facilitante», che coincide con una madre «sufficientemente buona», permette la crescita fisica e psicologica del bambino. L'«attaccamento» ai luoghi è un costrutto che deriva direttamente da quello di attaccamento affettivo elaborato da J. Bowlby. Attaccamento è il legame che il bambino stabilisce con la figura di accudimento, mettendo in atto un sistema di schemi comportamentali innati, che sono entrati a far parie del patrimonio genetico della nostra specie, nell'evoluzione, in quanto importanti per la sopravvivenza. Anche con gli ambienti stabiliamo una forma di attaccamento che, nei diversi periodi della vita, è tanto più forte quanto più è ridotta la nostra «competenza ambientale», cioè la capacità di far fronte ai problemi spaziali e sociali dell'età adulta. Nell'infanzia e nella vecchiaia la dipendenza dall'ambiente è più forte, perché in condizioni di scarsa autonomia possiamo sopravvivere solo con un forte sostegno ambientale. L'attaccamento all'ambiente ha origine proprio da questa dipendenza, ma si mantiene per tutta la vita in varie forme. Esistono diverse tipologie di attaccamento ai luoghi, caratterizzate da alcune dimensioni principali: l'esistenza, la continuità, l'intensità, la qualità emozionale, la durata; la consapevolezza del proprio attaccamento a un luogo, la propensione personale a stabilire legami di attaccamento ai luoghi e infine la capacità di ricostituire nuovi legami di attaccamento dopo una perdita (Giuliani, 1991). L'attaccamento ai luoghi varia da individuo a individuo, e durante l'arco della vita. Può manifestarsi con una preferenza stabile per un certo tipo di abitazione, un senso di sicurezza che si prova in certi ambienti e non in altri, o può prendere la forma di un forte attaccamento a un territorio specifico, al proprio paese o alla propria nazione. M. Fried, a cui si deve uno dei primi studi approfonditi sulle conseguenze dolorose della rottura di un attaccamento a un luogo, ha in tempi più recenti sottolineato le possibili conseguenze negative delle «disfunzioni» dell'attaccamento (Fried, 2000): l'identità territoriale, o meglio la sua disfunzione, può dare luogo a conflitti sanguinosi quando due popolazioni diverse si sentono attaccate allo stesso ambiente. Una parte della nostra identità personale è comunque sempre legata ai luoghi in cui abbiamo abitato. Il costrutto di «identità di luogo» mette in luce, tra le altre dimensioni, il ruolo che gli ambienti hanno nell'aiutarci a mantenere la continuità della nostra identità nel tempo. Alcuni cambiamenti importanti nella vita sono sottolineati dalla rottura del rapporto con un luogo e dalla costituzione di un attaccamento con un luogo nuovo: l'autonomia dalla famiglia di origine, la costituzione o lo scioglimento di coppie, sono in quasi tutte le culture accompagnati da un cambio di abitazione. L'attaccamento ai luoghi può anche avere una valenza negativa. Possiamo arrivare a odiare - e quindi cercare di evitare - un luogo per noi connotato da emozioni spiacevoli, collegate a bisogni non soddisfatti, oppure soddisfatti inizialmente e frustrati in seguito, magari a causa di trasformazioni del luogo stesso. I metodi della psicologia ambientale si rifanno in parte a quelli classici della psicologia, con una maggiore attenzione alla validità ecologica (cioè all'applicabilità dei risultati alla realtà fuori del laboratorio), e in parte si avvalgono di strumenti nati all'interno di questa disciplina. Un metodo originale, dovuto a Ittelson, Rivlin e Proshansky (1976), è quello delle «mappe comportamentali», che applica il classico metodo dell'osservazione naturalistica a contesti in cui si voglia osservare l'influenza di un cambiamento ambientale sul comportamento delle persone (per esempio l'effetto di una ristrutturazione in una casa di riposo o in un reparto ospedaliero). Strumenti di valutazione della soddisfazione residenziale sono i POE (Post-Occupancy Evaluations, valutazioni «dopo l'occupazione») e i PEQI (Perceived Environmental Quality Indexes, indici di qualità ambientale percepita), in uso già dagli esordi della psicologia ambientale, e che hanno il merito di sottolineare, a differenza degli strumenti valutativi adottati dagli architetti, l'importanza della valutazione soggettiva dell'utente. Infine, ai vari metodi di valutazione della qualità attualmente in uso in diversi settori lavorativi si possono unire strumenti che sottolineano esplicitamente la qualità ambientale, come il QualSost (Muffolini, 2003), che può essere utilmente applicato all'interno di comunità residenziali, per raccogliere la valutazione degli utenti e degli operatori e verificare quale consapevolezza ci sia, nell'istituzione, dei reali bisogni degli utenti. Questo strumento esamina, tra le altre dimensioni del servizio, anche quella dei cosiddetti «aspetti tangibili»: strutture, attrezzature, personale, strumenti di comunicazione. Tra le possibili applicazioni della psicologia ambientale si possono qui citare solo alcuni sviluppi. Uno è nel settore dello stress ambientale: i classici modelli dello stress psicologico sono stati applicati ad alcuni stressors ambientali, di cui si è mostrata l'influenza sul grado di benessere psicologico, sull'efficienza dei processi cognitivi e sul comportamento: il rumore, l'affollamento, il caldo, il freddo, l'inquinamento dell'aria e il traffico. Anche nella prospettiva della riduzione dell'affaticamento dovuto al sovraccarico cognitivo, è stato recentemente oggetto di molte ricerche il ruolo dell'esposizione ad ambienti naturali e i suoi benefici effetti sulla rigenerazione dell'attenzione. Un altro campo di applicazione che si sta sviluppando è quello dell'educazione ambientale, con studi sempre più approfonditi sulla relazione, non semplice, tra le conoscenze del soggetto, i suoi atteggiamenti sociali, il suo sistema di valori e il suo comportamento proambientale. Infine, studi di psicologia ambientale hanno un autonomo spazio nel nuovo settore della psicologia dell'emergenza, per esempio per quanto riguarda la valutazione soggettiva del rischio nell'ottica della prevenzione dei disastri ambientali. ROSA BARONI |