1.
L’adolescenza è sempre stata un’età difficile. Oggi lo è più che mai. La diffusione del disagio psichico nella fascia d’età che va dai 15 ai 25 anni e tale da avere indotto una fioritura di saggi dedicati a questo problema. In questa letteratura si riscontrano osservazioni di un qualche interesse, ma nel complesso non c’è nulla di particolarmente originale. Il problema, che riguarda le discipline psicologiche nel loro complesso, è la mancanza di una teoria di riferimento sull’essere umano, sullo sviluppo della personalità, sull’incidenza dei fattori biologici, psicologici e sociali. Questo difetto fa si che i saggi oscillano tra lo psicologismo e il sociologismo con un chiaro intento di “adescare” gli adolescenti o i genitori.
Il libro di Bainbridge, zoologo di professione, si può ritenere invece originale almeno per un aspetto. Egli infatti sostiene che l’adolescenza non rappresenta solo un periodo importante dell’esperienza umana, ma la chiave stessa della differenziazione dell’uomo dagli altri animali.
L’idea non si può ritenere del tutto nuova. Essa fa capo alla valorizzazione che da alcuni anni sta sopravvenendo della neotenia, vale a dire dell’estremo ritardo dello sviluppo umano rispetto a tutte le altre specie. In termini psicologici questo ritardo è da ricondurre al fatto che, mentre negli altri animali si ha il passaggio dallo stato di “cucciolo” a quello di adulto, nell’uomo di mezzo c’è per l’appunto l’adolescenza, che dura diversi anni.
La scoperta abbastanza recente che il cervello umano finisce di crescere a 23 anni ha spinto psicologi e sociologi a parlare di adolescenza lunga, che andrebbe appunto dallo sviluppo alla fine di quella crescita.
Scrive Baibridge: “[L’adolescenza] è un tratto distintivo notevole, qualcuno direbbe unico, della vita umana, con un suo ruolo ben preciso e una sua controversa storia evolutiva. In effetti, disponiamo ormai di prove valide che l’adolescenza sia una caratteristica essenziale della razza umana su cui si fonda il nostro successo.
Per scoprire le origini dell’adolescenza dobbiamo avere una visione molto ampia della vita umana. Innanzitutto, se l’adolescenza è ciò che ha reso tanto diversi gli esseri umani, dobbiamo partire da ciò che differenzia davvero la nostra specie. Vedremo allora che comprendere l’acquisizione, nel corso di 10 milioni di anni delle nostre caratteristiche distintamente umane è il primo passo per interpretarle. Ormai li riteniamo che l’adolescenza sia uno di questi tratti tipicamente umani.” (p 13)
È evidente che il discorso dell’autore verte sulla prolungata dipendenza della parole dai genitori: una dipendenza ventennale, che richiede di essere spiegata.
Quand’è in particolare che nella storia dell’evoluzione degli ominidi si è definita l’adolescenza? Naturalmente la risposta a questa domanda non può essere semplice perché i dati paleoantropologici si offrono a diverse interpretazioni. Ciò nonostante di recente gli specialisti sono pervenuti ad una conclusione abbastanza condivisa:
“Il nostro schema moderno di sviluppo dentale e di crescita lenta si è evoluto sorprendentemente tardi; secondo le stime attuali, l'età della maturità umana si è spostata oltre i dieci anni tra gli ottocentomila e i trecentomila anni fa: ecco i primi teenager. Quindi lo sviluppo caratteristicamente lento dei giovani umani si è evoluto molto dopo che avevamo cominciato a camminare su due gambe e smesso di arrampicarci sugli alberi, ma un po' prima che il nostro cervello compisse il balzo finale per raggiungere le dimensioni di tre arance duecentocinquantamila anni fa. Perciò, se l'avvento dell'adolescenza è legato a un qualche evidente mutamento fisico, è legato all'aumento finale delle dimensioni del nostro cervello. Anzi, la cosa affascinante è che lo ha preceduto di poco. L'adolescenza non poteva essere il risultato di un cervello più grande, perché è venuta prima; potremmo invece prendere in considerazione l'idea stuzzicante che sia stata proprio l'adolescenza a permettere al nostro cervello di compiere quel grande balzo in avanti. Pensare ai teenager come causa di un'accresciuta capacità mentale potrebbe sembrare una contraddizione in termini, ma forse è proprio quello che ci dicono gli antichi denti…
Quindi, negli ultimi anni, antichi denti e ossa ci hanno dimostrato che i primi «adolescenti numerici» - i primi esseri umani con più di dodici anni ma ancora immaturi - hanno fatto la loro comparsa più o meno al tempo della transizione dall'Homo erectus al sapiens. Ma erano davvero adolescenti? Abbiamo scoperto il momento in cui gli esseri umani hanno cominciato a svilupparsi lentamente, ma gli adolescenti non sono semplicemente dei bambinoni con più di dodici anni. Hanno una qualità essenzialmente diversa dai bambini.” (pp. 22-23)
La qualità in questione è legata al raggiungimento della capacità riproduttiva.
L’autore dedica molte pagine all’interruttore sessuale che avvia la pubertà (situato nell’ipotalamo) alle molecole chimiche che lo inibiscono e lo attivano, alle trasformazioni fisiche che la sua attivazione produce, alle differenze tra maschio e femmina, ecc, Sono aspetti noti da tempo, ma alcune osservazioni dell’autore hanno una certa sottigliezza.
Una di queste riguarda la singolarità della sessualità umana:
“II sesso umano è infinitamente più ricco del breve congiungimento genitale a cui assistiamo in altri animali, al punto che siamo ossessionati dalla sua complessità e da ciò che ne pensiamo. Tanta complessità e tanta sottigliezza sono radicate negli anni dell'adolescenza. Questo è uno dei motivi più validi per cui si può affermare che l'adolescenza rappresenta lo zenit della realizzazione umana, anche se i cambiamenti a cui siamo soggetti nella pubertà lì per lì non ci appaiono così positivi.
Oggi si tende a pensare alla pubertà come a un momento di «riattivazione» dell'attività sessuale. E questo perché, per inquietante che possa sembrare, il sistema riproduttivo non è totalmente dormiente prima della pubertà. In effetti, il momento in cui è più attivo è proprio subito dopo la nascita. Ci sono grandi quantità di ormoni riproduttivi che si aggirano nell'organismo di un neonato e che possono dar adito nelle bambine a segni esteriori che assomigliano alla mestruazione e alla lattazione, un fenomeno considerato un tempo abbastanza sinistro da meritare il nome di «latte di strega». Sebbene nei neonati maschi i segni esteriori siano meno evidenti, il loro tumulto ormonale è probabilmente ancora maggiore di quello delle femminucce. Nei primissimi mesi di vita le ipofisi dei maschietti secernono più gonadotropine rispetto a quelle delle bambine e sembra probabile che svolgano un ruolo importante nello sviluppo sessuale, forse stimolando la crescita dei testicoli o spingendo il cervello maschile lungo il suo accidentato cammino evolutivo (che ripercorreremo nel capitolo secondo).
Dopo questa fase di frenetica attività riproduttiva neonatale, le cose si calmano per qualche anno, almeno fisicamente. I corpi dei bambini sono relativamente quiescenti dal punto di vista sessuale, anche se i loro cervelli sono alla continua ricerca del loro posto nel mondo. Ciò significa che i bambini possono sfruttare questi anni per acquisire una certa comprensione del loro futuro status sessuale e anche per farsi un'idea, alla loro maniera ingenua ed empirica, delle funzioni del proprio corpo. Questo libro non parla dei bambini, ma vale la pena di sottolineare che questi anni infantili asessuati possono essere considerati un fenomeno prettamente umano: la maggioranza degli animali passa senza soluzione di continuità da un'infanzia con una grande attività ormonale a una pubertà ancora più caratterizzata dagli ormoni, senza pause intermedie.” (pp. 32-33)
Un’altra osservazione interessante riguarda il fatto che, ad eccezione della fertilità, la maturazione avviene nelle ragazze con due anni di anticipo rispetto ai ragazzi. Per quanto riguarda la fertilità
“La risposta si fonda nella semplicità della riproduzione maschile e nella complessità della riproduzione femminile. La funzione dei genitali maschili è semplicemente quella di produrre spermatozoi. A metà dell'adolescenza questo è ormai un processo ben avviato e continuo che genera senza intoppi decine di milioni di spermatozoi al giorno. Prevedibilmente, è un processo condizionato dagli androgeni e non subisce grandi variazioni nel corso della vita adulta. I testicoli sono li e vanno avanti a fare il loro lavoro.
Le ragazze sono creature molto diverse, perché la riproduzione femminile è più complessa. Come i maschi devono produrre gli spermatozoi, così le ragazze devono produrre gli ovuli. Tuttavia, i loro organi riproduttivi hanno anche un altro ruolo, devono cioè essere in grado di produrre gli ormoni necessari per portare avanti la gravidanza. Il sistema riproduttivo femminile è una duplice arena per il sesso e la gravidanza e deve essere in grado di passare con efficienza da un'attività all'altra. Questa doppia funzionalità è insita nel ciclo mestruale femminile, con due settimane di predominio degli, estrogeni, che portano all'ovulazione di una cellula uovo fertile, seguite da due settimane di predominio del progesterone in cui il sistema sospetta una gravidanza; se poi non individua la presenza di un embrione, ha luogo la mestruazione e l'intero ciclo ricomincia da capo. In effetti, questo continuo passaggio tra la fertilità e una possibile gravidanza è proprio il motivo per cui le donne hanno il ciclo. A differenza dei maschi, che continuano semplicemente a produrre spermatozoi, le femmine sono in un incessante stato di indecisione riproduttiva.
Il fatto che le ragazze abbiano il ciclo e i ragazzi no spiega perché le adolescenti ci mettono di più a diventare fertili. Non soltanto devono sviluppare le interazioni ormonali che i ragazzi usano per mantenere costante il proprio stato, ma devono sviluppare anche un'ulteriore interazione tra le ovale e l'ipofisi di cui i maschi non hanno bisogno. Appena prima dell'ovulazione, le ovaie e l'ipofisi entrano in uno stato d'instabilità in cui si stimolano a vicenda. Questo stato, denominato «feedback positivo», provoca un rilascio enorme e quasi incontrollato di ormoni che culmina con l'ovulazione e l'inizio della fase del ciclo dominata dal progesterone. Quindi il «feedback positivo» è un fenomeno molto particolare, presente soltanto nelle femmine ed essenziale per la loro fertilità. Le ragazze di solito diventano fertili più tardi dei ragazzi semplicemente perché hanno bisogno di tempo per sviluppare questa speciale interazione aggiuntiva. Molte adolescenti possono apparire mature dal punto di vista riproduttivo quando in realtà non sono ancora fertili e trascorrono anni di cicli irregolari e incompleti in cui o non producono ovuli o non possiedono ancora il meccanismo ormonale per rimanere incinte.” (pp. 57-58)
Per quanto riguarda gli scatti di crescita invece il discorso è diverso. Posto, infatti, che lo sviluppo dell’essere umano è estremamente ritardato rispetto a quello di tutti gli altri animali, la crescita repentina che sopravviene con l’adolescenza deve avere un significato. L’autore la spiega così::
“C'è un'ipotesi che ritengo più compatibile con le evidenze scientifiche. E un'idea audace, che però spiega perché tanto i maschi quanto le femmine aumentano improvvisamente di statura e perché le ragazze lo fanno per prime. Secondo questa teoria, lo sfasamento tra i sessi è esattamente la ragione per cui esiste lo scatto di crescita. E se è corretta, lo scatto si verifica proprio per far apparire mature le ragazze e immaturi gli adolescenti maschi. Implica inoltre che il periodo di pubertà prolungata e le differenza di maturità tra i sessi siano l'essenza stessa dell'adolescenza.
Secondo questa teoria, le ragazze subiscono uno scatto di crescita precoce per un buon motivo: le fa apparire mature. Le ragazze di quindici o sedici anni sono alte, leggermente curvilinee e hanno il seno. Sembrano ormai cresciute e sono accettate presto nel mondo sociale adulto, dove spesso iniziano a praticare i loro ruoli futuri.”
Tutto ciò significa né più né meno che, come ogni altra specie, anche quella umana, è programmata con una finalità primaria, che è quella procreativa. Questo aspetto però non spiega lo scarto che si dà tra la maturazione sessuale e quella psicologica, che va ben al di là della maggiore età se si prende per buono il dato neurobiologico per cui il cervello umano finisce di crescere a 23 anni.
Che significato ha quello scarto per cui lo sviluppo puberale è solo l’avvio di un’adolescenza lunghissima? Una risposta possibile è che l’uomo è un animale culturale che, per effetto della neotenia, ha bisogno di molto tempo, al di là della maturazione sessuale, per apprendere i moduli di comportamento necessari per destreggiarsi in un mondo complesso, tra cui anche quelli inerenti l’allevamento dei figli, che non basta mettere al mondo.
La risposta è sostanzialmente giusta, ma non risolve il problema dell’adolescenza lunga e del suo carattere cognitivamente e emotivamente drammatico.
2.
Il capitolo secondo del libro analizza sostanzialmente il versante neurobiologico della questione. Ne riporto i passi essenziali:
“II.
Mente, rischio e rock 'n roll
Perché il cervello degli adolescenti è diverso.
Al mondo esterno, il cervello adolescente appare un groviglio di contraddizioni: ostinato e incostante; sconsiderato e introspettivo; esuberante e depresso. Eppure per i teenager il problema spesso è più semplice: è solo che non riescono a far fare alla propria mente ciò che vorrebbero. I cervelli dei bambini e degli adulti appaiono quasi sempre perfettamente in grado di guidarli nei loro rispettivi mondi; il cervello degli adolescenti, viceversa, appare misterioso, frustrante e pieno di controsensi...
Gli adulti prendono decisioni autonome e i bambini hanno chi decide per loro. I teenager, ovviamente, si trovano nel mezzo. Mano a mano che conquistano una maggiore libertà devono imparare a pianificare cosa farne. Per dotarli degli strumenti necessari, sono collocati nel punto più eccitante della storia del mutamento cerebrale umano: il cervello dell'uomo cambia per tutta la vita, ma quel cambiamento è particolarmente complesso nel secondo decennio. Recenti scoperte scientifiche hanno permesso di capire molto meglio che l'adolescenza è, forse sorprendentemente, il momento culminante del cervello umano, quello in cui è più grande, flessibile e mutevole. Gli anni da tredici a diciannove sono quelli in cui si forma il nostro bene più prezioso, la nostra mente. I cambiamenti che si verificano nel corpo adolescente sono importanti, ma per gli esseri umani lo è ancora di più il cambiamento del cervello...
Nell'ultimo decennio abbiamo appreso un mucchio di cose sul modo in cui cambia il cervello adolescente, ma quel mutamento è stato collegato solo molto lentamente al comportamento dei teenager. Eppure è il prodotto finale, il comportamento degli adolescenti umani, quello che conta. La maggioranza delle cose strane e irresponsabili che facciamo da adolescenti non torneranno a tormentarci in seguito, ma alcune potrebbero farlo. E in tutto il resto del libro sosterrò che i comportamenti e le reazioni che apprendiamo quando siamo teenager flessibili e malleabili determinano spesso il corso della nostra successiva esistenza.
Ricordate però che l'adolescenza non è soltanto una fase transitoria tra un'infanzia protetta e un'età adulta indipendente: i teenager sono persone attive e sensibili, la cui mente funziona in modo sorprendentemente diverso. L'atteggiamento degli adolescenti nei confronti del rischio, delle convenzioni e del piacere differisce totalmente da quello degli adulti, e ora pensiamo di sapere perché...
Perché gli adolescenti sono più svegli di tutti gli altri?
Se vogliamo capire il ruolo centrale che l'adolescenza ha avuto nella lotta del cervello umano per la supremazia, dobbiamo considerare innanzitutto cos'ha di tanto speciale…
La prima cosa da sottolineare è che non c'è alcuna struttura del cervello umano che non sia presente anche nel cervello di altri primati. I primati possiedono alcune cellule cerebrali speciali, ma si tratta di sottili variazioni delle cellule presenti nel cervello di altri mammiferi. In effetti, il cervello di tutti i vertebrati ‑ pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi ‑ è costruito secondo lo stesso progetto...
Il cervello umano, quindi, ha la stessa struttura di quello di molti altri animali, pur essendo insolitamente grande. Ma se in specie diverse sono potenziate singole parti del comune impianto cerebrale, quali sono quelle potenziate negli esseri umani? Innanzitutto, abbiamo teso a spingere molti dei nostri meccanismi interni il più in alto possibile nel cervello, una forma estrema di una tendenza che si riscontra in tutti i vertebrati ed è chiamata «cefalizzazione». Le funzioni che nella maggioranza dei mammiferi sarebbero svolte nel tronco encefalico, negli esseri umani avvengono più in alto: negli emisferi cerebrali. Per esempio, gli animali domestici camminano grazie al tronco encefalico, mentre noi usiamo i nostri emisferi; anche se, in una graziosa regressione evolutiva, i bambini che gattonano utilizzano le vecchie regioni proprie dei quadrupedi nel tronco encefalico. A causa di questa accentuazione degli emisferi cerebrali, il nostro intero sistema di movimento del corpo è diverso dalla maggioranza dei mammiferi, con fasci di materia grigia (i «nuclei basali») sepolti nelle profondità degli emisferi che ci aiutano a controllare l'andatura bipede e la precisione delle manipolazioni.
La corteccia umana si è ingrandita anche per motivi non legati al movimento. Tra poco vedremo come sia dominata dalle regioni del cervello che elaborano il linguaggio e interpretano gli indizi sociali. Ancora più spettacolare, però, è l'enfasi posta dal nostro cervello sulla cognizione: la percezione complessa, l'interpretazione, le emozioni, la pianificazione e l'azione. Probabilmente la cognizione è diffusa in tutto il cervello umano e ha iniziato ad assumere il controllo di diverse aree precedentemente «non molto cognitive». Tuttavia, ci sono certe zone della corteccia che sembrano particolarmente importanti per i nostri processi mentali più complessi. Una di esse, proprio nella parte anteriore degli emisferi cerebrali, è chiamata «corteccia prefrontale». Questa è eccezionalmente grande negli esseri umani e di conseguenza il cervello umano appare più voluminoso sul davanti rispetto a quello di altri animali, una tendenza evolutiva denominata «frontalizzazione». Come vedremo, la corteccia prefrontale ha un ruolo centrale nella storia dell'adolescenza essendo la sede di molto di ciò che caratterizza quel periodo.
Nell'ordine naturale delle cose, il cervello umano è stato ovviamente spinto, all'estremo, fino a diventare un'enorme potenza cognitiva «cefalizzata» e «frontalizzata». Nel capitolo primo abbiamo visto come l'ultima fase di questa vicenda evolutiva sia stata preceduta dalla comparsa dei primi teenager umani. Siamo stati quindi tentati di ipotizzare che proprio la comparsa degli adolescenti abbia consentito gli stadi finali dell'evoluzione del cervello umano, ma è davvero così? Per scoprirlo dobbiamo esaminare non solo il modo in cui il cervello umano si è evoluto nel corso di milioni di anni, ma anche la strana storia di come si rinnova più volte in ciascuno di noi mano a mano che cresciamo.
Gli animali e gli uomini attraversano diverse fasi di sviluppo. La prima è quella embrionale, in cui un singolo ovulo fecondato compie una serie elaborata di duplicazioni, migrazioni e contorsioni geneticamente organizzate per diventare qualcosa di molto simile a un piccolo animale. Gli esseri umani rimangono embrioni per circa nove settimane, alla fine delle quali sono lunghi quasi quattro centimetri e hanno tutti gli organi principali nella forma giusta, nel posto giusto e pronti per crescere. Il resto della gestazione è costituito dallo stadio fetale, durante il quale gran parte dei nostri organi preformati si limitano a crescere finché non raggiungono le dimensioni che devono avere alla nascita...
Per gran parte del nostro organismo questa divisione della vita intrauterina in due fasi ‑ una fase embrionale rapida di organizzazione e modellatura e una fase fetale più lenta di crescita ‑ è ben definita. I nascituri devono organizzare la propria struttura fisica quando sono molto piccoli semplicemente perché le sostanze chimiche che controllano quell'organizzazione sono in grado di percorrere soltanto pochi millimetri. Viceversa, il cervello in evoluzione non rientra in questo preciso schema embrionale e poi fetale. Il cervello è strutturalmente molto incompleto dopo nove settimane di gestazione, per cui deve continuare a sviluppare la propria architettura interna per tutta la gravidanza. Il cervello è un organo tardivo; si potrebbe dire che è ancora nella fase «embrionale» quando ogni altro organo del corpo è già passato alla fase «fetale»...
Il relativo ritardo del cervello caratterizza tutti i mammiferi, ma negli esseri umani le cose si fanno ancora più strane dopo la nascita. Mentre nei cuccioli di altri animali il ritmo di crescita del cervello diminuisce rapidamente, il cervello umano continua nel suo sviluppo frenetico per tutti i primi due anni di vita. Questo in realtà è il motivo principale per cui il cervello umano è così grosso, e non per le dimensioni che ha raggiunto quando passa a fatica nel canale del parto allargato. Il periodo di crescita cerebrale particolarmente protratto dopo la nascita ha indotto alcuni scienziati ad affermare che il neonato umano sia in realtà un feto espulso nel mondo esterno semplicemente perché il suo cervello possa espandersi libero dalle costrizioni del bacino materno...
Dato il suo ritmo vertiginoso di crescita nei bambini piccoli, il cervello raggiunge le sue dimensioni quasi definitive prima della fine dell'infanzia. In effetti, a sei anni è già pari al 95 per cento di un cervello adulto. È per questo che i bambini sono personcine con una grossa testa. Naturalmente è un'ovvietà dire che i bambini sono piccoli, ma nel capitolo primo abbiamo visto che i biologi evolutivi li considerano proprio questo: piccoli contenitori a risparmio energetico per il cervello umano a crescita lenta.
Tutto questo caccia gli adolescenti in una strana situazione. Sappiamo che i teenager sono comparsi immediatamente prima dell'evoluzione del grosso cervello dell'Homo sapiens, eppure sembra che il cervello del sapiens moderno smetta quasi di crescere prima dell'adolescenza. Ciò farebbe pensare che la comparsa della fase adolescenziale nel progetto esistenziale umano non sia la causa diretta dell'aumento delle dimensioni del cervello che ha sancito il successo della nostra specie. Insomma, non ci servono i teenager per sviluppare un grosso cervello; ne abbiamo invece bisogno per configurare e perfezionare il cervello cresciuto a dismisura e in modo caotico durante l'infanzia…
Quindi lo sviluppo del cervello umano è straordinariamente lento e pieno di contraddizioni: il cervello dell'embrione che è in ritardo rispetto agli altri organi; il cervello del feto che è in effetti «embrionale»; il cervello del neonato che è in effetti «fetale»; il cervello del bambino di sei anni che ha quasi raggiunto le dimensioni definitive ma è ancora chiaramente infantile nel funzionamento. E poi ci sono la tarda infanzia e l'adolescenza, durante le quali il cervello deve assumere la forma adulta senza poter crescere ancora molto. Dal punto di vista delle dimensioni, l'adolescenza è un periodo di relativa stasi cerebrale, il che sorprende se si considerano gli spettacolari cambiamenti mentali che vi si verificano. D'ora in avanti dobbiamo considerare l'adolescenza del cervello un periodo di trasformazione senza crescita.
Tuttavia, dallo studio del cervello umano che cresce emerge un fatto singolare: gli adolescenti hanno il cervello più grande di tutti. Dopo i sei anni, il cervello continua a crescere molto lentamente, acquistando quell'ultimo 5 per cento all'inizio dell'adolescenza. Le dimensioni del cervello raggiungono il massimo intorno ai dodici anni nelle ragazze e ai quattordici nei ragazzi (il «ritardo maschile» si ha anche qui), dopo di che inizia un graduale restringimento che prosegue per tutta l'età adulta...
Un cervello grande però è inutile se non è organizzato ed è qui che entra in gioco l'adolescenza. Ora sappiamo che non c'è niente di unico dal punto di vista strutturale nel cervello umano: rispetto ad altri animali ne abbiamo semplicemente in quantità molto maggiore in relazione alle dimensioni del nostro corpo. Ci stiamo avvicinando per gradi alla consapevolezza filosofica che la differenza tra gli esseri umani e gli altri animali è un insoddisfacente miscuglio di qualità e quantità: abbiamo cosI tanta corteccia cerebrale da aver raggiunto una «massa critica» tale da consentire i nostri processi intellettivi avanzati. Questa massa esuberante di corteccia la possediamo già a sei anni, tuttavia non funziona come un cervello adulto se non quando siamo molto più grandi. Questa massa ingombrante di corteccia che si contorce caoticamente deve essere rifilata, potata, ordinata e semplificata finché non ha il potenziale di pensare come un Newton, un Picasso o un Presley. Il cervello è troppo grande, ma è flessibile e plastico. E’ la plasticità del nostro cervello a renderci così adattabili: un'adattabilità che ci ha permesso di sopravvivere ai cambiamenti indicibilmente traumatici della vita umana che abbiamo dovuto subire mentre ci evolvevamo nel paesaggio africano in trasformazione. Per affrontare il mondo ci occorreva semplicemente un cervello modificabile, plasmabile.
E a questo che servono gli adolescenti...
Gli adolescenti sono in balia dei loro ormoni?
Le differenze tra i sessi derivano da un miscuglio di differenze intrinseche, predisposte, definite dal genere nella struttura del cervello e di alterazioni nel funzionamento del cervello in reazione al trattamento diverso che la società riserva a maschi e femmine. E’ il vecchio dibattito su «natura ed educazione» e se ci si chiede quale delle due plasmi il cervello sembra impossibile trovare una risposta che non sia «un po' entrambe». Un cervello totalmente predisposto sarebbe inflessibile e poco reattivo, casi come una mente definita in tutto e per tutto dall'educazione sarebbe vulnerabile, incoerente e disorientata…
L'adolescenza è il momento in cui le differenze tra i sessi sono messe a nudo. Le differenze tra la mente maschile e femminile ci divertono già nei bambini, ma nei teenager assumono un'immediatezza allarmante...
Allora, a che età il cervello scopre il proprio sesso? La risposta a questa domanda è che le cellule cerebrali si comportano diversamente già negli embrioni maschili e femminili. Per molti anni abbiamo creduto che il sesso di un embrione fosse assegnato interamente con lo spostamento di un semplice «interruttore» su uno dei cromosomi sessuali. Questo spostamento trasforma le gonadi degli embrioni maschili in testicoli, che conseguentemente producono gli ormoni che mascolinizzano il resto del corpo (o non lo mascolinizzano, nel caso degli embrioni femminili). A parte una lieve differenza nella velocità di crescita degli embrioni maschili e femminili nello stadio di sviluppo oligocellulare ‑ forse dovuto a una blanda riorganizzazione dei cromosomi sessuali ‑ pensavamo che la presenza o l'assenza dell'interruttore genetico che determina il genere fosse il primo segno che un embrione «conosceva» il proprio sesso. Tuttavia studi più recenti hanno dimostrato che anche precedentemente a quella fase precoce le cellule nervose del cervello reagiscono in modo diverso agli steroidi sessuali a seconda che provengano da un embrione maschile o femminile. Questa importante scoperta starebbe a indicare l'esistenza di un processo particolare mediante il quale il sesso influisce sul cervello ancor prima che sul resto del corpo, fornendo un'ulteriore prova che il cervello è il nostro organo sessuale primario...
Gran parte di questa sessualizzazione perinatale è invisibile, non lascia cioè cambiamenti strutturali nell'anatomia del cervello. Ma esistono alcune differenze anatomiche tangibili tra il cervello maschile e quello femminile, tutte già consolidate all'inizio dell'adolescenza. Com'è risaputo, il cervello maschile medio è più grande del cervello femminile medio di un 9 per cento circa. Questo è probabilmente un effetto del «fenomeno della balena» che ho menzionato in precedenza: animali più grandi hanno cervelli più grandi. Lo stesso vale per le maggiori circonvoluzioni del cervello maschile, che sono una necessaria conseguenza matematica del suo maggior volume. A controbilanciare la differenza di dimensioni, però, esistono prove chiare del fatto che in alcuni punti la corteccia cerebrale femminile è più spessa di quella maschile.
Ancora più importanti, comunque, potrebbero essere le differenze specifiche tra le dimensioni di aree particolari del cervello, anche se ne conosciamo i motivi soltanto in alcuni casi. Per esempio, due dei nuclei basali (ammassi di materia grigia importanti nel movimento e nella cognizione umani) mostrano un «dimorfismo sessuale»: uno, chiamato «nucleo caudato», è più grande nelle ragazze mentre l'altro, chiamato «globo pallido», è più grande nei ragazzi. Inoltre, il grosso fascio di materia bianca che collega gli emisferi destro e sinistro permettendogli di comunicare tra loro ‑ il corpo calloso ‑ pare sia più grande nelle ragazze. Anche qui sembra esserci lo zampino degli ormoni: si è dimostrato che il corpo calloso innegabilmente più grande delle femmine di ratto è dovuto all'influsso degli estrogeni sulle giovani adulte. Tuttavia, come a confermare la nostra idea di una «base perinatale» del successivo comportamento sessuale, il cervello del giovane ratto può reagire agli estrogeni soltanto se è già stato «messo sull'avviso» dall'esposizione a quegli ormoni al momento della nascita.
Le differenze più significative tra i sessi sono però quelle che si evidenziano nell'ipotalamo, l'antica regione nella parte inferiore del cervello che controlla le funzioni biologiche del corpo. Per esempio, esistono differenze tra maschi e femmine nel «nucleo paraventricolare» che secerne l'ossitocina, l'ormone coinvolto nelle contrazioni del parto, nella lattazione, nell'orgasmo, nell'affetto e nella fiducia; e alcuni di questi fenomeni rivestono una considerevole importanza per i teenager. Eppure ancora non si sa cosa significhino queste diversità strutturali. Nei due sessi differisce anche il «nucleo suprachiasmatico», ritenuto la sede dell'orologio del cervello su cui torneremo in seguito. Le più affascinanti sono però le differenze in un pezzetto di materia grigia nell'ipotalamo che sappiamo essere coinvolto nel comportamento sessuale di molti animali: il «nucleo preottico». Questo presenta un dimorfismo più accentuato rispetto a ogni altra parte del cervello: una regione è cinque volte più grande nei ratti maschi che nelle femmine e questa discrepanza è dovuta ai livelli diversi di ormoni steroidei al momento della nascita. Nell'uomo le differenze sono meno spettacolari ‑ forse la nostra sessualità è meno programmata di quella dei ratti ‑ ma sono comunque presenti...
Quindi l'attribuzione di un sesso al cervello è un processo che si verifica in una fase molto precoce dell'esistenza umana e che influisce su molte aree cerebrali. Gli adolescenti ereditano un cervello che conosce già il proprio sesso e, per quanto ne sappiamo, potrebbe già contenere anche le sue future preferenze sessuali. Ovviamente, molta di quella sessualità era rimasta nascosta durante l'infanzia, ma adesso inizia a esprimersi. E allora, quanta parte del comportamento sessuale degli adolescenti esiste fin dall'inizio, quanta è controllata dagli ormoni e quanta deriva dall'apprendimento sociale?
Ovviamente gli ormoni sono i soliti sospetti. Eppure si è rivelato sorprendentemente difficile dimostrarne l'influsso sul comportamento dei teenager...
La mancanza di un legame diretto tra i livelli ormonali e il comportamento sessuale femminile ha portato a spiegazioni simili a quelle formulate per gli uomini...
Alcuni primatologi hanno proposto una buona spiegazione del perché non siamo in grado di cogliere un chiaro nesso tra gli ormoni e il comportamento sessuale dei teenager: quel nesso sarebbe scomparso con l'evoluzione della nostra specie. Secondo questa teoria, una caratteristica distintiva degli esseri umani è che il comportamento sessuale è ormai «disconnesso» dagli ormoni che lo condizionavano milioni di anni fa. Questa sconnessione rende molto remoto il legame tra gli ormoni e il sesso. Abbiamo già visto che gli ormoni sono responsabili della costruzione di un corpo capace di reagire sessualmente e questo, ovviamente, è necessario per l'attività sessuale, ma quegli stessi ormoni non guidano più il nostro comportamento sessuale quotidiano. La liberazione del sesso dal controllo ormonale è probabilmente ciò che ha consentito alla sessualità umana di diventare più complessa, sociale e raffinata. Il cervello adolescenziale, già predisposto, può aver bisogno soltanto di una leggera spinta da parte degli ormoni per cominciare a pensare al piacere derivante dalla compagnia dell'altro sesso (mi scuso con quanti vogliono sapere dell'omosessualità ‑ ne parleremo nel capitolo quinto ‑ ma, ancora una volta, non disponiamo di molte prove circa il controllo degli ormoni sul comportamento omosessuale). Poi, in presenza dell'oggetto del desiderio, il cervello prende il sopravvento e il resto del sesso è una faccenda molto mentale: parlare, trastullarsi con i rapporti sociali, sondare gli interessi sessuali altrui. Negli esseri umani, perfino l'accoppiamento vero e proprio è una questione mentale: fare pratica, sperimentare, stuzzicare, comunicare.
La teoria secondo cui gli uomini hanno separato il sesso dagli ormoni spiega molte cose. Spiega l'intensità mentale soggettiva dell'amore; spiega perché quasi tutti i problemi sessuali siano di natura psicologica; e spiega perché non riusciamo a trovare legami chiari tra gli ormoni e il comportamento sessuale degli adolescenti: forse non esistono. Ovviamente questa teoria contraddice la percezione popolare che i teenager siano in balia dei loro ormoni, per cui dovremo trovare motivi diversi per le peculiarità del loro comportamento. Tuttavia questo approccio consente anche di considerare le differenze tra i sessi per quello che sono: uno stampo della «sessualità mentale» predisposto al momento della nascita a cui si sovrappongono successivamente gli influssi sociali dell'adolescenza.
Osservando il comportamento sentimentale e sessuale di maschi e femmine adolescenti, possiamo ora iniziare a distinguere ciò che è predisposto da ciò che è frutto del condizionamento sociale. Per esempio, l'innamoramento non sembra avere molte basi ormonali ‑ i bambini spesso si prendono delle cotte prima della pubertà e, viceversa, la pubertà prematura non anticipa l'età a cui i bambini s'innamorano per la prima volta. Inoltre, un fattore importante nel determinare la manifestazione, da parte di una ragazza adolescente, di interessi e comportamenti «mascolini» è la percezione che i genitori li considerino «accettabili», un chiaro esempio dell'effetto dei condizionamenti sociali. Anche la programmazione sessuale è molto evidente: la vista di immagini sessuali attiva parti diverse del cervello di ragazze e ragazzi; in questi ultimi, inoltre, il livello di attivazione riscontrato è maggiore. C'è chi sostiene addirittura che il cervello maschile e femminile siano programmati in modo tale da reagire in maniera completamente diversa alla maggior parte delle situazioni esistenziali: le ragazze sarebbero predisposte all'empatia, i ragazzi alla sistematizzazione e all'astrazione...
Siamo stati costretti a rinunciare all'idea che i teenager siano in balia dei loro ormoni. Svolgono invece ruoli sessuali programmati in loro al momento della nascita e ciò scombussola la nostra concezione tradizionale dell'adolescenza. Da un certo punto di vista, era rassicurante liquidare il comportamento dei teenager come il risultato diretto di una tempesta ormonale. La nostra nuova concezione del cervello adolescente è più allarmante; un organo sessuale che emerge dal sonno dell'infanzia ed è improvvisamente preso nel vortice sociale e sessuale dell'adolescenza. Sotto questa nuova luce, la mente dei teenager appare ostinatamente indipendente eppure spaventosamente fragile...
Perché il cervello dei teenager è diverso?
Tutti noi conosciamo la mente degli adolescenti. È diversa in così tanti modi: sperimenta sensazioni sconvolgenti, emozioni forti e improvvise, stati d'animo drammatici e imprevedibili. Oscilla tra un'intensa socievolezza, una totale introversione e un'apparente sconsideratezza. Sempre alla ricerca del proprio posto nel mondo e dedita ad affinare il proprio intelletto, la mente adolescente è libera e disinibita e raggiunge picchi di creatività ineguagliati dagli adulti. E’ quasi come se nella testa di un teenager ce ne fosse troppa.
Il cervello adolescente differisce da quello adulto in quasi ogni modo possibile e immaginabile. Non è soltanto un cervello che ha da poco scoperto il sesso e gli ormoni, e di certo non si tratta di una semplice fase di transizione tra il bambino e l'adulto. Gli aspetti più frustranti e più gratificanti della mente adolescente non sono legati in modo ovvio al sesso e alcuni sembrano anche diametralmente opposti alla socievolezza. La mente adolescente è cosI peculiare che per spiegarla dobbiamo ricorrere ad alcune nozioni fondamentali di biologia. E non è comunque facile, perché il cervello di un teenager si comporta in un modo straordinariamente complicato, è più grande che a qualsiasi altra età e la sua comparsa nella storia della nostra evoluzione è immediatamente precedente alla conquista, da parte della nostra specie, di incredibili facoltà intellettive. A mio modo di vedere, il cervello adolescente è il fenomeno centrale della razza umana...
Benissimo, ma di quali prove reali e tangibili disponiamo a proposito di ciò che accade nel cranio di un adolescente? Fino a dieci anni fa, le evidenze scientifiche erano esigue…
Poi una nuova tecnica, la risonanza magnetica funzionale, ha consentito agli scienziati di misurare l'afflusso di sangue e i processi cellulari in diverse regioni del cervello e questa è stata la procedura applicata nel mio caso. Improvvisamente, possiamo cogliere nei dettagli ciò che si verifica dentro un cervello umano vivente. Negli ultimi dieci anni abbiamo finalmente acquisito la capacità quasi magica di seguire il corso dello sviluppo cerebrale dall'infanzia all'adolescenza e all'età adulta. E proprio durante l'adolescenza, qualcosa di eccitante accade allo strato corrugato di corteccia cerebrale formato dalle cellule nervose di materia grigia e al fitto intreccio di fibre nervose di materia bianca sottostanti.
Per un certo periodo si è sospettato che la quantità di materia grigia corticale fosse al massimo in un qualche momento dell'infanzia o dell'adolescenza. Ciò si pensava fosse dovuto, anziché al semplice numero di neuroni, a un'esuberanza delle connessioni, o «sinapsi», tra cellule nervose. Il numero di sinapsi nel cervello di un bambino di due anni è probabilmente già più elevato che in quello di un adulto. Questa proliferazione delle sinapsi sembra continuare per tutta l'infanzia ed è stata confermata di recente da studi condotti mediante la risonanza magnetica, i quali mostrano un ispessimento della materia grigia corticale in questa fase della vita. La cosa affascinante è che studi ancora più recenti hanno dimostrato che la profusione di materia grigia raggiunge in realtà l'apice nell'adolescenza, dopo di che si assottiglia e diminuisce.
L'ascesa e il declino della materia grigia corticale non sono però una faccenda semplice: la sua quantità raggiunge il picco in età diverse in individui diversi e in aree diverse del cervello. Sebbene queste variazioni indichino che gli studi condotti con la risonanza magnetica vanno interpretati con cautela, alcuni risultati sono ormai generalmente accettati. Innanzitutto, mediamente le ragazze raggiungono il massimo spessore della materia grigia due anni prima dei ragazzi: l'ennesimo esempio di «ritardo maschile». Secondo, aree diverse della corteccia seguono percorsi evolutivi diversi...
Le aree del cervello a cui si è dedicata maggiore attenzione sono i lobi frontali, che formano la parte anteriore di ciascun emisfero cerebrale. Ciò è dovuto al fatto che i lobi frontali sono insolitamente ben sviluppati negli esseri umani e sono probabilmente la sede di molte delle funzioni che svolgiamo meglio degli altri animali. Si sostiene anche che vi si riscontrino molte delle differenze tra adolescenti e adulti. Le parti posteriori di questi lobi hanno un ruolo nel controllo del movimento, compresa l'area di Broca, specializzata nell'articolazione del discorso. Le parti anteriori dei lobi frontali sono ancora più affascinanti perché probabilmente eseguono molti dei processi necessari per la cognizione come, ad esempio, la concentrazione, l'attenzione e la memorizzazione provvisoria di concetti multipli in un'«area di lavoro» conscia in cui possono essere analizzati e confrontati. La corteccia prefrontale è anche il luogo in cui «pensiamo a ciò che vogliamo», in cui organizziamo cioè sequenze di azioni o comunicazioni volte al conseguimento dei nostri obiettivi. Noi umani siamo una specie intrinsecamente sociale, perciò è sensato che la corteccia prefrontale, in quanto parte di questo processo di pianificazione, svolga un ruolo anche nel controllare i nostri impulsi e istinti, permettendoci di anticipare col pensiero e di tenere conto dei pensieri altrui. Considerando le mansioni della corteccia prefrontale e il modo in cui cambiamo uscendo dall'infanzia, non sorprende che talvolta la si definisca la «corteccia adolescenziale». La quantità di materia grigia prefrontale raggiunge l'apice intorno ai dodici anni, ma anche al suo interno ci sono variazioni: la parte che controlla il comportamento impulsivo e istintivo raggiunge il massimo spessore qualche anno prima di quella che utilizziamo per pianificare metodicamente il raggiungimento dei nostri obiettivi.
I nuovi studi condotti con la risonanza magnetica ci hanno dimostrato che la materia grigia corticale umana non è affatto totalmente sviluppata nel momento in cui inizia l'adolescenza. Anzi, tutt'altro: alcune aree non hanno ancora completato la prima fase di proliferazione delle sinapsi e di formazione delle connessioni. Quindi la storia della materia grigia corticale è un ulteriore esempio dello sviluppo penosamente lento del cervello umano. Ovviamente, tutto ciò porta alla questione di che cosa induca la materia grigia corticale a ridursi una volta raggiunto il culmine durante l'adolescenza. Sembra improbabile che possa trattarsi di un puro e semplice processo degenerativo perché gli adulti sono più bravi dei teenager in molti compiti mentali. Pensiamo invece che la riduzione della materia grigia sia dovuta a una ristrutturazione adolescenziale, molto specifica e ben organizzata, dell'esuberante cervello infantile.
Quando raggiunge il suo volume massimo, la materia grigia corticale è un groviglio di connessioni nervose. Ci sono più sinapsi nel cervello in questa fase che in ogni altro momento e riteniamo che siano semplicemente troppe perché il cervello possa funzionare in maniera efficiente. La riduzione della materia grigia nell'adolescenza è dovuta probabilmente alla perdita selettiva di connessioni sinaptiche tra cellule nervose, un processo denominato «pruning», potatura. In parole povere, il pruning sinaptico elimina le connessioni che non sono necessarie nell'età adulta. Sembra che questa potatura sottostia a delle regole e certe sinapsi ne sono particolarmente soggette: le sinapsi che non si usano molto; le sinapsi che stimolano anziché inibire i neuroni; le sinapsi che influenzano i neuroni vicini più di quelli che coprono lunghe distanze; le sinapsi di alcune aree corticali più di altre. Durante tutti gli anni dell'adolescenza, i rovi troppo cresciuti della corteccia cerebrale infantile sono drasticamente tagliati e rimossi per lasciare una bella struttura arborea minimalista, ridotta ai pochi rami che trasmettono i messaggi più appropriati nel modo più efficiente.
Ovviamente sono i teenager a dover subire questo processo di potatura. Sappiamo che può essere un'esperienza difficile, ma allora perché il nostro cervello si sviluppa in questo modo? Si è scoperto che «la crescita eccessiva seguita dalla potatura» è un modo molto comune di «coltivare» i cervelli, tant'è vero che si verifica in altre parti del cervello umano e anche in quello di altri vertebrati. Potrà sembrare uno spreco far crescere tutte queste connessioni sinaptiche soltanto per eliminarne gran parte in seguito, ma è un ottimo sistema perché conferisce al cervello un'enorme flessibilità. Durante la prima fase, le sinapsi si sviluppano in modo pressoché incontrollato, ma nella seconda fase, quella della potatura, è possibile scolpire l'architettura del cervello in modo da rispondere alle esigenze a cui gli adolescenti sono sottoposti. Così, per alcuni anni, i teenager hanno cervelli plastici, in grado di programmarsi non in base a un progetto genetico preordinato, bensì alla luce dell'esperienza. Gli adolescenti possono imparare come comportarsi, comunicare e avere successo e conservare poi le connessioni che facilitano questi processi; come vedremo nel capitolo quarto di questo libro, apprendiamo nell'adolescenza molti degli schemi di comportamento che adotteremo da adulti e il motivo di ciò può essere il pruning. Il cervello adolescente è una « macchina che definisce il comportamento», facendo dell'età adulta niente più di un lento declino nell'irrigidimento mentale ed emozionale.
Le aree della corteccia sottoposte alla potatura più drastica durante l'adolescenza sono quelle che più di tutte associamo al comportamento dei teenager. La corteccia parietale viene sfoltita senza pietà nel secondo decennio di vita, un periodo in cui iniziamo ad attribuire interpretazioni estremamente sottili e complesse alle nostre percezioni del mondo che ci circonda: ecco perché un bambino di dieci anni non potrebbe mai scrivere un sonetto. La corteccia prefrontale è soggetta a un logorio ancora maggiore e si è ipotizzato che ciò porti a un aumento delle abilità analitiche come pure agli aspetti più distruttivi della mente adolescente: imprudenza, instabilità emotiva, impulsività e mancanza di considerazione per gli altri. La concordanza tra la riconfigurazione della materia grigia e i mutamenti psicologici adolescenziali è troppo evidente perché possa trattarsi di una coincidenza.
Nel cervello dei teenager si verificano anche altri cambiamenti. Fin qui abbiamo considerato soltanto quelli che interessano la materia grigia, ma è posticipata al secondo decennio di vita anche la maturazione delle fibre di materia bianca sottostanti, che possono trasportare informazioni a distanze cerebrali maggiori. Le fibre di materia bianca sono di questo colore perché rivestite di una sostanza grassa chiamata mielina che le isola elettricamente. La mielina però non provvede soltanto all'isolamento: altera il modo in cui le fibre nervose trasmettono gli impulsi, cosicché i segnali «saltano» lungo i nervi a una velocità cento volte maggiore. La mielinizzazione è l'equivalente neuronale della sostituzione dei pony express con i cavi in fibra ottica, una miglioria installata in tutto il cervello adolescente in formazione. Un tempo credevamo che la mielinizzazione si concludesse nell'adolescenza, ma la risonanza magnetica ci ha mostrato che non è cosI.
Quindi, proprio mentre la materia grigia si assottiglia, quella bianca sottostante s'ingrassa, letteralmente, con la mielina. In realtà si pensa che l'assottigliamento della materia grigia sia dovuto non soltanto alla potatura sinaptica ma anche alla compressione da parte della materia bianca cresciuta al di sotto di essa. E in effetti, le misurazioni eseguite grazie alla risonanza magnetica mostrano che l'assottigliamento di molte aree di materia grigia va di pari passo con la spinta dal centro del cervello verso l'esterno esercitata dall'espansione della materia bianca; paradossalmente, spesso la materia grigia si assottiglia in aree cerebrali che stanno crescendo. Tuttavia, la mielinizzazione della materia bianca segue un andamento diverso dalla potatura della materia grigia: non è altrettanto incentrata sulle aree prefrontale e parietale e anche i tempi sono relativamente diversi nelle varie regioni. In genere, la parte posteriore del cervello si ricopre prima di melanina e quella frontale più tardi, con un'«onda» di maturazione che sale da dietro in avanti nel corso del secondo (e terzo) decennio di vita. Quest'andamento segue esattamente la tendenza evolutiva degli esseri umani a frontalizzare», a concentrare cioè progressivamente nei lobi frontali un numero crescente di nuove funzioni nel corso di milioni di anni...
È evidente, quindi, che nella corteccia dei teenager si verifica un'imponente riorganizzazione neuronale: l'adolescenza non è certo un tranquillo intervallo tra la proliferazione dell'infanzia e la stabilità dell'età adulta; sembra piuttosto la fase cruciale del perfezionamento a cui va incontro l'importantissimo cervello umano. Che si tratti di sfrondare un eccesso di sinapsi di materia grigia o di accelerare le fibre indolenti della materia bianca immatura, un'importante riconfigurazione del cervello è una caratteristica centrale di questo stadio della vita.
Tuttavia, prima di balzare frettolosamente alla conclusione che questo e quest'altro cambiamento nel cervello adolescente sia responsabile di quello e quell'altro comportamento antisociale nei teenager, devo lanciare un avvertimento. C'è una grossa lacuna nella nostra comprensione del cervello adolescente. Ora sappiamo molte cose sul modo in cui la sua struttura cambia tra i tredici e i diciannove anni. Sappiamo anche come si comportano i teenager. Tuttavia devo sottolineare che non disponiamo di prove certe che colleghino i cambiamenti strutturali al comportamento vero e proprio...
Un altro ammonimento riguarda il fatto che, sebbene i teenager umani siano delle vere e proprie centrali di sviluppo nervoso, non sono i soli. Come ho già detto, la crescita eccessiva di sinapsi seguita dalla potatura non si verifica soltanto nell'uomo, ma è un sistema di sviluppo cerebrale diffuso in molte specie. Lo stesso vale per la mielinizzazione posticipata della materia bianca. Tuttavia, l'estremo ritardo con cui si verificano sia la potatura sia la mielinazione è un'insolita caratteristica umana e altrettanto peculiare potrebbe essere il modo in cui questi processi avvengono in momenti diversi nelle diverse aree corticali. Inoltre, va detto che il processo di cambiamento avviato nell'adolescenza prosegue nell'età adulta, sia pure in forma rallentata: alcune aree di materia grigia continuano a restringersi fino ai settant'anni...
Nonostante queste riserve, è evidente che qualcosa di davvero grosso si verifica nel cervello adolescente ed è fortissima la tentazione di collegare quel cambiamento alle cose imprevedibili, particolari e antisociali che i teenager fanno...
Questa concezione dell'adolescenza come di un periodo di meticolosa organizzazione di un cervello cresciuto troppo ci offre prospettive nuove sul ruolo dei teenager nell'evoluzione del progetto esistenziale umano. Forse per due milioni di anni il cervello pari a due arance dell'Homo erectus ha proceduto barcollando al limite delle dimensioni consentite al mediocre cervello dei primati. Perché potesse diventare ancora più grande e brillante forse avevamo bisogno degli adolescenti. Questi hanno rappresentato un'innovazione meravigliosa che ci ha concesso un decennio extra di quella lenta riorganizzazione cerebrale che ha permesso al cervello sapiens di raggiungere le sue dimensioni straordinarie senza uscire dai binari...
Perché tanto dormire, rischiare e infuriarsi?
Abbiamo appena visto che il cervello adolescente è un «cantiere» in cui si pota la materia grigia e si riveste di mielina la materia bianca. Eppure il comportamento dei teenager non assomiglia molto a una via di mezzo tra gli schemi di comportamento infantile e adulto, né appare come l'espressione di un cervello adulto vagamente «sottosviluppato». Gli adolescenti ostentano alcuni atteggiamenti caratteristici talmente costanti che i genitori possono scherzare sui propri teenager pigri, scontrosi e irresponsabili nella consapevolezza che gli altri genitori sanno esattamente di che cosa stanno parlando. Questa natura stereotipata del comportamento adolescenziale farebbe pensare che nel cervello di tutti i teenager si verifichino alcuni cambiamenti ordinati e costanti. Indicherebbe inoltre che alcuni di questi comportamenti possono, Dio non voglia, verificarsi per un motivo ben preciso.
Esaminiamo quindi la terribile triade di pigrizia, temerarietà e rabbia del sabato pomeriggio.
La pigrizia.
Oltre a essere una fonte costante di battute e frustrazione per i genitori, gli schemi di sonno adolescenziali rappresentano anche una notevole eccezione alla regola. In generale, più cresciamo e meno dormiamo. I feti umani dormono quasi tutto il giorno, con qualche breve pausa per agitarsi un po'. Tutti noi sappiamo che i neonati dormono per gran parte del tempo e che bebè e bambini necessitano di meno ore di sonno mano a mano che crescono. Gli adulti hanno bisogno di dormire ancora meno dei bambini e quando invecchiano le loro esigenze diminuiscono di un altro paio di ore. Eppure gli adolescenti sono in apparente contrasto con questa tendenza: prima diventano pigri e faticano ad alzarsi la mattina, ma verso la fine dell'adolescenza sembrano aver bisogno di dormire meno di tutti gli altri; o quanto meno sembrano reggere meglio la privazione del sonno.
L'incapacità dei teenager di alzarsi la mattina è qualcosa di più di una semplice causa di frustrazione per i genitori. E’ stato dimostrato che gli adolescenti che faticano ad alzarsi la mattina soffrono maggiormente della mancanza di sonno rispetto ai loro coetanei, si addormentano più spesso durante il giorno e hanno maggiori probabilità di perdere ore di lezione e di andare male a scuola. Inoltre sono più spesso infelici, sono maggiormente attratti dalle attività rischiose, hanno più incidenti e si fanno male più di frequente. Qui è importante essere chiari sulle cause e gli effetti: la ricerca mostra che questi sintomi non sono provocati dal fatto di alzarsi tardi, bensì sono più comuni nei teenager che riferiscono di avere difficoltà a svegliarsi alla stessa ora di tutti gli altri. Tale distinzione, insieme alla grande varietà di sintomi, fa pensare che questi adolescenti non siano semplicemente pigri. Ora riteniamo che le esigenze di sonno dei teenager siano diverse e varino da individuo a individuo...
Ci sono molte spiegazioni possibili per la sonnolenza mattutina dei teenager, anche se a tutt'oggi soltanto alcune dispongono di prove certe in loro favore. Quale che sia il colpevole, è chiaro che il fenomeno non riflette, come spesso si presume, una semplice pigrizia adolescenziale…
La temerarietà.
Uno dei grandi trionfi delle neuroscienze è stato ricondurre alcune funzioni particolari del cervello a specifiche vie nervose al suo interno. Negli ultimi decenni, gli scienziati hanno
tracciato quella che è a tutti gli effetti una carta stradale di quasi ogni nostra funzione mentale. Questa mappa, benché provvisoria in alcune zone ‑ non sappiamo ancora che tipo di traffico percorra certe strade ‑ ci dà la straordinaria sensazione che il cervello sia potenzialmente comprensibile.
Alcune delle strade più importanti di questa mappa sono fasci di fibre nervose che ottengono i loro effetti rilasciando una sostanza chimica denominata dopamina. Nel cervello ci sono quattro fasci del genere, che svolgono una grande quantità di funzioni…
E’ sorprendente quanti dei nostri processi mentali quotidiani siano controllati dalla dopamina, soprattutto nei teenager.
L'incentivo, la motivazione, il rischio, la gratificazione, il godimento e l'umore sono fenomeni interconnessi. E possiamo iniziare a capire perché se consideriamo che la funzione delle vie nervose dopaminiche è proprio quella di farci cercare di nuovo ciò che ci era piaciuto. Il godimento è un processo importante perché ci rende felici e ci spinge a cercare le stesse cose piacevoli in futuro. Se considerate che quelle cose piacevoli potrebbero essere il cibo, il sesso o l'interazione sociale, capirete il motivo per cui queste vie nervose dopaminiche sono state essenziali per la sopravvivenza umana nei secoli. Benché amiamo pensare a noi stessi come esseri complessi, molto del nostro tempo lo dedichiamo semplicemente a cercare ciò che ci piace, anche se a volte per vie tortuose. E quando cresciamo, il rischio diventa una parte importante di una matura ricerca di gratificazioni. Quando entriamo nell'adolescenza, le cose che vogliamo non sono più semplicemente a portata di mano o in ciò che i nostri genitori ci dànno: dobbiamo rischiare di fallire, di farci male, di trovarci in imbarazzo e perfino di morire per soddisfare i nostri desideri. La temerarietà è quando un animale rischia di perdere nella speranza di un guadagno maggiore e l'adolescenza è il momento in cui gli esseri umani imparano l'abilità di sfruttare il rischio.
Le vie nervose cerebrali che secernono dopamina e sono coinvolte nella ricerca di gratificazioni collegano tre regioni: un'area nel tronco encefalico denominata «tegmento », grappoli di cellule nervose più in alto dette «nucleo accumbens » e l'enorme, brulicante corteccia prefrontale adolescenziale. Presumiamo che la via nervosa che collega tegmento e nucleo‑accumbens sia il frutto di un'evoluzione più antica, forse derivante da un sistema di ricerca del cibo, mentre la via nervosa tegmento‑nucleo accumbens‑corteccia potrebbe essere più recente, consentendoci quindi di far valere il nostro intelletto nella sfida di procurarci cose desiderabili. Queste vie dopaminiche, però, non sono direttamente coinvolte nell'acquisizione di cose dall'ambiente di un teenager; sono piuttosto una sorta di manopola di controllo, che aumenta o diminuisce un simile comportamento.
Durante l'adolescenza, nelle vie dopaminiche si verificano grandi cambiamenti. Alcune prove di tali trasformazioni ci provengono da studi su cavie, ma le informazioni tratte dai teenager umani ci raccontano la stessa storia. I dati sono diabolicamente complessi, ma si possono riassumere dicendo che l'attività dell'antica via dopaminica tegmento‑nucleo accumbens diminuisce nei primi anni dell'adolescenza, mentre si attiva maggiormente il sistema più recente tegmento‑nucleo accumbens‑corteccia. Gli effetti della dopamina sono complicati, ma questo passaggio dal vecchio al nuovo è assolutamente evidente e riteniamo sia la causa di molti dei cambiamenti mentali che si verificano tra l'infanzia, l'adolescenza e l'età adulta. Per bambini e adulti, questi cambiamenti hanno perfettamente senso perché segnano il passaggio dalla soddisfazione viscerale, istintiva dei desideri a un approccio più intellettuale, ponderato e pianificato. Ma sono gli adolescenti a dover affrontare la transizione tra i due...
Forse il cambiamento nelle vie dopaminiche influisce sul comportamento degli adolescenti umani perché sopprime il vecchio sistema del nucleo accumbens prima che sia pienamente funzionante quello basato sulla corteccia, cosicché i teenager non hanno modo di controllare il loro comportamento. Se a ciò si aggiunge una grande massa non rifinita di corteccia prefrontale, è inevitabile che gli adolescenti sembrino una pericolosa combinazione di curiosità e noncuranza. Oppure è possibile che il cambiamento delle vie dopaminiche renda i teenager relativamente incapaci di provare piacere, inducendoli a cercare situazioni sempre più rischiose e stimolanti nel tentativo di superare il senso di vuoto e l'irritabilità adolescenziali. Non sorprende, forse, che i teenager tristi si chiudano nelle loro camere ad ascoltare musica a tutto volume, dal momento che questo è notoriamente uno stimolo che attiva il sistema dopaminico tegmento‑nucleo accumbens‑corteccia.
Tuttavia, ipotizzare che la temerarietà adolescenziale sia uno sfortunato effetto collaterale della maturazione cerebrale significa ignorare il fatto che correre rischi è una componente essenziale della vita e un'abilità che i teenager umani devono imparare a padroneggiare. Appare quindi molto più probabile che un periodo di temerarietà sia stato inserito deliberatamente nell'adolescenza dell'uomo per permetterci di sviluppare queste abilità in un momento in cui la probabilità di riportare danni permanenti è relativamente bassa. A sostegno di quest'idea del rischio come elemento positivo ci sono alcuni studi che dimostrano come i teenager che assumono comportamenti rischiosi tendano ad avere una maggiore autostima e competenza sociale. Inoltre, il desiderio del rischio è ovviamente innato nella mente umana...
Perciò la temerarietà adolescenziale è una parte inevitabile, e presumibilmente desiderabile, della vita umana. Tuttavia è un esempio di come il cervello dell'Homo sapiens a volte non sia in condizione di far fronte al mondo che ha creato: è notorio che gli esseri umani moderni non sono bravi a valutare i rischi moderni. Come vedremo nel resto di questo libro, alcune attività adolescenziali tanto temute sono relativamente innocue,
mentre altre apparentemente non pericolose possono provocare danni a lungo termine. Tuttavia, per quanto sgradevole possa essere, dobbiamo accettare che i teenager corrano rischi e tutto ciò che possiamo fare è cercare di ridurne le possibili conseguenze. Quest'atteggiamento potrà apparire rinunciatario, ma scaturisce da tutte le evidenze scientifiche che dimostrano come ci si debba aspettare dai teenager cose che gli adulti trovano irragionevoli. C'è perfino chi suggerisce di introdurre questa accettazione nel sistema giuridico, considerando i teenager «biologicamente» meno colpevoli dei loro crimini.
La rabbia.
La terza voce del nostro elenco del sabato pomeriggio, la rabbia, è una faccenda complicata. I teenager diventano irosi o aggressivi per vari motivi differenti che è necessario distinguere per capirne il comportamento. Prima di tutto, devo sottolineare che l'aggressività comporta evidenti vantaggi evolutivi: ci protegge da potenziali predatori, ci incita a catturare le nostre prede e ci consente di imporci e di reagire alle ingiustizie sociali. E a dimostrazione della sua importanza, l'ipotalamo contiene diverse regioni dedicate all'aggressività, alla rabbia, alla fame e al comportamento sessuale, tutte molto vicine.
Una causa importante dell'aggressività è la paura: nella maggioranza degli animali la difesa ultima dal finire divorati è attaccare. La paura è così importante da avere un proprio posto nel cervello, due ammassi di materia grigia delle dimensioni e della forma di due mandorle, denominate «amigdale». Le amigdale hanno complesse strutture interne e svolgono diversi ruoli, ma la paura è al centro della loro esistenza: si attivano quando l'animale sperimenta una minaccia fisica diretta; la distruzione delle amigdale rende docili le bestie selvatiche; alcuni studi condotti con la risonanza magnetica dimostrano che si attivano quando ci vengono mostrate immagini spaventose. Le amigdale hanno perfino un proprio aspetto « sociale»: reagiscono alle espressioni minacciose sul viso di altre persone. A causa del loro ruolo nella percezione delle minacce, le amigdale sono importanti nell'interazione sociale e nella valutazione emotiva di persone ed eventi. Negli esseri umani non svolgono questo compito da sole, perché la corteccia prefrontale ha assunto il controllo di funzioni un tempo di loro pertinenza, ma restano comunque importanti.
All'inizio dello sviluppo umano compaiono alcune differenze tra i sessi. Le amigdale possiedono dei recettori per gli androgeni e, di conseguenza, crescono più in fretta nei maschi. Altre regioni coinvolte nel comportamento hanno invece recettori degli estrogeni e crescono più in fretta nelle femmine. E per queste differenze che ragazzi e ragazze adolescenti reagiscono in modo diverso alle minacce percepite da parte delle autorità? Ovviamente possono esserci dei buoni motivi per cui i maschi necessitano di amigdale più grandi che li rendano più sensibili alle minacce: nelle società di cacciatori‑raccoglitori gli uomini dedicano più tempo ad affrontare animali pericolosi o a sgomitare per avanzare nella gerarchia maschile...
A prescindere da ciò che induce la rabbia, ritengo che molti di noi pensino soggettivamente che ci sia una sorta di soglia che va superata per farci arrabbiare: un livello di paura/frustrazione/gelosia che, messe insieme, fanno traboccare il vaso. Sembrerebbe anche che questa soglia muti col tempo e vari da persona a persona: siamo più suscettibili quando siamo stanchi e alcune persone si fanno prendere dai nervi più facilmente di altre. Inoltre, gli individui differiscono nel modo di manifestare la loro rabbia: un'adolescente può diventare aggressiva verbalmente; un ragazzo può ricorrere alla violenza. Tuttavia stiamo chiarendo solo poco a poco le basi biologiche della rabbia e, almeno in questo caso, disponiamo di prove più chiare di un effetto degli ormoni sul comportamento adolescenziale.
Alcune delle prove che collegano gli ormoni alla rabbia provengono da studi su teenager con gonadi meno attive del normale e una conseguente bassa concentrazione di steroidi sessuali. Questi adolescenti riferiscono di diventare più aggressivi fisicamente (ma non verbalmente) quando sono trattati con androgeni o estrogeni. Inoltre, le ragazze esposte prima della nascita a livelli elevati di androgeni (prodotti da ghiandole surrenali iperattive) sono più competitive e aggressive. Insieme, questi risultati starebbero a indicare che gli ormoni agiscono sia direttamente sul comportamento degli adolescenti, sia indirettamente predisponendo il cervello in una fase esistenziale molto precoce. Inoltre, gli studi concordano con i dati raccolti dagli atleti. Non soltanto i livelli di androgeni circolanti evidenziano un nesso con la competitività, ma perdere in una gara sportiva li fa calare. E, viceversa, la vittoria fa aumentare i livelli di androgeni, soprattutto se accompagnata da un umore particolarmente euforico...
Ci sono dunque molti fattori che, combinati, possono rendere i teenager arrabbiati o aggressivi: modi insoliti di elaborare la paura, una propensione alla gelosia, i possibili effetti degli ormoni sessuali. Se a ciò si aggiunge l'impulsività, i meccanismi solo parzialmente sviluppati di controllo delle emozioni e perfino, come vedremo più avanti, l'inizio di molte malattie mentali, l'adolescenza diventa un periodo pericoloso. Si sente spesso di teenager armati che perdono la testa nelle scuole americane, di risse, crimini e suicidi che hanno per protagonisti gli adolescenti. E i genitori tra noi si trovano talvolta a dover affrontare scoppi d'ira apparentemente immotivati. Eppure il comportamento adolescenziale può sembrare imprevedibile e inspiegabile per un buon motivo: la specie umana è mentalmente complessa e i teenager fanno semplicemente del loro meglio per trasformarsi in adulti umani...
Perché gli adolescenti iniziano a pensare in modi nuovi?
Se c'è una cosa che la società si aspetta dai teenager è che sviluppino le loro abilità mentali. Noi esseri umani abbiamo a cuore i nostri processi intellettivi avanzati per un buon motivo: abbiamo creato un mondo in cui il successo è determinato spesso non dalla forza bruta, bensì dalla capacità di risolvere problemi intellettuali, pratici e sociali. Secoli fa abbiamo inventato un sistema scolastico per favorire lo sviluppo cognitivo di bambini e adolescenti e da allora abbiamo sempre cercato di renderlo più efficiente.
Eppure, sorprendentemente, poco di ciò che si fa a scuola è basato su evidenze scientifiche. Gran parte della didattica affonda le radici negli aneddoti e nelle esperienze del passato, cosicché parecchi aspetti del sistema scolastico contemporaneo risalgono al XVIII e XIX secolo, molto prima che avessimo la benché minima idea di quali siano effettivamente gli attributi biologici costitutivi dell'«intelligenza ». In realtà, ancora oggi la nostra comprensione della cognizione e dell'intelligenza è lacunosa e controversa. Considerando l'importanza che diamo alle funzioni mentali avanzate nei teenager, è sbalorditivo che si siano studiate cosI poco le basi biologiche di tali funzioni. Il lavoro fatto si è concentrato spesso sulle anomalie ovvie dell'apprendimento, anziché sull'analisi della comune mescolanza di successi e fallimenti scolastici negli adolescenti. Se a questi problemi si aggiungono due fatti preoccupanti ‑ che cioè non abbiamo un'idea chiara del perché i teenager pensano in modo diverso dai bambini e il sospetto che per la prima volta nella storia il corpo degli adolescenti maturi più in fretta del loro cervello ‑ capirete perché è cosI urgente il bisogno di studiare la cognizione nell'adolescenza.
Definire l'intelligenza è quasi impossibile. Per molti bambini che passano per il moderno sistema didattico l'intelligenza sembrerebbe definita come successo scolastico. Ovviamente, andare bene a scuola è utile nella vita moderna (ed è un dato comodo da misurare), ma identificare l'intelligenza con il successo scolastico mi pare riduttivo. Il mondo è pieno di persone considerate incapaci a scuola che hanno fondato imprese di successo o sono riuscite in carriere del tutto inaspettate. L'intelligenza di molti individui sta nella loro capacità di analizzarsi, di mettere a frutto le proprie qualità, di rimediare ai propri difetti e di interagire con gli altri. Ciò ha indotto a formulare teorie più generali sull'intelligenza che enfatizzano cose come la capacità di affermarsi nel proprio contesto sociale o nella propria opinione di sé. E anche per noi la cosa migliore potrebbe esse‑
re un approccio molto flessibile all'intelligenza nei teenager. Forse, per ipotesi, potremmo pensare all'intelligenza come il prodotto finale della cognizione: la nostra capacità mentale di affrontare e risolvere i problemi.
Limitandosi a osservare i giovani, gli psicopedagogisti hanno sviluppato molte teorie sul modo in cui apprendono e pensano gli adolescenti e nel resto di questo libro vedremo come alcune delle idee più semplici si siano rivelate le più valide. Per esempio, per molto tempo si è sostenuto che i giovani animali siano «programmati» per imitare il comportamento degli adulti, un'ipotesi cosI semplice che è facile sottovalutarne l'importanza per gli esseri umani. Analogamente, forme brutali di apprendimento basate su ricompense e punizioni sono efficaci nei bambini quanto nei cuccioli. Un'altra forma di apprendimento che ci colpisce sempre come ridicolmente semplicistica è il condizionamento pavloviano, nel quale le reazioni di un animale (salivazione) a uno stimolo (cibo) possono essere trasferite a un altro stimolo irrilevante (il suono di un campanello). Insomma, possiamo crederci creature complesse, ma la nostra ossessione per i modelli di ruolo, la pulsione a cercare ricompense e la prevalenza di comportamenti anomali controproducenti di tipo pavloviano dimostrano tutti che i modi in cui agiamo hanno radici molto semplici.
Eppure, per quanto elementari siano gli stimoli alla base dell'apprendimento nell'adolescenza, le abilità mentali che sviluppiamo nel secondo decennio di vita possono essere spettacolari. Da molti anni gli psicopedagogisti sostengono che lo sviluppo cognitivo umano progredisce in una serie di stadi ben definiti e quello in cui dovrebbero trovarsi i teenager è denominato «stadio delle operazioni formali» (anche se, a detta di alcuni, sono molti gli individui che non lo raggiungono mai). Dare un nome a uno stadio sembra renderlo più distinto e meno complesso di quanto non sia realmente, ma è vero che gli adolescenti iniziano ad affrontare molti compiti mentali impossibili per i bambini. Sono in grado di creare e manipolare concetti astratti, cogliere le sfumature nelle discussioni, generare argomentazioni nuove basate su presupposti iniziali, affrontare i compiti metodicamente e prefiggersi obiettivi lontani nel tempo. Possono anche compiere la straordinaria impresa di analizzare i propri processi mentali: generando i propri ideali, criticando e migliorando il loro stesso pensiero e valutando il proprio valore. E a coronamento di tutto ciò, conferiscono al proprio ragionamento una forte dimensione sociale: sono in grado di analizzare i rapporti, di esprimere a parole tutti i loro nuovi pensieri e di mentalizzare: creare modelli mentali del modo di pensare degli altri.
I bambini possono essere personcine affascinanti che sanno parlare e pensare un po', ma non diventiamo pienamente umani dal punto di vista mentale finché non raggiungiamo l'adolescenza. Siccome le capacità di autoanalisi e di mentalizzazione si sviluppano durante quel periodo della nostra vita, si sarebbe tentati di affermare che ci sono caratteristiche che l'uomo ha potuto sviluppare soltanto dopo la comparsa dei teenager, diverse centinaia di migliaia di anni orsono. Ecco perché ritengo che gli adolescenti siano stati il segreto del nostro successo come specie…
Se quindi l'adolescenza è il trampolino di lancio del pensiero adulto, dove e perché ha luogo tutta questa nuova agilità mentale? Sebbene alcune caratteristiche dell'intelletto adolescente possano apparire sottili o intangibili, gli psicologi sono riusciti a sviluppare metodi per verificarle in laboratorio. Ora siamo in grado di misurare oggettivamente il modo in cui queste abilità cambiano dopo una lesione cerebrale o quali funzioni illuminano quali parti del cervello osservato mediante la risonanza magnetica. Sorprendentemente, possiamo perfino valutare molte di queste abilità in scimmie e ratti. E il risultato di tutti questi studi lo si può riassumere cosI: gli adolescenti sviluppano molte delle loro abilità cognitive perché la corteccia prefrontale è attivata dalle vie dopaminiche che salgono dalle
parti inferiori del cervello. Possono essere coinvolti anche altri processi, ma ancora una volta il primato della corteccia prefrontale e della dopamina è inequivocabile. Per esempio, in alcuni test cognitivi i teenager usano la loro corteccia prefrontale più dei bambini e degli adulti.
Gli adolescenti non sviluppano tutte queste capacità in un'ordinata ascesa sincronizzata verso la maturità. Le varie abilità cognitive si formano invece a ritmi diversi. La capacità di ignorare le informazioni irrilevanti e di elaborare i dati salienti raggiunge livelli pari a quelli degli adulti nei primi anni dell'adolescenza; ma è soltanto verso i diciannove anni che sviluppiamo completamente l'abilità a trattenere tutti insieme nella nostra mente molti concetti contraddittori e interagenti. Inoltre, la velocità con cui interpretiamo le emozioni espresse dal volto umano è minore nei primi anni dell'adolescenza rispetto tanto ai bambini quanto agli adulti, forse a causa della caotica esuberanza delle sinapsi cerebrali in quella fase…
Allora perché gli effetti della dopamina sulla corteccia prefrontale sono cosI importanti? Forse dipanare tutti i fili della cognizione adolescenziale ci aiuterà a scoprirlo.
Innanzitutto, se un teenager vuole compiere un atto di genialità cognitiva, deve stare attento e concentrarsi. Può sembrare ovvio, ma far si che un cervello ignori la massa enorme di informazioni insignificanti che gli arrivano e si concentri su ciò che deve fare in quel momento è in realtà un'impresa di calcolo che ha del miracoloso. Il cervello deve decidere cos'è rilevante e cancellare tutto il resto: considerate con quanta facilità un bambino si distrae dal suo lavoro. Gli studi condotti mediante la risonanza magnetica e gli esperimenti con farmaci che bloccano l'azione della dopamina suggeriscono che la corteccia prefrontale sia un sito importante dell'«attenzione» e che il principale controllore sia la dopamina. Bloccandola si riduce la nostra capacità di concentrarci. I risultati però non sono così semplici, perché potrebbero essere coinvolte anche aree marginali dei lobi parietale e temporale, il che non sorprende, visto che è qui che ronza, con l'effetto di distrarci, la maggior parte delle informazioni sensoriali e dei ricordi irrilevanti.
Anche darsi degli obiettivi, e la soddisfazione di raggiungerli, è importantissimo nella cognizione umana. Gli esseri umani hanno ormai superato la ricerca a breve termine di cibo, riparo e sesso che si riscontra in altri animali e spesso conserviamo nella nostra testa degli obiettivi per lunghi periodi intanto che formuliamo piani intellettuali, tecnologici e sociali per raggiungerli. Di conseguenza, il vecchio sistema tegmento‑nucleo accumbens di ricerca delle gratificazioni è stato sostituito da un sistema più nuovo tegmento‑nucleo accumbens-corteccia prefrontale per consentirci di realizzare le nostre forme straordinariamente contorte di soddisfazione dei desideri. In effetti, le registrazioni dell'attività di singole cellule nervose nella corteccia prefrontale dei primati indicherebbero l'esistenza di specifici circuiti neurali che generano obiettivi e reagiscono al loro conseguimento, azionati ancora una volta, si sospetta, dalla dopamina durante l'adolescenza. C'è poi l'abilità di cambiare tattica, che è importante quanto l'identificazione di obiettivi: una volta che ci siamo prefissi uno scopo, conserviamo la capacità di metterlo temporaneamente da parte e dedicarci, se necessario, ad altro. Una lesione della corteccia prefrontale può portare, per esempio, alla tendenza a perseverare eccessivamente in un compito quando la cosa «sensata» da fare sarebbe lasciarlo perdere e concentrarsi su qualcos'altro per un po'. E’ significativo che i farmaci che alterano il sistema dopaminico possano essere usati per curare questa futile ostinazione.
Un'altra componente del processo cognitivo che sembra necessaria allo svolgimento dì molti compiti diversi è la «memoria di lavoro», non la memorizzazione a lungo termine, bensì la raccolta, in uno « spazio di lavoro» conscio, di concetti, ricordi e percezioni sui quali intendiamo riflettere. Soltanto quando questi elementi sono riuniti «nella zona anteriore della nostra mente» possiamo iniziare a confrontarli, contrapporli, collegarli e riorganizzarli. Questa capacità di gingillarsi con molte idee diverse aumenta in maniera sensazionale durante l'adolescenza ed è probabilmente ciò che ci permette di scoprire temi sottostanti, sviluppare schemi concettuali e ricorrere al pensiero laterale. Forse ci consente perfino di essere creativi, combinando e giustapponendo concetti diversi. In effetti pare che la mente dei teenager sia spesso più libera, dal punto di vista creativo, di quella degli adulti e ciò potrebbe spiegare i loro balzi creativi in campi disparati come la matematica e la musica pop. In realtà ho sempre sospettato che la vita della maggioranza delle persone segua percorsi fissati da attimi di intuizione e creatività adolescenziali.
Gli anni dell'adolescenza sono un periodo di meravigliosi esperimenti mentali in cui molti di noi decidono chi sono e dove vogliono andare. E la memoria di lavoro, che consente ai teenager di farlo, sembra un altro fenomeno legato alla corteccia prefrontale e alla dopamina. Durante l'adolescenza, le aree del cervello attive nella memoria di lavoro cambiano drasticamente da una distribuzione infantile nei nuclei profondi del cervello e in una regione di corteccia circondata da un solco, chiamata «insula», a una localizzazione più matura nella corteccia prefrontale. Quest'area rimane predominante negli adulti, anche se la memoria di lavoro diventa maggiormente legata ad alcune piccole aree specifiche, una tendenza a cui si sarebbe tentati di imputare la perdita dei processi mentali privi di vincoli dell'adolescenza. Ora conosciamo alcuni particolari riguardanti il ruolo della dopamina nello stimolare tutta questa memoria di lavoro: i neuoscienziati stanno chiarendo le modalità con cui diverse molecole che si legano alla dopamina nella corteccia prefrontale controllano lo sviluppo della memoria di lavoro. In effetti, l'esaurimento di queste molecole leganti provoca una riduzione della memoria di lavoro altrettanto grave di quella prodotta dall'asportazione chirurgica dei lobi frontali.
Più e più volte abbiamo riscontrato aspetti della cognizione adolescenziale e adulta che si verificano nella corteccia prefrontale: compiti che la illuminano quand'è sottoposta a risonanza magnetica; compiti impediti da danni a quell'area; compiti alterati da farmaci che incidono sull'attività della dopamina nella corteccia prefrontale. Sembra che anche i processi decisionali avvengano in questa sede, cosI come la riflessione sui propri processi mentali. Anche la « mentalizzazione », la capacità di attribuire processi mentali ad altri e poi prevederli, risiede qui...
Una grossa parte del macchinario mentale di cui necessitiamo per avere successo è racchiusa nella corteccia prefrontale, accesa durante l'adolescenza dalla dopamina spruzzata verso l'alto dalle aree cerebrali sottostanti. Eppure, benché il ruolo della dopamina non sia semplice ‑ può avere effetti diversi in contesti differenti e talvolta può darci un groviglio di risultati sperimentali contraddittori ‑ la sua importanza è certa.
Un aspetto dell'attività mentale umana che ci distingue dalle bestie è il linguaggio, la capacità di articolare tutti quei bei pensieri che ci passano per la testa... Non ci sono prove che un'altra specie animale possieda quello che definiremmo linguaggio (un modo flessibile di articolare quasi ogni pensiero usando una serie ristretta di suoni semplici), eppure, nella nostra specie, il linguaggio è universale. Non esiste società umana conosciuta che non lo possieda ed è probabilmente per questo che gli esseri umani sono riluttanti a rinunciare agli enormi vantaggi che offre.
In molte specie animali, le informazioni sono trasmesse da un individuo all'altro mediante l'eredità genetica: i cuccioli ereditano comportamenti e abilità nei geni che ricevono dai genitori. Molti mammiferi poi li migliorano imparando gli uni dagli altri attraverso l'osservazione e il gioco. Tuttavia il linguaggio permette agli uomini di compiere un passo in più: ammonirsi, consigliarsi, affascinarsi, minacciarsi e informarsi a vicenda in un modo nuovo ed estremamente efficace. Non ci limitiamo a ereditare dei geni dai nostri genitori, né copiamo semplicemente il comportamento dei nostri coetanei. La maggioranza di ciò che riceviamo dagli altri ci viene in forma verbale. Gli esseri umani sono diversi perché dispongono di un mezzo non genetico e non comportamentale di trasmettere informazioni.
L'acquisizione sorprendentemente unica del linguaggio da parte dell'uomo si verifica per lo più durante l'infanzia. Non è un fenomeno adolescenziale. Molte delle nostre abilità linguistiche sono già consolidate a dieci anni: molto del nostro vocabolario, il grosso della grammatica, quasi tutta la pronuncia e una parte della nostra capacità di creare e interpretare significati. Nel nostro cervello è insito un imponente macchinario che ci permette di acquisire fin da bambini queste abilità linguistiche di base. I centri del linguaggio presenti nel cervello umano semplicemente non esistono in altre specie: aree specializzate nell'interpretazione e nella generazione del discorso, ben definite nella nostra corteccia. Queste regioni di solito predominano nell'emisfero cerebrale sinistro, soprattutto in chi usa la mano destra, e sono all'origine delle asimmetrie più evidenti tra parte sinistra e destra nel cervello umano. La cosa degna di nota, però, è che le aree del cervello direttamente coinvolte nei processi di parlare e ascoltare non fanno parte della corteccia prefrontale. L'acquisizione del linguaggio nell'infanzia, quindi, è sostanzialmente diversa dallo sviluppo cognitivo nell'adolescenza.
Cosa significa questo per il linguaggio adolescenziale? Benché i bambini di dieci anni sappiano parlare alla perfezione, non comunicano come i diciottenni. Chiaramente, alle abilità linguistiche dei teenager accade qualcosa. Anziché alterare i processi basilari di produzione e comprensione del discorso, gli adolescenti connettono i propri sistemi linguistici al formidabile arsenale cognitivo che si sta sviluppando nei loro lobi frontali. In altre parole, non imparano tanto a «parlare meglio» quanto ad avere pensieri più complessi da esprimere. A poco a poco, iniziano ad adattare le abilità acquisite da bambini alla loro nuova mente e al loro nuovo mondo. Per esempio, cominciano a scoprire le sottigliezze delle sfumature di significato, del sarcasmo, dell'ironia e della satira.
Una caratteristica importante del linguaggio adolescenziale è la capacità di usarlo per manipolare gli altri, e l'abilità appena scoperta di mentalizzare implica che tale manipolazione è spesso reciproca e consensuale. I teenager iniziano a spettegolare e a punzecchiare e imparano presto la differenza tra farlo con affetto o con malizia. L'umorismo e la manipolazione diventano il modo preferito dagli adolescenti di entrare nelle teste altrui, verificando i limiti di ciò che gli altri sono disposti o meno ad accettare. E, ovviamente, flirtare è la forma più deliziosamente elaborata della comunicazione adolescenziale, in cui vengono messe a frutto tutte le abilità acquisite dopo l'infanzia: l'umorismo, la presa in giro, il tono, lo stile e fenomenali giri di parole.
Un altro notevole mutamento linguistico proprio dell'adolescenza riguarda il modo in cui i teenager iniziano a comunicare meno con la famiglia e più con i coetanei. Sebbene conservino la capacità di esprimersi in modo comprensibile a tutti, sviluppano anche nuove forme di comunicazione per le diverse situazioni sociali. La più importante di queste forme è il linguaggio che usano nei gruppi sociali formati da altri teenager, basato di solito sullo slang, su espressioni idiomatiche, su sottintesi e codici. Questa nuova comunicazione particolare enfatizza l'unità e l'importanza dei gruppi sociali composti di adolescenti, afferma la presenza degli individui all'interno di questi gruppi ed esclude gli indesiderati (adulti e bambini compresi!) Tutti noi sappiamo che spesso gli adolescenti parlano tra loro in un linguaggio quasi incomprensibile a chiunque altro, ma di solito sono in grado, quando vogliono, di tornare a forme di comunicazione più ortodosse…
Nell'ultimo decennio, i teenager umani hanno avuto l'ennesima chance di dimostrare la loro enorme adattabilità linguistica. La facilità con cui hanno assimilato le nuove tecnologie nel loro modo di comunicare può lasciare sbalorditi noi adulti…
I teenager, quindi, non apprendono il linguaggio, bensì come usarlo. La comparsa degli adolescenti nel progetto esistenziale umano ci ha permesso di evolvere la piena espressività di quel linguaggio che definisce la nostra specie. Il linguaggio umano è complesso ‑ una complessità limitata soltanto dalla capacità del cervello umano di comprenderlo ‑ e l'adolescenza è il momento in cui tanta complessità ha inizio. Un effetto di ciò è che le anomalie del linguaggio come la dislessia, sebbene già «nascoste» nell'infanzia, cominciano a manifestarsi nei teenager. Un altro cambiamento notevole è che gli adolescenti cominciano a utilizzare le abilità linguistiche per pensare in modi nuovi, esprimendo a parole concetti astratti, per esempio. L'intreccio di linguaggio e pensiero che affonda le radici nell'adolescenza è cosI stretto da indurre alcuni a ipotizzare che la stessa coscienza umana possa effettivamente essere definita una conversazione che si svolge dentro la nostra testa.
Nonostante tutti i cambiamenti linguistici che si verificano nei teenager, non ci sono molte prove di modificazioni strutturali nel cervello in grado di spiegarli. Forse ciò dipende dal fatto che lo sviluppo del linguaggio negli adolescenti deriva dalla riorganizzazione e dall'attivazione della corteccia prefrontale, piuttosto che da una precedente ricostruzione completa dei centri del linguaggio. Un'eccezione è però costituita dalla differenza linguistica tra maschi e femmine....
Quali che siano le ragioni evolutive, sembra spesso che ragazze e ragazzi adolescenti comunichino in modi diversi. Solitamente le ragazze parlano tra loro con maggiore intimità: il loro modo di «entrare l'una nella testa dell'altra» è quello di condividere direttamente sentimenti ed esperienze. I maschi adolescenti tendono a studiare i propri coetanei in maniera meno diretta, discutendo di fenomeni più astratti, come lo sport o la musica…
Ora abbiamo una comprensione migliore di che cosa sia l'adolescenza. Non è soltanto un insieme elaborato e protratto di cambiamenti fisici ma, cosa ancora più importante, è la fase cruciale dell'elaborato e impegnativo sviluppo dell'enorme cervello umano. In confronto ad altri animali, e contrariamente a quanto si pensa di solito, i giovani umani si sono evoluti in modo tale da essere notevolmente liberi dal controllo dei loro ormoni. Invece, il cervello adolescente è speciale perché è la sede di una spettacolare ristrutturazione. La dopamina induce modi nuovi di pensare, vivere e correre rischi e i suoi effetti culminano nella maturazione della corteccia prefrontale, dove gli esseri umani architettano piani complessi per ottenere ciò che vogliono ed evitare ciò che non vogliono.
I mutamenti emozionali, cognitivi e linguistici dell'adolescenza ne fanno il fulcro del progetto esistenziale umano, il punto d'incontro di tutti gli aspetti della nostra vita mentale…
Molti problemi adolescenziali derivano proprio da questa convergenza. I teenager cambiano così in fretta che la loro vita può diventare un precario esercizio di equilibrio; e vedremo che ciò li rende intrinsecamente instabili dinanzi alle droghe, ai rapporti interpersonali e al sesso. Molte delle cose che gli adolescenti fanno sono semplicemente innocue investigazioni del mondo che li circonda, ma altre possono avere ripercussioni che si porteranno dietro per il resto della loro vita. In molti paesi sviluppati le cause più comuni di morte tra gli adolescenti sono gli incidenti, gli omicidi e i suicidi. E evidente che le cose possono prendere una piega davvero brutta. I teenager possono pagare molto caro il fatto di rappresentare il culmine dell'evoluzione umana.” (pp. 67-130 passim)
3.
Uno dei prezzi che gli adolescenti pagano al loro precario equilibrio nel mondo contemporaneo è la sempre più spiccata appetizione verso le droghe. Il terzo capitolo, dedicato a questo problema, non offre spunti di grande interesse. Per ciò ci si può limitare a due citazioni. La prima riguarda i meccanismi che instaurano la dipendenza in conseguenza dell’abuso di droghe:
“I motivi per cui le droghe inducono una cosI terribile dipendenza è che agiscono direttamente sulle parti del cervello che controllano il nostro comportamento. Forse ricorderete dal capitolo secondo che nel profondo del cervello esiste un fascio di connessioni nervose che ci spinge a cercare ciò che ci era piaciuto. Queste fibre nervose corrono dal «tegmento» nel tronco encefalico ai « nuclei accumbens » al centro degli emisferi cerebrali, dove secernono dopamina. Probabilmente evolutasi da un antico sistema che addestrava i nostri antenati pesci a cercare il cibo che avevano gradito, questa via nervosa tegmento-nucleo accumbens adesso si attiva ogni volta che c'imbattiamo in qualcosa che ci piace, come cibi e bevande, il sesso, un riparo o anche i videogame.
Nonostante le sue umili origini, il collegamento tegmento-nucleo accumbens rimane tanto importante per noi quanto lo era per i nostri antenati. Se ci pensate, gran parte della nostra esistenza è imperniata sulla ricerca di ciò che vogliamo, anche se i desideri degli esseri umani e i loro modi di realizzarli sono spesso astratti e complessi. Facciamo fronte all'astrazione e alla complessità collegando il vecchio sistema tegmento‑nucleo accumbens alla corteccia cerebrale e ci piace pensare che il conseguente sistema tegmento‑nucleo accumbens‑corteccia ci conferisca un qualche controllo conscio sui nostri desideri. Come abbiamo visto in precedenza, queste connessioni pii recenti spiegano perché armeggiare con i livelli di dopamina nel cervello influisce sulla nostra cognizione conscia. Eppure, per quanto in gamba siamo, la vecchia via nervosa tegmento-nucleo accumbens continua a spingerci, a livello inconscio, a soddisfare le nostre pulsioni. La mente conscia non è altro che una patina di rispettabilità che copre le nostre antiche brame egoistiche.
Dunque la dopamina è la chiave nella ricerca delle cose che ci piacciono. Vale la pena di menzionare a questo punto il fatto che, paradossalmente, la dopamina potrebbe non avere un ruolo molto importante nell'apprezzamento vero e proprio. Può sembrare strano, ma questo fatto riflette una differenza molto concreta. Quando la si mangia per la prima volta, il cioccolato dà un grande piacere, che spinge a cercarla di nuovo. Il «godimento» e la «ricerca di altro godimento» si verificano in luoghi diversi del cervello e coinvolgono neurotrasmettitori differenti: cercare il godimento è un fenomeno indotto dalla dopamina, mentre il godimento stesso è provocato da altri fattori, forse gli endocannabinoidi e gli oppioidi naturalmente presenti nel cervello. Ovviamente il godimento iniziale è importante perché le prime volte che un teenager si droga non è tossicodipendente ma trae semplicemente piacere dalla sostanza stupefacente. I dati sono meno chiari negli esseri umani che nei topi da laboratorio, ma la distinzione tra godimento e desiderio può spiegare perché molte esperienze piacevoli non diano dipendenza.
Vari decenni di ricerche sulle droghe hanno portato a un'unica conclusione che sorprendentemente le accomuna: le droghe ricreative accrescono tutte la quantità di dopamina nel nucleo accumbens. Quali che siano i loro altri effetti, la frutta fermentata, le foglie di coca, la canapa, i papaveri da oppio e il tabacco agiscono tutti 11. Improvvisamente il nucleo accumbens torna alla ribalta, questa volta come centro comune di tutte le droghe: il luogo in cui agiscono. E’ una scoperta agghiacciante, perché il nucleo accumbens controlla il modo in cui cerchiamo ciò che vogliamo. È per questo che le droghe ci cambiano: sovvertono il nostro naturale sistema del desiderio e dell'impegno per realizzarlo e lo deviano verso l'impulso a trovare altra droga, sempre di pili, ricacciando ogni altra cosa in fondo alla lista delle priorità. Le droghe colpiscono direttamente questo luogo antico e profondo che condiziona i comportamenti che definiscono tanta parte della nostra individualità. E difficile esagerare il potere che ha su di noi la dopamina prodotta nel nucleo accumbens, ma un esperimento la dice lunga: i ratti collegati a dei cavi cosi da potersi somministrare scosse elettriche alla via nervosa tegmento-nucleo accumbens lo fanno ripetutamente, trascurando ogni altro desiderio, fino a morire di fame o di sete.
Tutte quante le droghe usate dagli adolescenti accrescono i livelli di dopamina, ma lo fanno in modi diabolicamente diversi. La cocaina agisce forse nella maniera più semplice. Una volta che la dopamina è schizzata fuori dalle cellule nervose, quella che non si lega a un recettore è rapidamente risucchiata nelle cellule, il che ne riduce gli effetti. La cocaina blocca questo processo di riassorbimento, cosicché la dopamina in eccesso seguita a sciaguattare fuori delle cellule, legandosi ad altri recettori e attivando in maniera eccessiva le cellule nervose sensibili al suo influsso. Le anfetamine probabilmente fanno la stessa cosa, ma in primo luogo aumentano la produzione stessa di dopamina. La nicotina agisce iperstimolando i recettori normalmente presenti sui neuroni della dopamina. L'alcol altera il modo in cui i neurotrasmettitori naturali si legano ai loro recettori sui neuroni della dopamina. La cannabis e gli oppioidi, infine, si fingono endocannabinoidi e oppioidi cerebrali naturali e influenzano i neuroni della dopamina in maniera indiretta: i sistemi cerebrali del «piacere» sono collegati ai sistemi del «volere», il che non sorprende. Quali che siano le vie traverse che prendono, tutte queste droghe fanno aumentare la dopamina nel nucleo accumbens.
Un semplice aumento della dopamina, però, non sembra una gran cosa di per sé, forse niente di più di un appunto mentale a riprovare la droga una volta o l'altra. E il genere di effetto che ci si aspetterebbe dalla scoperta di alcune prelibatezze turche. Il motivo per cui la droga può «agganciarci» è l'effetto permanente che la dopamina può avere sulle cellule sulle quali agisce. Le enormi quantità di dopamina indotte dalla droga che colpiscono le cellule del nucleo accumbens provocano una riduzione a lungo termine del numero di recettori della dopamina su quelle cellule. A prima vista può apparire sensato, perché rende il nucleo accumbens meno sensibile a un'altra dose di droga. Tuttavia questa insensibilità alla dopamina ha alcuni effetti disastrosi. Innanzitutto fa si che la persona che fa uso di droghe abbia bisogno di assumerne sempre di più per ottenere lo stesso effetto, il che porta alla necessità di dosi sempre maggiori. In secondo luogo, rende il nucleo accumbens meno capace di reagire ai richiami di cose sensate come il cibo, il sesso e il successo, facendole apparire meno desiderabili della droga sulla quale il cervello a poco a poco si fissa. Gli alti e bassi della dopamina e dei suoi recettori sono probabilmente più complicati di così, ma riteniamo che un certo squilibrio del sistema dopaminico spieghi la tenacia della tossicodipendenza.
Le droghe quindi «ci fregano» perché agiscono direttamente sulle vie nervose del desiderio, impadronendosene e lasciando danni che durano molto dopo la prima iniezione; pensiamo che lo squilibrio a lungo termine del sistema dopaminico provocato dalle droghe sia il motivo per cui queste distorcono i nostri desideri. Le vie nervose del desiderio si sono evolute per una ragione ben precisa: indurci a cercare cibo, bevande, sesso e tutte le cose piacevoli. E raro però che queste generino dipendenza. L'appetizione compulsiva per le droghe che dànno dipendenza è caratterizzata da un'inflessibilità che rende queste sostanze fondamentalmente diverse dai nostri desideri più naturali e quotidiani. Certo, il desiderio di acqua può essere piuttosto inflessible dopo cinque giorni nel deserto, ma in genere le pulsioni non legate alla droga sono più sensate e appropriate. Desideriamo compulsivamente mangiare, bere, fare sesso e ripararci, ma nessuno di questi desideri cerca continuamente di accaparrarsi il nostro interesse in maniera esclusiva. Ovviamente il fatto che ci sia chi sviluppa una vera e propria dipendenza dal cibo, dal sesso e da certi comportamenti suggerisce che la linea di demarcazione tra le droghe e le cose sane sia meno nitida di quanto vorremmo, ma resta il fatto che l'eroina genera più dipendenza del pane.
Ormai disponiamo di un modello chiaro della tossicodipendenza, di una teoria sul modo in cui quelle strane tossine botaniche contro gli insetti sequestrano il nostro cervello. Questo ci mette in condizione di studiare l'abuso di droghe da parte degli adolescenti. Possiamo anche discutere sul perché i teenager si accostino alla droga, ma non ha più senso affermare che la tossicodipendenza sia indice dell'intima debolezza di carattere di un individuo. Siamo invece in grado di considerarla per quello che è: un'imperfezione interiore dell'uomo, rivelatasi soltanto adesso che la nostra economia tecnologica globale ha reso le droghe cosI potenti, disponibili e a buon mercato. Le droghe che dànno dipendenza agiscono sui sistemi cerebrali di perseguimento degli obiettivi che ci hanno aiutato a sopravvivere e ad avere successo per milioni di anni, perciò, da un punto di vista evolutivo, il problema non è il cervello adolescente. La colpa è delle droghe che l'ingannano.” (pp. 145-149)
La seconda citazione riguarda le conclusioni che l’autore trae alla fine del capitolo:
“Di sicuro, tra persona e persona ci sono variazioni nella reazione alle droghe derivanti spesso da differenze biologiche di base, o nei sistemi cerebrali che rispondono alle droghe o nei meccanismi usati dall'organismo per distruggerle ed eliminarle. Per esempi ci sono variazioni ben definite nei geni che producono en i per la distruzione dell'alcol e ciò significa che alcuni possono tollerano meglio di altri. Inoltre, poiché la via nervosa della distruzione dell'alcol comporta una serie di passaggi biochimici, in alcune persone quella via può «intasarsi» provocando un temporaneo accumulo di prodotti tossici derivanti dalla scissione dell'alcol. Queste variazioni tra individui rispecchiano anche le differenze nella sensibilità all'alcol tra sottogruppi della popolazione umana…
In effetti, le differenze nella suscettibilità individuale alle droghe sono tali da indurci a chiederci se tanta variabilità non sia stata introdotta nella biochimica umana perché vantaggiosa in sé. Gli uomini necessitano della resistenza biochimica alle piante allucinogene che crescono nel loro ambiente, mentre la resistenza a quelle in cui probabilmente non s'imbatteranno mai sarebbe soltanto uno spreco di risorse. Perciò le moderne variazioni nella suscettibilità alle droghe potrebbero riflettere gli adattamenti dei nostri avi alle droghe contenute nel loro ambiente vegetale. In questo contesto si sarebbe tentati di ipotizzare che gli europei metabolizzano bene l'alcol perché da duemilacinquecento anni vivono nelle città, dove un tempo l'unica fonte sicura di idratazione erano il vino e la birra. Dopo tutto, la selezione naturale deve funzionare bene se l'astinenza completa dall'alcol è comunemente fatale. Perciò forse la variabilità umana nella sensibilità alle droghe (che ai teenager piace tanto ricordarci) è la conseguenza naturale del fatto che la nostra specie si è evoluta in ambienti molti sari.
Con i recenti progressi della biologia molecolare, ora possiamo scorgere la diversità geografica e botanica della storia umana incisa nei nostri geni. Negli ultimi tempi, molte variazioni genetiche sono state associate alla suscettibilità agli effetti di alcol, nicotina, cocaina, anfetamine, oppioidi e cannabis. E altre scoperte sembrerebbero imminenti: uno studio sui ratti ha dimostrato dei nessi tra la sensibilità alle anfetamine e quarantatré geni, pari allo 0,2 per cento di tutti i geni presenti in un essere umano. Molti dei geni implicati nella suscettibilità alle droghe sono coinvolti nella produzione di recettori nel cervello che, come abbiamo visto, sono esattamente le molecole su cui agiscono le droghe. Inoltre, se tutti noi abbiamo suscettibilità genetiche innate a singole droghe, non possiamo forse variare anche nella nostra generale propensione a dipenderne? Se tutte le droghe ci dànno dipendenza attraverso la stessa via nervosa tra tegmento e nucleo accumbens che secerne dopamina, è ragionevole sospettare che i dettagli molecolari di questo meccanismo di dipendenza possano variare anch'essi da individuo a individuo. In effetti, studi sia psicologici sia genetici indicano entrambi una forte base genetica della tossicodipendenza, perciò dovremmo pensare in termini di «geni inclini alla tossicodipendenza» oltre che di «personalità inclini alla tossicodipendenza».
Io però rimango convinto che in tutte le nostre elucubrazioni in merito abbiamo sottovalutato gli aspetti sociali delle droghe. Noi uomini siamo, dopo tutto, una specie essenzialmente sociale, in cui gli individui funzionano soltanto in relazione agli altri. E se siamo adolescenti, la socializzazione è più nuova, immediata e formativa che in qualsiasi altro momento della nostra vita. Per questo ritengo che dovremmo preoccuparci di più del ruolo dell'autostima, della pressione esercitata dai coetanei e dell'inadeguatezza sociale nella decisione dei teenager di assumere droghe. Ovviamente tutti questi fattori possono essere fortemente influenzati dai geni ‑ la personalità di un adolescente può di certo essere decisa in parte dai suoi geni e dal modo in cui i geni dei genitori hanno influito sulla sua educazione ma in un singolo teenager quella che vediamo è la personalità, più che i geni. Inoltre, se la vita di un adolescente è in balia della droga, a soffrirne o a fallire totalmente sarà il suo sviluppo sociale. Dare la colpa ai geni non lo aiuterà. Se vogliamo davvero aiutarlo dobbiamo occuparci della sua personalità, non dei suoi geni, dobbiamo incoraggiano a difendersi, a credere in se stesso e a non cedere
L'adolescenza si sviluppata come una splendida novità dell'evoluzione umana, una fase del progetto esistenziale destinata all'acquisizione di nuove abilità fisiche, mentali e, come vedremo nel capitolo quarto, sociali. Tuttavia, lo spirito d'avventura, la ribellione sociale e l'assoluta instabilità cerebrale che definiscono i teenager li hanno accidentalmente resi vulnerabili alle droghe potenti e a buon mercato comparse negli ultimi decenni. Le droghe dànno loro un indubbio piacere e favoriscono la loro ammissione in certi gruppi sociali ed è per questo che le provano. Ricerche recenti, però, dimostrano che le droghe sconvolgono il cervello adolescente in un modo straordinariamente aggressivo e inesorabile. Le evidenze scientifiche sono cosI preoccupanti che, sebbene io l'abbia scoperto soltanto scrivendo questo libro, forse il vecchio consiglio che «è meglio aspettate l'università» per drogarsi potrebbe rivelarsi giusto.
L'attacco sferrato dalle droghe moderne usate dai teenager all'antico cervello adolescente ha inasprito i conflitti tra questi e il resto della società. I genitori hanno sempre teso a proteggere i figli adolescenti, ma questi spesso considerano la droga un modo eccitante e piacevole di affermare la propria indipendenza e di entrare nel mondo sociale a modo loro. Eppure, per molti teenager la storia della droga non ha un finale tragico. La nostra enorme corteccia prefrontale spesso riesce a prevalere quanto basta sulle antiche vie nervose sottostanti di ricerca della gratificazione e molti riescono effettivamente a smettere o a mantenere sotto controllo l'uso di droghe. La corteccia prefrontale di solito «sa cos'è giusto», ma sembra necessario un certo grado di sicurezza di sé, forza e sostegno perché possa avere la meglio. Nel capitolo quarto esamineremo le cose che dànno ai teenager sicurezza di sé, forza e sostegno: i rapporti palpitanti tra di loro, il mondo circostante e gli altri.” (pp.164-167)
Un altro prezzo che gli adolescenti pagano al ritardo dello sviluppo è legato al disagio psicologico. A questo problema è dedicato il quarto capitolo, il cui titolo (Amore e perdita) è ingannevole poiché dell’amore si parla solo alla fine e in termini tali da lasciar pensare che si tratti di di un’esperienza esaltante, ma a vicolo cieco perché gli adolescenti non dispongono ancora della capacità di costruire rapporti stabili e duraturi.
I veri problemi che l’autore affronta si riconducono ad una domanda: perché gli adolescenti sono così tristi, confusi e preoccupati? Sono tutti problemi che hanno a che fare con la possibilità che l’adolescenza viri nella direzione della psicopatologia.
Il confine tra la tristezza adolescenziale e la depressione è labile, perché fa riferimento au un umore necessariamente instabile:
“La «tristezza adolescenziale» è una cosa cosI particolare e profonda che deve essere prodotta da cambiamenti che si verificano all'interno del cervello stesso. Che la sì possa attribuire all'estesa ristrutturazione anatomica del cervello adolescente o a concetti più «psichiatrici», come lo sviluppo dell'autoanalisi e la ricerca di autonomia, sembra chiaro che l'umore muta nei teenager per i cambiamenti nel loro cervello. E se il cervello adolescente deve cambiare, non dovremmo aspettarci anche la tristezza?
Se pensiamo alla tristezza adolescenziale come a un effetto collaterale inevitabile della maturazione dell'enorme cervello sapiens, allora quel cervello comincia ad apparirci come una terribile scommessa evolutiva. Gli esseri umani hanno avuto successo grazie al loro cervello, ma non sarà che adesso tutti noi, e gli adolescenti in particolare, ne stiamo pagando il prezzo? I teenager camminano sul filo di un rasoio psicologico: la loro tristezza si confonde in modo spaventoso con la depressione clinica. Molti adolescenti «normali» mostrano sintomi che sarebbero considerati prove di una malattia mentale negli adulti. Anzi, costituiscono un ottimo argomento per quanti sostengono che non esiste un individuo psicologicamente «normale».
Eppure la tristezza adolescenziale è diversa. Per esempio, i teenager depressi sono spesso irritabili, mentre gli adulti depressi di solito sono più malinconici. Inoltre l'adolescenza è caratterizzata da marcati sbalzi di umore per motivi che potrebbero essere legati alla riorganizzazione anatomica dei circuiti cerebrali che controllano le emozioni. Per questo, di frequente, la tristezza adolescenziale è espressa a gran voce, perché tutti sentano.
L'adolescenza è un momento crudele per essere colpiti dalla depressione perché è il periodo in cui si ha cosI tanto da fa re e da sperimentare e non c'è tempo da perdere. La depressione adolescenziale è associata statisticamente all'ansia, al suicidio, all'uso di droghe, ai disordini alimentari, alla promiscuità sessuale, alle gravidanze in età adolescenziale e al cattivo rendimento scolastico. In effetti, oltre la metà dei teenager depressi mostra anche segni di disturbi ansiosi e ciò implica che, anziché essere una condizione chiaramente definita, la depressione adolescenziale è soltanto un grosso nodo nel terribile groviglio in cui molti adolescenti si trovano. I teenager depressi si perdono tante di quelle cose che avrebbero da fare e la loro depressione molto spesso si protrae nell'età adulta, segnando, come molti aspetti dell'adolescenza, la vita intera. E, purtroppo, gli altri adolescenti possono essere così presi dalla loro ricerca personale della felicità e del successo da non essere di grande aiuto. Un'infausta conseguenza sociale della depressione adolescenziale è che chi ne soffre può apparire introverso fino all'egoismo, cosicché per i coetanei è difficile simpatizzare con lui...
La negatività è un filo che corre lungo tutta la depressione. Ognuno di noi deve imparare ad affrontare le cose brutte che gli capitano, spesso mettendole nella giusta prospettiva così da potervi porre rimedio o da aggirarle in qualche modo. Eppure le persone depresse spesso si concentrano esclusivamente sugli eventi negativi, anzi, è ormai dimostrato che la loro memoria degli eventi positivi è compromessa in maniera misurabile. Tendono anche a reagire agli eventi sfavorevoli con emozioni prevedibilmente negative. Questo in sé non sarebbe poi così grave ‑ tutti ci sentiamo giù a volte ‑ ma i teenager depressi spesso traggono dagli eventi conclusioni irrazionalmente negative, considerandoli prove di una generale mancanza di speranza della vita, e questo può bloccarli in uno stato di inerzia passiva dal quale stentano a uscire. Ma peggio di tutti è il modo in cui spesso interpretano gli eventi avversi come un segno della loro inadeguatezza e debolezza. Se credi che tutto ciò che ti accade di brutto sia dovuto alla tua incurabile mancanza di valore, è difficile scorgere una vita d'uscita.
L'oceano di negatività della depressione clinica è attraversato da molte correnti. Le persone depresse pensano spesso in termini di «tutto o niente», cosicché i fenomeni sono o «buoni» o «cattivi», il che rafforza un senso di disperazione nel momento in cui tante cose rientrano nella categoria «cattivo». Analogamente, la depressione comporta di solito anche la tendenza a saltare alle conclusioni e a generalizzare troppo. Può anche essere associata a mutamenti dei valori e degli obiettivi; i teenager depressi, per esempio, tendono maggiormente a pensare che la felicità dipenda dal possesso materiale e dall'accettazione sociale, mentre gli altri adolescenti tendono ad attribuire maggiore valore ai propri atteggiamenti e obiettivi.
II ruolo della negatività nella depressione adolescenziale ha perfino indotto alcuni psicologi a sostenere che la malattia sia, fondamentalmente, una dipendenza dalla negatività. Assistere precocemente al fallimento e alla negatività in altri pare induca un'incapacità adolescenziale ad apprezzare i piaceri e una soffocante paura di fallire. Ciò può portare a tentativi mal indirizzati di «difendersi» dalle cose e dalle sfide piacevoli e perfino a trarre una perversa rassicurazione da sofferenze e privazioni autoinflitte. Può essere difficile capire le ragioni di un simile comportamento apparentemente assurdo. Abbiamo già vi
sto, però, che il modo in cui si apprendono i comportamenti può essere spaventosamente semplice e inesorabile. Del resto, già entrare in un circolo controproducente di negatività è, di per sé, assurdo.
Se vogliamo impedire ai teenager di lottare con la depressione vita natural durante, dobbiamo prima capire perché essa inizi così spesso in questa fase particolare del progetto esistenziale umano. Una spiegazione spesso avanzata è che il corpo adolescente subisce durante la pubertà molti cambiamenti snervanti e angosciosi che scatenerebbero la depressione. Il corpo si sessualizza inarrestabilmente sotto gli occhi di tutti, in modi che possono essere imbarazzanti e, a volte, deturpanti. L'acne, per esempio, è una causa assodata di depressione e perfino di suicidio. Sono stati indicati anche altri motivi «biologici» della depressione: l'adolescenza è un periodo in cui spesso insorgono febbri ghiandolari e sindromi da stanchezza post‑virale. Tali condizioni possono provocare la depressione direttamente o indirettamente, privando i teenager del contatto con il loro mondo sociale in evoluzione. Eppure tutte queste cause fisiche di depressione, benché importanti per chi ne soffre, sembrano troppo semplici per essere la causa principale della diffusa tristezza adolescenziale e dell'inizio della depressione clinica.
E molto più convincente il legame tra la depressione e l'autostima. Come parte dello sviluppo dell'autoanalisi nell'adolescenza, tutti noi acquisiamo il senso di autostima ed è evidente che questo processo può andare davvero storto. Tanti teenager belli, intelligenti e affascinanti hanno un'immagine di sé che appare ridicolmente scarsa a un osservatore distaccato. L'autostima è un ottimo candidato come causa della depressione adolescenziale per alcune buone ragioni: come la depressione, compare nell'adolescenza; è bassa in alcuni teenager senza alcun motivo valido; è facile capire come possa indurre ad attribuire la negatività alla propria mancanza di valore; infine, alcuni studi dimostrano che i teenager depressi hanno spesso una bassa autostima (anche se non è chiaro quale sia la causa e quale l'effetto). E’ ovvio che, essendo quella umana una specie intrinsecamente sociale, l'autostima di un adolescente non è soltanto un fenomeno introspettivo ma ha anche una forte dimensione sociale. Poiché i teenager si preoccupano tanto del modo in cui li vedono gli altri, è facile capire perché i primi sintomi della depressione possano indebolire la loro sicurezza di sé al punto di abbassare ulteriormente la loro autostima. Il fallimento sociale riduce l'autostima, ciò provoca altri insuccessi sociali e il cerchio si chiude...
Disponiamo dunque di prove crescenti che il fiero cervello umano abbia un debole per il mugugno mentre procede nel secondo decennio di vita. L'io flessibile che si costruisce da sé nell'adolescenza deve sviluppare l'autostima e imparare a esprimere le sue emozioni e ad affrontare le avversità, il tutto in un momento in cui la struttura stessa del cervello viene riorganizzata. Questo complesso processo di sviluppo psicologico è essenziale per diventare totalmente umani, ma rivela i difetti del cervello, Un motivo importante per cui la depressione inizia spesso durante l'adolescenza è che questo è il primo periodo in cui il cervello ha le abilità cognitive sufficienti per soffrirne. Non si può ricorrere alla propria mancanza di valore per spiegare gli eventi avversi fintantoché non si è in grado di analizzarsi; non ci si può sentire disperati fintantoché non si ha il senso del proprio futuro personale; non si può rifuggire dai compiti che spaventano fintantoché non si capisce cosa significhi sforzarsi di raggiungere un obiettivo.
La depressione, come la maggioranza delle malattie mentali, è un funzionamento anomalo delle abilità mentali che ci definiscono come umani. E per questo che l'uomo è l'unico animale che si ammala di depressione clinica e di tristezza adolescenziale. Inoltre, poiché acquisiamo gran parte di queste abilità umane durante l'adolescenza, la depressione non può cominciare davvero prima di quell'età; precedentemente non siamo dotati del potere cerebrale sufficiente. Quindi, ciò che ha sancito il successo della specie umana è anche ciò che fa della vita dei teenager un tormento. La depressione adolescenziale denota una spaventosa instabilità dell'enorme mente umana: abbiamo sviluppato i nostri cervelli fino al limite estremo.” (pp. 179-184)
Allo sviluppo del cervello va anche ricondotta la confusione adolescenziale, che, attraverso un’intera gamma di espressioni di crescente gravità, può giungere a configurare un’esperienza psicotica di distacco dal mondo:
“Non è soltanto il nostro rapporto con noi stessi a cambia durante l'adolescenza, sviluppiamo anche un nuovo rapporto con il mondo esterno.
Nel capitolo secondo abbiamo visto che tra i dieci e i vent'anni si verifica una profonda ristrutturazione del cervello che cambia sostanzialmente il nostro modo di interagire con ciò che ci circonda. Parte di questo cambiamento è dovuta ad una trasformazione della via nervosa tegmento‑nucleo accumbens‑corteccia. Questo fascio di nervi che rilascia dopamina sale dalle profondità del cervello per tenere a bada e guidare l'attività dell'enorme corteccia cerebrale dell'Homo sapiens. La corteccia è uno sfrigolante mare elettrochimico dall'enorme potenziale di calcolo, ma dev'essere controllata a attentamente se si vuole che impari ad analizzare, astrarre e descrivere il mondo esterno. Quando i teenager imparano a fare bene queste cose, gli si dischiude per la prima volta un nuovo mondo di consapevolezza. Tuttavia i cambiamenti mentali richiesti per raggiungere un tale mondo sono così profondi che gli adolescenti possono attraversare, durante la transizione, anni in cui i loro pensieri sono disturbati e inquietanti. E alcuni non arrivano mai a destinazione, ma si perdono per strada: la schizofrenia di solito inizia nell'adolescenza.
I teenager hanno vita dura perché sono loro ad avere la responsabilità di approntare le connessioni dell'enorme cervello della nostra specie ed è per questo che la loro confusione può manifestarsi in molte forme. Forse dovremmo tentare di suddividerla in base ai vari tipi. Primo, tutti noi abbiamo un'idea di come funziona il mondo e rimaniamo confusi quando quell'idea è messa in discussione. Chiunque può confondersi se una cosa non ha senso. Secondo, molti di noi, e i teenager in particolare, attraversiamo fasi in cui la vita ci appare assurda, in cui sentiamo che ci sfugge qualcosa o che ci dev'essere un qualche segreto di cui non siamo a parte. Forse ci sentiamo tutti cosI, ma non ci piace ammetterlo. Le cose possono peggiorare, però, e quando il nostro modello di mondo e la maniera in cui interagiamo con esso diventano disordinati e imprevedibili usiamo il termine «schizofrenia». Infine, quando una mente perde del tutto il contatto con la realtà definiamo questo stato «psicosi». Può essere più o meno corretto considerare questi quattro fenomeni ‑ confusione transitoria, confusione «esistenziale», schizofrenia e psicosi ‑ come punti di una gamma continua di confusione, ma quel che è certo è che cominciano tutti sul serio quando siamo adolescenti. E per i teenager, i cui cervelli sono un vero e proprio cantiere, può essere un'impresa ardua e preoccupante distinguere quale sia il tipo di confusione che li affligge.
Cos'è dunque che impedisce allo sfrigolante mare elettrochimico della corteccia cerebrale di stabilire rapporti normali con il mondo esterno? Abbiamo già visto che la depressione può essere un segnale che il cervello umano si è esteso troppo e la schizofrenia può rappresentare un esempio ancora migliore di questo sviluppo esagerato. Questo disturbo, che insorge di solito tra i tredici e i diciotto anni, è un insieme particolare di anomalie psicologiche. A differenza della depressione, in cui molti sintomi possono apparire come versioni estreme dei processi mentali comuni a tutti noi, i processi cognitivi disturbati della schizofrenia appaiono palesemente «strani». Inoltre, la schizofrenia sembra essere propria della condizione umana: gli animali non ne soffrono, mentre affiora con notevole continuità in tutta la storia umana e in tutte le culture del mondo. La schizofrenia è la prova migliore di cui disponiamo che il cervello umano è diventato, per sua disgrazia, troppo complesso, e sono gli adolescenti a farne le spese.
Nella schizofrenia qualcosa va chiaramente storto e di conseguenza è la malattia mentale più spesso considerata in termini fisici. Concepire il cervello schizofrenico come un organo malato ‑ una forma misurabile di disfunzione del normale cervello umano ‑ ci ha permesso di fare grandi progressi nella comprensione della mente. Anzi, a mio avviso alcune delle caratteristiche singolari della schizofrenia sembrano volerci dire qualcosa circa il modo in cui funziona la mente adolescente. Dopo tutto, la schizofrenia è piuttosto comune ‑ lo 0,5 per cento della popolazione rappresenta un sacco di gente ‑ e a ogni modo comune quanto basta per indurci a pensare che sia segno di una debolezza intrinseca del cervello umano in via di sviluppo. Inoltre, come vedremo, è provato che i chiari sintomi schizofrenici sono preceduti da anni di anomalie più sottili, come se la schizofrenia «la si vedesse arrivare». Ma la cosa più interessante è che non solo la malattia inizia di solito durante l'adolescenza, ma si manifesta perfino come un mancato sviluppo dei processi mentali che tutti noi dovremmo acquisire da teenager. Le persone che soffrono di schizofrenia non conoscono l'origine dei loro processi mentali caotici; non riescono più a godere delle cose; la loro conversazione diventa limitata; sono socialmente chiusi, emotivamente indifferenti e privi di motivazioni; perdono la capacità di pianificare. E diventano incomprensibili per le persone che li circondano.
Non sto certo dicendo che tutti gli adolescenti sono schizofrenici, ma ci sono alcune evidenti caratteristiche comuni tra la schizofrenia e quegli anni difficili in cui la corteccia adolescente cerca disperatamente di sviluppare la sua nuova consapevolezza.
Cos'è dunque che provoca la schizofrenia e cosa ci dice questo disturbo a proposito di quelle forme minori di confusione che affliggono tutti i teenager?” (pp. 186-189)
Dati i limiti delle sue competenze, l’autore si limita ad analizzare le dieci ipotesi che sono stat finora avanzate a riguardo, che danno un rilievo diverso a fattori psicologici, sociologici e biologici. Tra queste ipotesi, ormai sufficientemente note, spicca soprattutto la sesta, che è del tutto singolare:
“6. La sesta spiegazione è stranamente positiva: sostiene che la schizofrenia esista per degli ottimi motivi. La creatività è un aspetto centrale della vita umana. Senza di essa non potremmo mai aver conseguito tanto. E anche la vita sarebbe estremamente noiosa. La creatività, però, è un processo mentale insolito che comporta un'evasione dalle idee correnti e la creazione di strane connessioni intellettuali. Trovare soluzioni nuove a problemi pratici e sviluppare forme nuove di espressione artistica richiedono che la mente pensi in un modo essenzialmente disorientante e insensato. Per formare nuove relazioni mentali la mente deve essere libera di baloccarsi con concetti apparentemente privi di un nesso. Deve correre libera nella speranza vaga e disordinata di imbattersi in una qualche realtà nuova e meravigliosa. I biologi evolutivi hanno ipotizzato che, essendo la creatività cosI importante, il pensiero disordinato e insensato sia un elemento essenziale della mente umana. Alcuni di noi vi ricorrono meno (gli affidabili sgobboni), altri di più (gli imprevedibili visionari), ma la società umana funziona solo quando ha entrambi questi tipi di persone. Perciò la schizofrenia sarebbe soltanto un estremo dello spettro della creatività umana: persone così disordinate e insensate da non riuscire più a funzionare. Eppure i loro geni sono preservati nella popolazione perché di tanto in tanto creano un genio. Alcuni hanno ampliato ulteriormente l'idea fino a sostenere che la rivelazione religiosa sia un prodotto dell'evoluzione umana: dopo tutto, le persone che odono voci divine nella propria testa possono essere considerate o elette da Dio o psicotiche.” (pp. 193-194)
Un’ulteriore espressione dell’instabilità emotiva adolescenziale è l’ansia, riferita soprattutto ai rapporti sociali:
“Tutti i teenager si preoccupano e la cosa che li preoccupa di pi è il loro rapporto con gli altri. Il livello di consapevolezza elevato appena acquisito e la loro nuova autocoscienza sociale fanno sì che i potenziali errori di cui preoccuparsi aumentino. Ovviamente l'ansia è utile perché ci protegge dal fare delle stupidaggini: ci ha salvato da predatori e incidenti per milioni di anni. Tuttavia predatori e incidenti sono cose relativamente semplici. I fenomeni pii complessi e imprevedibili propri del nostro ambiente sono le altre persone e preoccuparsene è una faccenda intricata, snervante e faticosa, soprattutto per degli adolescenti. Perciò, una volta che questi hanno instaurato un rapporto coerente con se stessi e il mondo circostante, si trovano ad affrontare la sfida più grande di tutte: sviluppare un rapporto con gli altri.
Una dovizia di prove mediche avalla l'idea comune che l'adolescenza sia stressante, almeno per alcuni. Analogamente a quanto abbiamo visto per altri disturbi psicologici, i problemi collegati all'ansia di solito hanno inizio a quest'età. Addirittura un quinto degli adolescenti può dare segni di un'ansia estrema: fobie delle situazioni sociali, agorafobia, attacchi di panico, paura di situazioni che comportano un esame da parte di altri. Di conseguenza, molti manifestano comportamenti di riduzione dell'ansia che perpetuano i loro problemi o intralciano il loro sviluppo mentale e sociale, magari evitando il contatto con altri teenager…
E evidente che la preoccupazione adolescenziale può diventare terribilmente esagerata, ma perché? E poi, perché questo capita ad alcuni teenager ma non ad altri?” (pp. 197-198)
La risposta è la seguente:
“II primo grande sconvolgimento adolescenziale è il cambiamento dei rapporti con i genitori. Come abbiamo già visto, durante i primi anni dell'adolescenza i genitori, da forza centrale della nostra vita, diventano molto più marginali. La spiegazione di fondo, genetica, di questo fenomeno ‑ che cioè il distacco dai genitori impedisca l'incesto quando la prole raggiunge la pubertà può essere vera per molti altri animali, ma appare troppo semplice per l'uomo. Invece, gli adolescenti non soltanto «sí allontanano», ma attraversano una fase di rifiuto attivo dei genitori che probabilmente è essenziale per il loro sviluppo come individui. Diventano naturalmente difensivi, aggressivi e spesso assolutamente sgradevoli nei rapporti con i genitori, proprio come molti altri giovani primati.
Ragazze e ragazzi possono differire nel modo in cui rifiutano i genitori. Abbiamo già visto che i maschi si sviluppano lentamente e per questo devono aspettare di più prima di sfidare il padre nel predominio sociale, un ritardo che può apparire irritante ma impedisce i conflitti in seno alla famiglia. Tuttavia alcuni studi indicherebbero che le opinioni dei ragazzi adolescenti iniziano ad avere la precedenza in famiglia su quelle delle madri molto prima di quanto non accada per le figlie. Le ragazze, che sviluppano più rapidamente le loro abilità mentali, possono perciò sentirsi frustrate nelle loro aspirazioni durante tutti gli anni dell'adolescenza. Forse ciò spiega perché le adolescenti spesso si distanzino emotivamente dai genitori più attivamente dei coetanei maschi.
Inoltre alcuni aspetti della vita moderna potrebbero rendere più stressante la spaccatura tra adolescenti e genitori. E chiaro che i teenager stanno diventando sessualmente, e forse mentalmente, maturi prima che in qualsiasi altra epoca della storia della nostra specie. Ciò può significare che adesso rifiutano i genitori più precocemente, un cambiamento penoso per i genitori e difficile da affrontare per i teenager. Al tempo stesso, la struttura di molte società moderne è tale che gli adolescenti dipendono economicamente dai genitori più a lungo di quanto non sia mai stato. L'effetto congiunto della pubertà precoce e dell'indipendenza economica ritardata è un'estensione da ambo le estremità del potenziale periodo di conflitto tra adolescenti e adulti. Se a questi problemi si aggiunge l'idea implicita che i teenager moderni abbiano meno occasioni di dare il proprio contributo alla società e riescano a comunicare con gli adulti meno che in qualsiasi altra epoca passata, si può capire perché l'ansia adolescenziale sia in aumento.
Nello stesso momento in cui respingono i genitori, gli adolescenti sperimentano anche un altro profondo sconvolgimento sociale: si attaccano maggiormente agli amici. Si è calcolato che ogni giorno i teenager parlino con i loro amici quattro volte più a lungo che con i genitori. Non c'è motivo di ritenere che questa tendenza a parlare con i coetanei sia uno strano effetto della vita moderna e sospetto che i nostri antenati adolescenti cacciatori‑raccoglitori facessero esattamente lo stesso...
Adesso capiamo quindi perché l'amicizia sia così importante per i teenager. E fondamentale per il loro sviluppo e la spinta a evitare la solitudine è incredibilmente forte. Gli adolescenti apprezzano la triade di reciprocità, apprendimento sociale e autostima al punto che alcuni studi dimostrano che valutano istintivamente i coetanei in cerca dei tre segni esteriori corrispondenti: interessi comuni, comprensione reciproca e una comunicazione positiva.
L'urgenza continua di stringere amicizie spiega anche molte delle strane cose che gli adolescenti fanno. La maggior parte di loro aspira a un posto riconosciuto in un gruppo sociale di coetanei e farà di tutto per assicurarselo. L'aspetto è un elemento importante e la moda è uno dei mezzi di conquista di una posizione sociale. Ovviamente i teenager scelgono abiti e accessori per apparire attraenti ad avversari e corteggiatori, ma nell'abbigliamento c'è molto di phi. In fin dei conti, non tutte le adolescenti indossano vestitini «leziosi» né tutti i ragazzi vestono «macho». Scelgono invece un abbigliamento che dica qualcosa di loro, che sia l'appartenenza a un gruppo sociale, la capacità di stare al passo coi tempi o un qualche aspetto selezionato della loro personalità. Un esempio è rappresentato dal piercing, una forma di automutilazione presumibilmente intesa a esprimere una certa spigolosità sociale come pure il rifiuto a conformarsi. Un altro è il fascino duraturo del dark, una moda che prevede abiti scuri, volti pallidi e un trucco pesante e che persiste, con pochi cambiamenti di terminologia, da venticinque anni: una vera eternità nel mondo della moda adolescenziale. Sospetto che essere dark attragga i teenager perché non solo permette loro di contestare gran parte della società in un modo chiaramente pubblicizzato, ma offre un forum relativamente innocuo in cui sperimentare la negatività adolescenziale e forse persino crogiolarvisi...
La formazione di bande è spesso considerata un aspetto più allarmante della spinta degli adolescenti a far parte di gruppi di coetanei. Eppure, aggregarsi a gruppi sociali esclusivi è una tappa quasi inevitabile della crescita. Da adulti è facile ignorare il fatto che spesso i teenager non hanno semplicemente molto da fare nel loro tempo libero. I gruppi di adolescenti devono ciondolare agli angoli delle strade e nei giardinetti pubblici: desiderano stare con i loro amici, sono banditi dai luoghi dove si servono alcolici e l'ultimo posto in cui vogliono essere è la casa dei genitori. Dopo tutto, assomiglierebbe troppo all'abitudine infantile di andare « a giocare» dagli amichetti. Una tendenza simile si riscontra nei gruppi frammentati e un po' marginali di giovani che gironzolano alla periferia di molte comunità di primati. Tra gli esseri umani la maggioranza delle «bande» è assolutamente innocua e offre ai teenager un modo perfettamente praticabile di svilupparsi da un punto di vista sociale. Ovviamente, alcuni esseri umani in gruppi isolati possono talvolta incitarsi a vicenda a comportamenti che non tollererebbero mai individualmente, ma non possiamo cambiare il semplice fatto che gli esseri umani operano in gruppi sociali e talvolta fanno la cosa sbagliata. E purtroppo, se il mondo esterno diventa un posto pericoloso, spesso reagiamo diventando ancora più dipendenti dal nostro gruppo sociale per sentirci protetti e cosI siamo più esposti a essere parte della massa…
Oltre a rifiutare i genitori e a farsi degli amici, gli adolescenti devono affrontare un terzo grande sconvolgimento sociale, la competitività. Come molte specie animali, le società umane si organizzano spontaneamente in gerarchie di potere, con individui socialmente dominanti e altri socialmente sottomessi. E proprio come gli altri animali sociali, gli esseri umani moderni conservano il proprio retaggio evolutivo di godere di una posizione elevata nella gerarchia e di sforzarsi di arrivare al vertice. Chiunque osservi le interazioni tra teenager non potrà fare a meno di assistere alla formazione e al mantenimento di gerarchie: è davvero come osservare un branco di scimmie. Le gerarchie adolescenziali umane sono fluide, con individui che ascendono e scivolano giù, e creano anche divisioni, perché i teenager competono allo stesso modo con gli amici e con quelli che non lo sono. Gli amici possono «negoziare» tacitamente una qualche forma di riconciliazione per cui smettono di competere direttamente, ma anche questa può essere illusoria perché due amici devono comunque continuare a rivendicare un posto nella stessa gerarchia. Ovviamente anche gli adulti hanno gerarchie di potere, ma essendo di più lunga data e composte da individui soggetti a una minore instabilità fisica, mentale e sociale, tendono a essere più solide: arrampicarsi e scivolare meno comporta una minore ansia.” (pp. 202-208 passim)
“Quindi, fra rifiutare i genitori, stringere e mantenere amicizie e competere con i coetanei, ci sono tante cose che gli adolescenti possono interpretare male reagendo con ansia e tanti comportamenti sociali che possono imparare in modo inappropriato. E dura per i nostri giovani primati che apprendono comportamenti compulsivi e probabilmente lo è ancora di pii adesso che nascono nell'ambiente anomalo del mondo moderno. Ma prima di lasciarci alle spalle l'ansia adolescenziale, penso di dover ribadire che ancora non sappiamo perché alcuni teenager diventano molto phi ansiosi di altri. Tutti gli adolescenti attraversano periodi inquietanti, ma soltanto alcuni reagiscono eccessivamente al bene e al male; soltanto alcuni precipitano in una introspezione e in un'ansia eccessive quando le cose vanno storte. I teenager sono semplicemente molto variabili nella loro capacità di instaurare rapporti con gli altri, e soltanto alcuni soccombono. Perché variano cosI tanto?
Sono in corso molti tentativi di identificare i fattori di rischio per i disturbi ansiosi. Come abbiamo visto, le ricerche genetiche sono promettenti. Inoltre, le tecniche di imaging cerebrale hanno indicato reazioni alterate delle amigdale e della corteccia prefrontale a minacce o immagini che suscitano emozioni; c'è perfino chi sostiene che le amigdale sono più piccole negli adolescenti ansiosi. Studi sugli ormoni hanno evidenziato che il sistema che coinvolge cervello, ipotalamo, ipofisi e ghiandole surrenali è phi attivo in alcuni individui e si comporta anche in modo sostanzialmente diverso nei teenager.
Tutte queste scoperte devono però essere considerate sempre nell'ottica di dare una risposta alla questione del perché gli adolescenti variano cosI tanto nella loro capacità di far fronte allo stress. E a questa domanda si può ora rispondere grazie alla nostra crescente comprensione dell'evoluzione del temperamento. Alcuni studi condotti su animali starebbero a indicare che caratteristiche misurabili, come l'aggressività, la socievolezza e l'audacia, si possono ereditare proprio come gli attributi fisici, e ciò significa che possono essere soggette alla selezione naturale. Negli esseri umani sospettiamo che l'evoluzione abbia operato in modo da produrre una popolazione con una vasta gamma di temperamenti: una serie di strategie per affrontare le situazioni sociali. Alcune analisi indicherebbero che a questi diversi temperamenti umani corrispondono determinati problemi, come la paura di fallire, la malattia mentale, i disturbi cardiovascolari, gli incidenti e, ovviamente, l'ansia.
Qualcosa nell'evoluzione umana ci ha resi tutti diversi. Di certo gli esseri umani differiscono molto gli uni dagli altri nell'aspetto, perciò forse non sorprende che siano diversi anche mentalmente, emotivamente e socialmente. Elogiare la diversità va benissimo, ma sono gli adolescenti a dover affrontare l'improbo compito di scoprire il proprio posto nel mare magnum della varietà sociale umana.” (pp. 211-212)
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Il saggio di Bainbridge attesta che l’esigenza di una convergenza tra diverse discipline che hanno come oggetto l’uomo si va lentamente imponendo al fine di integrare i patrimoni di sapere prodotti spesso con metodologie o prospettive diverse. La zoologia non poteva rimanere insensibile a tale esigenza, dato che l’evoluzionismo ha avuto tra l’altro la funzione di ricondurre l’uomo al suo essere un animale, per quanto dotato di caratteristiche del tutto particolari.
I riferimenti all’evoluzionismo, di fatto, sono continui nel saggio, ma, essendo insistentemente incentrati sull’adattamentismo, entrano singolarmente in contrasto con l’ipotesi di fondo avanzata dall’autore, il quale assume l’adolescenza, in quanto singolare espressione di un ritardo dello sviluppo, come la chiave dell’evoluzione della specie umana.
L’ipotesi è suggestiva, ma, escludendo il finalismo per cui la Natura avrebbe inteso creare l’uomo, il ritardo dello sviluppo si può ricondurre solo a mutazioni genetiche casuali che, dotando l’uomo di un grande cervello, gli hanno permesso di adattarsi e di sopravvivere, ma al prezzo di tutti gli squilibri emozionali e cognitivi che sono massimamente evidenti nel corso dell’adolescenza, e, in una certa misura, persistono anche negli adulti.
L’uomo è un animale che si è adattato all’ambiente, trasformandolo in virtù delle sue capacità cognitive, ma è sempre vissuto e continuo a vivere sul filo del rasoio del disadattamento esistenziale.
L’affresco che Bainbridge fornisce degli adolescenti, sufficientemente equilibrato e preciso tra aspetti neurobiologici, psicologici e sociali, è indiziario di quanto c’è di strano e inconsueto nel loro modo di essere e di rapportarsi al mondo. Basti pensare, a riguardo, ai rischi di disagio comportamentale e psicologico che incombono sull’adolescenza, e che sono descritti con una certa cura.
Il nodo cruciale dell’adolescenza sta nell’interazione tra strutture emozionali e strutture cognitive. Bainbridge sostiene che le capacità cognitive umane sono in grado di assicurare, raggiunto un certo grado di maturità, il controllo sulle emozioni. In conseguenza di questo, analizza gli aspetti instabili e squilibrati dell’adolescenza come espressione di un’apertura emozionale al mondo, con un orizzonte di gran lunga più ampio rispetto a quello infantile, che non può essere compensata da adeguati strumenti cognitivi.
Se è vero che il cervello finisce di crescere a ventitré anni, quando si completa il processo di mielinizzazione, riesce evidente che gli adolescenti non possono ancora disporre a pieno delle loro potenzialità cognitive. Il problema, però, è che anche gli adulti, nei quali quel processo si è completato, soffrono di ansia, depressione, ecc., e tendono in media a rimuovere i contenuti dell’ansia esistenziale depositati a livello inconscio, vale a dire la consapevolezza di essere vulnerabili, precari, finiti e destinati a finire.
Posto che l’uomo è un prodotto dell’evoluzione naturale, rimane il fatto che è un animale con caratteristiche affatto singolari, a partire dalla neotenia che ha allungato a tal punto le fasi evolutive della personalità da determinare la comparsa di una di esse - l’adolescenza appunto - che non ha riscontro in alcun altro animale.
Se ci si chiede in termini evoluzionistici a che serve l’adolescenza, la risposta sembra immediata e semplice: a preparare il cervello umano a raggiungere una capacità autonoma di adattamento all’ambiente. E’ un fatto che il cervello adolescenziale è immaturo strutturalmente e funzionalmente.
Questa risposta, però, è del tutto insufficiente. In primo luogo, perché l’ambiente in questione non è solo, come per gli altri animali, quello fisico-naturale, ma è l’ambiente culturale prodotto dall’uomo. In secondo luogo, perché l’adattamento non può essere mai raggiunto pienamente per due motivi. Il primo è che, nel cervello umano, si danno potenzialità ridondanti per cui se la sua crescita finisce a ventitré anni, la personalità può evolvere e svilupparsi fino alla fine della vita. Il secondo motivo è che l’adattamento è sempre precario perché esso deve fare i conti con un’ansia esistenziale che non viene mai meno.
Ma quale altra risposta naturalistica si può fornire senza cadere nella trappola dell’assoluta eccezionalità umana, vale a dire dello spiritualismo?
Penso che non ci siano molte alternative all’ipotesi dell’exaptation, secondo la quale la Natura, selezionando ominidi con un cervello sempre più grande, ha prodotto infine, per effetto della neotenia, una specie dotata di un organo ricco di potenzialità adattive e ancora più di potenzialità ridondanti.
Il “mistero” dell’uomo è evidentemente identificabile con queste ultime o, ancora più precisamente, con l’uso che l’uomo ne ha fatto e ne fa.
Anche questa conclusione “logica” però non risolve molti problemi. Intanto perché non è affatto semplice identificare le potenzialità ridondanti del cervello umano, e, in secondo luogo, perché, essendo esse polifunzionali, non è facile capire perché l’uomo ne abbia fatto e ne faccia un determinato uso piuttosto che un altro.
Forse l’adolescenza può aiutare a fornire una risposta. Ma quale adolescenza?
Bainbridge ha ragione nel sostenere che la nascita dell’adolescenza, in quanto espressione del ritardo dello sviluppo, coincide con la comparsa dell’uomo. Egli però sembra non tenere conto del fatto che, implicando uno statuto differenziato rispetto alla classe degli adulti, essa non si è espressa sempre secondo le stesse modalità. Basta richiamarsi agli studi di van Gennep (I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino 2002) per capire che, per un lunghissimo periodo di tempo, l’adolescenza è stata subordinata al mondo degli adulti, l’accesso al quale postulava l’esibizione di comportamenti attestanti la totale adesione del soggetto alla cultura del gruppo e alle sue tradizioni.
Gli studi di van Gennep riguardano comunità primitive, ma la subordinazione degli adolescenti alla classe degli adulti è riconoscibile anche in epoca storica sotto forma di patriarcato. La patria potestà del padre romano sui figli, che li assoggettava addirittura ad un'interminabile adolescenza, durava addirittura fino alla sua scomparsa.
Nessuno che io sappia ha dedicato un’opera all’adolescenza nel corso della storia umana, per cui è difficile stabilire quando si è realizzato un cambiamento radicale nel rapporto tra le classi di età, e soprattutto quando gli adolescenti sono stati in grado di esprimere la loro ribellione nei confronti degli adulti, della cultura di appartenenza e del mondo così com’è.
E’ suggestivo pensare che il dramma di Romeo e Giulietta sia indiziario di un ribellismo nascente. L’esito del dramma, però, attesta che, ancora pochi secoli fa, la ribellione promuoveva una rappresaglia.
Un cambiamento più consistente è avvenuto con l’avvento del Romanticismo che, per alcuni aspetti, si può ritenere una protesta adolescenziale e giovanilistica contro il modello maturo, equilibrato e razionale, sostanzialmente adulto, promosso dall’Illuminismo. Non è un caso che, nel periodo romantico, sia a livello esistenziale che politico, molti giovani abbiano rivendicato il diritto di prendere posizione contro il conservatorismo della struttura sociale e contro il moderatismo degli adulti.
E’ dall’età romantica, insomma, che l’adolescenza tende ad esprimersi secondo modalità fenotipiche che mettono in luce la spinta motivazionale di un bisogno di individuazione che postula la contestazione del potere degli adulti e del mondo così com’è.
E’ difficile definire il significato evoluzionistico di questo bisogno, che in passato si realizzava attraverso l’espressione delle potenzialità individuali entro i vincoli posti dalla struttura sociale e dalla cultura, e che, di recente, rivela sempre più il suo carattere primario oppositivo e contestatario.
Non si va forse lontano dal vero ipotizzando che esso riconosca la sua matrice psicobiologica nell’unicità e nell’irripetibilità di ogni cervello individuale, che, però, per un lunghissimo periodo di tempo, sono state in misura più o meno rilevante sacrificate alle esigenze di appartenenza e alla coesione culturale del gruppo.
Si potrebbe pensare che tale bisogno esprime, a livello umano, la necessità di una varietà fenotipica che ogni cultura tende a reprimere e ad omologare. Da questo punto di vista il riconoscimento dei diritti degli adolescenti si può ritenere una conseguenza, forse inconsapevole, della civiltà liberale.
Nella misura in cui però la fenotipizzazione del bisogno di individuazione ha posto in luce la valenza oppositiva che lo promuove, lo sottende e dà ad esso un carattere ribellistico, tal che l’adolescente deve contrapporsi frontalmente al mondo degli adulti e ai loro valori, riesce evidente che la sua funzionalità adattiva, orientata a produrre rappresentanti adulti del gruppo dotati di una loro personalità, omologata per alcuni aspetti ma anche differenziata per altri, si intreccia con una funzionalità apparentemente disadattiva, e dunque presumibilmente ridondante.
Che cosa si può dire a riguardo da un punto di vista psicobiologico? Non molto, ma, forse, quanto basta. Il fascicolo tegmento-nucleo-accumbens- corteccia prefrontale a cui fa riferimento Bainbridge, che rappresenta il ventaglio del sistema dopaminico, si identifica con quello che oggi si definisce il sistema emozionale della ricerca. E’ fuor di dubbio che, a qualunque età, tale sistema appare subordinato ad un suo sottosistema, quello del piacere, per cui la sua funzione motivazionale consiste nell’orientare il soggetto verso oggetti appaganti.
Esso, però, in rapporto all’apparato mentale umano, comporta una spinta esplorativa che va ben al di là degli oggetti di piacere vincolati a bisogni primari (cibo, sesso, ecc.) o all’istituzionalizzazione culturale del piacere (successo sociale, prestigio, denaro, beni di consumo, ecc.). Esso appare infatti aperto sull’orizzonte esclusivamente umano dell’infinito (intuito emozionalmente) e deputato a sollecitare l’individuo ad esplorarlo con l’obiettivo di ridurre lo scarto, peraltro incolmabile, tra la finitezza umana e l’infinito.
Tale spinta entra necessariamente in conflitto con il mondo adulto e con l’ordine di cose esistente che promuove un orientamento adattivo al mondo così com’è. Questo carattere necessariamente “eversivo” giustifica il fatto che la fenotipizzazione del bisogno di opposizione/individuazione sia avvenuta a partire dall’epoca romantica.
La ridondanza implicita nel sistema di ricerca promuove un bisogno di differenziazione che ha un aspetto narcisistico (il desiderio di dare alla propria esperienza individuale un timbro di originalità assoluta) e un aspetto creativo, legato all’esplorazione dei modi di essere possibili per l’uomo e dei mondi simbolici.
Alla luce di quanto detto, ci si può chiedere quale sia la condizione degli adolescenti di oggi. La risposta è abbastanza univoca. Essi sono preda di un bisogno di differenziazione narcisistico che non ha mai raggiunto i livelli odierni: bisogno che li pone in rotta con il mondo degli adulti che propone ad essi un modello di normalizzazione adattiva, vale a dire una resa al mondo così com’è e all’assunzione di un ruolo funzionale ma, per alcuni aspetti, anonimo.
Al tempo stesso, gran parte di essi subiscono letteralmente un’angosciosa vertigine legata all’infinito, che, in passato, era tenuta sotto controllo dall’istituzionalizzazione sociale dell’esperienza individuale, e, schiacciati sotto il peso di quella vertigine, tendono a trovare soluzioni estemporanee per rimuoverla o reprimerla.
Questa, al di là delle vicissitudini individuali, è la risposta di ordine generale al perché sono tristi, confusi e preoccupati. La consapevolezza esistenziale, non più schermata dalla religione o dall’appartenenza comunitaria e dal piacere di omologarsi, è il problema: il sentire, in breve, di essere nulla più che fuscelli nel gran mare dell’essere e il percepire oscuramente la complessità del mondo esterno e interno.
In un certo senso, si potrebbe dire che l’adolescenza è giunta a regime. Il suo carattere neotenico si associa a spinte motivazionali sempre più intense verso l’individuazione. La neotenia è una caratteristica genetica della specie umana. La spinta verso l’individuazione, per quanto, come si è visto, possa avere anche una matrice biologica, è in gran parte espressione di potenzialità ridondanti, che sono giunte a fenotipizzarsi solo di recente.
Se questo è vero, il carattere sostanzialmente drammatico dell’adolescenza contemporanea va ricondotta al carattere adattivo e al tempo stesso disadattivo della natura umana.
Il disadattamento non implica necessariamente un disagio psicologico o psichiatrico. Esso può essere sormontato in virtù di un grande impegno che porti l’individuo a farsi una ragione di essere finito e di dovere comunque espandere il più possibile il suo essere nello spazio potenziale dell’infinito. A tal fine, occorrerebbe una programmazione sociale e culturale che restituisse agli adolescenti la consapevolezza della loro condizione critica, e li aiutasse a farsene carico come primi rappresentanti della specie umana giunti su di una nuova frontiera della cultura, che comporta l’accettazione del confronto con l’infinito (senza ovviamente la pretesa di azzerare lo scarto tra finito e infinito).
Il problema è che si una programmazione del genere non c’è traccia all’orizzonte. Le istituzioni pedagogiche, e la società nel suo complesso, sembrano ancora impegnate a sollecitare negli adolescenti un adattamento normalizzante.
Un’ultima osservazione si impone.
L’adolescenza è l’epoca in cui il bisogno di appartenenza/integrazione sociale e quello di opposizione/individuazione assumono inesorabilmente una configurazione critica e conflittuale. Dalla soluzione di questo conflitto dipende l’organizzazione complessiva della personalità adulta.
Spesso, dopo travagli più o meno rilevanti, la soluzione del conflitto consiste nel refluire nell’alveo dell’appartenenza normativa e nell’orientare il bisogno di ricerca nella direzione dell’appetizione degli oggetti appaganti che la società offre.
Quando ciò, per i motivi più vari, non risulta possibile, è inevitabile che si definisca una situazione di disagio psichico o psicopatologico.
Questo significa, né più né meno, che tutte le forme di patologia psichica adolescenziale e giovanile sono riconducibili al mantenersi, al perpetuarsi e all’incrementarsi di un conflitto la cui struttura è adolescenziale. La psicopatologia struttural-dialettica si articola totalmente a partire da questo criterio, che implica l’essere l’uomo dotato di una doppia natura. Forse un giorno le ricerche neurobiologiche riusciranno a verificare questa ipotesi, che però si può ritenere convalidata da una serie indefinita di dati tratti dalla pratica psicoterapeutica.