1.
Georg Simmel nasce a Berlino, ultimo di sette figli, il primo marzo 1858, da un agiato uomo d'affari ebreo convertito al cristianesimo, che muore quand'egli è ancora giovane. Studia storia e filosofia all'Università di Berlino, ove consegue, nel 1881, il dottorato in filosofia con una tesi su Kant.
Cultore di molteplici interessi, che spaziano dalla storia alla filosofia, dalla psicologia alle scienze sociali, egli diviene nel 1885 Privatdozent (un docente remunerato dagli studenti). Per quindici anni, esercita dalla cattedra un magistero fascinoso. Nel 1901, diventa professore associato all'Università, ma viene emarginato in conseguenza delle sue origini ebraiche e di un eclettismo culturale ritenuto poco consono con la serietà accademica.
L'emarginazione non incide in maniera determinante su Simmel. La tranquillità economica assicuratagli dall'eredità paterna gli consente di dedicarsi ai suoi interessi. Gli articoli e i saggi pubblicati riscuotono un rilevante successo. Egli inoltre stringe rapporti con le figure più rappresentative della cultura tedesca - Tonnies, Weber, Rainer Maria Rilke, Stefan George, Edmund Husserl, ecc. - che ne apprezzano l'originalità.
Consegue la nomina a professore ordinario solo nel 1914, ma lo scoppio della Grande Guerra gli impedisce d'insegnare.
Muore nel 1918.
Le opere più importanti sono le seguenti:
La differenziazione sociale (1890, trad. it. Laterza, Bari 1982))
I problemi della filosofia della storia. Studio epistemologico (1892; trad. it. Marietti, casale Monferrato 1982)
Introduzione alla scienza morale. Una critica dei concetti etici fondamentali (1892)
Filosofia del denaro (1900; trad. it. UTET, Torino 1984)
Sulla religione (1906, trad. it. Borla, Roma 1983)
Sociologia. Ricerche sulle forme dell'associazione (1908; trad. it. Comunità, Milano 1989)
La moda e altri saggi di cultura filosofica (1911; trad. it. Neri pozza, Vicenza 1998)
I problemi fondamentali della filosofia (1910; trad. it. Laterza, Bari 1996)
Problemi fondamentali della sociologia (1917; trad. it. Feltrinelli, Milano 1983)
Il conflitto della cultura moderna (1918; trad. it. Bulzoni, Roma 1976)
Un'utile antologia degli scritti, dal titolo Venture e sventure della modernità, è stata pubblicata, a cura di Pasquale Alferj ed Enzo Rutigliano, da Bollati Boringhieri, Torino 2003.
2.
"So che morirò senza eredi intellettuali, e così deve essere. La mia eredità sarà, in piccole parti, riscossa da molti eredi, ciascuno dei quali adatterà alla propria natura l'uso della parte avuta: un uso che non mostrerà a lungo il suo debito nei confronti di tale eredità."
Quest'annotazione affidata al diario definisce la lucida consapevolezza di Simmel riguardo al valore e ai limiti della sua opera. Egli di fatto, in parte anche per la vastità dei suoi interessi, non è stato in grado di sviluppare un vero e proprio sistema filosofico e sociologico. C'è da pensare che egli addirittura rifiutasse la possibilità di cristallizzare una realtà che ha ha sempre concepito come dinamica entro schemi teorici. Cionondimeno, numerose sue intuizioni hanno influenzato potentemente lo sviluppo successivo della filosofia e della sociologia.
Di queste intuizioni, due almeno hanno un grande rilievo in un'ottica panantropologica
La prima concerne l'angolatura stessa dalla quale Simmel si rapporta ai fatti umani, sottolineandone insistentemente l'aspetto relazionale e interattivo.
"La sociologia studia i comportamenti posti in essere dagli uomini e le regole di condotta da essi seguite, non in quanto esistenze individuali considerate nella loro globalità, ma in quanto essi si costituiscono in gruppi e risultano determinati nei loro comportamenti dall'interazione che si sviluppa all'interno del gruppo." Questa definizione definisce l'ottica microsociologica del pensiero di Simmel, il quale non ignora l'esistenza di strutture più ampie, le istituzioni. Di queste però egli si disinteressa, dedicandosi a studiare le "interazioni tra gli atomi della società", dalle relazioni duali a quelle di gruppo.
Quest'approccio, apparentemente limitato, consente di definire la sociologia come una scienza il cui oggetto si distingue nettamente dalle altre discipline umane e sociali, e in particolare dalla storia il cui interesse concerne gli eventi colti nella loro irripetibile unicità, vale a dire nel loro contenuto. Adottando un'ottica interazionale, Simmel astrae dal contenuto concreto degli eventi concentrandosi sulle "forme" cui i rapporti danno luogo, che, in quanto tali, possono essere reperite nei più diversi fenomeni sociali. Applicando tale procedura metodologica, diventa pertanto possibile confrontare situazioni che, quantunque profondamente diversi nel contenuto concreto, sono sostanzialmente simili nell'organizzazione formale.
Il termine "forma", carico di valenze filosofiche, ha spesso indotto ad equivocare l'impostazione di Simmel. Adottando una terminologia moderna, esso può ritenersi sinonimo di modello o struttura. Le forme di Simmel sono di fatto elementi strutturali ricorrenti nei più diversi fenomeni sociali, che possono essere astratti dal loro contenuto concreto e analizzati in sé e per sé. Per esempio cooperazione e conflitto, dominazione e subordinazione, vicinanza e lontananza sono elementi che possono ritrovarsi all'interno di una qualunque relazione duale (uomo/donna, marito/moglie, genitore/figlio, ecc.) come pure di un gruppo o di un'organizzazione burocratica.
Quest'approccio consente di identificare le varie forme di associazioni che, a livelli diversi della scala sociale, si producono in conseguenza delle interazioni, e di analizzarle ponendo tra parentesi gli interessi e gli scopi dei soggetti e privilegiando, per l'appunto, gli aspetti formali: status, ruoli, norme, aspettative, ecc.
Anche se Simmel ha sempre rifiutato di considerare le "forme" come leggi strutturali, il suo pensiero implica che le interazioni siano governate da principi che trascendono le volontà soggettive. Quest'intuizione oggi assume il suo pieno valore se viene ricondotta al fatto che, entrando in relazione ed interagendo tra loro, gli esseri umani sono costretti a rispettare le leggi della comunicazione, che non appartengono, se non in minima misura, al patrimonio della loro coscienza. Per quest'aspetto, Simmel si può definire un precursore della teoria della comunicazione interpersonale, normale e patologica.
E' singolare che gli analisti relazionali e transazionali, che io sappia, non citano mai Simmel.
L'altro aspetto di assoluto interesse del pensiero di Simmel, complementare al primo, riguarda la concezione dialettica del rapporto tra individuo e società che sottende tutta la sua opera.
Secondo Simmel, l'individuo socializzato si colloca sempre in una duplice posizione nei confronti della società: è incorporato in essa e tuttavia le si oppone. L'individuo e, al tempo stesso, entro la società e fuori di essa: un essere per essa e un essere per sé.
Il rapporto tra individuo e società è concepito, in breve, come perennemente animato da una duplice tendenza: l'una verso l'appartenenza, la coesione e l'integrazione, l'altra verso l'opposizione, la distinzione, la differenziazione. Anche se, per definire queste due tendenze, Simmel parla genericamente di "impulsi", è evidente che egli fa riferimento a due diverse logiche motivazionali che vanno assunte come intrinseche alla natura umana. La teoria dei bisogni intrinseci - di appartenenza/integrazione sociale e di opposizione/individuazione - che rappresenta la matrice del modello psicopatologico struttural-dialettico è, almeno in parte, debitrice del pensiero di Simmel.
Il destino inesorabile dell'uomo è l'entrare a far parte di un insieme di relazioni sociali. Questo è il presupposto perché egli giunga ad essere dotato di un'identità e di un'autonomia. L'appartenenza, però, altrettanto inesorabilmente, limita la libera espressione della spontaneità, che può essere affermata, in una certa misura, sempre e solo attraverso una tensione oppositiva e conflittuale. L'ambivalenza, dunque, è l'espressione costante del rapporto dell'uomo con l'altro e con la società, la cui dinamica evolutiva comporta una quota di conflitto.
La vita sociale è dialettica tra libertà e costrizione, autonomia e eteronomia.
Questa dialettica riconosce anche uno svolgimento storico.
Nelle società premoderne la vita dell'uomo era caratterizzata dal fatto di vivere in un numro limitato di cerchi sociali relativamente piccoli; sia che essi fossero gruppi di parentela, sia che fossero corporazioni, villaggi o città, coinvolgevano integralmente l'individuo e lo tenevano fermamente in loro dominio. La fedeltà e la dipendenza dal gruppo erano valori assoluti, che limitavano la libertà e la differenziazione individuale.
Il principio organizzativo del mondo moderno è fondamentalmente diverso: un individuo partecipa a molti cerchi bene definiti, nessuno dei quali coinvolge e controlla la sua personalità per intero. In conseguenza dell'allargamento dei cerchi sociali e delle sfere diverse d'interazione, la personalità umana si trasforma: essa, in particolare, si differenzia e si segmenta. La partecipazione ad una varietà di cerchi, determinando l'assunzione di posizioni diverse, contribuisce ad accrescere la consapevolezza che si ha del proprio io; a mano a mano che l'individuo riesce a sottrarsi alla pressione oppressiva del piccolo gruppo, che costringe la personalità entro i propri confini, acquista coscienza di un sentimento di liberazione; la parcellizzazione della partecipazione al gruppo determina il sorgere del senso della propria unicità e della propria libertà. L'intersecazione dei cerchi sociali è la condizione preliminare per il sorgere dell'individualismo, non soltanto perché rende gli uomini diversi l'uno dall'altro, ma anche perché offre loro la possibilità di muoversi senza sforzo in contesti sociali differenti.
Questo processo di differenziazione, prodotto dall'evoluzione storica ma sulla base di una tendenza intrinseca alla natura umana, non ha però solo degli aspetti positivi. Esso implica anche una complessificazione dell'organizzazione e della struttura sociale la cui oggettività si pone di fronte all'individuo con il rischio di inghiottirlo e soggiogarlo. Il mondo culturale prodotto dall'uomo diventa la matrice dell'alienazione.
La differenziazione individuale passa attraverso l'assimilazione dei valori esterni e, quindi, il "feticismo" che Marx attribuisce ai prodotti dell'economia nell'epoca della produzione delle merci è soltanto un caso particolare di questo destino generale dei nostri contenuti di cultura. Questi contenuti, paradossalmente, e in modo sempre più paradossale con l'incremento della "cultura" sono creati dai soggetti e destinati ai soggetti, ma, nella forma intermedia dell'oggettività che assumono, seguono una logica di sviluppo immanente e si estraneano così dalla loro origine e dalla loro meta.
L'universo culturale è realizzato dagli uomini, tuttavia ciascun individuo lo percepisce come un mondo che egli non ha mai prodotto: così il progresso nello sviluppo dei prodotti culturali oggettivi conduce ad un impoverimento crescente degli individui che creano. I produttori e i consumatori della cultura oggettiva tendono ad atrofizzare le loro capacità individuali. Il prezzo della perfezione oggettiva del mondo, nell'ottica previsionale di Simmel, sarà l'atrofia dell'animo umano.
In un certo qual modo, Simmel porta alle estreme conseguenze la teoria dell'alienazione marxiana. A differenza di Marx, però, che non esclude la possibilità che gli uomini riprendano il controllo sulle condizioni oggettive della loro vita, Simmel è decisamente pessimista. La modernità, che pure ha posto le premesse per una differenziazione individuale che non ha riscontro nel passato dell'umanità, non comporta la possibilità per l'uomo di recuperare potere sul mondo oggettivo che egli produce. La ricchezza progressiva del mondo oggettivo diventa di conseguenza la matrice stessa della miseria individuale.
E' difficile minimizzare la portata dell'analisi di Simmel sulla modernità. Teorico dell'individuazione, egli coglie con grande lucidità il limite di un processo che libera l'uomo dalla dipendenza interpersonale e dall'oppressione dei legami di gruppo, ma lo pone di fronte ad un mondo che, segmentandolo e parcellizzandolo, gli impedisce di trovare un'unità. La libertà individuale è dunque pagata al prezzo dell'alienazione e, in un certo qual modo, dell'anomia.
Aprile 2004