ROD COLEMAN

GUARIRE DAL MALE MENTALE


Rod Coleman è uno che ce l'ha fatta. Diagnosticato come schizofrenico e trattato per dieci anni con elettroshock e psicofarmaci senza alcun risultato, ha pensato ad un certo punto che l'unica possibilità di guarire era legata alla rottura con la psichiatria ufficiale, al rifiuto di mantenere un'inutile compliance e alla ricerca di nuove vie. Si è sottoposto pertanto ad un'astinenza dagli psicofarmaci che ha prodotto, nell'immediato, un peggioramento clinico dei sintomi (in particolare delle "voci"), e, dopo qualche tempo, un loro ritorno allo status quo ante i trattamenti psichiatrici, più tollerabile. Ha successivamente partecipato ad un gruppo di mutuo aiuto di pazienti che sentivano le voci e, attraverso questa esperienza sociale, è guarito. Attualmente egli lavora come formatore di operatori sociali nel campo della salute mentale, conduce gruppi di auto aiuto e si batte, con la penna, contro la pratica psichiatrica corrente.

Più di una volta ho scritto che il dramma storico della psichiatria sta nel fatto che la caratura media, intellettuale e morale, degli psichiatri è inferiore a quella di coloro che hanno bisogno di cure. L'esperienza e la testimonianza di Coleman rappresentano una conferma significativa di questo assunto. Naturalmente per chi ha orecchi da intendere. Non pochi psichiatri hanno già avanzato dubbi sull'esperienza anomala di uno schizofrenico che guarisce da solo. Alcuni hanno messo in dubbio la correttezza della diagnosi, che peraltro, alla luce delle cartelle cliniche, appare inconfutabile. Altri ha fatto riferimento alla possibilità riconosciuta da tempo di una guarigione spontanea, che non mette in gioco la possibilità di un processo morboso latente. Altri ancora, commentando ciò che Coleman scrive, pone addirittura in dubbio la guarigione, accennando al fatto che il delirio avrebbe trovato semplicemente una nuova organizzazione persecutoria incentrata sugli psichiatri e la psichiatria...

In effetti, il resoconto che Coleman fa della sua personale esperienza di paziente e le critiche che avanza nei confronti della pratica psichiatrica corrente sono un durissimo atto di accusa contro la neopsichiatrica. A differenza però di altri pazienti o ex-pazienti, che demonizzano gli psichiatri e i farmaci, Coleman argomenta le sue critiche in maniera molto sottile e poco confutabile. Egli fa riferimento al fatto che l'ossessione degli psichiatri è un (presunto) processo morboso, le cui potenzialità evolutive sono equiparate ad un cancro psichico, che il paziente alberga e da cui, nella misura in cui è possibile, va salvato. La logica per cui a mali estremi vanno opposti estremi rimedi si traduce di fatto in un uso sconsiderato degli psicofarmaci, ai quali si attribuisce fideisticamente la capacità, se non di guarire, di contenere e di rallentare il processo morboso. L'obiettivo cui mira la psichiatria è quella che Coleman definisce una "condizione stabilizzata", caratterizzata sostanzialmente dal controllo dell'aggressività (che è il fantasma implicito nel trattamento della schizofrenia), e da una compliance che induca il paziente ad accettare la sua condizione di malato cronico, inguaribile, e la dipendenza dai farmaci. Questa condizione, che passivizza il paziente e lo avvia inesorabilmente verso la cronicizzazione, che è ancora oggi l'esito più frequente dei trattamenti farmacologici protratti, viene perseguita con un'ostinazione che giunge a negare l'evidenza, vale a dire che non più di un terzo dei pazienti traggono beneficio (sintomatico) da quei trattamenti, mentre due terzi o non ne traggono benefici rilevanti o addirittura ne sono danneggiati.

Secondo Coleman, questa ostinazione ha un significato inconfutabile. Incapace di guarire la schizofrenia, la neopsichiatria si assume il compito di controllarla socialmente, mirando a produrre lo stereotipo del buon paziente psichiatrico, immerso nel torpore e nella rassegnazione. gli schizofrenici, insomma, pagano duramente sulla propria pelle la sostanziale impotenza terapeutica della neopsichiatria. Paradossalmente, questa impotenza viene mascherata da un effetto che Coleman ha sperimentato di persona. Posto infatti un trattamento psicofarmacologico prolungato, ogni tentativo di sospensione dei farmaci dà luogo ad un critico peggioramento dei sintomi, vale a dire ad una crisi di astinenza che la psichiatria interpreta capziosamente come la prova della persistente attività del processo morboso.

Alla luce della sua personale esperienza e della riflessione su di essa e su quella di tanti altri pazienti, Coleman ripropone il tema della psichiatria come istituzione permanente che va debellata. Il trasferimento dell'assistenza psichiatrica dal manicomio al territorio non avrebbe infatti minimamente inciso sulla vocazione istituzionale della psichiatria, che continua a svolgere la sua funzione di controllo sociale che comporta, inesorabilmente, il sacrificio dei pazienti, del senso della loro esperienza e delle loro potenzialità di guarigione. La guarigione, secondo Coleman, comincia laddove l'istituzione finisce di agire, vale a dire dall'intuizione dei pazienti di un bisogno di aiuto che, per essere efficace, non può passare che attraverso un'interazione sociale, il confronto della propria esperienza con quella degli altri. Da questo punto di vista, i gruppi di auto-aiuto risultano uno strumento indispensabile, nella cui efficacia Coleman crede profondamente.

Non posso che sottoscrivere gran parte delle osservazioni e delle considerazioni di Coleman, gran parte delle quali coincidono con quello che ho scritto ne La miseria della neopsichiatria. Se dovessi aggiungere qualcosa, mi verrebbe solo da dire che l'efficacia dei gruppi di auto-aiuto conferma che la problematica intrinseca alla schizofrenia è un rapporto persecutorio col sociale, reale e interiorizzato, le cui matrici vanno ricondotte all'esperienza interattiva con l'ambiente. Una problematica, dunque, che non può non risentire positivamente di qualunque esperienza sociale che faccia sperimentare l'altro come socius e sodale piuttosto che come rivale e nemico. Da questo punto di vista, i neopsichiatri, con la loro ideologia, sono temibilmente equivoci. Essi infatti si pongono come curanti, vale a dire persone che vogliono essere di aiuto, ma di fatto la loro pratica rischia spesso di danneggiare i pazienti. La lotta contro il male oscuro comporta, infatti, una sostanziale avversione nei confronti dei pazienti che lo albergano mascherata da filantropia.

Il libro di Coleman è un documento eccezionale, in virtù del tragitto personale dell'autore. Non si tratta però del solito testo di un ex-paziente arrabbiato con gli psichiatri, bensì di una denuncia della pratica psichiatrica corrente che vale come un manifesto contro di essa e contro i suoi abusi. Probabilmente, il suo impatto sull'opinione pubblica è destinato ad estinguersi in virtù della potenza ideologica e mediatica della neopsichiatria. Esso concorre però a preparare il terreno per un ulteriore salto di qualità che potrà porre termine alla mistificazione psichiatrica.