Jean-Pierre Changeux

L’Uomo neuronale

Feltrinelli, Milano 1983

1.

La neurobiologia non nasce con Jean-Pierre Changeux, ma è fuor di dubbio che il successo de L’Uomo neuronale ha reso la disciplina nota al grande pubblico e ha inaugurato l’era del neurocognitivismo. Anche tenendo conto dei limiti intrinseci a quest’orientamento, cui farò cenno ulteriormente, il saggio serba, a distanza di anni, un fascino potente e, con le prospettive che dischiude sulla frontiera della conoscenza che l’uomo può acquisire su di sé attraverso lo studio del cervello, fa capire in quale misura la scienza può competere con  la filosofia, la letteratura, l’arte e, nonostante la sua severa metodologia imponga uno stile di scrittura oggettivo e per alcuni aspetti arido, giungere  a far vibrare una corda di commozione.

Il tema del libro, volutamente ambizioso, è “come funziona il nostro cervello” (p. 50). Per arrivare ad articolare una risposta, l’autore opera un’opzione metodologica di grande portata, adottando il riduzionismo sulla base convinzione che l’analisi – vale a dire lo smontaggio in parti e lo studio delle singole funzioni – vada privilegiata rispetto ai metodi olistici. Quest’atto di fede percorre tutto il saggio, che tenterò di sintetizzare in dettaglio per poi avanzare qualche critica.

Nel primo capitolo, l’autore fornisce i dati neuroanatomici (macroscopici e microscopici) all’epoca disponibili. In sintesi, essi sono i seguenti:

1) “il peso dell’encefalo umano … è circa la quarantesima parte di quello del corpo” (p. 53). La percentuale è rilevante, ma non massima perché, in alcuni piccoli mammiferi, il peso del cervello raggiunge un dodicesimo di quello corporeo.

2) “il peso dell’encefalo si trova… più direttamente in relazione alla superficie del corpo che non al peso e al volume di esso” (p. 55). Il rapporto peso dell’encefalo/superficie del corpo si può tradurre in un indice: l’indice di encefalizzazione. Adottando questo metro di misura, l’uomo oltrepassa il resto dei vertebrati, seguito da scimpanzè, foche e delfini.

3) lo sviluppo evolutivo del cervello è dovuto alla corticalizzazione, e cioè al differenziarsi della neocorteccia, che assume funzioni di proiezione degli organi sensoriali e funzioni di associazione: per questo aspetto, “il cervello dell’uomo moderno si colloca allo stadio più avanzato di questa corticalizzazione dell’encefalo” (p. 59).

4) ”non esiste nessuna categoria cellulare propria della corteccia dell’uomo… Essa è costruita con gli stessi mattoni del cervello del ratto e di quello della scimmia” (p. 64). I mattoni, cioè i neuroni, sono due: cellule piramidali, che escono dalla corteccia, e cellule stellate, che, funzionando come interneuroni, partecipano all’organizzazione intrinseca della corteccia.

5) “il numero totale dei neuroni per campione di superficie costante non varia nel corso dell’evoluzione dei mammiferi;.. l’evoluzione della corteccia., nei mammiferi, investe anzitutto la sua superficie;.. va da sé che questo accrescimento di superficie si accompagna ipso facto a un aumento del numero totale dei neuroni;.. la corteccia cerebrale umana contiene almeno 30 miliardi di neuroni” (p. 65). Tale valutazione va aggiornata: oggi si calcola che tale numero sia di 100 miliardi.

6)  “l’assemblaggio dei pezzi della macchina cerebrale si fa con un piccolissimo numero - due tipi principali – di bulloni (p. 68). Sono le sinapsi, distinte in simmetriche e asimmetriche, che sarebbero nella corteccia cerebrale dell’uomo da 1014 a1015. Oltre ad un ricco apparato di connessioni  intracorticali, la corteccia riceve e invia fibre ai centri sottocorticali.

7) i neuroni sono organizzati in reti tridimensionali: non sotto forma di moduli verticali disposti fianco a fianco, bensì sotto forma di una tessitura in tre dimensioni omologabile ai cristalli.

Se questo è l’assemblaggio dei “mattoni”, è importante capire come essi comunicano. “La comunicazione entro la rete nervosa si compie in forma di onde solitarie che circolano lungo i nervi da un punto all’altro della rete” (p. 95). Tali onde sono di natura elettrica. Quanto alla loro origine è ormai certo che i neuroni hanno un’attività intrinseca: essi funzionano come oscillatori biologici che, superata una certa soglia, generano potenziali elettrici sotto forma di impulsi. I neuroni sono generatori stocastici di impulsi. La loro attività intrinseca rappresenta il plateau dell’attività dovuta a stimoli provenienti dall’esterno.

Il passaggio degli impulsi da un neurone ad un altro avviene attraverso le sinapsi: “ci sono sinapsi a trasmissione elettrica, altre a trasmissione chimica” (p. 103). La trasmissione chimica avviene, per effetto dell’impulso elettrico, per mezzo della liberazione di neurotrasmettitori. “A tutt’oggi nessun neurotrasmettitore è stato riconosciuto come proprio della specie umana. Se ne contano ormai a decine nel cervello, e l’elenco rischia di allungarsi nei prossimi anni” (p. 109). “Uno stesso neurone della corteccia cerebrale può ricevere decine di migliaia di sinapsi e esse possono impiegare neurotrasmettitori diversi” (id.).

I neurotrasmettitori agiscono sui recettori, grosse molecola presenti sulle membrane postsinaptiche, che funzionano come la serratura rispetto alla chiave.

In breve, “al livello dei meccanismi elementari della comunicazione nervosa, niente distingue l’uomo dagli animali” (p. 117)

La distinzione affiora non appena si analizzano i comportamenti umani, dal più semplice movimento al linguaggio. Riesce immediatamente chiaro, infatti, che “ogni comportamento, ogni sensazione si spiegano con la mobilitazione interna di un insieme topologicamente definito di cellule nervose, un grafo che gli è proprio” (p. 148).

Ciò significa che il cervello umano è in grado, a modo suo, di rappresentare il mondo. Non solo: esso “è anche capace di costruire e di utilizzare nei propri calcoli” (p. 152) le rappresentazioni del mondo circostante, che Changeux definisce oggetti mentali.

Questa capacità è l’aspetto più specifico del funzionamento verebrale: “La macchina cerebrale possiede la proprietà di effettuare calcoli sugli oggetti mentali. Essa li evoca, li combina, e in tal modo crea nuovi concetti, nuove ipotesi per paragonarle tra loro. Funziona come simulatore” (p. 160). Gli oggetti mentali corrisponderebbero, pertanto a stati di attività fisica di insiemi di neuroni “Il postulato di assemblee o insiemi cooperativi di neuroni fa di colpo saltare da un livello di organizzazione ad un altro: dal neurone individuale alla popolazione di neuroni. Il numero di neuroni impegnato nel grafo di un oggetto mentale non è noto: centinaia di migliaia, milioni? E’ concepibile che, se questi insiemi possiedono qualche autonomia, appaiano proprietà nuove” (p. 198). “L’aspetto insieme disperso e multimodale (o a-modale) dei neuroni che partecipano alle assemblee dei concetti dovrebbero conferire loro proprietà associative particolarmente ricche, permetterne il concatenamento e soprattutto la combinazione. Appare allora ragionevole che queste assemblee, composte di neuroni oscillatori a forte attività spontanea, possano ricombinarsi tra loro. Quest’attività ricombinante, generatrice di ipotesi, rappresenterebbe unb meccanismo di diversificazione essenziale per comprendere la genesi di nuovi concetti” (p. 199). “Le operazioni sugli oggetti mentali, e specialmente i loro risultati, saranno percepiti da un sistema di sorveglianza composti da neuroni del tutto divergenti, come quelli del tronco encefalico e dei loro rientri. Questi concatenamenti e incontri, questa tela di ragno, questo sistema di regolazione funzionerebbe come un tutto. Dobbiamo dire che la coscienza emerge da tutto questo? Sì, se si prende la parola emergere alla lettera, come quando si dice che l’iceberg emerge dall’acqua. Ma ci basti dire che la coscienza è questo sistema di regolazione in funzione” (p. 199).

2.

Nell’ottica di Changeux, dunque, la struttura stessa del cervello umano permette di spiegare la formazione e la combinazione degli oggetti mentali, che, in quanto simulati, sono simboli, e l’emergenza della coscienza. Quanto però il funzionamento del cervello dipende dai geni, quanto dall’ambiente?

Il problema viene affrontato nel capitolo sesto.

L’anatomia del sistema nervoso sembra, nelle sue grandi linee, riproducibile all’interno delle specie e da una generazione all’altra. Questa invarianza è sicuramente dovuta alla genetica. Ma, in riferimento all’uomo, “che cosa sono 200000 o anche 1000000 di geni di fronte al numero di singolarità neuronali in linea teorica reperibili nella corteccia cerebrale? Non può esistere corrispondenza semplice tra la complessità di organizzazione del menoma e quella del sistema nervoso centrale… Allora come spiegare che l’organizzazione così complessa del sistema nervoso centrale dei vertebrati superiori si costruisce, in maniera riproducibile, partendo da un numero così piccolo di determinanti genetici?” (p. 219)

Fino ad un certo punto, ammettendo che i geni veicolino programmazioni aperte a più possibilità e che alcuni svolgano funzioni di comunicazione a livello di rete neurale, questo scarto può essere spiegato. Ma occorre tener conto di un fatto: “Sedici settimane dopo la fecondazione, le divisioni cellulari si arrestano. Molto prima della nascita, il numero di neuroni corticali è così raggiunto. L’uomo nasce con un cervello il cui numero di neuroni successivamente non farà che diminuire (p. 232). L’uomo, però, “nasce con un cervello che pesa all’incirca 300 grammi… Uno degli aspetti principali dello sviluppo del cervello umano è dunque che esso si protrae a lungo dopo la nascita. Continua per quasi quindici anni…

Questo accrescimento di massa cerebrale non è in contraddizione con il fatto che i neuroni della corteccia hanno cessato di dividersi parecchie settimane prima della nascita. Esso coincide infatti con la crescita degli assoni e dei dendriti, la formazione delle sinapsi, lo sviluppo della guaina di mielina intorno agli assoni” (p. 234). Che cosa regola questa crescita? Sotto il profilo strutturale, che è in variante e definisce l’unità del cervello umano in seno alla specie, si può parlare indubbiamente di un determinismo genetico. Sotto il profilo funzionale, riconducibile soprattutto alla formazione delle sinapsi, fermo restando il potere dei geni, occorre ammettere almeno un altro meccanismo.

Tale meccanismo, definito epigenetico, tale cioè da non far intervenire un cambiamento genetico, non si esercita più a livello della cellula ma a quello, più elevato, degli insiemi di cellule, e determina la tipologia della rete delle connessioni, che si stabilisce tra neuroni durante lo sviluppo.

La prova certa dell’epigenesi è la variabilità fenotipica che si manifesta nell’organizzazione adulta di individui isogenici (gemelli monozigoti), la cui importanza aumenta, dagli invertebrati sino all’uomo, con l’aumento di complessità dell’encefalo. Ciò significa che, dai mammiferi all’uomo, il determinismo genetico si apre alla variabilità individuale. Come avviene questa apertura? Secondo Chamgeux, per effetto di fasi alterne di ridondanza e di regressione sinaptica. Nelle fasi di ridondanza la connettività della rete interneuronale riconosce una formazione esuberante di sinapsi, “ma questa ridondanza è transitoria. Intervengono rapidamente fenomeni regressivi. Dei neuroni muoiono. Poi ha luogo la sfrondatura di una frazione importante dei rami assonali e dendritici. Si ha la sparizione di sinapsi attive” (p. 265)

Questo processo dinamico postula impulsi che percorrono la rete in via di sviluppo. Tali impulsi sono di origine spontanea, intrinseca, nel corso della vita fetale, e in seguito sono evocati dall’interazione del neonato con il suo ambiente. “C’è passaggio dall’attività alla struttura partendo da un’organizzazione anatomica che preesiste integralmente all’esperienza. Quest’ultima seleziona combinazioni di connessioni che la precedono” (p. 267) Il processo nel suo complesso si definisce stabilizzazione selettiva di sinapsi. A cosa serve tale processo?

“Il proseguimento, molto tempo dopo la nascita, del periodo di proliferazione sinaptica permette un’impregnazione progressiva del tessuto cerebrale da parte dell’ambiente fisico e sociale. Come si attua questa impronta culturale?” (p. 281)

C’è anzitutto da considerare che “entrate differenti nel corso dell’apprendistato possono produrre organizzazioni connessionali e capacità neuronali differenti, ma la stessa capacità comportamentale… In altre parole, l’esperienza, che non è mai la stessa da un individuo ad un altro, conduce a prestazioni comportamentali simili partendo da topologie neurali e sinaptiche differenti” (p. 288).

“L’attuazione dell’impronta culturale avviene in maniera progressiva… Il contingente medio di 1000 (o più) sinapsi per neurone della corteccia non si stabilisce in una volta sola. Al contrario, esse proliferano per ondate successive dalla nascita alla pubertà, nell’uomo. Ogni ondata comprende, verosimilmente, ridondanze transitorie e stabilizzazione selettiva. Ne segue un concatenamento di periodi critici in cui l’attività esercita il suo effetto regolatore…

[Si ha] un accrescimento continuo dell’ordine del sistema in seguito ad un’istruzione dell’ambiente. In effetti, l’attività (spontanea o evocata) lavora soltanto su disposizioni di neuroni e di connessioni preesistenti all’interazione con il mondo esterno. L’epigenesi esercita la propria selezione su concatenamenti sinaptici preformati. Apprendere è stabilizzare combinazioni sinaptiche prestabilite. E’ anche eliminare le altre” (p. 290).

Per effetto dell’epigenesi, “lo sviluppo dell’encefalo si apre all’ambiente che, in qualche modo, prende il posto dei geni. Come sappiamo, il tempo di contatto si prolunga in maniera eccezionale nell’uomo. Il contributo dell’interazione con l’esterno alla costruzione dell’encefalo si allarga. La successione delle tappe di crescita sinaptica e di stabilizzazione selettiva, il concatenamento dei “periodi critici” propri di ciascuna di esse, creano un intrico sempre più stretto tra la messa in opera della complessità anatomica del cervello dell’uomo e il suo ambiente. Le impronte di quest’ultimo si concatenano e si sovrappongono le une alle altre. Anche se esse non agiscono che su un piccolo numero di neuroni, la loro stratificazione, associata al mantenimento di una comunicazione in ciascuno di questi strati, segue in profondità lo sviluppo del cervello dell’uomo” (p 310).

3.

In sintesi, ideologicamente Changeux si riconduce, esplicitamente, ad un materialismo radicale secondo il quale la vita mentale è l’espressione immediata del funzionamento della “macchina” cerebrale. Esperienza cosciente (o inconscia) soggettiva e attività cerebrale sono, da questo punto di vista, le due facce di una stessa medaglia. La coscienza umana affiora, con la sua capacità di astrazione e di calcolo, su di uno sfondo caratterizzato da livelli di integrazione anatomica strutturale e funzionale straordinariamente complessi.

Il materialismo di Changeux è, peraltro, un materialismo evoluzionistico. I mattoni – i neuroni –, i bulloni – le sinapsi – e le molecole che assicurano la trasmissione neuronale – i neurotrasmettitori -, sono gli stessi presenti nelle specie animali inferiori. Sia a livello strutturale che fisiologico, dunque, perlomeno in termini elementari, nulla distingue il sistema nervoso dell’uomo da quello degli animali.

L’unica differenza, d’acchito, sembra essere meramente quantitativa, consistere cioè nell’aumento di superficie della neocorteccia, che comporta una rete interneuronale estremamente complessa tridimensionale. La vera differenza, però, riguarda la strutturazione funzionale, che non è rigida, ma plastica: comporta cioè indefinite possibilità di combinazioni interneuronali. Queste indefinite possibilità segnano lo scarto tra il cervello umano e quello di altri animali: uno scarto qualitativo.

Determinato geneticamente per quanto riguarda alcuni aspetti che definiscono l’appartenenza alla specie, il cervello umano gode, in virtù di quelle combinazioni, di un grado di apertura all’ambiente incommensurabile rispetto ad altre specie. Tale apertura è assicurato dal succedersi, dalla nascita sino alla pubertà, di fasi di ridondanza sinaptica e di regressione (o potatura) in virtù delle quali l’ambiente fisico e culturale influenza la strutturazione funzionale del cervello. L’impronta culturale consisterebbe nella definizione di insiemi di neuroni che rappresenterebbero “corsie preferenziali” per la trasmissione di impulsi. Essa, in pratica, faciliterebbe un certo corso di emozioni, pensieri e, di conseguenza, la messa in atto di certi schemi di comportamento.

Massima nel periodo evolutivo della personalità, anche al di là di esso il cervello umano manterrebbe una certa plasticità in virtù della possibilità che gli insiemi neuronali possano andare incontro a ricombinazioni.

Sarebbe difficile minimizzare il fascino del materialismo evoluzionistico di Changuex. Attraverso l’ipotesi della ridondanza e della stabilizzazione selettiva delle sinapsi, confermate entrambe da tutte le ricerche successive, egli ha offerto una chiave di lettura della specificità del funzionamento del cervello non solo affascinante, ma anche densa di conseguenze a livello pedagogico, psicologico, culturale e addirittura politico (se si ritiene compito della politica offrire ai singoli soggetti le migliori opportunità di sviluppo).

Per quanto concerne la pedagogia, per esempio, la ridondanza sinaptica consente di spiegare le ricorrenti fasi di squilibrio che intervengono nel corso dell’evoluzione della personalità. Essa, infatti, prima che sopravvenga la stabilizzazione sinaptica determina inesorabilmente una situazione di instabilità strutturale, dovuta da un flusso di informazioni provenienti dall’interno e dall’esterno che non possono essere immediatamente canalizzate.

Non è azzardato pensare, inoltre, che, pur avendo una funzionalità più ampia, la ridondanza sinaptica abbia qualcosa a che vedere con l’entrata in azione del bisogno d’opposizione/individuazione, che orienta l’individuo inconsapevolmente a sondare nuovi modi di sentire, di pensare e di comportarsi rispetto a quelli acquisiti, culturalmente prescritti.

Anche se le esplosioni sinaptiche si esauriscono intorno ai quindici anni, la sottolineatura, implicita nella teoria di Changeux, della plasticità cerebrale porta a pensare che l’apertura all’ambiente possa sempre promuovere, anche in età adulta, cambiamenti negli insiemi neuronali e nell’organizzazione degli oggetti mentali che essi rappresentano. Tali cambiamenti, al limite, possono comportare anche una ristrutturazione della visione del mondo.

Importante in assoluto, questa possibilità è lo è a maggior ragione sul piano della psicoterapia, se si ammette – come sembra indispensabile che il suo fine è per l’appunto indurre una visione del mondo – di quello interno e di quello esterno – diversa rispetto a quella di partenza, implicita nel disagio psichico.

Ciò detto, sarebbe ingenuo non evidenziare anche i limiti della teoria di Changeux, riconducibili all’eccessiva insistenza sulla corticalizzazione che pone in ombra il ruolo delle strutture corticali e, di conseguenza, quello dei ricordi e delle emozioni. Ogni qualvolta si enfatizza il ruolo dell’attività cognitiva il rischio di cadere nella trappola di astrarla rispetto all’esperienza umana, che è sottesa da un flusso costante di emozioni e di memorie, è grande.

Se si considera, infine, che i bisogni intrinseci, nella misura in cui sono geneticamente determinati, agiscono a partire dalle strutture sottocorticali, c’è da pensare che la neocorteccia, con la sua influenzabilità in rapporto all’ambiente, con la sua capacità di impregnarsi culturalmente, con la sua tendenza ad acquisire e far propri i valori dominanti nel gruppo di appartenenza, possa rappresentare più spesso uno strumento di normalizzazione e di mistificazione dell’esperienza soggettiva, che non di autoconsapevolezza critica e di individuazione. Se, infatti, la struttura cerebrale ha un grado di plasticità tale per cui è aperta potenzialmente sulla frontiera di indefiniti modi di sentire, di pensare e di agire, la cultura deve soddisfare anzitutto le esigenze di coesione, di stabilizzazione e di riproduzione della società. Tali esigenze, ovviamente, divengono mortificanti laddove, come accade nel nostro contesto di civiltà, il legame sociale è meramente formale, vale a dire non più supportato da un legame affettivo di condivisione dell’esistenza.