Abraham Karl (1877-1925) |
K. Abraham (1877-1925) nasce a Brema da una famiglia di stretta osservanza ebraica. E’ uno scolaro particolarmente intelligente e capace. La sua propensione per le lingue si manifesta nel corso della sua adolescenza, quando la linguistica comparata diviene un suo interesse profondo, che gli permetterà di adulto di parlare, oltre il tedesco, l’inglese, lo spagnolo, l'italiano e il reto-romanico (ladino). In inglese e in spagnolo può addirittura condurre analisi. Dopo gli studi di medicina, il suo primo lavoro professionale è presso l'ospedale psichiatrico municipale di Berlino. Successivamente vince il concorso per un posto di assistente all'ospedale psichiatrico Burghölzli di Zurigo che, sotto la direzione di E. Bleuler, sta divenendo rapidamente il più importante ospedale psichiatrico universitario del mondo, superiore anche alla prestigiosa clinica universitaria di Monaco di E. Kraepelin, il quale, basandosi su osservazioni e su numerosi risultati statistici, accorpa sotto la diagnosi di dementia praecox sindromi in precedenza inulte separate, quali la catatonia, l'ebefrenia e la parafrenia. La sua caratteristica è che, se la malattia non recede all'inizio, il paziente peggiora inesorabilmente. Bleuler, uh re a intuire la possibilità di arrestare la malattia e talvolta di invertirne il decorso - a patto che si instauri un rapporto personale con il paziente - è anche uno dei primi nel mondo accademico ad accogliere e applicare le intuizioni psicoanalitiche che S. Freud sta diffondendo. Il Burghölzli, diretto da lui C da C. G. Jung, diventa l'istituzione più adatta e pronta a recepire il pensiero psicoanalitico nascente. Qui Jung accoglie Abraham cordialmente, ma la loro amicizia dura poco: i rapporti si raffreddano già nell'inverno 1906-907. Il loro contrasto diventerà aperto al primo Congresso di psicoanalisi a Salisburgo, nel 1908, quando Abraham presenterà un lavoro sulla demenza precoce in cui sviluppa una teoria del disturbo coerentemente psicoanalitica in conflitto con quella di Jung, che avanza riserve sulla natura psicogena della malattia. Pensando di trasferirsi a Berlino, Abraham decide di dare le dimissioni dall'ospedale di Zurigo. Freud incoraggia il suo progetto e lo invita a Vienna. Da questo momento in poi Abraham rimane intimo di Freud: tra il 1907 e il 1924 non c'è nessun lavoro dell'uno o dell'altro che non sia oggetto di dibattito e di confronto reciproco. Abraham si dimostra un collaboratore scientifico e un organizzatore capacissimo, senza mai rinunciare alla franchezza e alla propria indipendenza di giudizio. Egli appoggia Freud nei conflitti che scuotono periodicamente il gruppo dei seguaci, e mostra coerenza e rigore morale tali da fargli comprendere le crisi che stanno lacerando il gruppo degli stretti collaboratori in anticipo rispetto allo stesso Freud, che invece appare spesso accecato dalle ragioni del cuore e dalla speranza. Stabilitosi a Berlino nel dicembre 1907, Abraham comincia a lavorare sia privatamente, sia appoggiandosi alla clinica neurologica del professor H. Oppenheim. Nella corrispondenza di Abraham resta traccia del fatto che molti pazienti, e sono spesso pazienti difficili, gli giungono da questa clinica. Tale provenienza non è estranea all'interesse che Abraham sviluppa per quelle patologie gravi di cui sarà un tenace studioso. Nel corso del suo servizio militare durante il primo conflitto mondiale contrae alcuni malanni da cui guarisce lentamente nel 1924. In seguito comincia a manifestarsi la malattia polmonare, che lo condurrà precocemente alla morte. I temi più frequentemente trattati nei lavori di Abraham vertono sulla teoria della libido, sulla sessualità infantile, sull'interpretazione dei sogni; ci sono inoltre saggi biografici, studi sulle favole e sui miti, vari argomenti clinici (isteria, alcolismo, perversione), problemi di tecnica analitica. L'originalità del suo pensiero si sviluppa negli scritti sulla psicosi, sulla melanconia e sulla tecnica. Pure importanti sono i saggi biografici e quelli sul carattere, come mostra in particolare il saggio biografico su G. Segantini (1911), la cui tesi è che le vicende infantili spiegano la crisi dell'individuo nell'età adulta e che il conflitto infantile non elaborato è una delle radici della creatività. Abraham si occuperà soprattutto della melanconia, o per meglio dire della follia maniaco-depressiva, un argomento che è fonte di ripetuti scambi e confronti con Freud e che viene trattato in tre opere importanti. Nella prima (1912), Abraham scopre il rapporto tra il lutto, sentimento doloroso per un oggetto perduto, e la melanconia. Egli intuisce il conflitto inconscio del depresso: al di là della sofferenza, dell'autosvalutazione, della sensazione di non essere amati, il nucleo della patologia depressiva rimanda a una percezione interna che il paziente ha della propria incapacità ad amare, anzi alla percezione del proprio odio e sadismo, da cui deriva il sentimento di insufficienza e di indegnità. C'è, però, qualcosa di più. Se il sentimento di colpa si collega agli impulsi di vendetta e di odio inconsci, l'ammissione della colpa contiene, invece, l'appagamento di un desiderio, quello di essere un criminale in grande stile. Considerandosi il più colpevole degli esseri umani, il paziente si eccita nella sofferenza e ne trae piacere. Perciò la libido scompare dal resto del mondo. Il melanconico si sente impoverito sia per l'incapacità di amare, sia per l'indulgere masochistico su di sé. Il tema ritorna prepotente nel 1915, quando Freud annuncia ad Abraham di aver scritto un saggio dal titolo Lutto e melanconia. Si tratta dell'abbozzo di un lavoro la cui stesura definitiva avviene tra l'aprile e il maggio dello stesso anno e che sarà pubblicato nel 1917. Nel suo saggio Freud differenzia il lutto, penosa emozione in relazione alla perdita dell'oggetto amato, dalla melanconia, che è uno stato patologico in cui, oltre a un doloroso scoramento e a un venir meno dell'interesse per il mondo simili al lutto, si assiste alla perdita della capacità di amare e allo svilimento del sentimento di sé, che si manifesta con gli autorimproveri e le autoingiurie. Freud pone in evidenza che nel lutto nulla di quanto riguarda la perdita è inconscio, mentre nella melanconia si tratta di una perdita oggettuale sottratta alla coscienza. Da questo deriva che, mentre l'analogia con il lutto induce a pensare che il melanconico abbia subito una perdita dell'oggetto, l'ascolto del paziente suggerisce una perdita che riguarda il suo Io. Freud avanza l'idea che il melanconico, più che attaccare se stesso, attacchi il proprio oggetto d'amore. Gli autorimproveri sono, in realtà, rimproveri rivolti all'oggetto d'amore, distolti da questo e riversati sull'Io. L'Io, nell'allontanarsi dall'oggetto, si porta via una parte dell'oggetto abbandonato. La perdita dell'oggetto si trasforma allora in una perdita dell'Io, e il conflitto tra l'attività critica dell'Io e l'Io, identificato con l'oggetto d'amore, provoca un'alterazione dell'Io stesso. Così come l'Io tormenta l'oggetto interiorizzato per non essere stato capace di amarlo, così viene criticato dall'oggetto come indegno di essere amato. Nel 1924 Abraham, che ha molto riflettuto sul lavoro di Freud, porta a termine il suo definitivo contributo sulla melanconia. Freud, dice Abraham, aveva fatto il passo decisivo quando aveva mostrato che il melanconico perde il suo oggetto d'amore ma lo riprende in sé tramite l'incorporazione, così che le autoaccuse riguardano veramente l'oggetto perduto. Ma rivendica a sé il merito di aver evidenziato che il melanconico regredisce a un primissimo stadio cannibalico orale. Nel cannibalismo non c'è alcuna preoccupazione per l'oggetto, che è sfruttato e distrutto senza alcuno scrupolo. Questi due processi, le accuse all'oggetto d'amore e la regressione allo stadio cannibalico primitivo, sono omogenei e avvengono l'uno insieme all'altro. Abraham suppone che il problema più importante del melanconico sia quello di albergare oggetti morti e di cosa fare per rianimarli. Nel lutto normale e in quello patologico esistono due modalità di incorporazione diverse: nel primo, l'incorporazione dell'oggetto serve a ristabilire internamente la persona amata in un contesto di separatezza; nel secondo, invece, l'incorporazione avviene attraverso un movimento di espulsione, mortificazione e reintroiezione dell'oggetto d'amore, comportando così l'identificazione con l'oggetto ma non la separazione. L'intuizione di Abraham del carattere orale, cannibalico e possessivo della relazione d'amore del melanconico apre prospettive importanti per la comprensione del lutto. Ci dice che vogliamo possedere l'oggetto e che inconsciamente pensiamo che non debba esserci la separazione. Il processo del lutto, invece, può compiersi solo se permettiamo alla persona amata e perduta di separarsi da noi, se possiamo apprezzarla interiormente senza attaccarla o distruggerla per quanto ci ha fatto mancare scomparendo o morendo. La conclusione del lutto coincide con la presa di coscienza della separatezza del nostro oggetto d'amore, al quale concediamo uno statuto di libertà e autonomia. Il modo in cui si compie il lavoro del lutto, osserva però Abraham, rimane un problema aperto, non del tutto compreso. Freud stesso l'aveva lasciato senza spiegazione. Sarà la giovane e promettente M. Klein, di cui Abraham parla a Freud in termini entusiastici, a scrivere, a distanza di più di dieci anni, due altri lavori clinici importanti sulla melanconia e a impostare gran parte del suo contributo alla psicoanalisi sul tema del lutto e della riparazione. Al Congresso internazionale di Lucerna del 1934 la Klein svilupperà infatti questa intuizione di Abraham, descrivendo le vicissitudini delle relazioni oggettuali di tipo melanconico in cui postula, ricevendo accoglienze controverse, l'esistenza di una fase melanconica nella primissima infanzia (Klein, 1935). Nel valutare l'opera di Abraham non è possibile ignorare l'arco di vita limitato in cui ha potuto svilupparsi la sua creatività scientifica. I suoi lavori analitici appartengono a un periodo relativamente breve, appena diciassette anni (dal 1907 al 1924). Nei due primi lavori (1907a e b), pur sottolineando, in accordo con Freud, l'importanza della sessualità infantile e il carattere costituzionale della predisposizione morbosa, l'analista berlinese afferma che in certi bambini esiste una disponibilità «traumatofila». Pur non contestando il parere di Freud, che non è facile distinguere il trauma reale dalla fantasia traumatica, Abraham evidenzia una predisposizione all'acting sessuale in coloro che sono destinati ad essere futuri pazienti. Pure importante è il contributo di Abraham allo studio analitico della prima infanzia e alla definizione di una pratica terapeutica infantile. Due pioniere dell'analisi infantile, H. Hug-Hellmuth e la Klein, fanno parte, infatti, del gruppo dei suoi collaboratori. Abraham afferma che il futuro della psicoanalisi sta nell'analisi infantile. Egli è convinto che più la malattia è grave più deve esserci stato un inconveniente che ha colpito il bambino nei momenti precoci dello sviluppo. A differenza della Klein, che sottovaluta l'importanza del trauma e ne trascura l'impatto facendo perno sull'istintualità sadica e sulle primissime fantasie distruttive del bambino, Abraham insiste sulla perdita dell'amore che scatena l'odio. Analogamente, pur sottolineando l'importanza della distruttività e differenziandosi da Freud che insiste sul principio del piacere, egli pensa che l'odio e il sadismo infiltrino il rapporto libidico senza mai costituire un istinto separato e contrapposto; per lui, infatti, l'odio è sempre mescolato all'amore. Piuttosto che proporci un bambino primitivamente distruttivo, Abraham ci rende partecipi delle sue terribili difficoltà quando è costretto a misurarsi con conflitti troppo grandi. Il piccolo, incapace di conciliare l'amore con l'odio, è preda di un sentimento di scoramento, che rappresenta il prototipo delle successive crisi depressive. Non per nulla è Abraham a scoprire la relazione tra il lutto normale e la melanconia. L'odio per l'oggetto che delude è un caposaldo della sua visione della sofferenza mentale. L'importanza data da Abraham ai meccanismi dell'introiezione e della proiezione, l'intuizione del ruolo giocato dal sadismo nel primissimo sviluppo infantile, l'importanza delle fantasie distruttive e cannibaliche, il lavoro sul lutto e la melanconia, il rilievo dato alla madre e alla perdita del seno, lo spostamento del conflitto libidico e aggressivo dal pene al seno, e la descrizione del carattere e del transfert narcisistico rimangono tra le pietre fondanti dell'edificio psicoanalitico. Con queste intuizioni Abraham anticipa quello che sarà il modello kleiniano della relazione terapeutica e del processo analitico. La scomparsa prematura di Abraham, oltre a privare la Società Internazionale del suo capo riconosciuto e del probabile successore di Freud, disperde il gruppo di colleghi psicoanalisti più avanzato e compatto mai esistito sino ad allora. E anche vero che Abraham era considerato da Freud l'unico collega che poteva succedergli alla guida del movimento psicoanalitico. La lealtà di Abraham e il suo spirito di indipendenza gli fornivano sufficienti elementi di sicurezza, fugando ogni sospetto di possibili intenzioni parricide. Non c'è dubbio che, se fosse vissuto più a lungo, Abraham avrebbe partecipato con vigore e con un pensiero originale all'evoluzione della teoria e della clinica analitica. La sua presenza come erede dell'ortodossia di Freud, ma anche sistematico clinico e profondo innovatore, avrebbe dato un carattere diverso allo sviluppo del pensiero analitico successivo. Avrebbe forse anche contributo a indirizzare diversamente la crisi teorica che, dopo la morte di Freud, ha opposto gli analisti postfreudiani, seguaci di Anna, ai kleiniani e che ha rischiato di provocare una lacerazione catastrofica. Abraham svolgerà un ruolo importante anche nella costituzione del Policlinico psicoanalitico di Berlino, primo esempio di istituzione analitica nata allo scopo di offrire un trattamento analitico a un vasto pubblico, attivo dal 1920 al 1933. L'intenzione dei primi collaboratori (oltre ad Abraham, M. Eitingon, E. Simmel, O. Fenichel, F. Alexander, P. Federn, E. Jacobson, K. Horney e la Klein) è di permettere l'analisi a coloro che mai potrebbero pagarsela, ma l'istituzione diventa ben presto un centro di dibattito psicoanalitico (tra cui l'analisi infantile) in cui avviene la formazione degli psicoanalisti. A capo dell'organizzazione ci sono Eitingon e Simmel, che svolgono il compito di supervisori. Il Policlinico si regge su contributi privati e sul lavoro semigratuito di psicoanalisti allievi dell'Istituto di Berlino. Gli analisti anziani praticano spesso gratuitamente l'analisi didattica ai giovani allievi, con l'impegno di questi ultimi di fare la stessa cosa per un certo numero di pazienti. Inoltre, per economizzare il tempo viene fatto un tentativo, subito abbandonato, di dimezzare all'incirca il tempo della seduta analitica. La popolazione dei pazienti che si rivolge alla cure del Policlinico appartiene a tutte le classi sociali: oltre agli operai ci sono artigiani, insegnanti, impiegati e professionisti che aspettano insieme, nella stessa sala di attesa, la loro seduta. Il criterio più funzionale individuato è quello che poggia sul carattere dell'urgenza della richiesta di analisi. Il problema del pagamento è risolto con una tariffa differenziata in base alle disponibilità economiche del paziente, che viene coinvolto nella decisione. La casistica dei pazienti che si rivolgono al Policlinico è varia: accanto ai casi più propriamente nevrotici, figurano stati paranoidi, pazienti ciclotimici e pazienti affetti da demenza precoce. L'analizzato è visto da tre a cinque volte la settimana a seconda della necessità. Viene anche stabilito un tipo di analisi detta «frazionata», che prevede la sospensione del trattamento quando si profila un netto miglioramento sintomatologico, mentre è prevista la ripresa in momenti successivi. Il secondo obiettivo del Policlinico di Berlino è quello di provvedere alla formazione degli analisti. L'apprendistato avviene sul campo. Molti allievi, infatti, cominciano il loro curriculum prendendo in terapia chi si rivolge al Policlinico. Per la prima volta, inoltre, chi desidera diventare analista è invitato a seguire un corso di lezioni teoriche su temi analitici, della durata massima di un anno e mezzo. Il concetto di base che guida il gruppo di training di Berlino è che nessuno può diventare psicoanalista se non ha avuto un'analisi personale: si è ammessi alle lezioni solo se questa condizione di base viene soddisfatta. Gli studenti dell'Istituto Berlinese prendono in cura uno o due casi, selezionati dallo staff, e sono seguiti con regolari supervisioni da un analista esperto o anziano. In pratica l'allievo porta delle note scritte dopo la seduta analitica e l'analista esperto consiglia la condotta terapeutica da seguire, segnala gli errori o le incomprensioni. E la prima volta che si protegge il paziente dalla normale imperizia del principiante e si offre a quest'ultimo un'occasione di apprendimento nel vivo della relazione analitica. Si viene così a delineare il modello del training psicoanalitico. L'esperienza fondamentale rimane la conoscenza emotiva di se stessi acquisita con l'analisi personale; segue poi l'apprendimento per mezzo della supervisione clinica delle sedute con il paziente. Analisi personale, frequenza ai seminari presso l'Istituto di training, supervisione clinica sono ancora oggi i tre pilastri che permettono l'accesso alla professione analitica in tutte le Società dell'Associazione internazionale di psicoanalisi, fondata da Freud. Franco De Masi |