1. L'interpretazione corrente
Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mister Hyde è stato e continua ad essere interpretato, dai critici non meno che dai comuni lettori, come l'espressione artistica, intrigante e raffinata, di una verità che ormai viene ritenuta un luogo comune: quella secondo la quale in ogni uomo si dà una doppia natura, l'una ancestrale, selvaggia e antisociale, l'altra moralmente sensibile che, in virtù dell'educazione e della civilizzazione, diviene rispettosa delle norme e dei diritti altrui. Posto questo luogo comune, il racconto di Stevenson si riduce alla sventatezza con cui il dottor Jekyll sottopone se stesso ad un esperimento che, in virtù di una pozione chimica, libera la parte selvaggia e antisociale del suo essere che si abbandona alla lussuria e all'aggressività fino a commettere gratuitamente un omicidio.
Questa interpretazione trova di fatto riscontro nel testo. Nella lettera che il dottor Jekyll invia all'amico Utterson, e nella quale spiega ciò che è accaduto, è scritto:
" Giorno dopo giorno, con l'aiuto delle due entità del mio spirito, quella morale e quella intellettuale, mi andai sempre più avvicinando a quella verità la cui parziale scoperta mi ha condannato a questa rovina totale, e cioè che l'uomo non è unico, ma duplice. Dico duplice perché il livello delle mie conoscenze non va al di là di ciò. Altri seguiranno, altri mi supereranno sulla stessa via; io mi limito a pronosticare che un giorno l'uomo sarà conosciuto come un insieme di multiformi, incongrue e indipendenti componenti. Da parte mia, dato questo tipo di esistenza, ho progredito costantemente in un'unica direzione. Ed è stato nel campo della morale e nella mia stessa persona che ho imparato a riconoscere il dualismo intrinseco e primordiale dell'uomo. Mi sono reso conto che, se potevo legittimamente identificarmi sia con l'uno che con l'altro dei due esseri che lottavano nel campo della mia coscienza, ciò era dovuto al fatto che ero fondamentalmente entrambi. Da molto tempo, prima ancora che il corso delle mie scoperte scientifiche avesse cominciato a farmi intravvedere la possibilità di un tale miracolo, carezzavo l'idea della separazione di questi elementi come un sogno a occhi aperti. Pensavo che se ciascuno di essi avesse potuto essere collocato in un'entità separata, allora la vita si sarebbe alleggerita di tutto ciò che è insopportabile: l'ingiusto avrebbe potuto seguire la propria strada libero dai rimorsi e dalle aspirazioni del suo più virtuoso gemello; e il giusto avrebbe potuto procedere tranquillo e sicuro nel cammino verso il bene, compiendo le buone azioni in cui trovava conforto, senza essere più esposto alle infamie e ai castighi di un compagno malvagio a lui del tutto estraneo. Era la maledizione del genere umano che questi incongrui elementi fossero così strettamente avviluppati... che nel grembo tormentato della coscienza questi gemelli antitetici dovessero perennemente lottare. Che fare, allora, per separarli?"
La pozione chimica risolve il problema, e nella lettera se ne descrivono le conseguenze:
" I piaceri che mi affrettai a ricercare nel mio travestimento erano, come ho detto, sconvenienti, ma niente più di questo. Tuttavia, nelle mani di Edward Hyde, essi ben presto cominciarono a divenire mostruosi. Quando tornavo dalle mie scorribande, rimanevo a lungo come stupefatto di fronte alla depravazione dell'altro me stesso. Questo essere familiare che evocavo dal profondo dell'anima e mandavo in giro a soddisfare i suoi desideri era malvagio e crudele per natura; ogni suo atto e pensiero erano incentrati su se stesso; traeva piacere con un'avidità animalesca da ogni forma di sofferenza altrui ed era implacabile come un uomo di marmo. Talvolta Henry Jekyll rimaneva inorridito di fronte alle azioni di Edward Hyde, ma la situazione sfuggiva alle leggi ordinarie consentendo un pericoloso allentamento della coscienza. Dopo tutto, Hyde e solo Hyde era il colpevole. Jekyll non era peggiore di prima; al risveglio ritrovava le sue buone qualità apparentemente immutate, e talvolta, quando era possibile, si affrettava persino a rimediare al male compiuto da Hyde. In tal modo la sua coscienza si assopiva."
Il rapporto tra le due personalità snascherate dall'esperimento è descritto infine in questi termini:
" Ormai (Jekyll) conosceva la mostruosità dell'essere con cui condivideva alcuni fenomeni della vita cosciente e di cui sarebbe stato compagno nella morte; e al di là di questi comuni legami, che di per sé stessi costituivano l'aspetto più orribile della sua disperazione, concepiva Hyde, nonostante tutta la sua energia vitale, come un fenomeno inorganico oltre che come una creatura demoniaca. Ed era proprio questa la cosa più sconvolgente: che la melma della fogna potesse gridare e parlare, che l'amorfa polvere fosse in grado di gesticolare e commettere peccati, che ciò che era morte e non possedeva forma potesse usurpare le funzioni della vita. E ancora: che quell'essere orrendo e ribelle gli fosse avvinto più di una moglie, parte di sé quanto un occhio, imprigionato nella sua stessa carne dove lo sentiva brontolare e agitarsi nel tentativo di venire alla luce; che in ogni momento di debolezza e nell'abbandono del sonno potesse prevalere su di lui e sottrargli la vita. Di diverso genere era l'odio che Hyde provava per Jekyll. Il terrore del patibolo lo spingeva continuamente a commettere temporanei suicidi e a ritornare al suo ruolo subordinato anziché assumere quello di attore principale. Ma detestava questa condizione imposta, detestava la prostrazione in cui Jekyll era caduto, e male sopportava l'antipatia con cui veniva trattato. Mi faceva degli scherzi atroci, degni di una scimmia, scarabocchiando frasi blasfeme sui miei libri in una calligrafia molto simile alla mia, bruciando le mie lettere e fracassando il ritratto di mio padre. Se non fosse stato per il timore della morte, avrebbe finito per distruggersi pur di coinvolgermi nella rovina. Ma il suo amore per la vita è eccezionale; dirò di più: io stesso, che sento solo disgusto e gelido odio nei suoi confronti, quando penso al suo attaccamento infame e appassionato e al terrore che gli provoca il solo pensiero che io possa sopprimerlo con il suicidio, provo quasi pietà in fondo al mio cuore."
Il rispetto del testo e delle intenzioni dell'autore imporrebbe dunque di accettare l'interpretazione tradizionale del racconto. Il testo stesso però fornisce degli indizi che l'intuizione di Stevenson, almeno a livello inconscio laddove essa è maturata, è più complessa e inquietante. Se questi indizi dovessero risultare probanti, c'è da chiedersi perché Stevenson abbia inteso la necessità di razionalizzarla, vale a dire di piegarla ad un luogo comune corrente ai suoi tempi.
2. Indizi
Un primo indizio riguarda la morte del dottor Jekyll. Si tratta di un suicidio, eseguito però per mano di Myster Hyde quando questi, che ha soppiantato definitivamente la personalità del dottor Jekyll, si sente perduto perché Utterson e il maggiordomo, forzata la porta, irrompono nel laboratorio. Un suicidio - si direbbe - dovuto alla certezza di finire sul patibolo, dato che egli è stato identificato come l'autore dell'omicidio di Sir Danvers Carew. La fine è stata prevista dal dottor Jekyll nelle righe finali della lettera.
"Hyde morirà sul patibolo? O troverà il coraggio di por fine alla sua vita all'ultimo momento? Lo sa solo Dio. La cosa non mi interessa. Il vero momento della mia morte è questo; quello che succederà dopo non riguarda me, ma un altro".
Che un essere spietato e malvagio si tolga la vita per sfuggire i rigori della legge è logicamente comprensibile. Ma c'è un particolare significativo nel testo. Avvenuta la definitiva trasformazione, Mister Hyde trascorre gli ultimi giorni nel laboratorio. La sua presenza è resa certa dai passi, molto diversi rispetto a quelli del dottor Jekyll. E' un animale braccato. Ma allorché Utterson chiede al maggiordomo Poole se, oltre ai passi inquieti, ha sentito qualcos'altro, la risposta è questa:
" "Una volta", disse, "una volta l'ho sentito piangere".
"Piangere? Come?", disse l'avvocato, e un brivido d'orrore gli raggelò il cuore.
"Piangeva come una donna o come un anima perduta", disse il maggiordomo. "Mi allontanai con un peso sul cuore, tanto che avrei potuto piangere anch'io".
Il mostro ha dunque un cuore. Un riflesso residuo della personalità del dottor Jekyll? Non sembra possibile perché, se così fosse, questo barlume di umanità avrebbe, almeno in parte, inibito Myster Hyde. Rimane solo dunque da pensare che la malvagità di questi non sia del tutto immunizzata da sentimenti umani, e in particolare dal senso di colpa sia pure nella forma elementare del terrore della punizione.
Questo rilievo è importante perché più volte nel testo ricorre l'identificazione di Myster Hyde con il diavolo. Ma il diavolo che, nell'immaginario collettivo, incarna il male assoluto, teologicamente è un essere incapace di qualunque pentimento che non ha alcun terrore di essere punito.
Se c'è dunque, nel fondo della natura umana, una tendenza alla malvagità, si tratta pur sempre di una tendenza che convive con emozioni umane. Questo pone il problema di capire se si tratti veramente di una tendenza naturale.
L'altra serie di indizi è legata alla personalità del dottor Jekyll, alla sua storia, allo stile di vita e alle motivazioni che promuovono l'assurda sperimentazione.
Il dottor Henry Jekyll è un onorato professionista che, dopo qualche sregolatezza giovanile ("E stato - dice Hutterson - alquanto sregolato in gioventù; certamente è passato molto tempo, ma per la legge del Signore non ci sono limiti di tempo. Deve essere proprio così: il fantasma di qualche antico peccato, il cancro di qualche segreta infamia, e il castigo arriva, pede claudo, anni dopo che la memoria ha dimenticato e la pietà per se stessi ha perdonato la colpa"), si è dedicato totalmente allo studio e alla professione, accumulando una serie di titoli prestigiosi (MD, DCL, LLD, FRS). Egli appartiene alla buona società vittoriana dell'epoca. Non è sposato né ha figli, presumibilmente perché lo studio e la missione professionale sono riusciti incompatibili con una vita privata. Rispettato e stimato universalmente, egli è però infelice. Il perché è scritto a chiare lettere:
"A quel tempo non ero ancora riuscito a superare la mia avversione totale per un'arida esistenza di studio. Mi sentivo tuttora incline a godermi la vita, e poiché i piaceri a cui mi abbandonavo erano, per non dire di più, sconvenienti, mentre la gente mi teneva in grande rispetto e considerazione, questa incoerenza nel modo di vivere mi divenne sempre più odiosa soprattutto con l'avvicinarsi degli anni della maturità."
La doppia vita, dissociata tra la rispettabilità borghese e, presumibilmente, l'abbandono a piaceri mercenari, è dunque precedente l'esperimento del dottor Jekyll:
". E davvero il mio peggior difetto era una certa impaziente vivacità di temperamento, che può aver fatto la felicità di molti, ma che trovavo difficile conciliare col desiderio irresistibile di andare a testa alta e di tenere un comportamento estremamente austero di fronte alla gente. Di qui ebbe origine l'abitudine a celare i miei piaceri, cosicché, quando raggiunsi l'età della riflessione e cominciai a guardarmi intorno per rendermi conto dei progressi fatti e della mia posizione nel mondo, mi trovai già coinvolto in una radicata doppiezza di vita. Molti si sarebbero persino vantati di quelle intemperanze di cui io mi sentivo colpevole, ma, dati gli alti fini che mi ero proposto, le tenevo celate con un senso di vergogna quasi morboso. Fu quindi la natura esigente delle mie aspirazioni, piuttosto che il carattere abbietto delle mie mancanze, a fare di me quello che divenni e a separare in me, con un solco più profondo di quanto avvenga nella maggioranza delle persone, quelle sfere del bene e del male che compongono e insieme dividono la doppia natura dell'uomo".
La trasformazione non fa altro che liberare la parte malvagia sino allora contenuta:
" Il lato malvagio della mia natura, al quale avevo ora trasferito il potere di dare la propria impronta, era meno sviluppato e meno forte di quello buono che avevo appena lasciato. Inoltre, nel corso della mia esistenza, che tutto sommato era stata per nove decimi una vita di rinunce, di virtù e di autocontrollo, esso era stato meno utilizzato e meno sfruttato."
L'arida esistenza di studio e una vita di rinunce, di virtù e di autocontrollo, vale a dire un regime esistenziale di quasi totale frustrazione della libertà individuale e del piacere di vivere, consentono di capire l'entusiasmo originario con cui il dottor Jekyll vive le prime trasformazioni:
"Nelle mie sensazioni c'era qualcosa di strano, qualcosa di indescrivibilmente nuovo, e, proprio perché nuovo, di infinitamente dolce. Mi sentivo più giovane, più leggero e più felice nel corpo; dentro di me avvertivo un'irrequietezza impetuosa, un fluire disordinato di immagini sensuali che mi percorrevano l'immaginazione come la corrente attraverso le ruote di un mulino, un disciogliersi di ogni legamento e costrizione, una libertà dello spirito sconosciuta ma non per questo innocente. Fin dal primo respiro di questa nuova esistenza mi resi conto di essere più malvagio, dieci volte più malvagio, di essere lo schiavo del mio male originario. In quel momento questo pensiero mi inebriò e mi deliziò come una coppa di vino."
La separazione delle due nature non estingue, però, com'era nelle sue aspettative, le angosce morali del dottor Jekyll, che tenta di riparare il male fatto da Mister Hyde astenendosi dalla pozione e dedicandosi agli altri:
"Tu stesso - scrive nella lettera a Utterson - hai visto con quale impegno, negli ultimi mesi dello scorso anno, mi sono sforzato di alleviare le sofferenze altrui; tu sai quanto ho fatto per gli altri, e che ho trascorso quei giorni nella quiete e quasi in letizia. Né posso dire di essermi stancato di questa vita caritatevole e innocente; credo, al contrario, di averla gustata ogni giorno di più."
Ma la tentazione di mettersi alla prova è troppo forte e alla fine riesce a prevalere:
"Portavo tuttora in me la maledizione di una doppia personalità; e mentre la forza del mio pentimento cominciava ad attenuarsi, la parte peggiore di me, così a lungo assecondata e così recentemente messa alla catena, prese a ringhiare. Non che io avessi intenzione di resuscitare Hyde; il solo pensiero mi avrebbe fatto impazzire; no, ero io stesso, nella mia stessa persona, che ancora una volta ero tentato di scherzare con la coscienza; e, come accade a coloro che peccano in segreto, alla fine caddi di fronte all'assalto delle tentazioni."
3. Interpretazione degli indizi
Come possono essere interpretati questi indizi? Il modo più semplice, adottato da Stevenson stesso, è , come si è visto, di attribuirli alla doppia natura costitutiva dell'uomo, contesa tra il bene e il male. Ma essi sono paradossalmente in contraddizione con questa teoria. E' difficile infatti ricondurre alla natura una vita di rinunce, di virtù e di autocontrollo, incentrata su di un'arida dedizione allo studio. Un regime del genere, che privilegia la tranquillità della coscienza e l'immagine sociale, sacrificando ad essa l'umano bisogno di felicità e di piacere, sembra piuttosto l'effetto di una cultura repressiva ed ipocrita, quale quella vittoriana, che, in nome di un pregiudizio nei confronti della natura umana, promuove un modello che esalta le pubbliche virtù e dà per scontato che esse siano compensate da qualche inapparente vizio privato. Se questo è vero c'è da chiedersi se anche l'altra natura, quella incarnata da Myster Hyde, sia essa stessa di fatto naturale o non piuttosto prodotta dalla repressione culturale.
Che Stevenson non si riconoscesse totalmente nella cultura vittoriana è attestato dalla biografia. Per un lungo periodo della vita, egli mantenne un atteggiamento critico nei confronti di tale cultura e del modo di essere borghese. Egli aveva una concezione elitaria dell'artista, la cui naturale conseguenza era che mai e poi mai un artista avrebbe potuto trovare la felicità in un contesto borghese. Tentò anche di forzare la sua natura adattandosi a vivere a Skerryvore, in una casa piuttosto attraente, situata nei sobborghi di Londra, circondata per miglie e miglia in ogni direzione da rispettabilità e monotonia. Cercò anche di convincersi di essere felice. Ma non è un caso che proprio in questo contesto la sua salute peggiorò, il suo stato d'animo inclinò spesso ad una tetra depressione, e sopravvenne l'ispirazione del racconto in questione.
Questi particolari biografici danno corpo all'ipotesi che la contraddizione esistenziale in cui si trovava Stevenson, caratterizzata dal tentativo di adattarsi ad un genere di esistenza borghese poco compatibile con la sua natura sensibile, irrequieta e passionale, si sia riflettuta nel racconto. Egli si schiera esplicitamente dalla parte del dottor Jekyll, rappresentante stereotipico di quel genere di esistenza, e definisce di conseguenza Myster Hyde come il pericolo, intrinseco alla natura umana, che tale modello contiene e reprime. Nello stesso tempo, gli indizi cui si è fatto cenno alludono ad un'intuizione più profonda, quella secondo la quale è la repressione culturale ad animare nell'uomo la tendenza al male, alla quale Stevenson non è riuscito a dare spazio, probabilmente terrorizzato dal suo radicalismo.
Un utlimo particolare biografico comporta questa ipotesi. Per ragioni di salute e su consiglio dei medici, Stevenson decide di allontanarsi dall'Inghilterra, andando a vivere nelle isole Samoa. Nonostante le pessime condizioni di salute, le testimonianze attestano che ivi egli ha recuperato ono stato d'animo sereno, talvolta vicino all'euforia, che lo ha spinto più volte ad inneggiare alla vita selvaggia. Perché allontanarsi da un civiltà evoluta e immergersi in una indubbiamente più primitiva se egli dava credito da una teoria evoluzionistica per cui lo sviluppo della civiltà allontana dal male e umanizza l'uomo?
4. Conclusione
L'arte nasce spesso da intuizioni inconsce che poi prendono forma e si oggettivano passando attraverso il filtro della coscienza e della cultura dell'autore. Lo strano caso del dottor Jekyll e di mister Hyde è, da questo punto di vista, un documento esemplare. L'intuizione inconscia, confermata dalla psicoanalisi, è che la personalità umana è fatta di diverse componenti. L'unità dell'io è un artificio dovuto alla cultura e alla coscienza. Artista sensibile e profondo, è probabile che Stevenson abbia ricavato questa intuizione dalla sua stessa esperienza. Educato in un clima di profonda religiosità, egli ha sempre dovuto fare i conti con una natura irrequieta, passionale e impulsiva che, quando affiorava, lo rendeva vivo, ma che, in qualche misura gli faceva paura. Egli operò vari tentativi di dominarla: uno di questi, già ricordato, riguarda il soggiorno a Skerryvore, nel corso del quale tentò di riconciliarsi con le radici borghesi della sua educazione; un altro è rapprentato dall'adesione entusistica, durata alcuni anni, al tolstoianesimo, vale a dire ad una concezione della vita incentrata sull'altruismo (senza Dio). Tali tentativi furono entrambi fallimentari, ma si può pensare che Stevenson non sia mai riuscito a riconoscere nell'altra parte di sé qualcosa di autenticamente vitale, aperto alla vita e gioioso. Le ricorrenti depressioni nelle quali piombava rappresentano una prova di ciò.
Attraverso il filtro della coscienza e della cultura, quella intuizione ha assunto una configurazione elementare: sia nel senso di essere ricondotta alla natura sia nel senso di essere razionalizzata sotto forma di contrapposizione tra il bene e il male presenti nell'anima umana.
Alla luce di una psicologia del profondo, che sormonti il riferimento agli istinti in nome dell'attribuzione alla natura umana di due bisogni intrinseci, l'uno vincolato a stabilire un rapporto significatico col gruppo di appartenenza culturale e l'altro orientato a perseguire la felicità personale, si puù sviluppare quell'intuizione in termini meno pregiudiziali? E' senz'altro possibile tenendo conto del fatto che le due anime di cui parla Stevenson sono spesso rappresentate nella personalità di soggetti che soffrono di disturbi ossessivi (l'autore, presumibilmente, apparteneva a questa categoria). Si tratta di soggetti che hanno uno spiccato senso del dovere e tendono spesso al perfezionismo sia sociale che morale, i quali si ritrovano a convivere con pensieri e fantasie coatte identiche ai comportamenti che Stevenson attribuisce a Mister Hyde. Da questa patologia Freud ha tratto le prove di una natura umana animata, nel suo profondo, da una tensione cieca e irazionale verso il piacere e verso l'aggressività. Si tratta però di un errore interpretativo. Tutti gli ossessivi sono terrorizzati dalla possibilità di una perdita di controllo sui pensieri e sulle fantasie coatte, che li trasformerebbe in altrettanti Mister Hyde. La temuta perdita di controllo, però, non si realizza mai. Essa anzi concorre ad incrementare l'atocontrollo, sino al limite dell'ipercontrollo.
Per fortuna, si direbbe. L'analisi delli soggetti ossessivi porta però a conclusioni sorprendenti. Mister Hyde non esiste. Il carattere amorale, asociale e antisociale dei pensieri e delle fantasie coatte attesta solo una disperata rivendicazione di libertà personale e di piacere. La forma della rivendicazione, che porta nel vicolo cieco di ipotizzare un bagaglio istintuale caotico e selvaggio, è dovuta semplicemente ad un pèrincipio che governa l'attività mentale inconscia: il principio di ridondanza. In nome di questo principio, ogni bisogno radicale frustrato nella sua realizzazione si distorce e si infinitizza. E' lo stesso principio per cui un assetato nel deserto sogna una cascata d'acqua, laddove il suo reale bisogno è di uno-due litri d'acqua. Tantro è vero questo che se l'ossessivo dà una minima soddisfazione al bisogno frustrato di felicità e di libertà, i pensieri e le fantasie coatte tendono a scomparire.
L'intuizione di Stevenson è straordinariamente profonda, più di quanto egli stesso potesse pensare. Tanto profonda che, pur avendo sentito l'esigenza di razionalizzarla in termini di senso comune, essa è ancora trasparente nel testo. Gli artisti hanno spesso accesso a livelli di verità estremamente profondi. Non sempre però sono in grado di restituirli nella loro autenticità, semplicemente perché sono essi stessi figli del loro tempo.
2 settembre 2002
Luigi Anepeta