1.
La novella di Merimée, una "piccola storia" com'egli stesso la definisce, riferita da un testimone - un archeologo - che, nel corso delle sue ricerche nella terra dei baschi, conosce casualmente i protagonisti - Carmen e il suo amante don José -, e la raccoglie dalla bocca di quest'ultimo condannato a morte per le sue gesta di bandito e, da ultimo, per l'omicidio di Carmen, decisa ad abbandonarlo, ha avuto una straordinaria fortuna. Messa in musica da G. Bizet in una delle più perfette e compiute espressioni del teatro musicale francese dell'Ottocento, ha riconosciuto varie versioni cinematografiche.
La novella è inquadrata all'uso classico: il narratore in viaggio archeologico per la Spagna, incontra il bandito José, poi Carmen, rivede infine l'uomo che attende il supplizio, e ne ascolta la miserabile storia.
Don José, brigadiere di un reggimento di dragoni, basco ardente e ingenuo, incontra a Siviglia la zingara Carmen e ne è affascinato. La lascia fuggire mentre deve condurla in carcere, ed è punito e degradato. La cerca ancora, per gelosia ucide un ufficiale, e si fa contrabbandiere con lei. La scelta è contraria al suo animo onesto, ma giustificata da una passione senza limiti e dalla speranza di avere la donna tutta per sé. Da contrabbandiere per lei si fa ladro e brigante; ma Carmen, che l'ha amato in principio, è stanca del suo amore, della sua gelosia. Ha uno sposo, all'uso gitano, che torna dalla galera. José lo uccide, è ormai il marito di Carmen, e le propone di andare con lui in America, a vivere onestamente. Essa non vuol saperne. S'è invaghita di un "picador", Luca, e ad una corrida José ha la certezza che i due si amano. La minaccia, le impone di seguirlo, ma essa si rifiuta, non perché ami Luca, ma perché vuole la sua libertà. Disperato, José la uccide.
Si tratta dunque di una delle più tipiche, suggestive storie di amore e di morte, la cui fortuna è da ricondurre al singolare personaggio femminile.
Carmen, la gitana fiera e indomabile che rivendica una piena libertà sulla sua vita e sul suo corpo, non intende assoggettarsi ad alcun uomo se non per amore, e accetta infine di farsi uccidere senza esitazione dall'amante che intende abbandonare, è diventata un'icona del movimento femminista, la precorritrice della lotta di liberazione della donna dal giogo maschile.
Nel capitolo che conclude il libro, e rappresenta un sintetico schizzo di antropologia culturale sul mondo gitano, l'autore contesta la purezza dei costumi delle zingare e la loro avversione per qualunque rapporto che riguardi uomini estranei al gruppo etnico, e rileva: "che le gitane mostrano una straordinaria devozione verso i loro mariti. Non c'è pericolo, non ci sono privazioni che non affrontino per soccorrerli nelle loro necessità. Uno dei nomi che si danno gli zingari, rome, ossia sposi, mi sembra testimoniare il rispetto della razza per la condizione matrimoniale."
Se il comportamento di Carmen attesta che la contestazione dell'autore è fondata, esso comprova anche che si tratta di un soggetto deviante rispetto alla cultura del gruppo d'appartenenza. Carmen fa uccidere il marito da don José per unirsi a lui. Quando questi è ferito, si dedica a lui amorevolmente. Nondimeno, lo tradisce e, infine decide di abbandonarlo.
Nel suo comportamento si potrebbe cogliere una rivedicazione di libertà individuale radicale. Per questa via si perviene all'icona cui ho fatto cenno. Io ritengo però che il personaggio sia più complesso rispetto allo stereotipo protofemminista. Carmen di sicuro incarna l'ideale di una donna libera dalla soggezione all'uomo, ma realizza tale ideale su di un registro manifestamente contraddittorio. Se è una precorritrice del femminismo, lo è in un senso totale: esprime i valori e i limiti del femminismo, la cui miscela, almeno finora, si è rivelata inesorabilmente nevrotizzante.
I valori sono riconducibili ad orgogliosa rivendicazione d'indipendenza. A don José che le propone di andare via in America per ricostruirsi una vita, risponde:
"Non voglio essere tormentata né tanto meno comandata. Quel che voglio è esser libera e fare quel che mi piace. Sta' attento a non spingermi agli estremi."
"Quando mi si ordina di non fare una cosa, è proprio il momento che la faccio!"
A don José che la supplica di rimanere insieme, risponde:
"Ti seguo verso la morte, sì, ma non vivrò più con te."
"Tu vuoi uccidermi, lo vedo bene. Era scritto, ma non mi farai cedere."
All'amante che la scongiura ("Ti prego," dissi, "sii ragionevole. Ascoltami! Tutto il passato è dimenticato. Eppure, lo sai, sei stata tu a perdermi: è per te che sono diventato un ladro e un assassino. Carmen! mia Carmen! lascia che ti salvi e che mi salvi con te."), oppone un rifiuto che equivale ad accettare la morte:
"José" rispose, "mi chiedi l'impossibile. Non t'amo più: tu m'ami ancora ed è per questo che vuoi uccidermi. Potrei ancora raccontarti delle bugie: ma non voglio far questa fatica. Tutto è finito tra noi. Come mio rom hai il diritto d'uccidere la tua romi, ma Carmen sarà sempre libera. È nata calli e calli morirà."
La natura libertaria di Carmen è fuori dubbio. Questo solo aspetto però non permette di cogliere psicologicamente il personaggio a tutto tondo.
Carmen è estremamente instabile nell'umore: "aveva l'umore come il tempo dalle nostre parti. Mai la tempesta è così vicina nelle nostre montagne come quando il sole è più splendente."
Una prova di quest'instabilità è comprovata da un singolare episodio. Trovata da don José a parlare con l'archeologo-narratore, che ha avuto nei suoi confronti un atteggiamento gentile e rispettoso, Carmen è attraversata repentinamente da un desiderio del tutto incomprensibile. Essa si rivolge a don José perché sgozzi l'archeologo:
"La zingara continuava a parlargli nella sua lingua. S'animava sempre più: i suoi occhi s'iniettavano di sangue e divenivano terribili, i lineamenti si contraevano, pestava i piedi. Mi sembrò di capire che lo incitasse energicamente a far qualcosa di fronte a cui si mostrava esitante. Di che cosa si trattasse credevo di capirlo fin troppo bene vedendola passarsi e ripassarsi rapidamente la piccola mano sotto il mento. Ero tentato di credere che fosse in questione una gola da tagliare e avevo qualche sospetto che si trattasse della mia."
L'episodio è indiziario di un'ostilità cieca e apparentemente immotivata contro l'uomo.
Di fatto, Carmen ha un rapporto ambivalente nei confronti dell'universo maschile. Per un verso, il suo atteggiamento seduttivo e provocatorio implica il bisogno di sentirsi confermata dagli uomini: "Aveva una gonnella rossa molto corta, che lasciava vedere delle calze di seta bianca bucate in più d'un punto, e delle graziose scarpe di marocchino rosso allacciate con nastri color fuoco. Scostava la mantiglia per mostrare le spalle ed un grosso mazzo di gaggia che le usciva dalla camicia. Aveva un altro fiore di gaggia all'angolo della bocca e veniva avanti dondolandosi sui fianchi come una puledra dell'allevamento di Cordova. Nel mio paese una donna così acconciata avrebbe spinto la gente a farsi il segno della croce. A Siviglia ognuno le rivolgeva qualche complimento salace sulle sue forme: e lei rispondeva a tutti guardando di traverso e con il pugno sull'anca, sfrontata come una vera zingara qual era." Questo bisogno di attrarre il maggior numero di uomini possibile, concedendosi ad essi a suo piacere, non esclude affatto il bisogno di un rapporto di riferimento maschile, in una qualche misura stabile. E' questa la motivazione per cui, avendo conosciuto don José, Carmen lo induce ad uccidere il marito Garcia. Essa evidentemente sposta la dipendenza dall'uno all'altro per negarla.
Intuisce, però, di essere dipendente, e se ne vergogna al punto di agire la stessa tattica che usano gli adolescenti per occultare i loro amori. Dice di lei don José: "Mi mostrava più amicizia che mai: tuttavia, non voleva ammettere di fronte ai compagni di essere la mia amante; e m'aveva anzi fatto giurare in mille modi di non dir niente sul suo conto."
Dunque Carmen dipende dalle conferme maschili e ha bisogno di un rapporto di riferimento. Non può fare a meno di calarsi nel ruolo tradizionale di romi, ma, nello stesso tempo, rivendica la libertà di rivolgersi a qualunque altro uomo che l'attiri. La doppia vita serve a celare la dipendenza dall'uomo.
La dipendenza mal vissuta comporta anche un altro meccanismo di difesa. Conscia del suo potere seduttivo, Carmen ha bisogno di squalificare gli uomini per sentirsi infinitamente superiore ad essi: gli uomini li tratta come degli esseri univocamente stupidi e mediocri. Li usa, se ne serve, li maltratta, attiva tra loro la rivalità, gode nel constatare che essi non hanno alcuna difesa nei suoi confronti. Non può fare a meno di stare in rapporto con loro, ma, nel suo intimo, li disprezza per la loro debolezza. A don José, che, essendo ancora militare, deve tornare in caserma, essa dice: "In caserma?" disse con aria sprezzante, "sei dunque un negro che ti lasci comandare a bacchetta? Sei un vero canarino, d'abito e di carattere. Ma va' là, che hai il cuore d'un pulcino."
Ancor più significativo è un altro episodio, legato alla ricerca da parte di don José di Carmen che si è dileguata:
"Alzo la testa e vedo affacciata ad un balcone Carmen, con vicino un ufficiale in uniforme rossa, spalline d'oro, capelli ricci, aspetto da gran mylord. Lei poi era vestita magnificamente: uno scialle sulle spalle, un pettine d'oro, tutta in seta. E quella briccona - sempre la stessa! - si sbellicava dalle risate. L'inglese mi gridò, farfugliando lo spagnolo, di salire, ché la signora desiderava delle arance. E Carmen mi disse in basco: "Sali, e non ti meravigliare di niente." Niente di lei, infatti, poteva meravigliarmi. Non so se provai più gioia o dolore nel ritrovarla. Alla porta c'era un marcantonio di domestico inglese tutto incipriato che mi condusse in un magnifico salotto. Carmen mi disse subito in basco: "Non sai parola di spagnolo e non mi conosci." Poi, volgendosi all'inglese: "Glielo dicevo io: l'ho subito capito che era un basco: sentirà che lingua buffa. Che aria da allocco, vero? Lo si direbbe un gatto sorpreso in una dispensa." "E tu," le dissi nella mia lingua, "hai l'aria d'una sfrontata sgualdrina, ed avrei proprio voglia di sfregiarti la faccia davanti al tuo ganzo." "Il mio ganzo!" disse lei. "To'! lo hai indovinato da solo? E sei geloso di quest'imbecille? Sei ancora più tonto che prima delle nostre serate in via del Candilejo. Ma non vedi, stupido che non sei altro, che in questo momento sto facendo gli affari d'Egitto, e nel modo più brillante? Questa casa è mia: e mie saranno le ghinee del gambero. Lo sto menando per il naso, e lo menerò là da dove non uscirà mai."
Gli uomini sono inesorabilmente tutti tonti agli occhi di Carmen. Essa li sfida, come se fosse alla ricerca dell'uomo forte capace di tenerle testa e di vincolarla, ma non lo trova. La sfida la esalta nella misura in cui conferma che è lei la più forte. Certo, l'uomo può far valere la sua maggiore prestanza fisica. Offrendosi al coltello di don José senza battere ciglio, Carmen attesta che la sua anima non teme neppure la violenza.
2.
Tutti questi dati portano ad inquadrare l'esperienza di Carmen nell'ambito della personalità isterica, e in particolare di quella variante "maligna" che, dall'800 in poi, ha rievocato il fantasma della strega e ha indotto a intravedere nella natura femminile una predisposizione alla perfidia.
In reazione a questo stereotipo psichiatrico, accolto anche da Freud, che ha evidenziato le due personalità presenti nelle isteriche - l'una raffinata e angelicata, l'altra volgare e malvagia -, il femminismo ha recuperato la presunta malvagità femminile, dalle streghe medioevali sino ad oggi, com'espressione di una sacrosanta protesta di un universo oppresso contro gli oppressori. In quest'ottica, Carmen è diventata un'icona.
In molteplici scritti ho detto che il modo d'essere isterico è univocamente riconducibile ad un conflitto tra una dipendenza, espressione di un bisogno naturale (rappresentato anche nell'uomo) e di un condizionamento culturale (tale per cui la donna deve sentirsi insussistente e priva di significato senza un referente maschile), e un bisogno d'indipendenza, che, inibito o interferito dal condizionamento culturale, si aliena e si traduce in una cieca volontà di lotta contro l'uomo.
Le espressioni del bisogno alienato d'indipendenza sono molteplici. In alcuni casi, esso si traduce in un perenne fluttuare da un uomo all'altro, in nome di vissuto claustrofobico per cui ogni rapporto, dopo qualche tempo, viene vissuto come ingabbiante e soffocante. Il trasferimento della dipendenza da un uomo ad un altro può coincidere soggettivamente con un vissuto esaltante di libertà, smentito però dal fatto che, per troncare un rapporto in atto, deve essercene già un altro di ricambio. In pratica, nonostante la presunta libertà, il soggetto non può stare un attimo senza una figura di riferimento maschile.
In altri casi, il bisogno di dipendenza viene riversato in un rapporto stabile e duraturo, di solito coniugale, ma viene compensato da una doppia vita che può riguardare anche un solo amante o più di uno nel corso del tempo.
In altri casi ancora (oggi in assoluto i più frequenti), il conflitto si realizza all'interno di un rapporto. Si danno due possibilità. La prima è caratterizzata da un lento ritiro affettivo e sessuale dal rapporto, che equivale ad una rivendicazione d'indipendenza, che lo disinveste di ogni significato senza dare luogo allo scioglimento. Tale ritiro si associa quasi sempre ad una depressione più o meno somatizzata o ad un malessere angoscioso pressoché perpetuo. La seconda possibilità, invece, si realizza sotto forma di conflitto, periodico o continuo, con il partner che viene continuamente criticato, attaccato, al limite maltrattato. E' come se la donna esprimesse, attraverso questi atteggiamenti, il suo bisogno di liberarsi del rapporto. Tale bisogno però è arginato dalla dipendenza, per cui, non appena si realizza una tensione che comporta la minaccia della risoluzione del rapporto, il comportamento della donna cambia. Essa diventa tenera e affettuosa.
A seconda dell'intensità del conflitto, questa seconda possibilità può comportare, nelle sue manifestazioni estreme, lo sdoppiamento rilevato dagli psicopatologi ottocenteschi per cui un soggetto femminile sembra dotato di una doppia personalità: l'una, dipendente, accondiscendente, gentile, affettuosa, l'altra irascibile, aggressiva, maltrattante fino al limite del sadismo.
Rinvio all'articolo sulla dipendenza femminile per un approfondimento di questa tematica, che in Carmen si esprime nella sua forma più radicale: quella del trattare l'uomo, di cui non può fare a meno, come un oggetto di cui può disporre a piacimento, data la sua debolezza.
Maggio 2004