AL DI LA DEL PRINCIPIO DI PIACERE (1920)

Opere vol. 9 pp. 189 - 249

Al di là del principio di piacere è l'estremo tentativo di Freud di dare alla teoria pulsionale un assetto coerente, atto a risolvere le infinite contraddizioni tra tale principio e l'esperienza clinica. A Freud va riconosciuto il merito di non avere mai chiuso gli occhi di fronte ai dati clinici in contrasto con le sue teorie. L'onestà intellettuale non lo ha mai portato però a fare i conti con una concezione della natura umana incentrata dogmaticamente sul rifiuto di riconoscere un qualsivoglia bisogno di socialità. Il saggio in questione, che apre l'ultima stagione riflessiva freudiana, ne è una prova ulteriore.

Il dato clinico da cui parte Freud è la coazione a ripetere, vale a dire la tendenza dei soggetti nevrotici a porsi o a riprodurre situazioni penose, spiacevoli, che non possono in alcun modo essere ricondotte al principio di piacere. Tale coazione, sotto forma di masochismo morale, si pone spesso come un ostacolo insormontabile per l'analisi. Nonostante infatti le interpretazioni, che riconducono il masochismo morale al senso di colpa legato alla fissazione del principio del piacere, i soggetti continuano a soffrire. Questo dato inspiegabile è la matrice della riflessione freudiana che orienta Freud ad andare al di là del principio del piacere. Egli scrive: "Ciò che rimane privo di spiegazione è sufficiente a legittimare l'ipotesi di una coazione a ripetere, che ci pare più originaria, più elementare, più pulsionale di quel principio di piacere di cui non tiene alcun conto" (p. 209). Tale ipotesi impone però di chiarire in che rapporto sta la coazione a ripetere "col principio di piacere, a cui, dopo tutto, avevamo finora attribuito l'egemonia sui processi di eccitamento che si svolgono nella vita psichica" (p. 209).

Una soluzione semplice del problema - sia detto en passant - sarebbe quella di valorizzare il masochismo morale, riconoscendo in esso l'espressione non già di un sadismo primario, bensì di un bisogno di socialità a tal punto intenso che, frustrato e ferito nell'interazione conflittuale con il mondo e finché il conflitto non viene sormontato, non dà pace al soggetto. Ciò comporterebbe però l'assumere la socialità e la relazione, reale e interiorizzata con l'altro, come una dimensione altrettanto importante ai fini dell'equilibrio soggettivo rispetto al principio di piacere, fondamentalmente egoistico.

Impedito ideologicamente dal fare questo salto, Freud è costretto ad imboccare una via speculativa estremamente perigliosa, che pone in gioco il senso ultimo della vita biologica e delle forze che la sottendono. Si tratta in verità di una speculazione molto modesta, nonostante essa si avvalga del riferimento esplicito. Posto infatti che "le manifestazioni della coazione a ripetere… rivelano un alto grado di pulsionalità, e, quando sono in contrasto con il principio di piacere, possono far pensare alla presenza di una forza "demoniaca"" (p. 221), c'è da chiedersi "che tipo di connessione esiste tra la pulsionalità e la coazione a ripetere" (p. 222): "A questo punto ci si impone l'ipotesi di esserci messi sulle tracce di una proprietà universale delle pulsioni, e forse della vita organica in generale, proprietà che finora non era stata chiaramente riconosciuta o, almeno, non era stata rilevata esplicitamente. Una pulsione sarebbe dunque una spinta, insita nell'organismo vivente, a ripristinare uno stato precedente al quale quest'essere vivente ha dovuto rinunciare sotto l'influsso di forze pertubatrici provenienti dall'esterno; sarebbe dunque una sorta di elasticità organica, o, se si preferisce, la manifestazione dell'inerzia che è propria della vita organica" (p. 222).

La natura conservatrice della pulsione tende ad un fine, che Freud non esita a specificare: "Si potrebbe anche indicare questo fine ultimo cui tende tutto ciò che è organico. Sarebbe in contraddizione con la natura conservatrice delle pulsioni se il fine dell'esistenza fosse il raggiungimento di uno stato mai attinto prima. Al contrario, deve trattarsi di una situazione antica, di partenza, che l'essere vivente abbandonò e a cui cerca di ritornare al termine di tutte le tortuose vie del suo sviluppo. Se possiamo considerare come un fatto sperimentale assolutamente certo e senza eccezioni che ogni essere vivente muore (ritorna allo stato inorganico) per motivi interni, ebbene, allora possiamo dire che la meta di tutto ciò che è vivo è la morte" (p. 224).

Freud si rende ben conto che un'ipotesi del genere contrasta sia con le pulsioni di autoconservazione che egli ha attribuito all'Io sia con la pulsione sessuale attribuita all'Es. Affascinato da essa, però, non può fare a meno di convalidarla: "L'ipotesi di pulsioni di autoconservazione del tipo di quelle che noi attribuiamo ad ogni essere vivente è in singolare contrasto col presupposto che tutta la vita pulsionale serva a determinare la morte. Vista alla luce di questo presupposto, l'importanza teoretica delle pulsioni di autoconservazione, di potenza e di autoaffermazione diventa molto minore. Sono pulsioni parziali, che hanno la funzione di garantire che l'organismo possa dirigersi verso la morte per la propria via tenendo lontane altre possibilità di ritorno all'inorganico che non siano quelle immanenti allo stesso organismo. Non dobbiamo più contare sulla misteriosa tendenza dell'organismo (così difficile da inserire in qualunque contesto) ad affermarsi contro tutto e contro tutti. Essa si riduce al fatto che l'organismo vuole morire solo alla propria maniera" (p. 225). Posto il principio della pulsione di morte, "le pulsioni sessuali, a cui la teoria delle nevrosi ha assegnato una posizione del tutto particolare, appaiono in una luce completamente diversa" (p. 225): esse "sono le autentiche pulsioni di vita, operano contro l'intento delle altre pulsioni che, per la loro funzione, portano alla morte; e questo fatto mostra come esista un contrasto fra queste pulsioni e le altre… E' come se la vita dell'organismo seguisse un ritmo irresoluto: un gruppo di pulsioni si precipita in avanti per raggiungere il fine ultimo della vita il più presto possibile, l'altro gruppo, giunto ad un certo stadio di questo percorso, ritorna indietro per rifarlo nuovamente a partire da un determinato punto e prolungare così la durata del cammino" (pp. 226- 227).

La teoria delle pulsioni dunque si ristruttura sulla base di questa scoperta: "Il risultato che le nostre ricerche hanno raggiunto a questo punto è che esiste un netto contrasto fra le "pulsioni dell'Io" e le pulsioni sessuali, poiché le prime spingono verso la morte e le seconde verso la continuazione della vita" (p.229).

Sarebbe facile iscrivere la speculazione freudiana esposta in Al di là del principio del piacere nell'ambito di una mediocre filosofia biologica. La distinzione tra mondo inanimato e mondo animato si fonda sul fatto che il secondo, il mondo della vita, comporta un'organizzazione particolare della materia la cui complessità implica un'instabilità strutturale maggiore rispetto al mondo inanimato. La morte, nonché il fine della vita, è semplicemente una catastrofe strutturale che sopravviene allorché l'organismo non è più in grado di mantenere la sua identità differenziata rispetto all'ambiente. La vita è una sfida non già alla morte ma alla tendenza della ateria verso l'entropia. Un mistero che non sarebbe comprensibile se, senza ricondursi all'élan vital di Bergson, non si ammettesse che la materia implica una tendenza a forme di oraganizzazione sempre più complesse.

Segnare con la matita blu la speculazione freudiana, come farebbe un qualunque professore di scuola media superiore di fronte ad un elaborato confuso e pretenzioso, non avrebbe però senso. Le teorie errate di Freud non sono casuali. La teoria della pulsione di morte non è infatti solo necessaria al fine di spiegare i fenomeni di coazione a ripetere senza fare ricorso ad un bisogno di socialità. Essa è addirittura funzionale a negare ulteriormente questo bisogno. Se infatti le pulsioni dell'Io sono sostanzialmente pulsioni di morte, che comportano il riferimento ad un masochismo primario in precedenza negato, è agevole capire che la difesa adottata dall'Io per non esserne vittima consiste nel rivolgerle all'esterno, contro l'oggetto sotto forma di aggressività.

Da ora in poi, il dualismo pulsionale freudiano si articolerà sulla base della contrapposizione tra Eros Thanatos, e Freud tenderà sempre più a valorizzare l'aggressività come un dato primario della natura umana, sia pure esso inteso come estroflessione della pulsione di morte.

La cattiva filosofia freudiana risulta, dunque, funzionale a dare una veste "scientifica" ad un pessimismo radicale sulla natura umana