1.
Pubblicato nel 1920, il saggio, annoverato tra i capolavori junghiani, trae spunto da circostanze cui il testo non fa riferimento, ma che sono estremamente importanti. All'epoca la separazione di Jung da Freud (preceduta da quella di Adler) si è realizzata già da sette anni. Essa è intervenuta per ragioni inerenti la teoria psicoanalitica, sulla base di un modo diverso di concepire l'uomo, la natura umana e la psiche, soprattutto nei suoi aspetti inconsci. Diversamente però da quanto accade di solito in altri ambiti scientifici, laddove (spesso se non sempre) il pensarla diversamente non altera il rapporto interpersonale tra gli scienziati, il conflitto tra Freud e Jung ha assunto un carattere aspro, polemico, astioso. Freud, fermo al suo diritto di primogenitura sulla psicoanalisi, non s'interroga mai sul deterioramento del rapporto con colui che aveva designato come suo erede. Se, nel suo intimo s'interroga, di sicuro interpreta il tradimento sulla base dell'invidia edipica. Jung invece si pone una serie di domande su quanto accaduto tra sé, Freud e Adler. Poco alla volta, giunge alla conclusione che "è il tipo psicologico che determina e limita il giudizio dell'uomo" tal che "ogni modo di considerare le cose è necessariamente relativo", vale dire influenzato "dal modo con cui l'individuo si rivolge al mondo, il suo rapporto con gli uomini e le cose".
Questa conclusione porta Jung naturalmente a cercare di costruire una tipologia universale.
Il saggio, preceduto da un'introduzione, consta di 11 capitoli e di una conclusione. Ben nove sono dedicati ad un'accuratissima rassegna della letteratura precedente, prevalentemente di matrice filosofica, il decimo illustra i tipi psicologici identificati da Jung, l'undicesimo è un ampio e utilissimo glossario nel quale Jung definisce i termini e i concetti fondamentali della psicologia analitica. consultarlocon attenzione significa acquisire d'emblée la terminologia e i concetti necessari per leggere le opere, spesso criptiche, di Jung.
La conclusione ha un particolare interesse perché in essa c'è un'eco delle circostanze cui si è fatto cenno. In opposizione al monismo teorico freudiano, che identifica nell'Es la vera realtà psichica universale e uniforme, Jung sostiene che i fenomeni psicologici possono essere affrontati da due diversi punti di vista. Il primo è rivolto a scoprire ciò che vi è di uguale o di analogo nelle diverse esperienze soggettive: "Per scoprire l'uniformità della psiche umana bisogna discendere fino alle fondamenta della coscienza, poiché è lì che si trova tutto ciò che è uguale. Se fondo una teoria su ciò che ci rende uguali, spiego la psiche partendo da ciò che vi è in essa di fondamentale e di originale. Facendo ciò, però, non ho ancora spiegato ciò che in essa è differenziazione storica e universale, poiché con tale teoria io prescindo dalla psicologia della vita cosciente." (p. 447) Il secondo deve rivolgersi allo studio della differenziazione. Ma ciò comporta che "le mie conclusioni saranno diametralmente opposte a quelle precedenti, giacché tutto ciò che prima era stato scartato come variante individuale assume, in questo caso, un'importanza notevole In questo secondo atteggiamento bisogna tener conto dello scopo finale e non del punto di partenza." (pp. 447-448)
In breve, "chiunque creda che per ogni processo psichico debba esserci una sola spiegazione resterà stupito della vitalità del contenuto psichico, che costringe ad enunciare due teorie opposte, specialmente se egli ama le verità semplici e chaire e se è incapace di pensarle contemporaneamente." (p. 448)
La diversa metodologia nello studio dei fenomeni psichici riflette, peraltro, il tipo psicologico dello studioso. In conseguenza di questo, "si potrà giungere ad una vera comprensione solo se si accetta la diversità delle premesse psicologiche." (p. 444). Più precisamente: "Per comporre il conflitto tra le diverse concezioni, mi sembra che si potrebbe prendere come base il riconoscimento dei tipi di atteggiamento e, particolarmente, il fatto che ogni uomo è prigioniero del proprio tipo a tal punto da essere incapace di comprendere perfettamente un punto di vista diverso. Senza il riconoscimento di questa importante esigenza, è quasi inevitabile che si faccia violenza all'altro punto di vista. Allo stesso modo in cui due avversari si incontrano in tribunale e, rinunciando reciprocamente a farsi giustizia da soli, si rimettono all'equità della legge e del magistrato, così il tipo deve astenersi dalle ingiurie, dalle calunnie e dalle denigrazioni contro il suo avversario e prendere coscienza del fatto che anche l'altro è una parte dell'umanità." (pp. 344 - 345)
L'equilibrio di queste affermazioni, a dire il vero, è compromesso da una particolare non insignificante. Nella descrizione di un tipo - quello logico introverso - sembra evidente che Jung ha di mira Freud. Egli scrive: "Nella costruzione del mondo delle sue idee, mentre egli non si tira dietro davanti a nessuna azione audace, né dinanzi ad alcuna idea sotto il pretesto che potrebbe essere pericolosa, sovversiva, eretica e pungente, egli si vende in preda ad una grande ansietà giacchè la sua audacia sembra dover divenire realtà. Ciò è per lui molto sgradevole. Anche quando egli lancia le sue idee nel mondo, non lo fa affatto alla maniera di una madre preoccupata per i propri figlioli: egli le espone e tutt'al più si stizzicse quando esse non progrediscono da sole.
La sua mancanza spesso totale di senso pratico, la sua ripugnanza per ogni forma di pubblicità, vengono in suo aiuto. Se ciò ch'egli ha prodotto gli sembra soggettivamente vero e giusto, è perché esso le è realmente e gli altri non debbono fare altro che piegarsi a questa verità. A mala pena egli consentirà di guadagnarsi le simpatie di qualcuno, soprattutto di una persona influente. E se egli lo fa, dimostra molto spesso una tale mancanza di destrezza che raggiunge lo scopo opposto a quello desiderato. Con i suoi colleghi in genere fa delle esperienze spiacevoli; non sa mai accattivarsi il loro favore; dà anche ad intendere che essi non hanno di fornte ai suoi occhi alcuna importanza. Nel perseguimento delle proprie idee, egli è particolarmente ostinato e non si lascia influenzare da nessuno
Siccome egli pensa ai suoi problemi fino alla fine, nella misura del possibile, egli li complica e s'impelaga senza tregua in ogni sorta di scrupoli. Egli vede chiaramente l'intima struttura delle proprie idee, ma non sa mai molto bene dove collocarle, né come introdurle nel mondo reale. Con molta sofferenza, con preoccupazione, ammette che ciò che è chiaro per lui non lo è per tutto il resto del mondo. Il suo stile si appesantisce, generalmente, di aggiunte, di restrizioni, di precauzioni, di dubbi sollevati dai suoi scrupoli
Il suo lavoro avanza faticosamente. Egli è taciturno, o capita in mezzo a persone che non lo comprendono: colleziona, così, delle prove della incommensurabile bestialità umana
Agli estranei egli appare inavvicinabile, arcigno e orgoglioso, spesso anche inasprito dai suoi pregiudizi poco favorevoli alla società. Come professore, egli ha scarsa influenza personale suoi suoi alunni dato che ignora la loro mentalità. D'altronde, in fondo, l'insegnamento non lo interessa del tutto, salvo che ci veda un problema teorico. Egli è un cattivo insegnante perché, insegnando, pensa alla materia insegnata anziché limitarsi ad esporla
Nella misura in cui il suo tipo si rinforza, le sue convinzioni si fanno più rigide e inflessibili Egli non farà alcuno sforzo per costringere qualcuno ad aderire alle sue convinzioni, ma pieno di rabbia si volgerà contro ogni critica, anche giusta. Egli si isola così, poco alla volta, da tutti i punti di vista. Le sue idee, un tempo feconde, diventano distruttrici, perché imprigionate da un'amarezza interiore. Con l'isolamento verso l'esterno, cresce anche la lotta contro l'influenza inconscia che lo paralizza a poco a poco.
Un'accentuata tendenza alla solitudine deve proteggerlo dalle influenze dell'inconscio; ma questo in genere lo sprofonda di più nel conflitto che lo corrode interiormente. Il pensiero del tipo introverso è positivo e sintetico per quanto riguarda lo sviluppo delle idee che sempre più si avvicinano alle immagini primordiali valide in eterno. Ma, appena i legami con l'esperienza oggettiva si allentano, queste idee prendono la forma mitologica, sono dunque false per la situazione del momento. Perciò questo pensiero ha valore nella misura in cui esso può mantenere con i fatti conosciuti relazioni evidenti e comprensibili. Divenuto mitologico, la sua importanza svanisce ed esso si perde in se stesso" (pp. 355 - 358).
Che schizzando questo ritratto psicologico, Jung avesse di mira Freud è un'ipotesi inverificabile, per quanto credibile e suggestiva. Il ritratto, tra l'altro, è abbastanza pertinente. Nonostante il biografo ufficiale di Freud, E. Jones, abbia fatto di tutto, con un intento agiografico che in alcuni momenti diventa stucchevole, per porre il suo maestro in buona luce, è fuor di dubbio che la personalità di Freud, soprattutto se si tiene conto della sua intolleranza alle critiche, dell'implacabile ostilità nutrita nei confronti degli allievi ribelli, del continuo ruminare sulle sue idee che lo ha condotto a esiti teorici (come l'istinto di morte) poco o punto ragionevoli, ecc, presenta molti dei tratti descritti da Jung.
Ho riportato la lunga citazione non per sottolineare l'evidente contraddizione tra l'impostazione "dialettica" teorica di Jung e la sua mai sopita animosità nei confronti di Freud. In realtà, questa contraddizione rivela i limiti dell'impostazione teorica junghiana sui tipi psicologici. Per valutare tali limit, però, occorre prima rendere conto dell'articolazione del saggio.
2.
Nell'appendice, i tipi psicologi sono definiti nel modo seguente:
"Il tipo è un esempio od un modello del carattere peculiare di una specie o di una collettività. Nel senso più ristretto di questo lavoro, il tipo è un modello caratteristico di un atteggiamento generale, che si manifesta sotto diverse forme individuali. Dei numerosi tipi possibili in questa sede ne ho definiti quattro; essi sono quelli che seguono le quattro funzioni tipiche fondamentali: il pensiero, il sentimento, l'intuizione, la sensazione. Quando un tale atteggiamento è abituale e caratterizza l'individuo, io parlo di itpo psicologico. I tipi basati sulle funzioni fondamentali si possono chiamare: tipo logico, tipo sentimentale, tipo intuitivo, tipo sensoriale; tutti questi tipi si dividono in razionali e irrazionali. Ai primi appartengono il tipo logico e quello sentimentale; ai secondi il tipo sensoriale e il tipo intuitivo.
Infine, le preferenze della libido permettono di distinguere introversi ed estroversi. Tutti i tipi fondamentali possono appartenere ad ambedue le classi, secondo che domini l'introversione o l'estroversione." (p. 442)
La tipologia di Jung comporta dunque otto tipi: il tipo logico estroverso, il tipo sentimentale estroverso, il tipo intuitivo estroverso, il tipo sensoriale estroverso, il tipo logico introverso, il tipo sentimentale introverso, il tipo intuitivo introverso, il tipo sensoriale introverso.
L'introversione è definita nei termini seguenti:
"Chiamo introversione il rivolgersi della libido verso l'interno del soggetto. Questo fatto esprime un rapporto negativo del soggetto verso l'oggetto. L'interesse non si dirige verso l'oggetto, ma si ritira e ritorna verso il soggetto stesso.
L'uomo introverso pensa, sente e agisce in un modo che mostra chiaramente che è il soggetto a determinare ogni suo atteggiamento, mentre l'oggetto ha solo un'importanza secondaria. L'introversione può avere un carattere intellettuale o affettivo; essa può anche avere come suo carattere distintivo l'intuizione o la sensazione; essa è attiva se il soggetto vuole isolarsi dall'oggetto; è passiva quando il soggetto è incapace di ricondurre sull'oggetto la libido che se ne ritrae. L'introversione abituale è caratteristica del tipo introverso." (p. 422)
L'estroversione viceversa è definita nei termini seguenti:
"Estroversione significa orientamento della libido verso l'esterno. Chiamo estroverso un rapporto del soggetto con l'oggetto tale che l'interesse soggettivo si muove positivamente verso l'oggetto. Nello stato di estroversione si pensa, si sente e si agisce relativamente all'oggetto, in modo evidente e direttamente percettibile, tanto che l'atteggiamento positivo del soggetto riguardo all'oggetto è fuori di dubbio. In un certo senso, è un atto di trasferimento dell'interesse del soggetto nell'oggetto. Se si tratta di un'estroversione del pensiero, il soggetto si pensa in qualche modo nell'oggetto; se si tratta invece di un'estroversione del sentimento, questo compenetrerà l'oggetto come dall'interno. Nello stato di estroversione il soggetto è fortemente ma non esclusivamente condizionato dall'oggetto. L'estroversione è attiva quando è intenzionale, voluta dal soggetto; passiva, al contrario, quando è l'oggetto che l'ottiene con forza, attirando, suo malgrado, l'interesse del soggetto. L'estroversione abituale produce il tipo estroverso. " (p. 399)
In breve:
"Si potrebbe definire la tendenza all'introversione quella che in ogni circostanza cerca di dare all'io e ai processi psicologici soggettivi il predominio sugli oggetti e i processi oggettivi, o per lo meno, di affermarli di fronte all'oggetto, dando così più importanza al soggetto che all'oggetto
La tendenza all'estroversione, al contrario, subordina il soggetto all'oggetto, che quindi acquista un valore preponderante. A sua volta, il soggetto non ha più che un'importanza marginale; i processi soggettivi appaiono talora qualcosa di superfluo o dannoso rispetto agli avvenimenti oggettivi" (p. 37).
Esse sono rappresentate entrambe in ogni soggetto con un peso diverso, secondo una logica combinatoria che configura uno spettro. Neppure agli estremi di questo, si danno delle forme pure perché l'interesse per uno dei due mondi in cui vive l'uomo - quello interno e quello esterno - è comunque compensato da un qualche interesse per l'altro, che, se non è rappresentato a livello cosciente, si realizza sempre a livello inconscio.
L'illustrazione delle caratteristiche generali del tipo estroverso e di quello introverso non aggiunge molto alle definizioni riportate se non un'osservazione di estremo interesse, che concerne il tipo estroverso, e la specificazione del compenso che si realizza a livello inconscio nell'uno e nell'altro tipo.
Per il tipo estroverso le caratteristiche generali sono le seguenti:
"Quando l'orientamento secondo l'oggetto e il dato oggettivo predominano in modo che le decisioni e le azioni più frequenti e importanti non siano condizionate dalle idee soggettive ma dagli atteggiamenti oggettivi, si parla di atteggiamento estroverso; quando questo atteggiamento è abituale, si parla di tipo estroverso. Chi pensa, sente e agisce, in breve, chi vive in accordo "inmmediato" con le condizioni oggettive e le esigenze che esse pongono, sia in senso positivo che in senso negativo, è un estroverso; vive, cioè, in modo tale che, evidentemente, l'oggetto, dato come determinante, ricopre nella sua coscienza un ruolo più importante che non l'opinione soggettiva. Certamente, ha delle opinioni personali, ma la loro forza determinante è minore di quella delle condizioni esterne
Il suo "interesse" e la sua "attenzione" obbediscono agli avvenimenti oggettivi, in primo luogo a quelli che si producono nel suo entourage immediato
Gli avvenimenti esterni esercitano su di lui un'attrazione pressochè inesauribile, sicché è normale che il suo interesse non si spinga più in là. Le leggi morali dell'azione coincidono con le esigenze corrispondenti della società, in altre parole con la concezione morale comunemente accettata: se l'opinione comune fosse diversa, diverse sarebbero le linee soggettive di condotta morale, senza che per questo l'"habitus" psicologico d'insieme subisca la minima modificazione. Questo rigido condizionamento dei fattori oggettivi non implica, come potrebbe sembrare, un adattamento totale o anche ideale alle condizioni di vita. Dal punto di vista dell'estroverso, evidentemente, un tale "inserimento" nel dato oggettivo deve sre un adattamento totale, perché egli non ha un altro criterio a sua disposizione; ma, considerando la cosa da un punto di vista più ampio, non è affatto certo che i dati oggettivi rappresentino, in ogni caso, la norma. Essi possono, invece, essere anormali in un determinato momento storico o in una situazione particolare; in questo caso, un individuo inserito in simili circostanze agisce nello stle del suo ambiente, ma si trova nello stesso tempo in una situazione anormale in rapporto alle leggi generali della vita
Egli si è "inserito", non "adattato", perché l'adattamento non si risolve solo nell'obbedire, nel sottomettersi senza scosse alle condizioni di vita dell'ambiente: esso richiede l'osservanza di leggi più generali delle condizioni storiche contemporanee e locali. L'inserimento puro e semplice segna il limite del tipo estroverso normale: egli deve la sua normalità al fatto che si inserisce senza gravi attriti nelle circostanze che gli si presentano e che non ha altra pretesa che di adeguarsi alle condizioni oggettivamente fissate;.. farà o eseguirà quello di cui il suo ambiente avrà bisogno in quel momento, quello che ci si aspetterà da lui; si asterrà da ogni innovazione che non sia assolutamente e evidentemente necessaria, e da tutto ciò che possa in qualche modo andare al di là delle aspetttive dell'ambiente
Il pericolo che l'estroverso corre è di essere assorbito negli oggetti e di perdervisi totalmente " (pp. 310 - 313).
La tendenza dell'estroverso a perdersi totalmente negli oggetti viene compensata a a livello inconscio da "una tendenza radicalmente egocentrica". Jung scrive: "L'atteggiamento inconscio atto a compensare efficacemente l'atteggiaento cosciente estroverso presenta un carattere, in un certo senso, "introvertente"; questo concentra l'energia sul fattore soggettivo, cioè su quei bisogni e quelle esigenze che hanno subito una repressione od una rimozione
L'assimilazione totale all'oggetto si scontra con la resistenza dell'elemento minoritario represso costituito dal passato e da ciò che esiste fin dall'origine. Qiesta considerazione del tutto generale permette di comprendere che le pretese inconsce del tipo estroverso hanno un carattere nettamente primitivo, infantile ed egoista
Più l'atteggiamento conscio estroverso è completo, più l'atteggiamento inconscio è infantile ed arcaico. A volte è anche contraddistinto da un egoismo brutale, che supera largamente l'infantile e rasenta la scelleratezza " (pp. 314 - 315).
Le caratteristiche generali del tipo introverso sono le seguenti: egli "si distingue dall'estroverso perché non si orienta, come quest'ultimo, secondo l'oggetto e il dato oggettivo, ma tiene conto soprattutto dei fattori soggettivi
La coscienza introversa vede certo perfettamente le condizioni esteriori, ma dà la preponderanza alle determinanti soggettive che essa crede più importanti
Mentre l'estroverso si basa sempre di preferenza su ciò che gli viene dall'oggetto, l'introverso si richiama alla costellazione che l'impressione esteriore fa nascere nel soggetto" (pp. 346 -347).
Posto che un fattore soggettivo ("Io chiamo fattore soggettivo l'azione o la reazione psicologica che si confonde con l'impressione oggettiva in un nuovo stato di fatto psichico" p. 347) è presente in ogni conoscenza, c'è da chiedersi qual è la sua specificità per quanto riguarda l'introversione: Jung scrive: "L'eccessivo punto di vista dell'introverso nella coscienza non conduce ad un'utilizzazione migliore e più valida del fattore soggettivo, ma da una soggettivizzazione artificiale della coscienza, alla quale non si può fare a meno di rimproverare "il suo atteggiamento esclusivamente soggettivo"" (p. 348).
Questa escusività del fattore soggettivo viene compensata a livello inconscio: "Poiché i rapporti dell'io con l'oggetto sono difettosi si produce nell'inconscio un rapporto di compensazione che si manifesta nella coscienza sotto forma di attaccamento incondizionato ed irresistibile all'oggetto: più l'io cerca di assicurarsi ogni tipo di libertà, di indipendenza, di autonomia e di superiorità, più diventa schiavo del dato oggettivo. La libertà dello spirito viene incatenata ad una miserabile inferiorità economica, la noncuranza nell'azione scompare ansiosamente, una volta o l'altra, dinanzi all'opinione pubblica, la superiorità morale sprofonda nel pantano delle relazioni dubbie, il desiderio di potenza finisce col diventare un penoso desiderio di essere amato. L'inconscio si preoccupa ora del rapporto con l'oggetto, in modo atto a distruggere quamto più definitivamente possibile le illusioni di potenza e le fantasie di superiorità del conscio; l'oggetto prende dimensioni angosciose, nonostante gli sforzi del conscio che tende a comprimerlo. In seguito l'io si sforza ancora di separarsi dall'oggetto e di dominarlo: finalmente si protegge con un sistema frmale di sicurezze per tentare di conservare almeno l'illusione della superiorità; facendo questo, l'introverso si stacca completamente dall'oggetto e si logora interamente in misure di difesa da una parte, e in tentativi infruttosi dall'altra, per imporsi all'oggetto e per affermarsi" (pp. 350 - 351).
Com'è evidente da queste citazioni, Jung non riesce ad andare molto al di là della definizione originaria per cui l'estroverso è preda dal mondo esterno e l'introverso dal mondo interno. Tale cattura comporta, per un verso, il pericolo di un inserimento nel mondo acritico e passivo, e, per un altro, quello di un progressivo distacco dal mondo.
L'illustrazione degli otto tipi identificati da Jung non è molto persuasiva. Come per il tipo logico introverso, che io ritengo sia stato scritto pensando a Freud, ignorando che in quel tipo rientrano di sicuro alcuni matematici che vivono sì irretiti nel lor mondo interiore, ma sono anche persone appagate, serene e benevoli, si tratta di schizzi di carattere ciascuno dei quali sembra fare riferimento a una o più persone conosciute da Jung che egli assume come rappresentanti di un modo di essere universale. Quanta attendibilità c'è nel far rientrare nel tipo logico estroverso "riformatori, pubblici accusatori, epuratori di coscienze, o diffusori di importanti innovazioni" (p. 122); nel tipo sentimentale estroverso le donne che si sposano per interesse ("si ama l'uomo che "conviene" escludendo ogni altro; e conviene non perché piace al carattere soggettivo nascosto della donna, che spesso lo ignora, ma perché con la sua posizione, la sua età, la sua fortuna, il suo rango, la rispettabilità della sua famiglia, soddisfa tutte le esigenze più ragionevoli" p. 331; nel tipo intuitivo estroverso "molti commercianti, imprenditori, speculatori, agenti, politici, ecc." (p. 342); nel tipo sensoriale introverso una personalità tendenzialmente autistica ("questo tipo è assia difficilemnte accessibile alla comprensione oggettiva: egli è il più delle volte incomprensibile per se stesso. Il suo sviluppo lo allontana soprattutto dalla realtà dell'oggetto e lo libera dalle percezioni soggettive che lo orientano la sua coscienza verso una realtà arcaica. Di fatto, egli si muove in un mondo mitologico dove uomini, animali, ferrovie, case, monti e fiumi prendono l'apetto di dei clementi o di demoni malvagi" p. 366); nel tipo intuitivo introverso "il sognatore e visionario mistico per un verso, il bizzarro e l'artista, dall'altro" (p. 370)? Certo, le tipologia junghiane sono ricche di spunti suggestivi, ma oscillano tra l'universalità scientifica che pretendono di avere e il riferimento ad un determinato contesto socio-storico.
3.
Al di là dell'intuizione di fondo, riferita ai due orientamenti costituzionali - l'introversione e l'estroversione -, c'è insomma nel saggio qualcosa che non convince. I problemi, a mio avviso, sono due.
Il primo è che Jung si è attenuto ad una definizione generale di quei due orientamenti che è poco precisa. L'esistenza di un mondo esterno e di un mondo interno, tra i quali la coscienza funziona come un'interfaccia, è una realtà con la quale deve confrontarsi ogni esperienza soggettiva. Ora, si può pensare che il mondo interno abbia una sua realtà primaria geneticamente determinata, che esso comporti cioè potenzialità introverse e potenzialità estroverse secondo uno spettro combinatorio estremamente ampio. Ma questo aspetto, nella misura in cui è possibile, andrebbe analizzato preliminarmente rispetto alle interazioni con l'ambiente che determinano o inducono una strutturazione della personalità. Occorrerebbe chiedersi quale sia il senso originario di quelle potenzialità nella logica della natura e dell'evoluzione umana che continua a produrle rimescolando di continuo il patrimonio genetico. La risposta di Jung, secondo la quale l'introversione comporta un'attrazione naturale per il mondo interno e quella estroversa un'attrazione naturale per il mondo esterno, è orientativamente fuori di dubbio. Essa però non spiega il senso di questa attrazione.
Non penso di poter fornire una risposta esauriente a riguardo. Penso però che non si vada lontano dal vero ipotizzando che l'estroversione promuova un adattamento alla realtà così com'è, mentre l'introversione si fondi sull'intuizione "viscerale" di mondi e di modi di essere possibili. L'adattamento estroverso non è, da questo punto di vista, solo di ordine passivo: non comporta solo il conformismo. Esso può dare luogo anche ad una trasformazione del mondo "tecnica" per renderlo più adatto ai bisogni umani. L'introversione, viceversa, sembra sempre difettosa sul piano pratico, poiché i mondi e i modi di essere possibili cui fa riferimento sono sostanzialmente di ordine morale, concernono insistentemente i diritti umani, sia per quanto riguarda il soggetto (la cui individuazione richiede talvolta di trascendere l'orizzonte normativo) sia per quanto riguarda i rapporti interpersonali, che vengono intesi nella luce del rispetto, della delicatezza e del non fare male agli altri.
Il secondo motivo per cui la teorizzazione di Jung si può ritenere insoddisfacente è riconducibile al fatto che l'oggetto cui egli fa genericamente riferimento non esiste, per ogni soggetto, che sotto forma di un determinato mondo storico e culturale che propone ai suoi membri un modello normativo con cui essi devono fare i conti. Ora questo modello può, di volta in volta, favorire lo sviluppo delle potenzialità estroverse o introverse, favorire le une a danno delle altre o favorire uno sviluppo alienato di entrambe.
Come si colloca, da questo punto di vista, la nostra società? Dire che essa ha adottato univocamente un modello normativo estroverso è una banalità, che serve però a capire in quale misura gli introversi siano ostacolati nella loro individuazione. Io penso che la nostra società non favorisca neppure lo sviluppo delle potenzialità estroverse, ma le alieni nella direzione del falso io.
Una tipologia psicologica autenticamente scientifica non potrà, di conseguenza, per un verso prescindere dal definire in termini più precisi le potenzialità introverse e estroverse in sé e per sé e, per un altro, prescindere dal valutare l'incidenza delle influenze ambientali - storiche, sociologiche e culturali - sullo sviluppo e sulla strutturazione della personalità. Si tratta di un compito immane, che difficilmente potrà essere portato a compimento. Averlo suggerito è merito di Jung, anche se gli esiti della sua ricerca si possono ritenere insoddisfacenti.
Ottobre 2003