GEORGES DUBY

Storia sociale e ideologie delle società

in Fare Storia, Einaudi, Torino 1981

Introduzione alla lettura

Penso di avere citato quest’articolo di Duby tante volte che mi sembra giusto offrirlo al lettore nella sua versione integrale. La sua importanza oggi è, forse, maggiore che all’epoca in cui è stato scritto. Allora, infatti, il termine ideologia veniva preso sul serio dagli studiosi, che si impegnavano a chiarirne i molteplici e complessi significati. Per questo aspetto, il testo di riferimento è un corposo volume di Ferruccio Rossi-Landi (Ideologia, ISEDI, Milano 1978) che analizza ben undici diverse concezioni del termine. Oggi, il senso comune, alimentato spudoratamente dai politici pragmatici, identifica nell’ideologia un orientamento astratto, sganciato dalla realtà, vacuo e dogmatico.

Duby non si sforza molto a definire il significato generale del termine: egli si riconduce tout-court a quello, peraltro singolarmente preciso e profondo, enunciato da Althusser: «un sistema (che possiede una propria logica e un proprio rigore) di rappresentazioni (immagini, miti, idee o concetti a seconda dei casi) dotato di un'esistenza e di un ruolo storico in seno a una data società».

Ciò che interessa allo storico francese è di dimostrare la pregnanza del concetto per una comprensione della realtà umana, dal livello soggettivo a quello collettivo. Si dà di fatto ideologia laddove si dà una visione del mondo, e, dato che nessun individuo e nessun gruppo potrebbe rapportarsi al mondo, orientarsi in esso e agire senza averne una visione coerente e globale, l’elemento ideologico è onnipresente: è, in breve, un elemento costitutivo e strutturale del modo in cui individui e gruppi sperimentano la realtà storica.

L’applicazione di questo concetto al senso comune contemporaneo è immediata. Il pragmatismo, di fatto, è un’ideologia tra le più insidiose. Essa infatti estrapola da una realtà che è sempre indefinitamente complessa alcuni elementi che la semplificano fino al punto di permettere agli individui o ai gruppi di sentirsi dotati della capacità di incidere efficacemente su di essa. Il problema è che la realtà su cui agiscono è a tal punto semplificata che l’efficacia dell’azione è del tutto aleatoria.

Un esempio dell’astrattezza ideologica del pragmatismo è fornita dal modo in cui l’Occidente analizza e affronta il fenomeno del terrorismo islamico, scambiando l’indizio di un malessere profondo che pervade un miliardo di persone con il Male. La conseguenza di questo pragmatismo è sotto gli occhi di tutti e consiste nel gettare benzina sul fuoco con l’intento di spegnerlo.

L’articolo di Duby è un vaccino contro sciocchezze del genere. Esso sottolinea che gli individui e i gruppi agiscono inesorabilmente entro il recinto di quadri mentali di cui hanno scarsa consapevolezza. Per comprendere la loro visione del mondo e il senso dei loro comportamenti occorre illuminare i sistemi di valore che strutturano quei quadri mentali.

Il problema, ancora una volta, è pensare la storia in maniera profonda, andare al di là delle apparenze, pervenire alle matrici mentali inconsce che, intrecciandosi con gli aspetti economici e sociali, la generano.

Per pensare la storia occorrono dei maestri: Duby è inconfutabilmente tra questi.

Storia sociale e ideologie delle società

E’ chiaro che la storia delle società deve fondarsi su un'analisi delle strutture materiali. L'organizzazione dei gruppi, delle comunità famigliari o di vicinato, delle associazioni, delle bande, delle compagnie, delle sette, la natura e la forza dei legami che li hanno raccolti, la posizione degli individui in questa rete di relazioni, la loro posizione all'interno di una complessa gerarchia di strati sovrapposti, la distribuzione dei poteri fra questi individui non possono essere messe chiaramente in luce senza che siano preliminarmente riuniti tutti gli elementi che permettono di ricostruire le componenti dello spazio che gli uomini hanno occupato, sistemato e sfruttato, di percepire il senso dei diversi movimenti che hanno determinato l'evoluzione demografica, di determinare il livello delle tecniche di produzione e di comunicazione, di intendere la maniera in cui erano ripartiti i compiti, le ricchezze e i profitti e in cui furono utilizzati i surplus. In effetti l'ampio sviluppo della ricerca storica durante gli ultimi trent'anni nei campi dell'economia, della demografia e, più recentemente, dell'ecologia, ha stimolato i primi progressi della storia sociale. Tuttavia non è meno evidente che la continuazione di questi progressi dipende dall'elaborazione di nuovi questionari, da una rilettura dei documenti e dall'utilizzazione di nuove fonti, dall'individuazione e dall'esplorazione di nuovi campi di ricerca.

Infatti per comprendere l'organizzazione delle società umane e per riconoscere le forze che le fanno evolvere occorre prestare ugualmente attenzione ai fenomeni mentali, il cui intervento indiscutibilmente non è meno determinante di quello dei fenomeni economici e demografici. Gli uomini infatti regolano il loro comportamento in funzione non della loro reale condizione, ma dell'immagine che se ne fanno e che non ne è mai il rispecchiamento fedele. Si sforzano di conformarla a modelli di comportamento che sono il prodotto di una cultura, e che, nel corso della storia, possono adattarsi più o meno bene alle diverse realtà materiali.

L'articolarsi dei rapporti sociali, il movimento che li fa trasformare si operano cosí nel quadro di un sistema di valori e la gente pensa comunemente che questo sistema orienti la storia di questi rapporti. Effettivamente esso governa il comportamento di ciascun individuo nei confronti degli altri membri del gruppo di cui fa parte. Su di esso si basano i condizionamenti che ciascuno accetta o tenta di trasgredire, ma di cui ciascuno sa bene che sono rispettati dagli altri. All'interno di questo sistema si sviluppa o si indebolisce la coscienza che la gente prende della comunità, del ceto, della classe di cui fa parte, della sua distanza nei confronti delle altre classi, ceti o comunità; una coscienza più o meno chiara, ma il cui disconoscimento ridurrebbe la portata di ogni analisi di una classificazione sociale e della sua dinamica. E proprio questo sistema di valori a far tollerare, o a rendere intollerabili, le regole del diritto e i decreti del potere. Proprio in esso, infine, risiedono i principi di un'azione che pretende di animare il divenire del corpo sociale, in esso si radica il senso che ogni società attribuisce alla sua storia, e si accumulano le sue riserve di speranza. Esso dà alimento ai sogni e alle utopie, che esse siano proiettate nel passato, verso un'esemplare età dell'oro dalle attrattive illusorie, oppure nel futuro, in un avvenire che si auspica e per il quale accade di battersi. Esso alimenta le passività e le rassegnazioni, ma contiene in germe anche tutti i tentativi di riforma, tutti i programmi rivoluzionari, e la molla di tutti i bruschi mutamenti. Uno dei compiti principali che toccano oggi alle scienze dell’uomo è quindi quello di misurare, in seno a una totalità indissociabile di azioni reciproche, la rispettiva pressione delle condizioni economiche e, dall'altra parte, di un insieme di convenienze e di precetti morali, dei divieti che essi pongono e degli ideali che propongono. In questa impresa, si può considerare decisivo il contributo degli storici. Infatti i sistemi di valori, che i procedimenti educativi trasmettono in diversi modi senza cambiamento apparenti, da una generazione all'altra, non per questo sono immobili: hanno la loro storia, di cui l'andamento e le fasi non coincidono con quelli della storia della popolazione e dei modi di produzione. E’ proprio attraverso tali discordardanze che si posso­no discernere nella maniera più chiara le correlazioni tra le strutture materiali e le mentalità.

Si offre quindi allo studio degli atteggiamenti mentali, nella lunga come nella breve durata, un'area singolarmente vasta, senza la quale non si potrebbe scrivere la storia delle società. In questo campo, ancora mal esplorato e completamente aperto alle ricerche future, si inserisce necessariamente lo studio delle ideologie. Questo termine è vago, e l'uso che ne è stato fatto in politica ha reso ambiguo il suo significato. Lo storico deve prenderlo nel senso più ampio, liberandolo dalle connotazioni peggiorative di cui è spesso carico. Intendiamo per ideologia, alla maniera di Louis Althusser, «un sistema (che possiede una propria logica e un proprio rigore) di rappresentazioni (immagini, miti, idee o concetti a seconda dei casi) dotato di un'esistenza e di un ruolo storico in seno a una data società».

Così definite le ideologie presentano un certo numero di caratteristiche che è opportuno mettere subito in evidenza:

1. Appaiono come come sistemi completi e sono naturalmente globalizzanti, dal momento che pretendono di offrire della società, del suo passato, del suo presente, del suo futuro, una visione del mondo. Fino a un'epoca molto recente, le immagini della società hanno dunque mantenuto strette corrispondenze con le cosmologie e le teologie, e di conseguenza appaiono inseparabili da un sistema di credenze; nell'Europa medievale, a esempio, ogni rappresentazione dei rapporti sociali cercava necessariamente appoggio in qualcuno dei testi fondamentali del cristianesimo.

2. Le ideologie, che hanno come prima funzione quella di rassicurare sono, altrettanto naturalmente, deformanti. L’immagine che esse offrono dell’organizzazione sociale si

costruisce su un incastro coerente di inflessioni, di slittamenti, di deformazioni, su di una prospettiva, su un gioco di chiaroscuri che tende a velare certe articolazioni proiettando tutta la luce su altre, per meglio servire interessi particolari. In tal modo lo schema dualistico e nettamente manicheo che, nel pensiero degli ecclesiastici del secolo IX, contrapponeva i «potenti» e i «poveri», poté incoraggiare la chiesa e la monarchia, i cui interessi coincidevano, a resistere alle pressioni dell'aristocrazia laica; ma questa immagine mascherava (e ha continuato a mascherare fin nello spirito dei più recenti storici della società) certe essenziali funzioni sociali ed economiche della signoria rurale.

3. Ne consegue che, in una società data, coesistono molteplici sistemi di rappresentazioni, che, naturalmente, sono concorrenti. Queste opposizioni sono in parte formali e corrispondono all'esistenza di molteplici livelli di cultura. Esse riflettono soprattutto antagonismi che nascono talvolta dalla giustapposizione di etnie separate, ma che sono sempre determinati dalla disposizione dei rapporti di potere. Un certo numero di tratti comuni avvicinano queste ideologie, dal momento che le relazioni vissute di cui esse offrono l'immagine sono le stesse, e si costruiscono in seno allo stesso insieme culturale e si esprimono negli stessi linguaggi. Tuttavia di solito le une si presentano come le immagini rovesciate delle altre, a cui si contrappongono. L'amore cortese, ad esempio, adultero e «pagano», appare, nella cristianità del secolo XII, come un'inversione quasi beffarda delle relazioni affettive vissute in seno ai lignaggi e alle compagnie vassallatiche, e nelle nuove forme della devozione alla Vergine. In effetti, il sistema ideologico di cui questo gioco mondano costituiva uno dei pilastri più saldi, copriva gli atteggiamenti dei cavalieri celibi che non ottemperavano ai costumi familiari, messi ormai in difficoltà dalla progressiva sclerosi dei rapporti feudali e di cui la morale della chiesa pretendeva di arginare le trasgressioni.

4. Totalizzanti, deformanti, concorrenti, le ideologie si dimostrano anche stabilizzatrici. È, ovviamente, il caso dei sistemi di rappresentazioni che mirano a conservare I vantaggi acquisiti dagli strati sociali dominanti; ma questa osservazione è ugualmente. valida per quelli, antagonisti, che riflettono, rovesciandoli, i primi. L'organizzazione ideale di cui fanno sognare le ideologie più rivoluzionarie è ancora effettivamente percepita, al termine delle vittorie che esse incitano a riportare, come qualcosa di stabile e definitivo: nessuna utopia chiama alla rivoluzione permanente.

Questa inclinazione alla stabilità deriva dal fatto che le rappresentazioni ideologiche partecipano alla pesantezza insita in tutti i sistemi, di valori. la cui ossatura è fatta di tradizioni. La rigidezza dei diversi organi di educazione, la permanenza formale degli strumenti linguistici, la potenza dei miti, l'istintiva reticenza nei confronti dell'innovazione che si radica nel più profondo dei meccanismi della vita ostacolano la possibilità che esse si modifichino sensibilmente nel corso del processo che le trasmette a ogni nuova generazione. La paura del futuro fa si che le ideologie si appoggino naturalmente alle forze di conservazione, di cui ci si accorge che sono in realtà predominanti nella maggior parte degli ambienti culturali che si giustappongono e si compenetrano in seno al corpo sociale. Talvolta è la stessa disposizione delle tecniche di produzione a rendere più forte la resistenza al cambiamento: cosa che avviene ad esempio nelle società che presentano basi nettamente agrarie. La loro sopravvivenza dipende dalla stabilità di un sistema coerente di ricette empiriche, il cui equilibrio, risultato di lunghi sforzi di adattamento alle condizioni naturali, sembra fragile, e lo è effettivamente tanto più quanto più le tecniche sono fruste. Queste società vivono dunque nel timore di novità che rischierebbero di rompere questo equilibrio; si rinchiudono, per proteggersi, in un guscio di costumi, e trovano il loro fondamento nel rispetto di una saggezza di cui gli anziani appaiono come i più sicuri depositari. Tuttavia, più solidamente e più comunemente, il conservatorismo si appoggia sulla stessa gerarchia sociale. I ceti dominanti, i cui interessi sono serviti da modelli ideologici più agguerriti degli altri, in genere, e nella misura in cui la loro superiorità materiale sembra, loro, più sicura, si concedono il lusso di incoraggiare le innovazioni nel campo dell'estetica e della moda. Tuttavia nel profondo. si mostrano molto attenti a difendersi contro tutti i cambiamenti meno superficiali che potrebbero mettere in discussione i poteri e i vantaggi che detengono. Si può pensare che la resistenza al cambiamento non è mai ancorata più saldamente che tra i membri di ogni tipo di clero, attaccati più di chiunque altro alla salvaguardia dei concetti, delle credenze e delle regole morali che costituiscono l'unico sostegno della potenza di cui essi godono e dei privilegi che sono loro riconosciuti. Infine, la tendenza al conservatorismo viene a essere ancora accentuata dal movimento che, in tutte le società, porta i modelli culturali a spostarsi di grado in grado, dal vertice della gerarchia sociale in cui hanno preso forma in risposta ai gusti e agli interessi dei gruppi dirigenti, verso ambienti progressivamente più estesi e più umili, da essi affascinati e che lavorano a farli propri. Questo processo di continua volgarizzazione si accompagna ad una lenta deformazione delle rappresentazioni mentali, ma prolunga pur sempre per molto tempo la sopravvivenza di certi atteggiamenti. In tal modo contribuisce a mantenere, sotto la vernice di modernità che gli strati dominanti ostentano per distinguersi dalla gente comune un solido fondo di riferimenti alle tradizioni che fornisce allo spirito conservatore il più fermo degli appoggi

5. Tuttavia, nelle culture di cui si può scrivere la storia, tutti i sistemi ideologici si fondano su una visione di questa storia, basando su una memoria dei tempi trascorsi, oggettiva o mitica, il progetto di un avvenire che dovrebbe vedere l'avvento di una società più perfetta. Essi sono tutti portatori di speranze, e incoraggiano all'azione. Tutte le ideologie sono “pratiche” e per questo contribuiscono ad animare il movimento della storia. Ma nel corso di questo movimento, esse stesse si trasformano, e, questo per tre ragioni principali:

a) In primo luogo esistono, tra relazioni vissute e la rappresentazione che la gente se ne fa, relazioni abbastanza strette perché la seconda subisca in misura maggiore o minore le ripercussioni dei cambiamenti che colpiscono le prime.

b) D'altra parte, nella rivalità permanente che oppone le une alle altre le classi d’età o le categorie separate da interessi divergenti, nel corso di conflitti che entrano in fasi più acute quanto si accelera l'evoluzione economica o demografica, oppure quando, per effetto di questa evoluzione, avvengono mutamenti in seno alle strutture politiche,. le ideologie devono adattarsi, per meglio resistere o per meglio vincere. Di fronte alle ideoIogie avverse esse si tendono o si allentano, si affermano o si dissimulano, si mascherano sotto il velo di nuove apparenze. Quando si trovano in una posizione di forza, arrivano a integrare in parte al sistema che esse costituiscono le immagini o i modelli che venivano a minacciarle dall'esterno, li addomesticano,, sottomettono, utilizzano per consolidare le loro posizioni. Così, ad esempio, la chiesa trionfante del secolo XIII riuscì a estendere il suo dominio su quella che in realtà era soltanto un'efflorescenza meno riluttante della contestazione eretica, la predicazione di Francesco d'Assisi. Per far posto a questi propositi di perfezione, le fu necessario mettere a soqquadro la propria organizzazione, sfrondare, sfumare, reprimere, conculcare quello che era troppo irriducibile al contenuto del francescanesimo, accogliere quello che poteva assimilarne, e introdurlo, per rafforzare tali propositi, negli assi delle sue strutture materiali e spirituali; ma alla fine essa arrivò, e non senza fatica, a riplasmare la figura stessa di Francesco e il suo messaggio, e ad addomesticarli.

In questi processi di conflitto, di contestazione, di recupero, di integrazione, che formano la trama della storia delle ideologie, alcuni ambienti sociali hanno un ruolo preponderante. Lo storico dovrà prestare particolare attenzione a quelle persone che, per la loro situazione professionale, si trovano ad essere in prima linea nella battaglia, e che si rivelano essere gli agenti principali delle forze di conservazione, di resistenza o di conquista, gli artefici dei necessari accomodamenti. Si tratta in primo luogo di tutti gli specialisti a cui le società costituite delegano le funzioni dell'educazione e dell'insegnamento Si tratta inoltre di tutti coloro che si fanno portavoce di una categoria sociale da cui spesso essi stessi non provengono, sia che certe frustrazioni li abbiano portati a rompere con il gruppo dal quale provengono, a uscirne, ad attaccarlo, ad appoggiarsi nella loro lotta ad altri corpi sociali naturalmente antagonisti e a rinsaldare le posizioni ideologiche di questi ultimi con l'aiuto della loro esperienza e del loro sapere, sia che, transfughi dalla loro classe, siano sensibili ai vantaggi di una carriera, come è il caso di numerosi intellettuali che i ceti dirigenti prendono al loro servizio e di cui essi diventano i servi.

c) Accade infine che dei sistemi ideologici si trasformino quando nell'insieme culturale che li racchiude penetra l'influenza di culture straniere e vicine, dalle quali è difficile che esso sia del tutto isolato. Questa intrusione consegue spesso da un disuguale rapporto di forze tra le civiltà a confronto. In questo caso, l'irruzione è talvolta brutale, quando accompagna gli sconvolgimenti politici provocati dall'invasione o dalla colonizzazione. Piú spesso, essa è insidiosa, e deriva dal fascino che da lontano esercitano credenze, idee o modi di vivere seducenti. Ma il prestito può anche essere deliberatamente cercato, perché le ideologie cercano dovunque degli appoggi. Questo accade, nell'Occidente del secolo XII, per l'etica cortese: arricchisce le sue rappresentazioni mentali, il suo rituale e i suoi modi di espressione attingendo alla cultura dell'antichità latina e della Spagna islamizzata.

Certo, i movimenti che liberano le ideologie dalla loro naturale inerzia sono in genere molto lenti e senza scosse: di solito esse si piegano con grande flessibilità per adattarsi ai cambiamenti più bruschi che si verificano sul piano dell'economia o della politica. Ma questi sistemi appaiono in costante evoIuzione. Le ideologie sono incontestabilmente un oggetto della storia.

Non ci dobbiamo tuttavia nascondere l'estrema difficoltà di questa storia. Difficile è, in primo luogo, raccogliere le testimonianze. Infatti, della maggior parte dei sistemi ideologici del passato non restano che tracce fugaci, alterate e tenui. E il caso delle ideologie «popolari». Con questa espressione intendiamo le ideologie di tutti gli ambienti sociali che, di per se stesse, non hanno avuto accesso a strumenti culturali capaci di tradurre in forme durevoli una visione del mondo. Solo l'attenzione che ad esse hanno eventualmente prestato i ceti dominanti permette talvolta di indovinarle, ma l'immagine che emerge attraverso questo interprete è sempre vaga, parziale e singolarmente deformata. E ugualmente il caso di tutte le ideologie contestatrici, che sono state represse e spesso perseguitate fino nelle tracce più vaghe che potevano lasciare nella memoria. Non si possono scoprire che attraverso la repressione di cui sono state oggetto; bisogna cercare nelle confutazioni, nelle argomentazioni della contropropaganda, nelle consegne che ricevettero gli inquisitori e nelle sentenze degli atti di condanna gli elementi con i quali ricostituire alcuni dei loro caratteri. I documenti fanno luce direttamente solo sulle ideologie che hanno risposto agli interessi e alle speranze delle ciassi dirigenti. Perché solo questi gruppi hanno posseduto i mezzi per costruire oggetti culturali che non fossero effimeri e i cui resti si prestino all'analisi storica; ma anche perché la ripartizione dei poteri ha autorizzato solo queste ideologie a esporsi alla luce del sole, a espandersi, a infiltrarsi in tutte le forme di espressione, a imporsi a poco a poco con il gioco dei sistemi di educazione e di informazione e per effetto del fascino naturalmente esercitato dalle mode e dagli atteggiamenti delle élites sociali sugli strati che questi ceti dominanti sovrastano. E’ un principio essenziale di metodo quello di non perdere di vista questa situazione, e di applicarsi a correggere gli errori di prospettiva che essa rischia di generare.

Inoltre non bisogna sperare di arrivare ad abbracciare senza difficoltà I sistemi ideologici più trionfanti. Infatti è un caso eccezionale che questi complicati insiemi costituiscano, nella loro totalità, l'oggetto di un'espressione deliberata. Anche quando essa viene volontariamente comunicata nella forma dell'esposizione coerente di una dottrina, l'immagine rimane frammentaria: tutta una sua parte resta dissimulata, perché non formulata. Per scoprire ciò che non è affatto esplicitato, bisognerebbe poter analizzare tutti i comportamenti, individuali e collettivi, perché essi sono più o meno impregnati dalle ideologie. Chi vuoi tentare di ricostruirle nella loro totalità, deve quindi riunire innumerevoli indizi, sparsi in mezzo a tutte le tracce, sempre lacunose e confuse, che di questi comportamenti rimangono. Il proposito di liberare i sistemi ideologici dalla polvere del passato impone di reperire, di riunire, e di interpretare una quantità di segni sparsi. Lo storico deve decifrare, decriptare. E nel corso di queste operazioni deve ancora, per quanto è possibile, liberarsi dalle coazioni ideologiche di cui è egli stesso prigioniero.

Tra le fonti documentarie più accessibili, e il cui insegnamento è più chiaro, figurano evidentemente tutti gli scritti di propaganda, i trattati di buona condotta, i discorsi edificanti, i manifesti, i pamphlets, i sermoni, gli elogi, gli epitaffi, le biografie di eroi esemplari, insomma tutte le espressioni verbali che un ambiente sociale dà delle virtù che approva e dei vizi che deplora, e che gli servono a difendere e a propagare l’etica cui si appoggia la sua buona coscienza. Ma, nel condurre indagini di questo genere, non si può trascurare nessun testo. Nel vocabolario dei racconti, delle opere drammatiche, delle corrispondenze, dei libri mastri, in quello, più conservatore di ogni altro, delle liturgie, dei regolamenti, degli atti giuridici, è necessario scoprire i termini rivelatori, e, più che le parole, i costrutti, le metafore, e il modo in cui i vocaboli sono messi insieme; infatti è proprio qui che si riflette inconsciamente l'immagine che il tal gruppo, nel tale momento, si fa di se stesso e degli altri. Tuttavia il materiale da raccogliere rischia di essere più abbondante ancora tra i documenti non scritti, perché l'ideologia trova un'espressione talvolta più diretta e più pregnante nelle articolazioni dei segni visibili. Gli emblemi, i costumi, gli ornamenti, le insegne, i gesti, il quadro e l'ordinamento delle feste e delle cerimonie, il modo in cui si dispone lo spazio sociale, testimoniano infatti di un certo ordine sognato dell'universo. In questo campo particolare e centrale della storia delle società, la ricerca deve dunque prestare molta attenzione a tutti gli oggetti figurativi, alla struttura dei monumenti, al loro scenario, e a quel materiale documentario di prim'ordine che sono tutte le immagini scolpite o dipinte. Infatti in tutte le civiltà e nella maggior parte del passato storico, le rappresentazioni figurative sono state cariche di un senso più profondo e di portata più immediata che non la scrittura. Sono state armi di difesa e di aggressione di eccezionale efficacia. Ricordiamo soltanto il portale dell'abbazia di Saint-Gilles, che, alla fine del secolo XII, in un fondamentale crocevia della Gallia meridionale contaminata dall'eresia, andò a innalzare di contro al catarismo, su di un teatro immobile, e forte di tutta la forza di persuasione di cui è investita la scultura, una somma dell'ideologia cattolica, sostenuta dalle reminiscenze maestose dell'ordine imperiale romano. Un poco più tardi fu tra i pittori, e i più grandi, che la chiesa pontificale trovò il miglior aiuto per estirpare dal francescanesimo i fermenti di contestazione, e per fare finalmente schierare questo movimento di povertà lirica, che invi­tava al libero dialogo tra i fedeli e Gesù, al servizio del primato del clero e della giustificazione della proprietà.

Dopo aver raccolto tutti questi elementi, conviene in primo luogo riunirli, per ricostruire il sistema nella sua coerenza, nel suo ordinamento formale, a partire da tutte le tracce che esso ha lasciato. Si deve allora fare moltissima attenzione a quello che è stato taciuto. Potrebbe esserci infatti il pericolo, molto più grande che nelle ricerche di storia economica, di interpretare il silenzio come un'assenza. Le omissioni costituiscono infatti un elemento fondamentale del discorso ideologico: il loro significato - essenziale - deve essere messo pienamente in luce. Bisogna poi sottomettere a un doppio trattamento i sistemi di rappresentazioni così ricostruiti nella loro articolazione semantica. Nella sincronia, la loro analisi deve essere abbastanza profonda da mettere in evidenza quello che le espressioni dell'ideologia dominante possono rivelare delle ideologie concorrenti che essa affronta e che molto spesso possono essere scoperte solo attraverso di essa, attraverso le sinuosità delle sue linee di difesa e di attacco. Nella diacronia, d'altra parte, le insensibili deformazioni di questi sistemi richiedono di essere seguite da vicino. Ne consegue che ricorrere ai metodi della storia seriale è qui necessario e possibile: tra gli elementi dei diversi linguaggi, dell'espressione verbale, rituale o figurativa, i più significativi possono essere ordinati cronologicamente in serie quantificabili. Questo procedimento permette di cogliere gli slittamenti che fanno si che un certo termine, un certo segno si sostituisca a un altro, che certi temi regrediscano e poi scompaiano, sorgano e si impongano. Qui entrano molto chiaramente in gioco la viscosità dei Vocabolari e la tenacia degli involucri formali che mascherano le trasformazioni del contenuto semantico. Ma su questo piano della ricerca poco importano tali discordanze tra la forma e il senso. Dal momento che le ideologie sono in realtà delle coperture, dei sistemi di rappresentazione il cui scopo è quello di rassicurare e di fornire una giustificazione al comportamento della gente, sono proprio le forme, gli schemi e i temi quelli che contano, e l'osservazione deve collocarsi al loro livello.

Essa beneficia di condizioni particolarmente favorevoli nei periodi di crisi, in cui il movimento delle strutture materiali e politiche finisce per ripercuotersi sul piano dei sistemi ideologici e rende più acuto il conflitto che li contrappone. Nel corso di queste crisi, delle rivolte, dei tentativi di riforma o delle rivoluzioni che questi suscitano, si vedono apparire alla luce del sole strutture latenti, di solito nascoste. Intensificandosi, la polemica induce a esprimersi coloro che in tempi normali non si preoccupano di farlo o non ne hanno i mezzi, mentre determina un'accelerazione in seno alle tendenze di lunga durata che animano l'evoluzione dell'ideologia dominante. Certo, la lotta stimola anche le intenzioni iconoclastiche e porta con sé la scomparsa di certi indizi. Ma in compenso provoca un brusco accrescimento del materiale documentario con le prese di posizione che determina da una parte e dall'altra. Il momento privilegiato per l'osservazione storica è quello in cui la battaglia finisce. Alla vittoria infatti fanno seguito azioni repressive, e si può raccogliere un buon numero di informazioni tra le inchieste, gli interrogatori e le sentenze racchiusi negli archivi giudiziari e di polizia. Ad essa si accompagnano naturalmente tentativi di conversione, elaborazioni dottrinali e sforzi di regolamentazione molto significativi. Le stesse relazioni sui disordini precedenti, che vedono la luce nel quadro dell'ideologia vittoriosa, sono eminentemente chiarificatrici, tanto per questa ideologia quanto per quelle che essa pretende di aver soggiogato: basti pensare a quello che rivelano le interpretazioni della rivoluzione francese che furono date negli anni trenta del secolo XIX, oppure ai commenti di cui fu oggetto la Comune di Parigi quando si celebrò o si cercò di lasciare nell'ombra il centenario di questo avvenimento.

Ricostruire a partire da frammenti disparati i sistemi ideologici del passato, seguire le tracce delle trasformazioni che essi hanno subito, non è in realtà che l'inizio di un compito molto più delicato: quello che consiste nel precisare i rapporti che le ideoIogie intrattengono nel corso della loro storia, con la realtà vissuta dell'organizzazione sociale. Ci proponiamo quindi di condurre la ricerca in due tappe:

a) Le ideologie si presentano come l’interpretazione di una situazione concreta. Esse tendono di conseguenza a rifletterne i cambiamenti, ma tardano a farlo, poiché sono per natura conservatrici. L'assestamento di cui esse sono infine la sede si verifica al termine di un ritardo talvolta molto lungo e resta sempre parziale. Gli scarti tra la loro storia e quella dei rapporti sociali vissuti si lasciano misurare tanto meno facilmente in quanto, per il gioco di una sottile dialettica, la pesantezza dei sistemi di rappresentazione si ripercuote, per frenarla in certi punti, sul movimento stesso delle strutture materiali e politiche. Tuttavia è proprio agli storici che tocca stabilire, con la massima precisione, la cronologia di queste dissonanze. E infatti su questa cronologia che deve basarsi ogni indagine, ogni ulteriore interpretazione.

b) Tale analisi delle differenze cronologiche deve naturalmente portare gli storici della società a criticare quei sistemi coerenti che sono le ideologie del passato, a demistificarle a posteriori, mostrando, a ogni momento dell'evoluzione storica,­ come gli elementi che si possono scoprire dalle condizioni materiali della vita sociale si trovino più o meno travestiti entro le immagini mentali. Lo storico dovrebbe cioè misurare, con tutta l'esattezza possibile, - e il fatto che nella maggior parte dei documenti le espressioni di ciò che è realmente vissuto e di ciò che è solo sognato si trovino mescolate alla rinfusa rende l'impresa singolarmente ardua - le concordanze e le discordanze che, in ogni punto della diacronia, si stabiliscono tra tre variabili: da una parte, tra la situazione oggettiva degli individui e dei gruppi e l'immagine illusoria in cui questi hanno trovato conforto e giustificazione; dall'altra, tra questa immagine e i comportamenti individuali e collettivi.

A questo proposito mi sembra opportuno prendere in considerazione le riflessioni critiche di Paul Veyne (Comment on écrit l'histoire, Seuil, Paris 1971) sui procedimenti e i rischi del lavoro storico. Esse aiutano infatti a precisare gli obiettivi e i limiti della ricerca e a meglio indicarne le vie. Queste riflessioni esortano alla prudenza, prima di tutto perché fanno misurare l'ampiezza delle distanze che, in ogni società, separano il comportamento degli uomini dalle rappresentazioni mentali o dai sistemi di valori a cui si compiacciono di riferirsi. Questi comportamenti si inseriscono in parte in riti, che sono effettivamente vissuti come riti, e dei quali non bisogna credere che siano espres­sione di credenze o di idee. D'altra parte questi comportamenti non sono sottoposti alle regole della morale che molto imperfettamente. Infatti l'etica non è mai altro che un «settore localizzato» in un insieme, in seno al quale essa opera in modo molto diverso secondo i livelli di cultura, secondo le società e secondo le epoche. Infine bisogna riconoscere che esiste sempre un'“enorme distanza tra il nome ufficiale di un movimento politico o religioso e l'atmosfera che vi regna; questa atmosfera è vissuta dai partecipanti senza essere compresa... e non lascia alcuna traccia scritta” ; essa sfugge per questo all'osservazione, e tuttavia influisce sui comportamenti molto più direttamente delle proclamazioni e delle dichiarazioni di principio. Inoltre queste osservazioni mettono in guardia contro la tentazione di esagerare l'influenza dei sistemi ideologici sul movimento della storia. Le ideologie non sono che «bandiere». In effetti dobbiamo ammettere che «una copertura ideologica non inganna nessuno, non persuade che i già persuasi, e l'homo historicus non si lascia, minimamente smuovere dall’avversario,quando siano in gioco i suoi interessi».

Tuttavia - Paul Veyne lo riconosce, ed è qui che le sue riflessioni meritano una particolare attenzione - i comportamenti vengono ad essere più direttamente determinati da motivi ideologici all'interno di alcuni dei quadri nei quali si stabiliscono le relazioni sociali, in seno a quelle che egli chiama “istituzioni”. Si intenderà per istituzione «tutto ciò a proposito di cui si parla di ideale collettivo, di spirito di corpo, di tradizioni di gruppo, tutto ciò che presenta quella mescolanza di ambizione personale e di censura collettiva la quale fa si che il gruppo sociale realizzi fini che sono più disinteressati dei fini che i suoi membri perseguirebbero individualmente», «una situazione in cui gli uomini, a partire da moventi non necessariamente idealistici... sono condotti a conformarsi a certi fini ideali non meno scrupolosamente che se si interessassero ad essi per inclinazione personale». Queste strutture sono evidentemente la sede di tensioni molto vive tra i principi e gli interessi individuali. Tuttavia si organizzano attorno a un insieme di regole di comportamento la cui incidenza è più immediata e più profonda che altrove, poiché, all'interno del gruppo, ciascuno si aspetta che gli altri lo rispettino come egli rispetta loro. Le «istituzioni», nel senso che Paul Veyne dà a questo termine, costituiscono senz'altro il campo al quale lo storico delle, ideologie deve applicare le sue,osservazioni. Ma gli tocca di studiare con non minore attenzione i grandi movimenti che scaturiscono da questi quadri istituzionali, che vanno al di là di essi e che li portano a congiungersi gli uni agli altri. Infatti è proprio studiando questi movimenti che si acquista una prospettiva abbastanza vasta per porre, in tutta la sua ampiezza, il problema centrale dei rapporti tra le ideologie e quella che Karl Marx chiama la prassi sociale. A giusto titolo Paul Veyne ha scelto, tra gli altri esempi, quello della crociata. Questa impresa non avrebbe avuto tanto successo se, alla fine del secolo XII, le contraddizioni fossero state meno vive negli strati dominanti della società feudale; ma essa non avrebbe trascinato verso la terra santa che un «pugno di bambini perduti » se coloro che organizzarono la spedizione non le avessero dato un carattere sacro. Quando parte per Gerusalemme, il crociato si accorge benissimo di uscire in tal modo da una situazione senza via d'uscita, ma si impegna sinceramente per la salvezza della sua anima; egli «sa che la crociata è un'epopea di Dio perché gliel'hanno detto, ed esprime, come tutti, ciò che sente attraverso ciò che sa».

Riprendendo e allargando questo esempio, vorrei ora - finalmente - liberare dall'astrazione queste considerazioni di metodo.

Coloro che, nell'Europa del secolo XI, erano capaci di riflettere, di organizzare il loro pensiero e di dare a esso espressioni che avessero qualche possibilità di non essere cancellate in breve tempo, cioè i dirigenti della Chiesa, hanno fissato gli elementi di un modello ideologico della società cristiana. Allo stato attuale delle ricerche, non risulta che questo modello sia stato allora oggetto di rappresentazioni iconografiche - cosa che non manca di porre interrogativi.

Quanto meno lo si trova chiaramente espresso in testi - a dire il vero molto rari e che sarebbe importante vagliare minuziosamente. Si potrebbe altresì far luce sulla sua impronta - e questo dovrebbe essere il tema di ricerche sistematiche -, considerando il modo in cui, in un numero ben più notevole di scritti, sono disposti alcuni racconti, confrontate certe immagini, raggruppati certi vocaboli. Questo schema corrisponde alla situazione dominante di coloro che l'hanno costruito, e mira a consolidarla. Possiamo pensare che esso abbia preso consistenza sotto la pressione degli scontri più vivi che venivano suscitati, in seno all'aristocrazia, dalla decadenza della magistratura regale e dall'indebolimento dei suoi poteri di conciliazione, contestazioni che in quello stesso periodo si sono tradotte, in particolare, in esplosioni eretiche, di fronte alle quali questo schema è stato chiaramente costruito.

E’ uno schema semplice. Naturalmente, infatti, le rappresentazioni ideologiche, forniscono un'immagine semplificata della realtà dell'organizzazione sociale, ignorando le sfumature, le sovrapposizioni, gli intralci, accusando al contrario i contrasti e mettendo l'accento sulle gerarchie e gli antagonismi. Questo schema suddivide gli uomini in tre categorie: gli specialisti della preghiera, gli specialisti del combattimento, gli specialisti della produzione, cioè, nella fattispecie, i contadini. In un mondo che cominciava a essere scosso dai primi effetti di una vigorosa crescita demografica ed economica, esso non fa affatto posto a questi «lavoratori» che, nel risveglio degli agglomerati urbani, si dedicavano alla fabbricazione di oggetti di qualità, al traffico di queste merci e al maneggio del denaro. Tuttavia riflette fedelmente le strutture globali di una società agraria, che delegava ad alcuni le cure della sua salvaguardia, con l'uso delle armi contro gli aggressori visibili, e con quello dell'orazione contro le potenze oscure dell'aldilà. Ma questo riflesso ideologico è rassicurante, in primo luogo perché dissimula le tensioni fra le tre categorie sociali sotto la copertura di uno scambio equilibrato di mutui servizi. In secondo luogo perché giustifica con il compimento di questi servizi le disuguaglianze di fatto, l'ozio e l'opulenza che valgono ai membri dei due ceti do minanti le funzioni specializzate che ciascuno di essi ricopre, come pure le dure fatiche a cui è obbligato il terzo e lo sfruttamento di cui esso è oggetto. Esso d'altra parte rassicura, nella misura in cui mira a stabilizzare le strutture di cui mostra l'immagine, nell'interesse delle élites che si stabiliscono al loro vertice, e più precisamente del corpo ecclesiastico. Questa ideologia della società è infatti decisamente conservatrice. Concepisce le suddivisioni di cui descrive l'assestamento come «ordini», cioè gruppi di natura immutabile, delimitati da frontiere impermeabili che nessuno può superare senza una palese conversione. Nega tutti i movimenti di promozione che vengono già delineati dal progresso della produttività agricola e dalla crescente animazione della circolazione delle ricchezze. Fonda il suo atteggiamento di resistenza al cambiamento sulle basi di un sistema di credenze che presenta la Creazione come la copia di una città celeste atemporale: la divisione in classi sociali che essa pretende di fissare risponde, fuori del tempo e fin dalle origini dell'universo, al disegno stesso di Dio. E tuttavia questa copia appare fin dal primo sguardo imperfetta, e la visione manichea del mondo che avvolge questo modello ideologico testimonia effettivamente dell'influenza corrosiva di forze malefiche, di fattori di turbamento e di disordine che è necessario reprimere. Stabilizzatrice, questa immagine impegna peraltro all'azione. Essa propone di ricondurre il modello alla perfezione del suo esempio divino. Incita a uno sforzo di restaurazione del quale i dignitari della chiesa, che sono gli autori dello schema, sperano di essere i primi beneficiari.

Benché l'epoca in cui essa si radica nella coscienza collettiva sia di quelle in cui l'evoluzione delle strutture materiali è ancora troppo lenta per essere chiaramente percettibile dai contemporanei, questa rappresentazione ideologica è dunque portatrice di dinamismo. Questo dipende da una certa concezione della storia che la sottende. La storia, che in quel tempo ha un posto importante nei sistema di insegnamento delle alte gerarchie ecclesiastiche, è concepita come un cammino del popolo di Dio verso la luce, affrettato dall'effondersi della grazia, dopo la venuta di Cristo fra gli uomini. Tocca alla chiesa guidare questo progresso verso la fine dei tempi e verso l'esemplarità delle intenzioni divine. La chiesa gode ormai da tempo dei privilegi feudali, da tempo il pluslavoro dei contadini assicura agli ecclesiastici agio e sicurezza economica. Il modello ideologico che la Chiesa divulga permette dunque ai chierici e ai monaci di godere in perfetta coscienza dei prodotti della loro signoria e dei canoni dei loro dipendenti. Per lo meno a condizione che essi si pongano come difensori dei « poveri», cioè della massa dei lavoratori. Ecco perché questo schema instaura una rigida divisione tra gli alti gradi della società ecclesiastica e l'aristocrazia laica, che tuttavia nella realtà sono accomunate da una comune situazione di classe e dalla stessa origine familiare. Esso accentua questa separazione imponendo a tutti gli ecclesiastici una morale segregativa, un tempo riservata agli ambienti monastici, di rinuncia alla ricchezza individuale, ai piaceri della carne e alla gioia di combattere; la riafferma predicando un'etica pacifica, quella delle norme per la pace di Dio, che, nella loro forma primitiva, trincerano dietro uno schermo di divieti l'intero gruppo di questi uomini di guerra. In tal modo esso contribuisce a riunire questo gruppo in un corpo omogeneo in cui gli atteggiamenti comuni fanno si che piano piano si attutisca fra i suoi membri la disparità di condizioni economiche assai diverse.

Ma la chiesa si sente in dovere di portare più avanti la lotta che conduce contro le forze del male, e, per rendere più perfetto il modello dei tre ordini, di sforzarsi di moralizzare anche il mondo militare. Nel corso del secolo XI essa quindi si adopera a fare della cavalleria una vera e propria «istituzione», cementata da un'etica particolare. Ne consegue che prende a poco a poco consistenza una ideologia propria del gruppo dei cavalieri, della quale si indovinano dapprima i lineamenti attraverso le diatribe che essi lanciano contro gli ecclesiastici, ma che si lascia meglio intravvedere a partire dal momento in cui opere letterarie composte per un pubblico di guerrieri ricevono con la scrittura un supporto duraturo. I chierici che fanno carriera nelle corti principesche collaborano molto efficacemente alla costruzione di questo modello ideologico. Esso tuttavia si mostra nettamente opposto a quello della chiesa: i valori fondamentali dell'ideologia cavalleresca, l'esaltazione della prodezza, della rapina, della festa dei sensi e della gioia di vivere, poggiano su un risoluto rifiuto dello spirito di penitenza e delle rinunce predicate dagli uomini di preghiera. Il progressivo affermarsi di questi valori traduce infatti la dissociazione, avviata a partire dal secolo X e che non cessa di farsi sentire, tra la parte profana della classe dominante e quella che si dedica alle funzioni religiose. Ma gli interessi comuni, le connivenze che sussistono tra di essi, e il gioco potente delle relazioni familiari, stabiliscono tra i due sistemi di rappresentazione ampie comunicazioni che facilitano la cristianizzazione del modello laico.

Questa trova il suo sbocco nell'impresa della crociata. La mobilitazione, effettiva o semplicemente sognata, dell'intera cavalleria per la liberazione del Santo Sepolcro fu certamente favorita dalle difficoltà materiali in cui si trovavano i signori laici. Certo non per una crisi della rendita e delle fortune dei signori, che non risulta, ma per le incidenze della crescita demografica e di un'organizzazione delle strutture di parentela che spingeva all'avventura un buon numero di cadetti di famiglie nobili. Essa fu favorita anche dall'evoluzione dei quadri politici, dal rafforzamento dei principati che tendevano a respingere verso l'esterno i potenziali di aggressività e di disordine. Ma deriva non meno direttamente dalla progressiva maturazione della stessa ideologia dei tre ordini; si colloca sull'esatto prolungamento delle prime riflessioni dei chierici dell'anno Mille. In effetti, moralizzare l'ordine dei guerrieri non significava soltanto innalzare una barriera contro la sua turbolenza; significava proporgli di usare le sue armi per meglio realizzare i disegni di Dio, cioè indirizzare la sua attività militare al di fuori del popolo cristiano e dirigerla contro i miscredenti. Si fece allora riferimento ai vecchi miti millenaristi, alle visioni escatologiche. La Gerusalemme celeste, meta del cammino dell'umanità verso le perfezioni della grazia, aveva una copia in questo mondo, nella Giudea: verso di essa il popolo doveva muoversi, per affrettare la venuta del Regno, in un cammino collettivo, a cui gli uomini di preghiera mostravano la via e durante il quale coloro che portavano la spada, purificati dall'uso benefico che avrebbero fatto delle loro armi, avrebbero protetto la truppa vulnerabile dei poveri. La società della crociata, di cui si poté credere sulle soglie dell'anno 1100 che era sul punto di prendere corpo, non era altro che la realizzazione dello schema ideologico che gli intellettuali della chiesa avevano costruito cento anni prima.

Ma, nel corso di questo secolo, la crescita economica e demografica era continuata con un ritmo sempre più vivo, determinando insensibilmente la modificazione delle relazioni umane in seno alle comunità religiose, ai principati, alle signorie, ai villaggi e alle famiglie. Queste correnti profonde si muovevano per una parte sul filo di uno sviluppo a cui il modello ideologico faceva obbligo di operare, perché questo nasceva da una visione realistica di quello che erano effettivamente certi rapporti sociali prevalenti nei paesi francesi dell'inizio del secolo XI, la gerarchia delle fortune, la disposizione dei poteri, la ripartizione delle funzioni. Ma per un'altra parte, ben più rilevante, queste correnti si orientavano in direzioni sensibilmente diverse. Esse aggravarono le discrepanze originarie tra la realtà concreta e la sua rappresentazione mentale. Attuazione di questa rappresentazione, ma ritardata dalla stessa lentezza della sua maturazione e dagli ostacoli che si opponevano alla diffusione e all'affermazione del modello, la società della crociata era anacronistica. E infatti non prese corpo. L'insieme del popolo cristiano non si mise in cammino per un'ultima migrazione salvatrice e, sulle vie dell'Oriente, le bande di pellegrini non offrirono affatto l'immagine di un'umanità pura, disinteressata e pacifica, insomma completamente sottomessa alla morale dei monaci. Per gli uomini di chiesa che lo compirono, il viaggio fu l'occasione di scoprire nelle comunità cristiane orientali e sui luoghi santi valori poco conosciuti, e di attingere da una riflessione sull'incarnazione del Cristo e sulla potenza dello Spirito Santo le forze per una trasformazione del loro rapporto con il mondo. Gli stendardi della cavalleria crociata mal nascondevano che, per gli uomini di guerra, quell'avventura rappresentava in primo luogo il prodigioso allargarsi delle esperienze di saccheggio e di piacere che i baccellieri senza averi avevano fino allora condotto in piccolo, alla ricerca della gloria, del profitto e di una sposa. Quanto ai «poveri» che si mossero in disordine all'appello dei predicatori, nessuno potrà mai dire cosa cercassero veramente, né quello che trovarono. Inoltre, la crociata portava con sé gruppi sociali che non avevano un posto nello schema dei tre ordini: religiosi che avevano rotto i voti, prostitute, mercenari che combattevano per denaro e che costituivano già la punta più aggressiva delle armate, agenti di principi di origini modeste ma innalzati ai primi ranghi dal loro ufficio, e tutti i marinai, i trafficanti, gli avventurieri del commercio. Costoro ebbero nell'impresa un ruolo considerevole, e forse preponderante. Al termine del viaggio, nessuno trovò la Parusia né il Regno, ma la ricchezza, il piacere di vedere posti nuovi e di adornarsi meglio, la fatica, la paura, la delusione o una morte banale. Alla fine il grande sogno si incarnò in alcune formazioni politiche che tentarono di impiantare in terra conquistata un riadattamento zoppicante delle norme giuridiche occidentali, in una brusca vittoria dei mercanti che diede l'avvio all'asservimento delle economie levantine ai latini, e soprattutto in istituzioni residuali, gli ordini religiosi militari, nelle quali parevano cristallizzarsi le esperienze iniziali: infatti in queste istituzioni, ma soltanto in esse - dove si compie, per il servizio disinteressato di Dio, la fusione di comportamenti monastici e militari in seno a una gerarchia che separava categoricamente i cavalieri di origine nobile dai sergenti di umili natali - il modello ideologico si realizzò pienamente, ma singolarmente contratto. Altro tenace residuo fu l'ampiezza di un mito di progresso conquistatore e di attesa escatologica, che doveva, per lunghi secoli, alimentare le ideologie dell'Occidente.

Se ho tentato in poche righe di esporre quello che possiamo oggi indovinare del dispiegarsi di un sistema ideologico nel corso di un centinaio di anni, è in effetti per promuovere un impegno a spingere più avanti le ricerche in questo campo, e a vedere più davvicino un certo numero di problemi; a meglio discernere, a prezzo di una minuziosa analisi delle diverse lingue e con il confronto dei loro vocaboli e dei loro simboli, il significato che essi hanno esattamente ad una certa data, cosa si nasconde ad esempio dietro il termine laborator, dietro il segno della croce o le formule di benedizione della spada. A penetrare in tutte le sottigliezze di una dialettica che mette in gioco la consuetudine e l'innovazione, una rappresentazione della società e l'insieme di un sistema di credenze. A misurare le resistenze, di fronte a questo modello ecclesiastico e senza dubbio più precisamente episcopale, degli slanci giovanili della cavalleria e della passività contadina. Inoltre bisognerebbe gettare qualche sguardo al di fuori, oltre l'area culturale della cristianità latina, e, da una parte e dall'altra, oltre il secolo XI. Si arriverebbe così a vedere più chiaramente con quali graduali mutamenti lo schema dei tre ordini - forse facilitato da una qualche sopravvivenza di quei quadri tri-funzionali di cui Georges Dumézil ha mostrato quanto fossero radicati in seno alle culture indoeuropee - arrivò a soppiantare il modello della regalità sacra, liturgica, guerriera e fecondatrice, e il modello ecclesiastico delle scale di perfezione morale. Si dovrebbe infine seguire la lunga sopravvivenza di questo sistema ideologico, nel corso dei suoi successivi adattamenti, ed esaminare la sua influenza sull'evoluzione complessiva dei rapporti sociali. Non lo vediamo forse sancire la definitiva eliminazione delle ultime tracce dell'antica schiavitù, unire durevolmente, nel rispetto dello stesso complesso di valori, i più grandi principi ai più poveri gentiluomini di campagna, restringere la partecipazione dell'aristocrazia alle attività economiche più redditizie e favorire allo stesso modo l'irresistibile ascesa di gruppi sociali antagonisti, determinare infine, per la concezione della generosità e della carità che esso implica, spostamenti di ricchezza di un'ampiezza decisiva?

Fermarsi su questi problemi, e su altri analoghi che vengono posti dalla formazione e dalla deformazione di altri schemi, significherebbe certamente progredire verso una percezione più sottile dei ritmi particolari, oggi assai poco conosciuti, che sono propri della storia delle ideologie nella sua durata specifica. Significherebbe senza dubbio individuare meglio i rapporti che uniscono questa storia alle trasformazioni complessive del corpo sociale, e trovare in maniera più precisa i nessi che legano le rappresentazioni ideologiche alle situazioni oggettive degli individui o dei gruppi ed alloro comportamento. Sarebbe quindi meglio intravvedere, forse, quello che, allo stato attuale delle scienze dell’uomo, rimane ancora del tutto oscuro: la parte dell'immaginario nell’evoluzione delle società umane.