COMPENDIO DI PSICOANALISI (1938)

Opere vol. 11 pp. 571- 634

Ultima opera di Freud, rimasta incompiuta, il Compendio di psicoanalisi corrisponde all'esigenza di focalizzare "i capisaldi della psicoanalisi esponendoli, per così dire dogmaticamente, nella forma più concisa possibile e con il massimo rigore terminologico" (p.571). Depurato dai riferimenti clinici e dalle argomentazioni che arricchiscono le opere precedenti, il testo in questione mette in luce la griglia della teoria che Freud è venuto costruendo nel corso degli anni, con i suoi pregi e i suoi limiti.

I pregi sono da ricondurre ad una concezione dinamica della vita psichica centrata su di un Io che deve continuamente, con gli strumenti di cui è in possesso, tentare di mediare le sue esigenze interiori, legate ad un bisogno insopprimibile di felicità e di piacere, con le richieste del mondo esterno: richieste reali, dipendenti dai ruoli sociali che egli ricopre e che gli sono attribuiti dal mondo, e richieste culturali e morali, rappresentate dal Super-Io, che pongono spesso ostacoli molto rilevanti alla realizzazione di quel bisogno.

Questa concezione, drammatica e potenzialmente dialettica, è ulteriormente corroborata dal rilievo che l'Io vive nel presente, ma - voglia o non voglia, lo sappia o no - deve fare i conti con due dimensioni che legano la sua esperienza al passato: l'eredità filogenetica, che determina la sua costituzione, e l'eredità storica e culturale, rappresentata dal Super-Io.

I difetti della teoria freudiana, come ho già detto più volte, sono da ricondurre al biologismo pulsionale per un verso, in conseguenza del quale l'eredità filogenetica, in quanto impasto di pulsioni animalesche, la cui fonte è somatica, non ha nulla di specificamente umano, e, per un altro, alla tendenza a ridurre l'esperienza soggettiva al significato determinante del rapporto con le figure genitoriali e al superamento del complesso edipico, nel quale si esprime la tensione delle pulsioni veros un cieco appagamento che va frustrato.

Si tratta di difetti destinati ad incidere non solo sulla teoria freudiana, che si riduce a vedere l'uomo costantemente minacciato dall'interno - dalla sua natura - e dall'esterno - dalla società e dalla cultura -, ma anche sulla pratica terapeutica.

Di fatto il capitolo più interessante del saggio è il sesto, dedicato alla tecnica psicoanalitica. Un'attenta lettura fa capire perché, nonostante la scoperta dell'inconscio e una concezione dinamica della personalità umana, la terapia analitica ortodossa ha avuto sempre e continua ad avere esiti nel complesso deludenti.

In conseguenza di un conflitto psicodinamico, che Freud riconduce al mancato superamento del complesso edipico, l'io si trova a vivere in una sitauzione penosa: "La richiesta più gravosa che all'Io si presenta è probabilmente quella di tenere a bada le pretese pulsionali dell'Es; per farvi fronte l'Io deve impiegare grandi quantità di energia in controinvestimenti. Ma anche le pretese del Super-Io possono diventare a tal punto pesanti e inesorabili che l'io si sente come paralizzato di fronte agli altri suoi compiti. Abbiamo il sospetto che nei conflitti economici che insorgono in questo modo, spesso l'Io e il Super-io facciano causa comene contro il povero Io oppresso, il quale, nell'intento di salvaguardare la propria condizione di normalità, si tiene saldamente ancorato alla relatà. Se Es e Super-io si rafforzano troppo, riescono a sfaldare l'organizzazione dell'Io e a modificarla in modo tale che il giusto rapporto dell'Io con la realtà ne risulta turbato o addirittura reciso" (pp. 599 - 600).

A partire da una situazione del genere, la terapia analitica si configura come un'alleanza: "Il medico analitico e l'io indebolito del paziente, tenendosi ancorati al mondo esterno, devono formare un partito comune contro i nemici, le pretese pulsionali dell'Es e le pretese di coscienza del Super-Io" (p. 600). Sulla base di questa allenza, la terapia procede alla ricostruzione della storia interiore del soggetto, utilizzando tutto il materiale che egli può fornire attraverso la tecnica delle libere associazioni. Qual è il fine di questa ricostruzione? Capire quando, dove e come è avvenuta la fissazione delle pulsioni erotiche e aggressive, che ha impedito l'acquisizione del principio di realtà.

Sulla via di questa ricostruzione si danno alcuni eventi significativi. Il primo è la traslazione: "il paziente non si accontenta di considerare l'analista, alla luce della realtà, come un aiutante e un consigliere che comunque va ricompensato per gli sforzi compiuti…: egli ravvisa piuttosto nell'analista un ritorno - reincarnazione - di una persona importante della sua infanzia, del suo passato, e trasferisce perciò su di lui sentimenti e reazioni che certamente erano destinati a quel modello" (pp. 601 -602). La traslazione è vantaggiosa perché consente di ricostruire dal vivo le vicissituni originarie del rapporto con i genitori, e di fare sì che il paziente, rivivendole, le elabori. Essa però anche la possibilità che riaffiorino le ambivalenze intrinseche a quel rapporto, che, al limite, possono dar luogo ad una reazione terapeutica negativa.

Il secondo evento è legato al venire ad urtare contro le resistenze dell'Io, impaurito dalla possibilità di venire a contatto con gli elementi provenienti dall'Es inconscio e rimosso. Per superare le resistenze, l'analista può contare su di un aiuto sorprendente: "mentre l'io si ribella alle nostre sollecitazioni, l'inconscio - che normalmente è il nostro avversario - ci dà una mano, giacché gli è propria una naturale spinta ascensionale e a nulla aspira tanto come a varcare i confini che gli sono stati imposti e a giungere fino all'io, penetrando nella coscienza" (p. 606).

Elaborare la traslazione e superare le resistenza consente di procedere verso la guarigione. Ma in che consiste la guarigione? Sostanzialmente nella presa d'atto da parte dell'Io di albergare una quota di pulsioni erotiche e aggressive che non possono essere del tutto liberate, ma che almeno in parte vanno affrancate dalla rigida repressione superegoica. L'Io insomma deve pervenire a dare una qualche spazio e una qualche soddisfazione alle pulsioni represse compatibilmente con le esigenze della vita sociale.

Che cosa c'è di criticabile in questo obbiettivo? Il fatto che l'Io, per accedere al principio di realtà, deve prendere coscienza di albergare spinte pulsionali che, in sé e per sé, sono caotiche, irrazionali e pericolose. La conseguenza di questo è che, anche laddove, in virtù del lavoro analitico e della comprensione dell'analista, si danno dei miglioramenti, i soggetti rimangono comunque convinti di convivere con una natura che è una bomba ad orologeria e non riescono mai a superare la diffidenza e la paura nei confronti dell'inconscio. Essi hanno fatto proprio il presupposto pulsionale, che è ideologico, e ne rimangono in qualche misura segnati.

Più volte ho rilevato che Freud ha scambiato come prova delle pulsioni una fenomenologia, che affiora attravero i vissuti, le fantasie, i sogni, che può essere interpretata in termini del tutto diversi se si fa riferimento al principio di ridondanza. Tale principio porta immediatamente a comprendere che, laddove i bisogni intrinseci di appartenenza sociale e d'individuazione, la cui realizzazione sola dà luogo ad un appagamento dell'essere umano, vengono ad essere frustrati nell'interazione con l'ambiente, essi inesorabilmente s'infinitizzano, si disordinano e regrediscono. La teoria pulsionale è dunque un equivoco interpretativo.

Se i risultati dell'analisi sono in genere deludenti, essi risultano addirittura fallimentari laddove sono in gioco dinamiche masochistiche. Freud è pienamente consapevole di questo problema. Tra i fattori che oppongono una resistenza all'analisi egli infatti cita sia un senso di colpa particolarmente grave, che produce un bisogno incoercibile di soffrire, di espiare e di tormentarsi, sia un orientamento autolesionistico e autodistruttivo, che, al limite, può giungere al suicidio. Freud si rende conto che in entrambi i casi la resistenza all'analisi è riconducibile ad un "Super-Io fattosi particolarmente spietato e crudele", e che questa resistenza risulta di fatto quasi sempre insormontabile. Ciò di cui non si rende conto è che se la crudeltà del Super-Io fa riferimento a emozioni negative (rabbia, odio, vendetta) terribilmente colpevolizzate e vissute inconsciamente come espressione di una tremenda distruttività, è praticamente impossibile sormontarle se si pretende che il paziente prenda atto di albergare pulsioni distruttive e, nel contempo, non ne abbia troppa paura. Così come non si rende conto che, se i soggetti si infliggono tremende punizioni a causa di emozioni antisociali, che nessuna società punirebbe con altrettanta crudeltà se esse fossero espresse verbalmente o anche agite, ciò contesta implicitamente la teoria secondo la quale il Super-Io si eleva e si mantiene sulla base della paura della rappresaglia sociale. A cosa pensare dunque se non ad una viva sensibilità sociale sulla quale si è elevato il Super-Io e che è entrata poi in conflitto con emozioni negative prodotte dall'interazione con l'ambiente?

Il Compendio di psicoanalisi è stato scritto da un uomo di 82 anni, affetto da anni da una malattia dolorosissima e consapevole dell'avvicinarsi della morte. La dedizione scientifica di Freud è assolutamente commovente. Questo riconoscimento non deve però impedire un'attività critica.