1.
E' noto che la cultura italiana soffre di un ritardo di lunga data rispetto allo sviluppo delle scienze naturali, ancora oggi evidente nella programmazione scolastica. La contestata riforma Moratti eguaglia, sulla carta, il valore dell'insegnamento umanistico e di quello scientifico. Nella realtà, quest'ultimo rimane vincolato ad un pregiudizio di fondo: quello per cui l'importanza della scienza si riconduce alle applicazioni tecniche che hanno radicalmente trasformato il mondo, l'ultima delle quali - l'informatica - si può ritenere uno dei fattori fondamentali della globalizzazione.
E' difficile minimizzare l'impatto della tecnica, figlia della scienza, sul mondo contemporaneo. Tale impatto, però, nella misura in cui permette ai cittadini di godere di un benessere (materiale) incommensurabile con qualunque epoca del passato, è sotteso da un'intrinseca contraddizione. Il valore d'uso della tecnica pone infatti tra parentesi le problematiche filosofiche che la scienza, nel suo sviluppo, ha prodotto.
La contraddizione è abbastanza semplice da spiegare. Per giungere a capire quelle problematiche, occorre una conoscenza piuttosto approfondita delle singole scienze - fisica, chimica, biologia, ecc. - e una conoscenza, ancora più ardua, del linguaggio matematico a cui esse univocamente si riconducono e attraverso esprimono le loro teorie. Non mancano, certo, a riguardo libri divulgativi, ma essi, quando sono rigorosi (non alla Piero Angela, per intendersi), scoraggiano il lettore medio, perché impongono comunque uno sforzo di concentrazione e alcune conoscenze di base.
Chi volesse prendere atto dei profondi significati filosofici intrinseci allo sviluppo delle scienze naturali, potrebbe fare riferimento ad un'opera ormai classica e unica nel suo genere, la Storia del pensiero filosofico e scientifico di Ludovico Geymonat (Garzanti, Milano 1976-1996), e soprattutto agli ultimi quattro volumi dedicati al Novecento, nei quali la portata filosofica delle scienze naturali (dall'astronomia alla neurobiologia) è illustrata con grande rigore e con un linguaggio accessibile. Nell'Avvertenza all'edizione dei quattro volumi, che rappresentano un aggiornamento del volume unico con cui si concludeva la prima edizione dell'opera, Geymonat, nel 1976, influenzato dal clima dell'epoca, affermava che lo sviluppo intensivo delle conoscenze scientifiche non poteva prescindere da uno sviluppo estensivo, vale a dire dal coinvolgimento delle "masse". Egli riteneva che tale coinvolgimento corrispondesse, piuttosto che alla sua aspettativa di marxista, ad un bisogno collettivo. Egli scriveva: "Non si può sostenere che le masse siano unicamente interessate all'aspetto applicativo delle conoscenze. Al contrario, proprio perché si trovano giornalmente a contatto con la realtà concreta, sono ben convinte dell'importanza teorica, le cui conquiste hanno reso possibili un enorme potenziamento delle applicazioni pratiche. Se vogliono ben giustamente accedere al campo delle elaborazioni teoriche onde partecipare alla loro impostazione, è perché comprendono che abbandonare tale attività nelle mani di pochi specialisti significherebbe accettare un nuovo tipo di soggezione, non meno alienante della soggezione economica. Proprio perciò esse si rendono conto che una conoscenza scientifica di massa costituisce, oggi, una condizione basilare per lo sviluppo di una società veramente nuova. E inoltre, proprio perché furono vittime per secoli e secoli dei più gravi soprusi che le classi dominanti pretendevano giustificare in nome di ideologie spacciate come sacre e inviolabili, si rendono conto altrettanto bene che una coscienza scientifica di massa non può condurre a frutti veramente duraturi, se non viene inquadrata in una nuova concezione del mondo adeguata alla consapevolezza critica odierna." (p. 7)
Affermazioni del genere, oggi, purtroppo, fanno sorridere. Nella nostra società, come in tutte quelle avanzate, lo scarto tra lo sviluppo tecnologico e il sapere scientifico è clamoroso. Esso è sormontato solo dallo scarto, che ho rilevato nel capitolo introduttivo di Star Male di Testa, tra lo sviluppo tecnologico e la miseria psicologica, attestata dal diffondersi esponenziale del disagio psichico.
Si può prendere coscienza facilmente del cambiamento intervenuto a livello culturale confrontando i volumi sul Novecento di Geymonat con la più recente Storia della scienza moderna e contemporanea diretta da Paolo Rossi (UTET, Torino 1988-1998). I sei tomi dell'opera sono indubbiamente molto più analitici e ricchi di informazioni rispetto al Geymonat. Si tratta però di una storia riservata agli addetti ai lavori, nessuno dei quali, peraltro, sarebbe in grado di capire molto al di fuori del suo ambito disciplinare specifico.
Se l'ideologia ottimistica di Geymonat fa sorridere, il problema cui essa fa riferimento è assolutamente reale. Il bisogno di una cultura di massa aperta alla scienza e alle problematiche filosofiche che essa ha posto in luce conserva un'importanza primaria nell'orizzonte di una civiltà che non intende ridurre i suoi cittadini a consumatori passivi di tecniche o di ideologie alienanti. Il problema è che la civiltà di massa si è inaugurata all'insegna dell'accesso del maggior numero di persone possibile alla fruizione di beni di consumo, e solo di recente ha associato a questa la fruizione di informazioni. Essa sembra mille miglia lontana dal promuovere la diffusione sociale del sapere scientifico. In parte ciò è dovuto alla complessità di tale sapere, la cui acquisizione impone uno sforzo cognitivo; in parte al fatto che, venuto meno o almeno allentatosi l'oscurantismo religioso, quel sapere, per tutti gli aspetti che trascendono un uso tecnico, vale a dire l'apprendimento di competenze spendibili sul piano del mercato del lavoro, continua ad essere temuto dal potere.
Un esempio può bastare a dare la misura e il significato di quel bisogno e di questo timore.
Il cambiamento climatico cui sta andando incontro il pianeta è un problema la cui portata è nota a tutti. La sua soluzione, se se ne dà per scontata l'origine antropica, non può passare che attraverso decisioni politiche a livello nazionale e internazionale. La lentezza con cui queste decisioni vengono prese, in rapporto ad un'urgenza che si va rivelando ogni giorno maggiore, attesta che i politici non avvertono un'adeguata pressione da parte dei cittadini che essi rappresentano. Ciò è dovuto a due motivi. Per un verso, la conoscenza scientifica del problema da parte dei cittadini è carente. La meteorologia è la scienza a partire dalla quale si è definita la teoria dei sistemi complessi. Dato il numero delle variabili che concorrono a determinare l'equilibrio o lo squilibrio meteorologico, le conclusioni degli esperti a riguardo possono essere sempre adattate ideologicamente o opportunisticamente (in rapporto all'orientamento dei politici che li consultano). I cittadini sono fuori gioco perché, per prendere posizione, essi abbisognano di una cultura di cui difettano.
Il secondo motivo è che la riduzione dell'emissione di scarichi di ossido di carbonio nella biosfera richiede non solo decisioni politiche, ma anche un cambiamento piuttosto radicale dello stile di vita consumistico a cui i cittadini occidentali si sono assuefatti. L'inerzia delle abitudini rappresenta il punto su cui fanno leva i politici per non prendere decisioni che, oltre ad incidere sui loro interessi (particolarmente negli Stati Uniti, laddove la lobby del petrolio è rappresentata a livello governativo), potrebbero inimicare l'elettorato.
Il bisogno di una cultura scientifica di massa è dunque assolutamente reale per affrontare i problemi di un mondo fortemente influenzato dalle applicazioni scientifiche. Il problema è che quel bisogno pare del tutto assente dalle coscienze. Una nuova scienza dell'uomo e dei fatti umani, che non può prescindere dal rapporto dell'uomo con il mondo naturale, dovrà trovare modo di produrlo.
2.
L'esempio della meteorologia è solo uno degli esempi che si possono portare a favore della necessità di una cultura scientifica di massa. Un altro, non meno importante, riguarda la biologia, che ha ormai superato il confine dell'ingegneria genetica, e può intervenire in modi molteplici sul corredo degli esseri vegetali e animali (uomo compreso). Anche questo sviluppo non è estraneo al cittadino comune. Egli è informato quanto basta per esitare di fronte all'acquisto di cibi ogm e per nutrire qualche idea intorno ai problemi della fecondazione assistita, dell'uso delle cellule staminali, della clonazione, ecc. Le informazioni di cui dispone, però, sono di tipo mediatico non scientifico: tali cioè da renderlo facilmente preda dell'ideologia che sottende la diffusione delle informazioni.
La biologia è una scienza, se possibile, più complessa della meteorologia o, meglio, complessa ad un altro livello. La carenza di una cultura scientifica a riguardo può impedire alla collettività di partecipare a decisioni da cui, per molti aspetti, dipendono i destini della sopravvivenza della specie.
Nell'ambito della biologia, occorre poi considerare il ruolo della neurobiologia, che riguarda il funzionamento del cervello. Questo tema riguarda ovviamente da vicino ogni essere umano. Ma, paradossalmente, proprio a questo livello l'affidamento dei cittadini agli esperti, e la loro rinuncia ad acquisire una conoscenza diretta, è diventato totale. Il problema, ovviamente, è legato soprattutto alle malattie mentali. La propaganda neopsichiatrica si è attenuta, negli ultimi venti anni, ad una strategia ben precisa che si può definire di riduzionismo radicale. Essa verte sul presumere che per spiegare i fenomeni complessi che appaiono sotto forma di sintomi psichiatrici basta identificare un difetto genetico di base, che si esprime attraverso la produzione eccessiva o carente di una molecola biochimica.
Non ci vuol molto ad invalidare l'ideologia neopsichiatrica. Tra i sistemi complessi esistenti in natura, il cervello umano è in assoluto il più complesso. La logica lineare di causa-effetto, sulla quale si fonda il riduzionismo neopsichiatrico, può cogliere un aspetto del funzionamento o del malfunzionamento cerebrale, ma di sicuro non può avere significato esplicativo.
Basterebbe che i cittadini conoscessero un po' meglio la neurobiologia per porsi al riparo da false informazioni scientifiche e, ovviamente, dalle loro conseguenze pratiche. Il problema è che, in difetto di una cultura scientifica, essi ritengono la neurobiologia una disciplina esoterica, riservata a pochi specialisti.
Tutte le scienze, di fatto, per quanto riguarda la loro produzione, hanno un aspetto esoterico. La ricerca avviene su di una frontiera che necessariamente impegna gli ingegni migliori, che rappresentano un'infima minoranza della popolazione. Una volta prodotta, sotto forma di teorie, essa però potrebbe essere portata a conoscenza di tutti. Il tragitto per cui si giunge alla scoperta è una cosa, la scoperta in sé e per sé un'altra e le sue implicazioni filosofiche un'altra ancora. Nessun sapere, in quanto prodotto dall'uomo, va considerato incomprensibile per l'uomo.
3.
Per la metereologia e la biologia (neurobiologia compresa) il discorso è chiaro. La necessità e l'utilità di una conoscenza scientifica riguardo ad altre discipline sembrano meno immediatamente comprensibili. Ciò dipende dal misconoscimento delle problematiche filosofiche prodotte dagli sviluppi scientifici. La fisica, interessandosi della struttura ultima della materia, ha aperto uno scenario filosofico di grandissima portata, che va dalla creazione dell'universo all'esistenza di livelli di realtà microscopici (quelli quantistici) laddove le leggi che regolano i fenomeni macroscopici sembrano sospese e la casualità (o l'imprevedibilità) sembra sostituire la causalità. Essa, inoltre, ha posto in gioco il rapporto tra Soggetto e Oggetto, fino al limite estremo di riconoscere nella Coscienza l'origine della Realtà. La chimica, per suo conto, ha aperto un altro scenario: quello che, attraverso le strutture dissipative, porta a pensare che la materia sia animata non solo dalla tendenza "regressiva" verso l'entropia, ma anche da una tendenza "creativa" verso forme di organizzazione sempre più complesse. La matematica, infine, non ha esitato, attraverso la scoperta dell'infinito o, meglio, degli infiniti, a penetrare in un terreno tradizionalmente riservato ai teologi e ai filosofi. Essa, inoltre, ponendosi come un linguaggio logico che sembra scritto già nella Realtà induce il dubbio che questa sia permeata, sottesa o addirittura prodotta da una qualche Intelligenza.
Si tratta, insomma, di scenari che pongono in gioco il senso stesso del Cosmo, il ruolo dell'uomo nell'universo, il significato della coscienza, l'esistenza o meno di Dio, il problema del rapporto tra Materia e Intelligenza o Spirito, ecc. E' difficile considerare questi problemi avulsi dalla vita di un qualunque soggetto consapevole. L'istinto di sapere è, forse, il più profondo di cui l'uomo sia dotato. Escludere gli uomini dal percepirlo e dal farsene carico, fin'anche al limite estremo dell'inquietudine e della consapevolezza di limiti conoscitivi forse insormontabili, è uno dei modi per mantenere la loro esistenza su di un registro alienato.
Il difetto di una cultura scientifica di massa non comporta solo il pericolo che la tecnica giunga a dominare l'universo umano. Un altro pericolo, non meno grave, già in atto, è il revival dello spiritualismo sia in forme confessionali (religione) che in forme non confessionali (dalla religione new-age allo spiritismo e all'esoterismo). Nella misura in cui gli sviluppi scientifici s'interrogano sui problemi della creazione del Cosmo, sull'organizzazione della Natura, sul significato dell'Uomo nell'Universo e della Coscienza umana, senza poter dare immediatamente delle risposte, è comprensibile che le lacune del sapere scientifico possano essere utilizzate dagli spiritualisti di ogni genere come un grimaldello che ricava da esse i limiti del sapere umano e permette di riproporre le loro soluzioni. Solo una cultura scientifica adeguata consente di capire che l'avanzamento del sapere non ha confermato l'esistenza di qualcosa d'inconoscibile, vale a dire di un Mistero che non troverà mai spiegazioni da parte della Ragione, bensì solo di qualcosa che non è ancora noto e per spiegare il quale occorreranno nuove teorie rispetto a quelle disponibili.
Questa sezione del sito non pretende, ovviamente, di colmare la lacuna della cultura corrente in rapporto alle scienze naturali. Essa si propone, più semplicemente, in riferimento a due ambiti specifici (la fisica e la biologia) e al linguaggio ormai comune a tutte le scienze naturali (la matematica), di affrontare il loro impatto nell'ottica di una nuova scienza dell'uomo e dei fatti umani. Questo significa essenzialmente prescindere da contenuti specifici, tecnici, per cercare di cogliere le influenze delle scienze naturali sulla concezione che l'uomo ha di sé in rapporto alla Natura di cui fa parte e sui problemi filosofici e politici che lo sviluppo di tali scienze pongono.
Giugno 2004