S. AGOSTINO

CONFESSIONI


"Lottavano dentro di me due volontà, una spirituale, l'altra carnale, e laceravano la mia anima..." (Agostino, Confessioni, VIII).

Questa citazione offre la chiave dell'esperienza umana di S. Agostino e della sua riflessione filosofica e teologica. Essa attribuisce all'uomo una doppia natura: l'una rivolta al bene, l'altra al male. Qual è l'origine di questa doppia natura? Che cosa significa la tendenza al male? In quale misura l'uomo, lacerato dal conflitto tra le due nature, è libero di scegliere tra l'una e l'altra? Come si può, infine, scampare al male?

Questi temi filosofici pervadono tutto il tragitto umano e filosofico di S. Agostino. Le risposte alle quali egli perviene non sono però di ordine filosofico ma teologico. La tendenza al male non è implicita nella natura umana in quanto creata da Dio, bensì è l'espressione della libertà come scelta tra bene e male. L'inclinazione dell'uomo al male è dovuta al peccato originale, all'inquinamento prodotto dalla tentazione del Diavolo che si è ribellato a Dio e, persistendo nella ribellione, è irredimibile. L'uomo può salvarsi dal male, ma non con le sue forze. Egli abbisogna dell'aiuto di Dio, della grazia che gli consente di trascendere il male e di assicurarsi la felicità eterna.

Dato l'impianto teologico del pensiero di S. Agostino, c'è da chiedersi in quale misura esso possa avere importanza nell'ottica di un nuovo sapere sulla natura umana e sull'interazione tra natura e cultura. La risposta è semplice. Le Confessioni di S. Agostino contengono, nei primi capitoli, elementi biografici che, analizzati con una metodologia psicodinamica e socioculturale, consentono di capire le circostanze in virtù delle quali S. Agostino giunge a percepire nel suo intimo una lacerazione conflittuale. L'interpretazione che egli fornisce di questa lacerazione, come vedremo, sovrappone alla sua esperienza uno schema ideologico che scambia l'effetto - il definirsi a livello inconscio di un io antitetico - per la causa, il male, che invece è da ricondurre all'eccessiva pressione dell'ambiente familiare e pedagogico, che, anziché incanalare le potenzialità naturali, finisce per disordinarle. Questa confusione, che è propria di tutta la teologia cattolica, è viva e presente ancora oggi in molte anime adolescenziali educate religiosamente che sperimentano una situazione di disagio psichico. Essa però è implicitamente attiva in quasi tutte le esperienze di disagio psichico. E' l'eterno tema, insomma, del dott. Jekyll e di Mister Hyde che una nuova cultura sull'uomo e sui fatti umani deve trascendere dialetticamente.

Biografia interiore destinata, nell'intenzione dell'autore, a descrivere il lento e tormentoso cammino dalla confusione e dal peccato alla grazia e alla verità, nonché il radicamento in questa e il suo approfondimento filosofico, le Confessioni di S. Agostino sono, dunque, un documento di estremo interesse sotto il profilo psicodinamico e sociostorico. Ponendo tra parentesi le soluzioni religiose e mistiche cui l'autore giunge per risolvere i problemi che si pongono alla sua riflessione, l'inquietudine, la tensione drammatica e le capacità introspettive che le Confessioni documentano hanno un timbro di straordinaria attualità. Per vocazione, Agostino è un filosofo (scettico) e un sottile psicologo. Cognitivista, si direbbe oggi, in virtù del fatto che egli intende penetrare con la ragione il mistero di come funziona la coscienza umana. Le sue riflessioni sulla volontà, che è la chiave dell'esercizio della libertà e della sua stessa definizione, potrebbero ancora oggi essere riportate in un qualunque testo di psicologia generale. Quando poi S. Agostino si confronta col problema delle memorie, e intuisce trattarsi di un patrimonio immenso, in gran parte depositato al di fuori della coscienza, sembra quasi che giunga sulle soglie dell'inconscio.

Il problema che qui ci interessa è limitato però alla lacerazione costitutiva della natura umana, un topos che sembra irretire la cultura umana da sempre ed è ancora vivo ai nostri giorni. L'interesse delle Confessioni sta nel fornirci la chiave esperienziale, soggettiva di tale contrapposizione. I primi quattro libri dell'opera, dedicati all'infanzia e all'adolescenza, sono per questo aspetto i più suggestivi.

I ricordi infantili di S. Agostino sono tendenziosi, in quanto vengono interpretati alla luce della convinzione che l'anima umana sia originariamente preda del male. Rievocando le sue prime imprese, egli sottolinea il carattere naturalmente capriccioso e tirannico dei bambini:

"Ed ecco che a poco a poco mi rendevo conto del luogo in cui mi trovavo, e volevo manifestare i miei desideri alle persone capaci di soddisfarli, e non ci riuscivo, perché gli uni erano dentro e le altre fuori di me, e quelle persone non avevano un senso che le facesse accedere all'anima mia. E così mi mettevo a lanciare in aria braccia e gambe e grida, segnali con cui per poco che mi riuscisse esprimevo i miei desideri, e che erano simili a questi, in qualche modo, non al vero. E se non mi davano soddisfazione, o per non riuscire a intendermi o per non farmi danno, montavo su tutte le furie: solo perché i grandi non si piegavano ai miei capricci e delle persone libere rifiutavano d'essere schiavizzate, e a forza di pianti mi vendicavo di loro. Così son fatti i bambini: l'ho imparato più tardi, da quelli che ho conosciuto, e che cosí fossi anch'io me l'hanno rivelato meglio loro senza saperlo, che i miei educatori con tutto il loro sapere."

" Dio, ascolta. Maledetti i peccati degli uomini! È l'uomo che lo dice, e tu hai pietà di lui, perché tu lo hai fatto, ma non hai fatto anche il peccato che ha in sé. Chi mi rammenterà il peccato della mia infanzia, se nessuno è innocente davanti a te, neppure il neonato che ha un giorno solo di vita sulla terra? E chi, se non qualunque bimbo piccolissimo, in cui vedo quello che non ricordo di me stesso? Qual era dunque il mio peccato, allora? Forse l'avidità con cui boccheggiavo piangendo per il seno? Se lo facessi ora, boccheggiando a quel modo non per poppare ma per un'esca adeguata ai miei anni, mi farei ridere in faccia e riprovare, e giustissimamente. Dunque era riprovevole anche quello che facevo allora, e solo perché non ero in grado di capirle le riprovazioni erano fuori luogo, e sarebbero state irragionevoli. Queste sono in effetti abitudini che la crescita stessa sradica ed elimina: e non s'è mai visto che uno facendo pulizia getti via deliberatamente quello che ha di buono. A meno che non fossero buoni per quell'età anche altri vezzi: come quello di strepitare per cose che a ottenerle ci avrebbero fatto male o di montare su tutte le furie se delle persone libere e adulte, magari i nostri stessi genitori e le persone più autorevoli non si facevano tiranneggiare, o non erano lì, pronti al minimo cenno della propria volontà; e gli sforzi per vendicarsi per quanto possibile di loro picchiandoli, solo perché non obbedivano a degli ordini che sarebbe stato pericoloso per noi eseguire? Dunque è nella debolezza del corpo infantile l'innocenza dei bambini, non nell'anima."

La spiegazione che S. Agostino dà della falsa innocenza dei bambini è molto semplice:

"Ma se son stato perfino concepito nella colpa, e mia madre mi ha nutrito nell'utero fra i peccati, dove, ti chiedo, dove, mio Signore, io servo tuo, dove o quando sono stato innocente?"

La naturale inclinazione dell'uomo al male, visibile persino nei bambini, è, dunque la conseguenza del peccato originale.

S. Agostino non è evidentemente in grado di tenere conto degli effetti di campo, per cui i comportamenti infantili sono in massima parte determinati, sia pure con una diversità che fa capo alle differenze genetiche individuali, dal modo conscio e inconscio in cui gli educatori si rapportano ai bambini. Quel'è peraltro la prova che il campo in cui S. Agostino è vissuto fosse un campo repressivo? La prova la fornisce egli stesso ricostruendo l'esperienza scolastica:

"Dio, Dio mio, quante ne ho viste di miserie e di raggiri allora, quando ancora bambino mi proponevano come ideale di vita l'obbedienza a quelli che volevano fare di me un uomo di successo e un vincitore nelle arti della chiacchiera, che servono a procacciare prestigio fra gli uomini e false ricchezze. Fui mandato a scuola, a imparare a leggere e a scrivere, senza avere la minima idea, infelice, di che uso se ne potesse fare. E tuttavia, se ero tardo nell'apprendere, mi battevano. Perché era un metodo approvato dagli adulti, e molti venuti al mondo prima di noi avevano aperto le dolorose vie per cui ci costringevano a passare, tanto per accrescere un po' la dose di fatica e affanno riservata ai figli di Adamo." ?

" E da bambino infatti cominciai a pregare te, soccorso e rifugio mio, e sfrenavo del tutto la mia lingua quando ti invocavo: e ti pregavo, per piccolo che fossi, con passione non piccola, di fare che non mi battessero. E siccome non mi esaudivi, a tutto svantaggio della mia ignoranza, gli adulti e perfino i miei genitori, che pure non volevano mi accadesse nulla di male, ridevano delle botte che mi toccavano: come non fossero allora, per me, un male grande e angoscioso."

"Esiste, mio Signore, un animo così grande, capace di un'adesione cosí appassionata al tuo essere? Esiste, dico - perché a tanto può condurre anche un certo genere di insensatezza - un animo che in questo suo religioso aderire a te sia preso da una passione tanto sublime da fargli ritener cosa da poco cavalletti e unghioni e simili forme di tortura, che in tutti i paesi della terra la gente ti supplica terrorizzata di tener lontane? E che per giunta li ami teneramente, questi altri che ne hanno una tremenda paura? Come facevano i nostri genitori: i quali sorridevano delle torture che i nostri maestri infliggevano a noi bambini? Ma non per questo noi ne avevamo meno paura, e non erano meno ferventi le suppliche che ti rivolgevamo perché ce ne scampassi. Certo, avevamo la nostra colpa, che era di scrivere o leggere o studiare di meno di quanto si esigeva da noi. Perché non erano la memoria o l'ingegno a farci difetto: di questi, mio Signore, hai voluto dotarci a sufficienza per quell'età. Ma ci piaceva giocare, e questo era motivo per esser puniti da persone che poi si comportavano proprio come noi. Ma i giochi degli adulti si chiamano occupazioni, mentre quelli dei bambini, che lo sono anch'essi, sono puniti dagli adulti: e nessuno ha pietà degli adulti o dei bambini, o di entrambi."

"Eppure io peccavo, Signore Dio, ordinatore e creatore di tutte le cose in natura, ma dei peccati solo ordinatore, Signore Dio mio, peccavo perché facevo il contrario di quello che i genitori e quei maestri mi imponevano. Perché più tardi avrei saputo come far buon uso della grammatica, quale che fosse l'intento che i miei perseguivano nel volermela fare apprendere. Io poi non disubbidivo perché mi garbasse far di meglio, ma per amore del gioco."

S. Agostino non è in grado d'identificare nel sadismo pedagogico degli insegnanti e dei familiari la causa del suo scarso amore per gli studi, nonostante esso sia stato smentito da una vita intensa di impegni intellettuali. Egli attribuisce quello scarso amore all'indolenza propria e all'avversione della natura umana nei confronti dei doveri:

"Eppure proprio durante l'infanzia, che suscitava meno apprensioni al mio riguardo dell'adolescenza, io non amavo lo studio e detestavo d'esservi costretto: e vi ero tuttavia costretto e mi faceva bene, pur se non facevo bene io: non avrei studiato, senza costrizione. Perché nessuno fa bene controvoglia, anche se è bene che lo faccia. Neppure quelli che mi costringevano facevano bene, ma mi faceva bene lo stesso, Dio mio, per opera tua. Loro infatti non vedevano altro fine agli studi cui mi costringevano che quello di saziare un insaziabile desiderio di miserabili ricchezze e d'ingloriosa fama."

In queste poche righe S. Agostino fornisce una chiave importante per capire qualcosa dell'ambiente familiare. La famiglia è di umile condizione, ma sia il padre che la madre sono animati da elevate aspettative riguardo al figlio. Il padre ha una mira prevalentemente sociale: il denaro, la fama; la madre, cattolicissima, una mira sostanzialmente morale, in conseguenza della quale l'impegno nel dovere e l'astensione dal piacere (il gioco) sono indispensabili al fine di scongiurare la possibilità di una perversione con l'avvento dell'adolescenza e della prima giovinezza.

Qualche dubbio sul carattere perverso e pervertitore dell'educazione S. Agostino lo ha, ma esso viene immediatamente respinto dalla considerazione per cui la natura umana, affetta dal peccato originale, ha comunque bisogno di un trattamento severo:

"Perché dunque odiavo la letteratura greca, che pure non è da meno quanto a poemi? Indubbiamente anche Omero è un sapiente tessitore di favole, deliziosamente leggero. Eppure da bambino mi riusciva indigesto. Credo che questo succeda anche ai bambini greci con Virgilio, se sono costretti a studiarlo come lo ero io con Omero. Era la difficoltà, nient'altro che la difficoltà di apprendere una lingua straniera a cospargere come di fiele tutte le greche delizie di quelle narrazioni favolose. Io non sapevo una parola di greco, e mi assillavano furiosamente perché lo imparassi, torturandomi con la minaccia di terribili castighi. C'è stato un tempo, nella primissima infanzia, in cui neppure di latino sapevo una parola: e tuttavia m'è bastata un po' d'attenzione a impararlo, senza spaventi e torture, anzi fra le carezze delle balie e i loro giochi e le risa. L'ho imparato senza esservi incalzato sotto il giogo della disciplina, quando era il mio cuore a incalzarmi perché dessi alla luce quello che concepiva: il che non sarebbe avvenuto, se alcune parole non le avessi imparate non dagli insegnanti, ma da altri parlanti con le orecchie pronte ad accogliere tutto ciò che mi veniva in mente e che io vi riversavo. E questa è un'illustrazione abbastanza chiara della maggior efficacia che la libera curiosità ha rispetto a un pavido affannarsi sotto costrizione, per quanto riguarda questo genere di apprendimento. D'altra parte è questa costrizione a ridurre sotto le tue leggi, Dio, il flusso dispersivo di quella: sì, sotto le tue leggi, le tue leggi che dalla frusta dei maestri alle prove dei mártiri dispensano una sapiente alchimia di amarezze. Salutari: perché ci richiamano a te dalla pestifera gaiezza che da te ci ha allontanati."

La sapiente alchimia della frusta non sembra, nell'immediato, adatta a mantenere il soggetto nell'ordine. Lo scarto tra dovere e piacere si accentua. Utilizzando le sue eccellenti qualità, S. Agostino riesce a catturare le lodi e la stima degli educatori, ma li inganna rimanendo proteso verso il gioco:

" E io bambino me ne stavo infelice sulla soglia di quella vita, ed era degna palestra di quel genere di competizioni la scuola dove più ansiosamente mi guardavo dai barbarismi che dall'invidia verso quelli che non ne commettevano, se capitava a me. E per questo, Dio mio, lo dico e lo confesso a te, ero apprezzato da quelle persone la cui approvazione allora costituiva tutto l'onore della mia vita. Non la vedevo, la voragine di bruttura in cui m'ero sprofondato lontano dai tuoi occhi. E nella loro luce nulla, ne sono certo, fu allora più detestabile di me, se riuscivo a dispiacere perfino a quella gente, a furia di bugie con cui ingannavo l'istitutore e i maestri e i genitori: per la voglia che avevo di giocare, e la passione per gli spettacoli leggeri, con l'istrionica smania di imitarli che mi mettevano addosso. Rubavo anche, dalla dispensa di casa e da tavola, o per gola o per avere di che far doni agli altri bambini: perché la loro compagnia per giocare, benché ci si divertissero quanto me, me la vendevano. Nel gioco poi ero dominato dalla vana ambizione di eccellere, al punto che spesso rapinavo vittorie fraudolente. Lo facevo agli altri, ma non lo sopportavo da parte loro: e se li coglievo in fallo protestavo fierissimamente: ma se ero io ad essere colto in fallo e redarguito, preferivo arrivare alla violenza piuttosto che cedere. E questa sarebbe l'innocenza dei bambini? No, non esiste, Signore, non esiste: ma figuriamoci, Dio mio!"

Forse l'innocenza infantile è un mito. Ma non è sorprendente che un bambino vessato dai genitori e dagli insegnanti perché eccella negli studi, e minacciato di percosse se non riesce, sviluppi una competitività estrema che riversa nella socialità spontanea; meno ancora sorprendente è che egli compensi la pressione educativa con comportamenti trasgressivi nei quali traspare la protesta di un io antitetico.

Date queste premesse, è inevitabile che, con l'adolescenza, l'io antitetico si manifesti sotto forma di una rivendicazione smodata di libertà, di piacere e di trasgressione:

"Infelice: invece ruppi gli argini, abbandonandomi a quel mio impeto fluviale, e ti lasciai e oltrepassai tutti i limiti della tua legge e non scampai al tuo staffile - e chi vi scampa fra i mortali? Tu eri sempre là, con feroce tenerezza, a tormentarmi, a cospargere di amarezza e disgusto tutte le mie allegrie di seduttore, perché cercassi l'allegria che non disgusta. E ci fossi riuscito, là niente avrei trovato all'infuori di te, Signore, di te che mascheri di dolore la legge e ci colpisci per guarirci e ci uccidi per non lasciarci morire lontano da te. Dov'ero, in quale esilio lontano dalle dolcezze della tua casa, in quel sedicesimo anno d'età della mia carne? Fu allora che si impadronì di me (e io mi ero consegnato con le mani legate) una frenesia di piacere amoroso, disonore dell'uomo quando è sfrenato, illecito per le tue leggi. I miei non si curarono di arginare col matrimonio quel fiume in piena che ero: la loro unica preoccupazione era che imparassi a comporre i discorsi migliori e a persuadere con l'arte oratoria."

La sensualità è un assillo di S. Agostino e tale rimarrà nel corso degli anni sino alla conversione. Non ci vuole molto a capire che, impegnato negli studi a soddisfare le aspettative dei suoi e animato egli stesso dall'ambizione di eccellere, la furia dei sensi abbia rappresentato semplicemente un compenso per un regime di vita sostanzialmente molto severo. Un compenso peraltro riconducibile ad un più generale bisogno di trasgressione prodotto dalla repressione educativa. Ma S. Agostino non è in grado di leggere il nesso tra repressione e trasgressione. In seguito ad un evento piuttosto banale - un furto di pere -, pertanto, egli giunge alla conclusione che il cuore umano è incline gratuitamete alla malvagità:

" Certamente la tua legge punisce il furto, Signore, e così la legge scritta nel cuore degli uomini, che neppure la loro ingiustizia può cancellare. Non a caso non c'è ladro che si lasci derubare senza batter ciglio! Neppure se è ricco e l'altro ruba per sfamarsi. E io volli commettere un furto, e lo commisi senza essere in miseria: o forse sì, povero com'ero di giustizia, che avevo a noia, e straricco di iniquità. Rubai quello che avevo in abbondanza e di qualità molto migliore, e del resto non era per goderne che volevo rubarlo, ma per il furto stesso, per il peccato. C'era un pero nelle vicinanze della nostra vigna, carico di frutti non particolarmente invitanti all'aspetto o al sapore. Era una notte fosca, e noi giovani banditi avevamo tirato così in lungo i nostri scherzi per le strade, secondo un'abitudine infame: e ce ne andammo a scuotere la pianta per portar via le pere. Ce ne caricammo addosso una quantità enorme, e non per farne un'abbuffata noi, ma per gettarle ai porci - e se anche ne assaggiammo qualcuna fu solo per il gusto della cosa proibita. Ecco il mio cuore, Dio, ecco il cuore che in fondo all'abisso ha suscitato la tua pietà. E questo cuore ora ti deve dire che cosa andava cercando laggiù: volevo fare una cattiveria gratuita, senza avere altra ragione d'essere malvagio che la malvagità. Era brutta, e l'ho amata: ho amato la mia morte, il venire a mancare - e non l'oggetto di questa mancanza, no, ma la mia mancanza stessa ho amato, anima vergognosa che si schioda dal tuo fondamento per annientarsi, e non per qualche bruttura particolare, ma per il suo desiderio del brutto."

Egli si chiede:

" È possibile che mi attirasse una cosa proibita, solo perché proibita, e niente altro?"

No, non è possibile. La tendenza dell'uomo alla trasgressione non è primaria, ma dipende dal modo in cui le regole, le leggi e i valori gli vengono proposti. Un modo che, troppo spesso, disgusta l'uomo e mortifica il suo bisogno di acquisire un bisogno legislativo su se stesso. S. Agostino, fermo al presupposto secondo il quale l'uomo nasce contaminato, non può rendersi conto di questo. Il problema del male o meglio dell'inclinazione dell'uomo al male, che egli ha sperimentato direttamente, diventa uno dei temi centrali della sua riflessione. Il carattere tormentoso di questo problema è esposto nel libro quarto:

" Mi sforzavo di vedere chiaro in quello che m'ero sentito dire, che cioè la causa del male fosse il libero arbitrio della volontà, e il tuo giusto giudizio quella della nostra sofferenza, e questo no, non mi era trasparente. E allora tentavo di far affiorare dall'abisso la punta almeno dell'intelligenza e di nuovo affondavo, e ritentavo con accanimento ed affondavo un'altra volta, e un'altra ancora. Mi sollevava nella tua luce una cosa: che sapevo di avere una volontà, almeno quanto sapevo di vivere. Se volevo una cosa o non ne volevo un'altra ero certissimo d'esser io e non un altro a volere e non volere, e a poco a poco mi rendevo conto che era lì, la causa del mio peccato. Quello che io facevo mio malgrado, io lo subivo piuttosto che farlo, questo mi era evidente, e piuttosto che una colpa lo giudicavo una pena di cui non ingiustamente mi affliggevi, come subito riconoscevo riflettendo sulla tua giustizia. Ma poi ricominciavo a chiedermi: "Chi mi ha fatto? Non è il mio Dio, che non è solo buono, è il bene stesso? Da dove viene allora questo mio volere il male e non volere il bene, se dev'essere giusto scontarne la pena? Chi ha deposto e seminato in me questo vivaio d'amarezze, se io derivo tutto dal mio dolcissimo Dio? Se è il diavolo il suo autore, da dove viene il diavolo? E se anche nel suo caso è la volontà perversa che di un angelo buono ha fatto il diavolo, donde veniva all'angelo quel malvolere che ne avrebbe fatto il diavolo, se l'angelo era interamente opera dell'ottimo creatore?" E di nuovo mi sentivo oppresso e soffocato da questi pensieri, ma non fino a sprofondare in quell'inferno dove nessuno ti riconosce, perché si è disposti a credere che tu subisca il male piuttosto di ammettere che sia l'uomo a farlo."

Questi quesiti troveranno una risposta solo attraverso la conversione. Ma, come si è visto, il loro fondamento è in una confusione per cui S. Agostino, nella sua esperienza evolutiva, scambia l'effetto - la tendenza al gioco, al piacere e alla trasgressione - per la causa, che non è la natura umana ma la repressione educativa e culturale.