Si tratta di cinque saggi che, con altri sette scritti da Freud ma andati perduti, erano destinati a fornire l'impalcatura concettuale della teoria psicoanalitica. Per quanto tra di essi si diano indubbiamente intime correlazioni, è necessario analizzarli singolarmente.
Pulsioni e loro destini
Fin dall'inizio della sua attività, come noto, Freud ha interpretato i fenomeni psicopatologici riconducendoli a vicissitudini pulsionali. Non è sorprendente pertanto che egli avverta l'esigenza di dare sistemazione teorica ad un concetto che già da qualche anno era stato messo in discussione sia da Adler che da Jung. Il presupposto del concetto è che la pulsione rappresenti, per l'apparato mentale, l'equivalente interno degli stimoli che provengono dal mondo esterno. Si tratta dunque di una "forza d'urto" (p. 15) che, rispetto agli stimoli interni, ha tre caratteri differenziali: "la provenienza da fonti stimolatrici poste nell'interno dell'organismo il suo presentarsi come forza costante e il fatto che essa non può essere vinta mediante azioni di fuga" (p.15). Un concetto, quello di pulsione, che sta al "limite tra lo psichico e il somatico" (p. 18), per specificare il quale occorre distinguere la spinta, la meta, l'oggetto e la fonte: "Per spinta di una pulsione s'intende l'elemento motorio di questa, la somma di forze o la misura delle operazioni richieste che essa rappresenta" (p. 18); "La meta di una pulsione è in ogni caso il soddisfacimento che può essere raggiunto soltando sopprimendo lo stato di stimolazione alla fonte della pulsione" (p. 18); "L'oggetto della pulsione è ciò in relazione a cui, o mediante cui, la pulsione può raggiungere la sua meta" (p. 18); "Per fonte della pulsione si intende quel processo somatico che si svolge in un organo o parte del corpo il cui stimolo è rappresentato nella vita psichica dalla pulsione" (p. 19).
Definita in questi termini, la pulsione si sovrappone al concetto di motivazione, messo a fuoco successivamente dalle scienze psicologiche. Il termine originario tedesco (Trieb) vale a sottolienarne il carattere dinamico e , soprattutto, la sua origine somatica.
Di quante pulsioni occorre ammettere l'esistenza per spiegare il comportamento umano? La risposta di Freud è estremamente importante: "E' chiaro che qui vi è un ampio margine di discrezionalità. E non vi è nulla da obbiettare contro chi voglia introdurre il concetto di una pulsione di gioco, di una pulsione di distruzione, di una pulsione di socialità, quando l'argomento lo esiga e la specificità dell'analisi psicologica induca a farlo. Tuttavia dovremmo domandarci se questi motivi pulsionali, per un verso giù così specializzati, non consentano un'ulteriore scomposizione nella direzione delle fonti pulsionali, e se quindi non competa un vero significato soltanto alle pulsioni originarie, ossia alle pulsioni non ulteriormente scomponibili" (p. 19).
Queste righe contengono l'equivoco che mortificherà la scoperta dell'inconscio. Tale scoperta implica che l'esperienza psicologica si realizza in virtù di un gioco dinamico di motivazioni consce e inconsce. Nella misura in cui Freud postula che la fonte della pulsione sia in un organo o parte del corpo (eccezion fatta per il cervello laddove essa assume una rappresentazione psichica) e ipotizza che le pulsioni primarie siano solo quelle elementari, è evidente che egli non può ammetterne che due: quelle che servono a salvaguardare l'organismo (per esempio la fame) e quelle che promuovono la riproduzione. Infatti Freud scrive: "Ho proposto di distinguere due gruppi di tali pulsioni originarie, quello delle pulsioni dell'Io o di autoconservazione e quello delle pulsioni sessuali" (p. 20). Si tratta in effetti di pulsioni primarie, che sono presenti in tutto il mondo animale. Ammettere però che la complessificazione del cervello avvenuta con l'antropogenesi non abbia comportato alcuna riorganizzazione motivazionale appare francamente riduttivo. E' ovvio che in questo sta il punto debole della teoria freudiana: nel ridurre per un verso le pulsioni dell'Io all'autoconservazione, non considerando il fatto che l'Io ha bisogno anche di autorealizzazione, e nell'escludere l'esistenza di una pulsione sociale, che sarebbe rappresentata solo dalla sessualità.
Posta la distinzione tra i due gruppi di pulsione, si tratta di capire quali siano le loro vicissitudini. A riguardo "l'osservazione ci insegna che una pulsione può incorrere nei seguenti destini : La trasformazione nel contrario. Il volgersi sulla persona stessa del soggetto. La rimozione. La sublimazione." (p. 22). "La trasformazione nel contrario si risolve, a ben vedere, in due processi di diversa natura: il cambiamento dall'attività alla passività, e la inversione di contenuto" (p. 229). "Esempi del primo processo sono forniti dalle coppie antitetiche sadismo-masochismo e piacere di guardare-esibizionismo L'inversione del contenuto si riscontra solo nel mutamento dell'amore in odio" (p. 22).
Il significato di questa ultima ambivalenza, la più importante in ambito psicopatologico, porta Freud a ricostruire uno schema di sviluppo dell'io che parte dal presupposto che "la vita psichica è dominata in generale da tre polarità, e cioè dalle antitesi: Soggetto (Io) - oggetto (mondo esterno); Piacere -Dispiacere; Attivo - Passivo" (p. 19). "Le tre polarità psichiche presentano tra loro connessioni molto significative. Vi è una situazione psichica originaria nella quale due di esse coincidono. Originariamente, ai primordi della vita psichica, l'Io è investito dalle proprie pulsioni e parzialmente capace di soddisfarle su se medesimo. Chiamiamo questo stato "narcisismo" e questo modo di ottenere il soddisfacimento "autoerotico". In questa fase il mondo esterno non è investito di interesse (genericamente inteso) e appare indifferente ai fini del soddisfacimento. In questo periodo l'Io-soggetto coincide col piacevole, il mondo esterno con l'indifferente (o al caso, in quanto fonte di stimoli, con lo spiacevole) L'Io non ha bisogno del mondo esterno fintantoché è autoerotico, tuttavia è dal mondo che riceve gli oggetti connessi alle esperienze delle pulsioni di autoconservazione; né per un certo periodo può fare a meno di avvertire gli stimoli pulsionali interni come spiacevoli. Ebbene, sotto il dominio del principio di piacere si compie nell'io un'evoluzione ulteriore. Esso assume in sé gli oggetti offertigli, in quanto costituiscono fonti di piacere, li introietta e caccia d'altra parte fuori di sé ciò che nel suo stesso interno diventa occasione di dispiacere. L'Io si trasforma così dall'Io-realtà primordiale che ha distinto l'interno dall'esterno in base ad un buon criterio obbiettivo, in un Io-piacere allo stato puro, che pone il carattere del piacere al di sopra di ogni altro. Il mondo esterno si scinde ora per lui in una porzione piacevole che egli ha incorporato in sé, e in una restante porzione che gli è estranea. D'altra parte ha estratto dal suo stesso Io una componente che proietta nel mondo esterno e sente nemica. In seguito a questo rivolgimento si ristabilisce la coincidenza delle due polarità: Io-soggetto con piacere e mondo esterno con dispiacere (a partire dalla precedente indifferenza)" (pp. 30-31).
Non si considererà mai abbastanza il fatto il peso di questa concezione solipsistica dell'Io, animato dall'esigenza primaria di rifuggire il dispiacere e catturato da una condizione originaria - il narcisismo - che implica l'indifferenza nei confronti del mondo esterno. Sotto il dominio del principio di piacere, l'apertura al mondo è null'altro che un tentativo dell'Io di subordinare l'oggetto alle sue esigenze: "Dopo che alla fase puramente narcisistica è subentrata la fase oggettuale, piacere e dispiacere stanno a significare le relazioni che l'Io ha con l'oggetto. Quando l'oggetto diventa fonte di sensazioni piacevoli si produce una tendenza motoria, mirante ad avvicinare l'oggetto all'Io, a incorporarlo in esso; parliamo in tal caso anche dell'attrazione esercitata su di noi dall'oggetto che suscita piacere e dichiariamo di "amare" tale oggetto. Viceversa, quando l'oggetto è fonte di sensazioni spiacevoli, sorge una tendenza ad accrescere la distanza tra esso e l'Io, e cioè a ripetere, in relazione ad esso, l'originario tentativo di fuga dal mondo esterno da cui promanano gli stimoli. Avvertiamo la "repulsione" esercitata dall'oggetto e lo odiamo" (pp. 31-32).
Dunque "l'amore nasce dalla capacità propria dell'io di soddisfare una parte dei suoi moti pulsionali in guisa autoerotica mediante il conseguimento di un piacere d'organo. Tale piacere è originariamente narcisistico, trapassa quindi sugli oggetti che sono stati incorporati nell'io allargato, ed esprime l'impulso motorio dell'Io verso questi oggetti quali fonti di piacere" (p. 33). "L'odio, come relazione nei confronti dell'oggetto, è più antico dell'amore; esso scaturisce dal ripudio primordiale che l'Io narcisistico oppone al mondo esterno come sorgente di stimoli. In quanto manifestazione della reazione di dispiacere provocata dagli oggetti, l'odio si mantiene sempre in intimo rapporto con le pulsioni di conservazione dell'Io, così che le pulsioni dell'Io e le pulsioni sessuali pervengono facilmente ad un'antitesi che riproduce l'antitesi amore-odio" (p. 34).
Nell'assumere l'odio come una relazione nei confronti dell'oggetto più antica dell'amore, fondata sull'avversione dell'Io narcisistico rivolta a tutto ciò che provoca dispiacere, Freud pone i presupposti logici (che sono in realtà ideologici) di uno sviluppo teorico che lo porterà a privilegiare l'istinto di morte rispetto a quello di piacere.
La rimozione
La pulsione è dunque una spinta somatica dotata di una quota energetica, rappresentata a livello psichico, che, per essere assoggettata al principio univoco del soddisfacimento e indifferente, di conseguenza al mondo esterno, laddove si danno altri soggetti animati dallo stesso principio, non può coesistere integralmente con la coscienza che, fin dai suoi esordi, deve fare i conti col principio di realtà. In conseguenza di questo: "Abbiamo motivo di supporre l'esistenza di una rimozione originaria, e cioè di una prima fase della rimozione che consiste nel fatto che alla "rappresentanza" psichica (ideativa) di una pulsione viene interdetto l'accesso alla coscienza. Con ciò si produce una fissazione: la rappresentanza in questione continua da allora in poi a sussistere immutata e la pulsione rimane ad essa legata" (p. 38). "Il secondo stadio della rimozione, la rimozione propriamente detta, colpisce i derivati psichici della rappresentanza rimossa, oppure quei processi di pensiero che pur avendo una qualsiasi altra origine sono incorsi in una relazione associativa con la rappresentanza rimossa. In forza di tale relazione queste rappresentazioni incorrono nello stesso destino di ciò che è stato originariamente rimosso. La rimozione propriamente detta è perciò una post-rimozione" (p. 38).
Il rimosso è dunque un nucleo dinamico che tende a penetrare nella coscienza, ma può farlo solo in nome del fatto che le rappresentazioni in cui si esprime siano deformate in maniera tale da non essere riconoscibili da parte della coscienza stessa: "La rimozione agisce in guise altamente individuali; ogni singola propaggine del rimosso può avere una propria sorte particolare; un po' più e un po' meno di deformazione fa sì che l'intero esito si ribalti" (p. 40). Oltre che individuale, la rimozione è anche estremamente mobile: "Non ci si deve rappresentare il processo della rimozione come un accadimento che si produce una volta per tutte e le cui conseguenze sono permanenti Possiamo supporre che il rimosso eserciti una costante pressione nella direzione del cosciente, pressione che deve essere bilanciata da un'ininterrotta compressione" (p. 41).
Se questo vale per la rappresentazione della pulsione, diverso è il discorso che riguarda l'energia pulsionale. Nella misura in cui questa si è staccata dalla rappresentazione, essa "trova un modo id esprimersi proporzionato al suo valore quantitativo in processi che vengono avvertitti soggettivamente come affetti" (p. 43): "Il destino del fattore quantitativo della rappresentanza pulsionale può essere di tre tipi ; la pulsione può essere totalmente repressa così che di essa non si trova più traccia alcuna; oppure si manifesta come un affetto con una coloritura qualsivoglia di tipo qualitativo; oppure si tramuta in angoscia" (p. 43).
Tenendo conto del destino della rappresentazione del rimosso e di quello del suo fattore quantitativo, si possono analizzare i sintomi della psiconevrosi come espressione di un "ritorno del rimosso" (p. 44).
Ancorata alla teoria pulsionale, la concezione freudiana della rimozione appare piuttosto riduttiva. Per un verso infatti essa trascura che si possa dare un'incompatibilità di ordine strutturale tra il bisogno di coerenza della coscienza e un patrimonio inconscio la cui ricchezza, indipendentemente da contenuti repressi, non potrebbe penetrare in essa senza effetti confusionali. In secondo luogo, essa minimizza il fatto che l'organizzazione culturale della coscienza può impedire ad essa di cogliere nei messaggi che muovono dall'inconscio l'espressione non tanto di spinte pulsionali, bensì di bisogni frustrati il cui dispiegamento è necessario ai fini dell'individuazione e dell'autentificazione.
L'inconscio
"Il rimosso non esaurisce tutta intera la sfera dell'inconscio. L'inconscio ha un'estensione più ampia; il rimosso è una parte dell'inconscio" (p. 49). In questa frase e in tutto il saggio che la illustra è stato letto giustamente il superamento di una concezione contenutistica dell'inconscio a favore di una concezione strutturale, vale a dire di una concezione che assume l'inconscio come un altro modo di essere psichico rispetto a quello cosciente alla cui attività manca per l'appunto l'attributo dell'essere cosciente.
Come si può specificare questo altro modo di essere, posto che "il non essere conscio è solo uno dei (suoi) aspetti, che da solo non basta a caratterizzarlo" (p. 55)? Freud ha già individuato il carattere dinamico dell'inconscio, dovuto alla spinta pulsionale. Si tratta ora di tentare di definirne, assumendolo come un sistema, la sua organizzazione topica, vale a dire la sua disposizione sotto forma di "regione" in rapporto all'apparato psichico. A tale fine Freud distingue tre regioni o sistemi psichici: l'inconscio (Inc) appunto, i cui contenuti e atti psichici difettano dell'attributo di essere coscienti, il Pre-Conscio (Prec), i cui contenuti possono diventare coscienti, e la Coscienza (C), i cui contenuti sono presenti all'Io. Tra Inc e Prec occorre ammettere una rigida censura, che può essere sormontata spontaneamente solo da formazioni sostitutive, cioè da rappresentazioni che mascherano il contenuto pulsionale. Una censura meno rigida si può ammettere anche al confine tra Prec e C.
I contenuti inconsci non sono però solo ideativi. La psicoanalisi dimostra, contro il senso comune, che si danno anche affetti o sentimenti inconsci, nei quali si esprime "il fattore quantitativo del moto pulsionale in seguito alla rimozione" (p. 61). Anche gli affetti e i sentimenti inconsci sono assoggettati a censura, però "la padronanza dello sviluppo affettivo da parte del sistema C è meno salda.Ci rendiamo conto che perfino nell'ambito della vita normale si svolge una contesa permanente fra i due sistemi C e Inc per il primato nel campo dell'affettività; che pur essendo certe sfere d'influenza nettamente delimitate, si determinano alcune commistioni delle forze in gioco" (p. 62).
Al di là dell'aspetto dinamico e di quello topico, occorre infine considerare l'aspetto economico. L'equilibrio del sistema cosciente, continuamente attentato dalle spinte pulsionali, richiede, al confine tra Prec e Inc un controinvestimento da parte del primo, cioè un dipsendio energetico che mira a mantenere la rimozione: "il controinvestimento è il solo e unico meccanismo che interviene nel caso della rimozione originaria, mentre nel caso della rimozione propriamente detta (post-rimozione) si aggiunge la sottrazione dell'investimento preconscio. E' assai probabile che sia proprio l'investimento sottratto alla rappresentazione a essere usato per il controinvestimento" (p. 65).
Ciò posto, Freud giunge a considerare le caratteristiche specifiche del sistema inconscio che non hanno riscontro nel sistema cosciente: "Il nucleo dell'Inc è costituito da rappresentanze pulsionali che aspirano a scaricare il proprio investimento, dunque da moti di desiderio. Questi moti pulsionali sono fra loro coordinati, esistono gli uni accanto agli altri senza influenzarsi, e non si pongono in contraddizione reciproca in questo sistema non esiste la negazione, né il dubbio, né livelli diversi di certezza
Le intensità degli investimenti sono di gran lunga più mobili (nell'Inc). Una rappresentazione può cedere tutto l'ammpntare del proprio investimetno a un'altra rappresentazione attraverso il processo di spostamento; oppure può appropriarsi di tutto l'investimento di parecchie rappresentazioni attraverso il processo di condensazione. Ho proposto di consiederare questi due processi come ciò che contraddistingue il cosiddetto processo psichico primario
I processi del sistema Inc sono atemporali, e cioè non sono ordinati temporalmente, non sono alterati dal trascorrere del tempo, non hanno, insomma, alcun rapporto con il tempo
Parimenti i processi inconsci non tengono in considerazione neppure la realtà. Sono soggetti al principio di piacere; il loro destino dipende soltanto dalla loro forza e dal fatto che soddisfino omeno alle richieste del meccanismo che regola il rapporto piacere-dispiacere
Riassumendo: assenza di reciproca contraddizione, processo primario (mobilità degli spostamenti), atemporalità e sostituzione della realtà esterna con la realtà psichica sono i caratteri che possiamo aspettarci d'incontrare nei processi appartenenti al sistema Inc" (pp. 70-71).
Il contrasto di queste caratteristiche rispetto ai processi coscienti è radicale. L'inconscio ha una logica sua propria, singolare se tali caratteristiche vengono ricondotte ad un mondo sotteso dalla pulsione, che, attraverso di esse, esprimerebbe il suo cieco orientamento verso il soddisfacimento. E' evidente che, se si pone da parte il riferimento pulsionale, le caratteristiche dell'inconscio vanno riformulate e reinterpretate. Rimando per questo all'analisi critica dell'opera di Matte Blanco, che si è impegnato in questa direzione senza conseguire, a mio avviso, risultati soddisfacenti.
Supplemento metapsicologico alla teoria dei sogni
Il saggio serve a integrare nella teoria del sogno il tema del narcisismo, che Freud ha affrontato da poco, e adefinire il particolare tipo di rapporto che l'attività onirica, e dunque l'inconscio, intrattiene con la realtà. Riguardo al prima problema Freud scrive: "Dal punto di vista somatico il sonno è una riattivazione del soggorno nel grembo materno dal momento che ne realizza le condizioni di riposo, calore e assenza di stimoli; non a caso molte persone riassumono durante il sonno la posizione fetale. Lo stato psichico del dormiente è caratterizzato da un ritrarsi pressochè completo dal mondo circostante e da una cessazione di ogni interesse per il medesimo. Nell'indagare gli stati psiconevrotici siamo indotti a sottolineare in ciascuno di essi le cosiddette regressioni temporali, ossia qurl tanto di recessione evolutiva che è loro peculiare. Distinguiamo, fra queste regressioni, quella che riguarda lo sviluppo dell'Io e quella che riguarda lo sviluppo della libido. Quest'ultima,nello stato di sonno, giunge fino al ripristino del narcisismo originario, mentre la prima perviene allo stadio del soddisfacimento allucinatorio del desiderio" (pp. 89-90).
I sogni dunque "sono assolutamente egoistici" (p. 90) e "ciò deriva comprensibilmente dal narcisismo proprio dello stato di sonno. Narcisismo ed egoismo infatti coincidono. Il termine "narcisismo" intende solo sottolineare che l'egoismo è anche un fenomeno libidico; o, per esprimere la stessa cosa con altre parole, il narcisismo può essere definito come il completamento libidico dell'egoismo" (p. 90).
Per quanto riguarda il secondo problema, il discorso è più articolato: "il compimento del processo onirico consiste nel fatto che il contentuto del pensiero - regressivamente trasformato e rielaborato in una fantasia di desiderio - diventa cosciente sotto forma di percezione sensoriale, subendo quindi quell'elaborazione secondaria alla quale è soggetto ogni contenuto percettivo. Noi asseriamo che il desiderio onirico viene allucinato, e, in quamto allucinazione, trova il modo di credere alla realtà del proprio appagamento La formazione della fantasia di desiderio e il suo regredire fino all'allucinazione sono le parti più essenziali del lavoro onirico, anche se non gli appartengono in modo esclusivo Si potrebbe parlare in via generalissima di una "psicosi allucinatoria di desiderio"" (p. 96)
D'acchito si potrebbe pensare che l'allucinazione onirica sia null'altro che l'affiorare di immagini mnestiche particolarmente vivaci di natura inconscia. Freud rileva invece che essa implica invece la sospensione dell'esame di realtà che è propria della coscienza e permette di distinguere il mondo esterno dalla realtà psichica. Posto che l'esame di realtà va annoverata tra le grandi istituzioni dell'Io, è evidente che, venendo a mancare con il sonno "l'investimento del sistema C cade la possibilità dell'esame di realtà; e gli eccitamenti che, indipendentemente dallo stato di sonno, si sono messi sulla strada della regressione, troveranno via libera fino al sistema C, in cui si faranno valere come realtà incontestabile" (p. 101).
Il sogno dunque è un'attività regressiva della vita psichica che fa affiorare lo statuto originariamente narcisistico dell'Io e la modalità primaria di rapporto con la realtà, caratterizzata dall'appagamento allucinatorio del desiderio.
E' evidente che questa concezione vale solo se si ammette il monismo interpretativo per cui l'unica motivazione che sottende l'attività onirica e l'inconscio è l'appagamento del desiderio.
Lutto e melanconia
Già a partire dal Caso de presidente Schreber dall'Introduzione al narcisismo Freud ha manifestato l'intento di estendere la portata dell'analisi dalle psiconevrosi alle psicosi. Nel saggio in questione, egli cerca di intepretare psicoanaliticamente la melanconia, vale a dire lo stato psichico caratterizzato "da un profondo e doloroso scoramento, da un venire meno dell'interesse per il mondo esterno, dalla perdita della capacità di amare, dall'inibizione di fronte a qualsiasi attività e da un avvilimento del sentimento di sé che si esprime in autorimproveri e autoingiurie e culmina nell'attesa delirante di una punizione" (p. 103). L'avvio dell'analisi è dovuta all'analogia tra il lutto, che implica una perdita oggettuale, e la melanconia. Che non sembra coscientemente implicare una perdita oggettuale, bensì una perdita che riguarda l'Io: "nel lutto il mondo si è impoverito e svuotato, nella melanconia impoverito e svuotato è l'Io stesso. Il malato coi descrive il sui Io come assolutamente indegno, incapace di fare alcunchè e moralmente spregevole Il quadro di questo delirio d'inferiorità (prevalentemente morale) è completato da insonnia, rifiuto del nutrimento e da un tratto notevolissimo sotto il profilo psicologico, ossia dal superamento di quella pulsione che costringe ogni essere vivente a restare fortemente attaccato alla vita" (p. 105).
E' evidente il motivo per cui Freud sente il bisogno di affrontare il problema della melanconia. Una sindrome del genere, nella misura in cui la sua genesi è inconscia, sembra compromettere la teoria pulsionale. Egli ha già definito la possibilità che la libido assuma una configurazione sadica e masochistica. Nella melanconia però la libido sembra ritirarsi dall'oggetto non meno che dall'Io.
L'intuizione freudiana, sempre viva, porta sulla pista giusta, vale a dire ad intravvedere nella sofferenza del melanconico un aspetto strutturale: "nel melanconico vediamo che una parte dell'Io si contrappone all'altra parte e la assume, per così dire, quale suo oggetto. Il nostro sospetto che l'istanza critica, prodottasi in questo caso per scissione dell'Io, possa dimostrare la sua autonomia anche in altre circostanze sarà confermato da tutte le osservazioni ulteriori. Troveremo davvero che esistono dei motivi validi per separara questa istanza dal resto dell'Io. Ciò che in questo caso impariamo a conoscere è l'istanza comunemente definita coscienza morale; la annovereremo, insieme alla censura della coscienza e all'esame di relatà, fra le grandi istituzioni dell'Io e troveremo anche il modo di dimostrare che può ammalarsi di per sé" (pp. 106-107).
Il ruolo che questa parte, che successivamente sarà denominata Super-io, svolge nella melanconia diventa immediatamente evidente se si ammette che essa ritorce conto l'Io le accuse ricolte all'oggetto: "Se si ascoltano con pazienza le molteplici e svariate autoaccuse del malinconico, alla fine non ci si può sottrarre all'impressione che spesso le più intense di esse si attagliano pochissimo alla persona del malato e che invece con qualche insignificante variazione si adattano perfettamente ad un'altra persona che il malato ama, ha amato o dovrebbe amare... Rendendoci conto che gli autorimproveri sono in realtà rimproveri rivolti ad un oggetto d'amore e da questo poi distolti o riversati sull'Io abbiamo dunque in mano la chiave del quadro patologico della melanconia" (p. 107).
Questa chiave però funziona solo ammettendo un processo complesso: "Al'inizio ebbe luogo una scelta oggettuale, un vincolamento della libido a una determinata persona; poi, a casua di una reale mortificazione o di una delusione subita dalla persona amata, questa relazione oggettuale fu gravemente turbata. L'esito non fu già quello normale, ossia il ritiro della libido da questo oggetto e il suo spostamento su di un altro oggetto, ma fu diverso e tale da richiedere, aa quanto sembra, più condizioni per potersi produrre. L'investimento oggettuale si dimostrò scarsamente resistente e fu sospeso, ma la libido divenuta libera non fu spostata su un altro oggetto, bensì riportata nell'Io. Qui non trovò però un impiego qualsiasi, ma fu utilizzata per isaturare una identificazione dell'Io con l'oggetto abbandonato. L'ombra dell'oggetto cadde cos' sull'Io che d'ora in avanti potè essere giudicato come un oggetto, e precisamente come l'oggetto abbandonato. In questo modo la perdita dell'oggetto si era trasformata in una perdita dell'Io, e il conflitto fra l'Io e la persona amata in un dissidio tra l'attività critica dell'Io e l'Io alterato dall'identificazione" (p. 108).
In questo modo i conti quadrano: "la disposizione (o parte di essa) ad ammalarsi di melanconia dipende dalla preponderanza del tipo narcisistico di scelta oggettuale" (p. 109), "la melanconia è, come il lutto, una reazione alla perdita effettiva dell'oggetto d'amore, ma al di là di questo, essa è ancorata a una condizione che nel lutto normale non compare o, quando compare, lo trasforma in lutto patologico: la perdita dell'oggetto d'amore diventa un'ottima occasione per far valere e mettere in rilievo l'ambivalenza insita nella relazione amorosa" (p. 110); e, infine, "l'investimento amoroso del melanconico per il suo oggetto incorre in un duplice destino: una parte regredisce all'identificazione mentre l'altra parte è riportata, sotto l'influsso del conflitto di ambivalenza, fino allo stadio del sadismo che a quel conflitto è più vicino" (p. 111). Sicchè "solo questo sadismo ci spiega l'enigmatica inclinazione al suicidio che rende così interessante la melanconia, e la fa diventare così perisolosa" (p. 111).
I conti ovviamente quadrano solo nella cornice della teoria pulsionale, che identifica l'oggetto dell'amore in una persona. Di fatto, in alcuni casi, la melanconia fa riferimento ad una situazione interpersonale specifica, all'interno della quale il soggetto sperimenta una mortificazione, una delusione, la sensazione di avere subito un torto, ecc., ma molto più spesso essa implica una rabbia infinita e indifferenziata contro tutto il mondo che viene attivata da una perdita o da una delusione intepersonale. E' evidente che in questi casi il Super-Io ritorce contro il soggetto una rabbia che può avere le sue ragioni di essere e attesta il primato del sociale interiorizzato - dell'Altro - sull'individuo. Ma Freud non può arrivare a questa conclusione perché non attribuisce alla natura umana una pulsione sociale tanto intensa che i diritti dell'altro possono risultare primari rispetto a quelli dell'Io.