In nota Freud scrive: "Questo caso clinico è stato redatto poco dopo la conclusione del trattamento, nell'inverno 1914-15, mentre era ancora in me viva l'impressione delle interpretazioni distorte che C. G. Jung e Alfred Adler avevano dato delle scoperte psicoanalitiche. Pertanto questo lavoro si riallaccia al saggio Per la storia del movimento psicoanalitico e completa. Grazie ad un'obbiettiva valutazione del materiale clinico, la polemica di carattere sostanzialmente personale ivi contenuta" (p.487). Si tratta in effetti di un lavoro inteso a dimostrare definitivamente il significato determinante nella genesi delle nevrosi delle esperienze sessuali infantili precoci, minimizzate o negate da Adler e Jung. Freud si appella ad una valutazione obbiettiva del materiale clinico, ma, come vedremo, il cuore dell'interpretazione è fornito da un'arditissima e quasi incredibile ipotesi che Freud impone la paziente. Nonostante la fama che, per la sua estensione, questo caso ha conseguito presso gli psicoanalisti, si tratta, di fatto, di uno dei peggiori lavori di Freud, nel quale il suo assillo dogmatico prende del tutto il sopravvento sull'obbiettività clinica. Se è però facile criticare le interpretazioni freudiane, è difficile fornirne di alternative poiché, concentrandosi sulla nevrosi infantile, Freud fornisce ben poco materiale inerente la nevrosi adulta.
Il caso in questione "riguarda un giovane la cui salute aveva subito un crollo in seguito ad un'infezione blenorragica contratta nel diciottesimo anno di età, e che quando iniziò il trattamento psicoanalitico, parecchi anni più tardi, era assolutamente incapace di affrontare la vita e di fare a meno dell'aiuot altrui. Aveva trascorso in modo pressoché normale i dieci anni dell'adolescenza prima che insorgesse la malattia e condotto a termine senza speciali difficoltà gli studi secondari. I suoi primi anni invece erano stati dominati da gravi disturbi nevrotici i queli, presentatisi subito prima del compimento del quarto anno d'età sotto forma d'isteria d'angoscia (zoofobia), si erano poi trasformati in una nevrosi ossessiva a contenuto religioso, protrattasi con i suoi postumi fino al decimo anno di età" (p. 487). E' all'analisi di questa nevrosi infantile che è dedicato il lavoro.
L'analisi di Freud s'incentra su di un cambiamento critico di carattere intervenuto all'età di quattro anni e mezzo, in seguito al quale il paziente, fino ad allora dolcissimo, docile e piuttosto tranquillo, diviene scontroso, irritabile, violento. Attribuito all'influenza negativa di una sgradevole governante inglese, il cambiamento si mantiene sotto forma di "cattiveria" finché non interviene una palese nevrosi ossessiva che obbliga il paziente di continuo ad eseguire estenuenati rituali di natura religiosa, associati peraltro a fantasie coatte blasfeme.
L'analisi accerta che il paziente ha subito una seduzione da parte della sorella, di due anni maggiore, che tra l'altro si divertiva a tormentarlo mostrandogli le illustrazioni di un lupo che lo impaurivano. Avendo scoperto il piacere di manipolare i genitali, egli è stato poi duramente rimproverato e minacciato di castrazione dalla nanja. Precocemente è stato istruito religiosamente, rimanendo profondamente influenzato nonostante un atteggiamento precocemente critico nei confronti di alcuni contenuti dottrinari.
Se si tiene conto che la nevrosi ossessiva scompare del tutto dopo l'avvento di un precettore tedesco che lo aiuta a liberarsi dalla fede intorno ai dieci anni, i misteri da risovere non sembrano tanti. Verrebbe da pensare che il doppio trauma - l'essere stato sedotto dalla sorella e inibito minacciosamente dalla nanja - e l'educazione religiosa possano avere avuto una certa importanza nell'indurre sia il cambiamento di carattere che la nevrosi ossessiva impregnata di riferimenti religiosi.
Anche la nevrosi adulta non sembra tanto misteriosa se si tiene conto che essa insorge in seguito ad una malattia venerea e alla morte (per suicidio, tra l'altro) della sorella che lo lascia unico erede del patrimonio familiare.
Freud però non ama le soluzioni semplici. Egli si "fissa" su di un sogno infantile (fatto a quattro anni) nel quale il sognatore, che si trova nel suo letto con i piedi verso la finestra, vede questa aprirsi da sola e scorge su di un grosso noce sei o sette lupi bianchi, tranquilli e immobili, con la coda volpina e le orecchie ritte, che lo fissano con attenzione. Il terrore che dà luogo al risveglio è dovuto alla paura di essere divorato. L'influenza delle illustrazioni mostrate dalla sorella è ovvia.
Si direbbe un sogno da senso di colpa. Il colore dei lupi viene associato dal paziente a quello delle pecore. Cosa di più semplice che pensare alla trasformazione del carattere, che si sta preparando o che è già avvenuta, per cui il bambino dolce e tranquillo come un agnello sente di stare diventando o di essere diventato un lupo cattivo?
Con un gioco funambolico, Freud giunge invece a stabilire che "l'immagine riattivata quella notte nel caos delle tracce mnestiche inconsce è la scena di un coito tra i genitori, avvenuto in condizioni piuttosto insolite e particolarmente favorevoli all'osservazione" (p. 314) quando il paziente aveva un anno e mezzo. Ma come si passa da questa scena primaria al sogno? Ammettendo che il paziente, assistendo alla scena, si sia identificato con la madre e abbia desiderato di essere al suo posto, abbia poi compreso che l'evirazione rappresentava la condizione per il soddisfacimento del desiderio, e abbia infine sviluppato la paura di essere evirato, vale a dire la paura del padre-lupo!
Qual è la prova della scena primaria? Nessuna ovviamente. Ma se essa non è accaduta nella realtà, nulla cambia per Freud: "All'ipotesi che il bambino abbia osservato un coito traendone la convinzione che l'evirazione può essere qualcosa di più che una vuota minaccia, non possiamo rinunciare; né possiamo fare a meno di supporre che si trattasse di un coitus a tergo, more ferarum Ma un altro elemento non è altrettanto insostituibile e può essere lasciato cadere. Forse quello di cui il bambino fu testimone non fu un coito tra i genitori, ma un coito tra animali, in seguito spostato sui genitori, come se egli avesse presunto che anche i genitori lo facessero in quel modo" (p. 532). A pag. 569 poi è scritto: "Io stesso amerei sapere se la scena primaria, nel caso del mio paziente, sia stata una realtà o solo una sua fantasia; ma si deve convenire, tenuto conto di altri casi analoghi, che la cosa non riveste una grande importanza".
La tesi dell'importanza delle esperienze sessuali infantili precoci è dunque dimostrata, a scorno di Adler e di Jung. E Freud sembra quasi esaltato dall'analisi che ha compiuto: "descrivere fasi così primordiali e strati così profondi della vita psichica è un'impresa in cui nessuno prima d'ora si era cimentato" (p. 576). Prendendo spunto dalla confusione tra realtà e fantasia, troppi analisti purtroppo si cimenteranno e ancora oggi si cimentano in imprese del genere. Che non hanno però nulla a che vedere con la scienza e si fondano su valutazioni del materiuale clinico tutt'altro che obbiettive.