1.
Con Nietzsche, Dostoevskij si può ritenere colui che ha più approfondito il tema dell’introversione, da entrambi colta come diversità rispetto alla media (eccezionalità per l’uno, “morbosità” per l’altro). Il fascino esercitato da Dostoevskij su Nietzsche si può ricondurre al fatto che egli non arretra di fronte ad una verità sgradevole: quella per cui, se l’espressione comportamentale più propria e immediata dell’introversione è un modo di essere naturalmente vincolato al rispetto e alla comprensione dell’altro, che può giungere alla pietas, laddove le circostanze di vita, vissute come ingiuste, attivano una componente oppositiva, il comportamento può sormontare i vincoli naturali e attestarsi su di un registro di aggressività e “cattiveria” che, in sé e per sé, sembra incompatibile con la sensibilità sociale.
Sia ne Le memorie del sottosuolo che in Delitto e castigo, Dostoevskij descrive in maniera straordinariamente acuta questa temibile alienazione. In entrambi i casi, il cinismo dei protagonisti appare senza limite e la loro brutalità, nei confronti peraltro di esseri vulnerabili, ripugnante. E’ vero che qua e là, come ho cercato di evidenziare nelle recensioni, la loro natura profonda viene in luce sotto forma di senso di colpa, e che questo vissuto, almeno in un caso – quello dello studente Raskolnikov – produce una riparazione. Ciò nulla toglie al fatto che i protagonisti, nonostante il senso di colpa, agiscono comportamenti oggettivamente ingiustificabili.
Nietzsche fa propria l’ideologia nichilistica espressa a chiare lettere da Raskolnikov, dando ad essa il carattere di una cattiveria necessaria al fine di affrancare l’umanità da un patetico umanitarismo e attestarla sul piano di una nobile e spietata lotta tra spiriti eletti per affermare il diritto del più forte. Nel ricavare da Dostoeskij l’ideologia nichilistica, Nietzsche esprime la sua fiera (e “patologica”) avversione nei confronti della pietas, sublime sentimento che egli squalifica come cedimento all’influenza del Cristianesimo, e che, paradossalmente, rappresenta l’unica possibilità per gli spiriti “eletti”, vale a dire dotati di una viva sensibilità, di andare al di là del bene e del male..
Rispetto a Nietzsche, Dostoeskij, con l’Idiota, arriva più in profondità nello studio della natura umana e delle sue molteplici espressioni, dipendenti in parte dall’interazione con l’ambiente sociale e culturale. Gli estremi caratteriali della tipologia introversa, - l’una più espressiva della natura, l’altra della volontà di negarla e di affrancarsene - sono incarnate, infatti, dai due protagonisti - Lev Nikolaeviè Myškin e Nastas'ja Filippovna –, il cui tragico rapporto rappresenta la struttura del romanzo. Lo spettro introverso, nelle sue diverse combinazioni, è rappresentato anche da altri personaggi (Ganja e Aglaja per un verso, Rogozin e Ippolit per un altro).
Anche se Dostoevskij non accenna mai esplicitamente all’introversione, che egli abbia intuito l’esistenza di una tipologia caratteriale diversa rispetto alla media, atta a funzionare come una sorta di prisma delle ambivalenze intrinseche alla natura umana, è attestato dal fatto che, ne l’Idiota, più ancora che in altre opere, i protagonisti e coloro che appartengono a tale tipologia risaltano sullo sfondo di un mondo la cui normalità, peraltro apparente, fa sì che quell’ambivalenza si esprime sul registro della mediocrità.
Ciò concerne l’uomo comune:
“Ci sono delle persone difficili da caratterizzare una volta per tutte nei loro tratti più tipici. Esse vengono di solito definite "comuni", "la maggioranza", e di fatto costituiscono la grande maggioranza di ogni società…
Ciò nonostante rimane dinanzi a noi un quesito: come si deve comportare il romanziere con le persone ordinarie, completamente "comuni", come deve porle dinanzi al lettore per renderle in qualche modo interessanti? Escluderli del tutto dal racconto non si può dal momento che le persone ordinarie costituiscono continuamente e nella maggioranza dei casi l'elemento indispensabile nel concatenarsi degli eventi della vita, escluderli dunque significherebbe trasgredire alla regola della verosimiglianza. Riempire i romanzi unicamente di tipi o, semplicemente per suscitare interesse, di esseri strani e inesistenti sarebbe inverosimile e, certo, anche poco interessante. Secondo noi, lo scrittore deve cimentarsi nello scoprire sfumature interessanti e istruttive anche nell'ordinarietà. Proprio quando, per esempio, l'essenza stessa di alcune persone ordinarie si racchiude nella loro ordinarietà quotidiana e immutabile oppure, ancora meglio, quando, nonostante tutti i loro sforzi straordinari per sfuggire in qualche modo dalla sfera della routine e della banalità, finiscono tuttavia per rimanervi immutabilmente ed eternamente invischiati, allora anche tali persone acquisiscono a modo loro una caratteristica tipica: la loro ordinarietà, che non vuole in alcun modo rimanere ciò che è, ma vuole diventare a qualunque costo originale e indipendente senza essere dotata di alcun mezzo per esserlo…
In realtà non c'è niente di più triste che, per esempio, essere ricchi, di buona famiglia, di bell'aspetto, abbastanza istruiti e intelligenti, persino buoni, e al tempo stesso non avere nessun talento, nessuna peculiarità, neanche una stranezza, né un'idea originale, insomma essere proprio "come tutti". La ricchezza c'è, sì, ma non come quella dei Rothschild; la famiglia onorata, anche, ma non si è mai distinta in nulla; l'apparenza è piacevole, ma poco espressiva; l'educazione passabile, ma non si sa come metterla a frutto; l'intelligenza c'è, ma senza idee proprie; il cuore c'è, ma senza magnanimità e così via per tutti gli altri aspetti. Di persone come queste al mondo ce ne sono moltissime e anche più di quante sembrerebbe. Si dividono come il resto delle persone in due ordini principali: gli uni limitati, gli altri "assai più intelligenti". I primi sono più felici. Per l'uomo "comune" limitato, per esempio, non c'è niente di più facile che immaginare se stesso come una persona poco comune e originale, compiacendosene senza alcun tentennamento…
La sfrontataggine dell'ingenuità, in alcuni casi, arriva a livelli stupefacenti. Tutto questo sembra impossibile, ma lo si riscontra di continuo… l'incrollabile fiducia dell'uomo stupido in se stesso e nel proprio talento …
questa categoria, come abbiamo già detto, è molto più infelice della prima. Il fatto è che l'uomo comune intelligente, anche se qualche volta di sfuggita ha immaginato di essere uomo geniale e originalissimo (anche per tutta la sua vita), ciò nonostante conserva nel suo cuore il tarlo del dubbio che lo conduce alla più totale disperazione. Anche se si rassegna, è completamente avvelenato interiormente dalla vanità frustrata. D'altronde abbiamo preso in considerazione un caso limite, mentre nella stragrande maggioranza di questa intelligente categoria di persone il fenomeno ha luogo non in maniera così tragica: ci si rovina un po' il fegato, ecco tutto. Tuttavia prima di arrendersi e rassegnarsi, queste persone a volte ne combinano delle belle per moltissimo tempo, dalla giovinezza all'età della rassegnazione, e tutto a causa del desiderio di originalità.”
Se la mediocrità è il tratto distintivo dell’uomo comune, essa investe, mutatis mutandis, anhe l’élite sociale, la classe nobiliare. Il principe Myskin tenta di illudersi a riguardo:
“Per la prima volta nella vita vedeva un angoletto di quello che si definiva col terribile nome di "gran mondo Da molto tempo, in seguito ad alcuni speciali propositi, congetture e inclinazioni, desiderava ardentemente penetrare in quella cerchia incantata di persone, proprio per questo la prima impressione lo coinvolgeva tanto. La prima impressione fu persino fantastica. Ebbe la subitanea sensazione che tutte quelle persone fossero nate proprio per stare insieme, che non fosse in corso nessuna "serata" con invitati, ma che quelli fossero intimi amici ai quali egli era legato da lunga e devota frequentazione e affinità di pensiero e dai quali era tornato dopo una breve separazione.
Il fascino delle belle maniere, della sobrietà e della apparente sincerità era quasi magico. Non gli venne neanche in mente che tutta quella spontaneità, quella nobiltà, l'arguzia, il contegno dignitoso, potessero far parte di un'eccellente e artistica messinscena. La maggioranza di quelle persone, nonostante l'imponente esteriorità, era composta da persone abbastanza insulse che, tra l'altro, ignoravano, nel loro autocompiacimento, che quello che di buono c'era in loro era solo messinscena. Delle loro qualità essi non avevano merito dal momento che l'acquisivano inconsciamente, ereditariamente. Il principe non voleva neanche sospettare una cosa simile incantato dalla delizia della prima impressione.”
Ma la “verità” sfugge, infine, dalle sue labbra:
“Perché è proprio così, siamo ridicoli, superficiali, con cattive abitudini, ci annoiamo, non sappiamo osservare, non sappiamo comprendere, siamo tutti della stessa pasta, tutti, sia voi sia io, sia loro! Ecco non vi offendete se vi dico in faccia che siete ridicoli? E se è così, non è vero che siete materia viva? Sapete, secondo me, essere ridicoli a volte è bene, persino meglio: è più facile perdonarsi l'un l'altro, è più facile riconciliarsi. Non si può capire tutto subito, non si può cominciare dalla perfezione! Ci sono tante cose da non capire prima di raggiungere la perfezione! Quando si capisce troppo in fretta, non si capisce bene. Lo dico a voi, a voi che siete già in grado di capire molto e... di non capire.”
E’ sullo sfondo di questa universale mediocrità che vanno analizzate le tipologie dei protagonisti del romanzo - Lev Nikolaeviè Myškin e Nastas'ja Filippovna -, che sono le due facce estremizzate della stessa medaglia, il cui conio è una sensibiltà del tutto fuori dell’ordinario.
La trama del romanzo è esposta in questi termini nel Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi:
“Il principe Myskin, ultimo germoglio d'una grande famiglia decaduta, ritorna in patria dopo aver soggiornato in Svizzera per ragioni di salute, essendo malato di nervi. In realtà in questo uomo apparentemente "idiota", la cui idiozia consiste nell'assoluta impotenza della volontà e in una fede assoluta negli altri, fondata sopra una ancora più assoluta inesperienza di vita, Dostoevskij voleva dare un simbolo della saggezza cristiana nella sua essenza più pura. Compagno di viaggio di Myskin in Russia è Rogozin, colui che gli offrirà l'occasione di dimostrare quel che può capitare a un uomo "positivamente buono" a contatto con la realtà. Spinto da una segreta simpatia e dal bisogno di confidarsi, Rogozin, giovane esuberante e volitivo, confida durante il viaggio a Myskin, che è spiritualmente il suo opposto, la passione violenta suscitata in lui da Nastasja Filippovna , una bellezza di fama equivoca la quale, orfana fin dall'infanzia, educata per carità, e divenuta amante dell'uomo che si era preso cura di lei, quasi con il senso di una doverosa ma disgustosa restituzione del beneficio ricevuto, nasconde nell'animo, naturalmente generoso, una avversione per il mondo maschile e, in genere, per tutti coloro che sembrano valersi, per umiliarla, di una sorte più fortunata. Giunti a Pietroburgo, i due si separano, e il principe si reca dal generale Epancin, suo parente, dal quale spera essere aiutato nella vita di lavoro che intende cominciare. Il romanzo, intricatissimo di avvenimenti, che si svolgono in breve periodo di tempo, muove di qui in un'atmosfera di nervosa inquietudine. Presso il generale, Myskin sente ancora parlare di Nastasja: il segretario del generale, infatti, Ganja, si prepara a sposarla in vista della dote che le darà il suo protettore di un tempo. E un legame sotterraneo attira il giovane principe verso questa ignota in cui intuisce un carattere nobile, vittima delle circostanze. Andato in casa di Ganja, che si offre di ospitarlo, egli incontra la donna e confusamente intuisce la situazione: Ganja non è un disonesto ma un ambizioso che vorrebbe quel matrimonio per i vantaggi che ne deriverebbero alla sua carriera; Nastasja, d'altra parte, sarebbe forse disposta ad accettarlo se appena vedesse predominare in lui un sentimento più umano, ma è disgustata dal suo piccolo arrivismo che sferza con violenta ironia quasi per costringerlo a superarlo. Così Myskin, uscito appena da una malattia che gli aveva oscurato la mente, intimamente convinto che ogni gesto umano debba essere volto al bene dei suoi simili e che ogni uomo sia in ansiosa ricerca della propria bontà, si getta indifeso nella pericolosa avventura. La sera egli si presenta non invitato in casa di Nastasja, circondata da una compagnia di gente che aspetta la sua decisione se sposare o no il pretendente Ganja, e quando arriva Rogozin, ubriaco e in compagnia di ubriachi, che getta sul tavolo una forte somma con la quale vorrebbe compensare la donna della dote promessa dal suo protettore e portarla poi con sé come amante, egli si fa decisamente difensore di Nastasja e si dichiara pronto a sposarla per salvarla dalla rovina. Nastasja vede in lui l'uomo che potrebbe veramente salvarla, ma non accetta questa soluzione dettata dalla pietà e troppo pericolosa per il giovane; e fugge con Rogozin. La posizione di Myskin diviene ancor più complessa con il delinearsi dell'amore di Aglaja, la figlia minore del generale Epancin, per lui: amore dissimulato per orgoglio ma alimentato da un'affezionata ammirazione. Il principe sembra corrispondere, ma, in lui, il richiamo del sesso non riesce ad affiorare dal senso di universale affetto che lo lega agli uomini tutti; e questo, se da un lato fa aumentare l'ammirazione di Aglaja per lui, dall'altro esaspera la sua femminilità e la porta talora a disprezzare l'uomo nella creatura superiore che essa venera. Infine tra Myskin e Rogozin si viene lentamente formando un rapporto di simpatia quasi fraterna, per quel che di superiore hanno in comune nei loro atteggiamenti verso Nastasja, e, insieme, da parte di Rogozin, di furiosa rivalità, che spinge il giovane fin quasi a tentar di uccidere l'amico. Dietro queste vicende principali passano poi figure minori, amici di Rogozin e di Myskin, studenti senza avvenire, uomini mancati di ogni sorta, in cui imperversa egualmente la triste lotta tra segrete tendenze verso il bene e una effettiva malvagità. Quasi commento dell'insieme, figura di adolescenza sana e in buona fede fra tanti ondeggianti motivi, è Kolja, il fratello minore di Ganja, a cui è affidato lo stesso compito che avrà Alësa nei Fratelli Karamazov. Il romanzo finisce tragicamente con l'uccisione di Nastasja per mano di Rogozin e con la definitiva follìa del principe.”
2.
Il Principe Lev Nicolàievic’ Myškin ha tutte le caratteristiche dell’introverso allo stato puro - si direbbe.
Ha ventisei anni ma ne dimostra di meno.
Ha una rapporto intenso e quasi mistico con la natura (“«Giungemmo a Lucerna e mi portarono in giro per il lago. Sentivo che era bello, ma intanto provavo un'angoscia terribile» disse il principe. «Perché?» chiese Aleksandra. «Non lo capisco. Mi è stato sempre penoso e inquietante guardare per la prima volta una natura come quella. È bello, ma inquietante”; “Là da noi c'era una cascata, abbastanza piccola, che cadeva dall'alto della montagna, come un filo sottile, quasi perpendicolare, candida, rumorosa, spumeggiante; cadeva dall'alto, ma pareva abbastanza in basso, era a una mezza versta e pareva a cinquanta passi. La notte mi piaceva ascoltarne il suono. Ecco, in quei momenti giungevo talvolta a un punto di grande inquietudine. La stessa cosa mi accadeva a volte a mezzogiorno, quando rimanevo solo in mezzo alle montagne, e tutt'intorno c'erano dei pini, vecchi, alti, resinosi. In alto, su una rocca, c'erano le rovine di un vecchio castello medievale. Il nostro villaggetto era laggiù, lontano, si vedeva a malapena; il sole splendente, il cielo azzurro, un silenzio tremendo. Ecco, in quei momenti mi pareva di essere chiamato chissà dove, e che, se fossi andato sempre diritto, se avessi camminato a lungo, a lungo, e avessi oltrepassato quella linea laggiù, proprio là dove il cielo e la terra si incontrano, là ci sarebbe stata la chiave dell'enigma, e immediatamente avrei visto una nuova vita, mille volte più intensa e più rumorosa che da noi”) e con gli animali (“Mi ricordo che mi risvegliai completamente da tutte queste tenebre una sera a Basilea, al mio arrivo in Svizzera, e a risvegliarmi fu il raglio di un asino, una sera al mercato cittadino. Quell'asino mi colpì enormemente e chissà perché mi piacque in modo straordinario, e contemporaneamente mi parve che d'un tratto tutto si snebbiasse nella mia testa.» «Un asino? Che strano» osservò la generalessa, «anzi, no, non c'è nulla di strano, qualcuna di noi potrebbe anche innamorarsi di un asino» osservò guardando corrucciata le ragazze che ridevano; «è successo anche nella mitologia. Continuate, principe.» «Da allora amo enormemente gli asini. È addirittura una sorta di simpatia che sento dentro di me. Mi misi a chiedere informazioni su di loro, perché prima non ne avevo mai veduti, e immediatamente mi convinsi che erano animali utilissimi, gran lavoratori, forti, pazienti, poco costosi, tolleranti, e grazie a quell'asino d'un tratto tutta la Svizzera cominciò a piacermi, cosicché se ne andò del tutto la tristezza di prima.» Tuttavia io sono dalla parte dell'asino: l'asino è una persona buona e utile»).
Ha una straordinaria capacità di comunicare con i bambini (“«laggiù, laggiù non c'erano che bambini e io stavo tutto il tempo coi bambini, soltanto con loro. Erano i bambini del villaggio, tutta una banda che frequentava la scuola. Io non era che insegnassi loro, no, per questo c'era il maestro di scuola Jules Thibault; io forse insegnavo anche, ma soprattutto stavo con loro, e i miei quattro anni trascorsero tutti così. Non avevo bisogno di nient'altro. Dicevo loro tutto, senza nascondere nulla. I loro padri e i parenti se la presero con me perché i bambini, alla fine, non riuscivano più a fare a meno di me, e mi stavano sempre intorno e il maestro di scuola finì per diventare il mio nemico numero uno. Laggiù mi feci molti nemici, e tutto a causa dei bambini. Perfino Schneider mi rimproverava. E di che cosa poi avevano tanto timore? Ad un bambino si può dire tutto, tutto. Mi ha sempre colpito il pensiero di quanto poco i grandi conoscano i bambini, i padri e le madri conoscono poco addirittura i propri figli. Ai bambini non bisogna nascondere nulla, col pretesto che sono piccoli, e che per loro è troppo presto sapere. Che idea triste e disgraziata! I bambini poi si accorgono benissimo che i loro padri li ritengono troppo piccoli e credono che non capiscano nulla, mentre loro invece capiscono tutto alla perfezione. I grandi non sanno che un bambino può dare un consiglio straordinariamente importante anche nelle questioni di maggior merito. Oh mio Dio! Quando uno di quei graziosi uccellini ti guarda, pieno di fiducia e di felicità, dovresti aver vergogna di ingannarlo! Io li chiamo uccellini proprio perché al mondo non c'è nulla che sia migliore di un uccellino… Attraverso i bambini l'anima guarisce...”).
Ha difficoltà ad interagire con gli adulti (“Non sono capace di gesti appropriati, non ho il senso della misura, spesso pronuncio parole che non corrispondono ai miei pensieri e per ciò stesso questi ne sono sminuiti”; “Alla fine Schneider mi manifestò un suo pensiero molto strano; accadde poco prima della mia partenza, quando mi disse d'esser pienamente convinto che io stesso ero un fanciullo in tutto e per tutto, cioè completamente un bambino, che dell'adulto avevo soltanto la statura e il viso, ma come sviluppo, come anima, carattere e forse anche intelligenza non ero adulto, e così sarei rimasto anche se fossi vissuto fino a sessant'anni. Ne risi molto. Non aveva di certo ragione, perché che bambino posso essere io? Solo una cosa è vera: davvero io non amo stare con gli adulti, con la gente, coi grandi, l'ho notato già da tempo, non mi piace perché non ne sono capace. Qualunque cosa mi dicano, per quanto siano buoni con me, chissà perché mi riesce sempre difficile stare con loro, e sono terribilmente contento quando posso tornare al più presto dai miei compagni, e i miei compagni sono sempre stati i bambini, ma non perché sia un fanciullo io stesso, ma semplicemente mi sento attirato dai bambini.”).
La diagnosi di Schneider, il medico che ha avuto in cura il principe Myskin in Svizzera, è però imprecisa, e viene giustamente da questi corretta. Un’emozionalità che rimane viva e ingenua – dimensione tipica del modo di essere introverso – ha qualcosa di infantile, ma non definisce l’infantilismo della personalità. Myskin ha ragione nel sostenere di non essere un fanciullo.
Un bambino, preda della visione in qualche misura idealizzata che ne ha, stenta a comprendere la complessità degli adulti con le loro contraddizioni e i loro livelli di mistificazione. Per Myskin, viceversa, la personalità degli adulti e – si direbbe – il loro stesso inconscio è un libro aperto. Egli registra letteralmente tutto ciò che passa nell’anima degli altri. anche ciò che non viene espresso o viene rimosso, e giunge alle radici del loro essere. Che cosa scopre?
Che alcuni – i normali – in genere pretendono di coprire le reali motivazioni dei loro comportamenti, perché se ne vergognano. Questa strategia li fa apparire peggiori di quanto sono. Un episodio esemplare è il seguente:
“«Ma insomma, ditemi, Keller, che cosa vi aspettavate da me? Perché siete venuto qui a confessarvi?»
«Da voi? Cosa mi aspettavo? Anzitutto, già è un piacere il solo osservare la vostra semplicità d'animo; è un piacere conversare con voi; so di avere di fronte, almeno, una persona assolutamente virtuosa. In secondo luogo... in secondo luogo...»
Esitò.
«Forse intendevate chiedermi del denaro in prestito?» concluse il principe con serietà e semplicità, e anche con una certa timidezza.
Keller sussultò: stupefatto, fissò il principe diritto negli occhi e picchiò con forza il pugno sul tavolo.
«Ma è proprio così che voi scombussolate la gente! Scusate, principe, ma voi siete di una semplicità, di un'innocenza che neanche nell'età dell'oro, e nello stesso tempo, tutt'a un tratto, con una profondissima penetrazione psicologica, trapassate la gente da parte a parte, come una freccia. Scusatemi, principe, ma questo, questo richiede una spiegazione, perché io, io... sono sconvolto! È vero che in fin dei conti il mio scopo era di chiedervi un prestito, ma voi me l'avete chiesto come se non ci fosse nulla di riprovevole, come se naturalmente dovesse essere così.»
«Sì... da parte vostra doveva essere così.»
«E non siete indignato?»
«Ma di che cosa?»”
Altri, invece, si vergognano dei loro sentimenti e li occultano sotto una scorza di durezza, come accade costantemente a Lizaveta Prokofievna:
“«Ma insomma, vuoi uno schiaffo?»
«No che non lo voglio. Ma perché siete contenta del biglietto e cercate di nasconderlo? Perché vi vergognate dei vostri sentimenti? Fate sempre così, voi.»
«D'ora in avanti non azzardarti a mettere piede in casa mia» urlò Lizaveta Prokofievna balzando in piedi, pallida di collera. «Da questo momento di te in casa mia non si deve sentire neppure l'odore!»
«E fra tre giorni mi verrete a chiamare... Suvvia, perché vi vergognate? Se questi sono i vostri sentimenti migliori, perché ve ne vergognate? Vi tormentate inutilmente.»
«Dovessi morire, non ti inviterò mai più! Mi dimenticherò perfino il tuo nome! Anzi, l'ho già dimenticato!»”
Altri, infine, hanno in odio la propria straordinaria sensibilità e vogliono sistematicamente apparire infinitamente peggiori di quanto sono. E’ il caso – questo – di Nastassia Filippovna.
Con la sua straordinaria capacità di comprendere gli esseri umani e di applicare ad essi e alle loro contraddizione la pietas, che fa riferimento al loro dibattersi per venire a capo dei problemi posti dalla doppiezza della natura umana, il Principe Myskin crea un campo d’interazione all’interno del quale le persone, sentendosi comprese, si umanizzano, abbandonano le difese, rivelano le loro debolezze.
Solo Nastassia interagisce drammaticamente con tale campo.
3.
Nastassia incarna in maniera drammatica il modello di donna demoniaca, che il senso comune, dalla metà dell’Ottocento, ha ricondotto allo sterotipo dell’isterica maligna, e che la psicopatologia dinamica iscrive nell’ambito della sindrome dissociativa. La dissociazione sovrappone ad un modo di essere innato, caratterizzato da una straordinaria sensibilità, delicatezza d’animo e ingenuità – dimensioni tipicamente introverse -, una maschera di durezza, aggressività e cattiveria con cui l’Io cosciente s’identifica.
Essa interviene a seguito di un’interazione con il mondo che rende odiosa la sensibilità e orienta il soggetto ad estirparla in nome non tanto di una difesa dal dolore quanto di una motivazione vendicativa, che pone in luce un drammatico senso di giustizia esasperato dalle violenze subite. In conseguenza di quella motivazione, il soggetto è spinto ad agire una gelida malvagità, che, nel suo intimo, paga in termini di infelicità, senso di colpa e autodistruzione.
La storia di Nastassia, sotto questo profilo, è esemplare. La trasformazione in demonio avviene in riferimento all’uomo che, profittando del suo ruolo di protettore, ne ha abusato per anni:
“Davanti a lui c'era una donna totalmente diversa, che non somigliava affatto a quella che egli aveva conosciuto fino allora, e che aveva lasciato solo nel mese di luglio nel villaggetto di Otradnoe. Si vide subito che quella nuova donna sapeva in primo luogo, e comprendeva, una quantità di cose incredibile, così tante che c'era da stupirsi profondamente e da chiedersi dove avesse potuto acquisire tali cognizioni, elaborare in se stessa concetti tanto sottili (forse nella sua biblioteca per signorine?). Sapeva moltissimo anche in materia giuridica, e aveva una vera e propria conoscenza se non del mondo, almeno di come vanno certe cose. In secondo luogo, non aveva affatto lo stesso carattere di prima, cioè non era più la fanciulla con carattere timido e indefinito, a volte affascinante per vivacità e candore, a volte triste e pensosa, stupita e diffidente, piangente e inquieta. No: davanti a lui c'era un essere nuovo, inatteso, che gli rideva in faccia e lo punzecchiava col suo velenosissimo sarcasmo, che gli dichiarava apertamente di non aver mai avuto nel cuore che il più profondo disprezzo per lui, un disprezzo che arrivava alla nausea, sorto subito dopo il primo momento di sorpresa. Quella donna dichiarava che le era indifferente, nel senso più pieno della parola, che egli adesso si sposasse con chicchessia, ma che lei era venuta per non permettergli quel matrimonio, non permetterglielo per cattiveria, unicamente perché così voleva e così, di conseguenza, doveva essere - «Be', sia pure soltanto per ridere di te a volontà, perché adesso sono io, finalmente, che voglio ridere.» Così, almeno, si esprimeva, ma forse non diceva fino in fondo tutto quel che aveva in mente”; “Non avendo caro nulla, men che meno se stessa, (erano necessari molta intelligenza e molto intuito per indovinare in quel momento che da un pezzo lei aveva smesso di amare se stessa e per credere, lui che era uno scettico e cinico uomo di mondo, alla serietà di quel sentimento), Nastassia Filippovna era capace di rovinare anche se stessa vergognosamente e per sempre, di finire in Siberia e ai lavori forzati pur di infierire su quell'uomo, verso il quale nutriva una avversione così disumana.”
Spogliatasi della sua natura originaria di fanciulla timida, vivace, candida, riflessiva e inquieta, Nastassia, nell’assumere una maschera demoniaca, non limita la sua vendetta a colui che le ha fatto del male. Essa la estende a tutto l’universo maschile attratto morbosamente dal suo fascino e a tutto il mondo. La sua ossessione, più volte ripetuta, è di essere libera e padrona di sé.
Myskin si rende conto della verità anche solo attraverso una fotografia: “«Un viso stupendo!» rispose il principe. «E sono sicuro che il suo destino non è dei più comuni. È un viso allegro, ma ha sofferto terribilmente, vero? Lo dicono i suoi occhi, queste due piccole sporgenze, questi punti sotto gli occhi, dove cominciano le guance. È un viso orgoglioso, terribilmente orgoglioso, e non so se sia buona.”
La conferma di questa intuizione avviene attraverso l’incontro. Nastassia rivela la sua malvagità nell’infierire contro la sorella di un suo pretendente, ma viene smascherata da Myskin:
“«E voi non vi vergognate?! Siete forse quale poco fa avete ostentato di essere? È forse possibile?» esclamò d'un tratto il principe, con un tono di profondo rimprovero che veniva dal cuore. Nastassia Filippovna rimase stupita, sorrise, ma come se sotto quel suo sorriso nascondesse qualcosa, e, alquanto turbata, gettò un'occhiata a Ganja e uscì dal salotto. Ma, prima ancora di arrivare all'ingresso, d'un tratto si voltò, si avvicinò svelta a Nina Aleksandrovna, le prese la mano e se la portò alle labbra. «È vero che non sono così, ha indovinato» mormorò in fretta, con calore, avvampando e arrossendo tutta, e, voltatasi, uscì, questa volta tanto rapidamente che nessuno ebbe il tempo di capire perché era tornata indietro.”
In conseguenza dello smascheramento, essa accetta la sfida dell’uomo che vuole proteggerla al fine di dimostrargli che egli nulla può contro la sua ostinata volontà di apparire altro da quello che è. La protezione di Myskin giunge al punto di proporle un matrimonio:
“«Io vi prendo come una donna onesta, Nastassia Filippovna, non come la donna di Rogožin» disse il principe.
«Una donna onesta io?»
«Voi.»
«Be', questa poi... è una cosa da romanzo! Questi, caro principe, sono vaneggiamenti che si facevano un tempo, ma adesso il mondo è più razionale, e queste sono tutte assurdità! E poi come puoi pensare di sposarti, quando tu stesso hai bisogno della bambinaia!»
Il principe si alzò e con voce timida, tremante, ma allo stesso tempo con l'aria di un uomo profondamente convinto, dichiarò:
«Io non so nulla, Nastassia Filippovna, non ho visto nulla, avete ragione, ma... credo che voi farete un onore a me, e non io a voi. Io non sono nulla, voi invece avete sofferto e siete uscita pura da un simile inferno, e questo è molto. Perché dunque provate vergogna e volete andarvene con Rogožin? È delirio, questo...”
Più volte, Myskin ribadisce che il suo sentimento nei confronti di Nastassia non è amore, ma compassione. Egli la conosce meglio di quanto essa conosca se stessa:
“Quella infelice donna è stupidamente convinta di essere la creatura più peccaminosa e abietta del mondo. Oh, non la disprezzate, non scagliate pietre contro di lei! Si è sin troppo tormentata da sola con la consapevolezza del proprio immeritato disonore! E di che cosa è colpevole, oh, mio Dio! Ella grida continuamente presa dalla frenesia di non ritenersi colpevole di nulla, di essere una vittima della gente, vittima di un depravato malfattore, ma qualunque cosa dica, sappiatelo, ella è la prima a non credere alle proprie parole, anzi nel profondo della coscienza crede, al contrario, di essere lei... la colpevole. Quando ho tentato di disperdere queste tenebre, ella è arrivata a un punto tale di sofferenza che il mio cuore non guarirà mai fino a quando ricorderò quell'orribile periodo. Il mio cuore è trafitto una volta per sempre. Lo sapete perché fuggiva da me? Solo per dimostrarmi di essere indegna. Ma la cosa insopportabile è che probabilmente non conosceva la ragione della propria fuga, ma era mossa dal desiderio irrefrenabile di commettere un'azione degna di disprezzo per poter dire a se stessa: "Ecco hai commesso una nuova bassezza, dunque sei un essere abietto!".
Nastassia non sopporta la compassione di Myskin e tanto meno la sua volontà di salvarla e di redimerla, vale a dire di restituirla a se stessa. Gravata da sensi di colpa intollerabili, essa deve continuare a commettere colpe e a seguire il suo destino fino all’epilogo tragico di farsi dare la morte da Rogozin.
La sua fine precipita Myskin nuovamente nella follia. Egli non è riuscito a salvare Nastassia, e sa che, con il suo sterile sacrificio, ha segnato definitivamente anche la vita di Aglaja, l’unica donna che egli ama e da cui è contraccambiato.
4.
La critica letteraria ha identificato in Dostoevskij l’esploratore più profondo della doppiezza intrinseca alla soggettività umana, riconducendola alla compresenza del bene e del male. Ritengo che questo codice interpretativo, ormai accreditato dalla tradizione, sia alquanto superficiale. Prima di essere morale, esprimendosi attraverso i comportamenti, infatti, la doppiezza è di ordine psicobiologico, e coincide con la doppia natura umana, che apre l’uomo all’appartenenza sociale, e dunque ai doveri nei confronti degli altri, e, al tempo stesso, lo vincola alla percezione della sua identità individuale, e dunque dei suoi diritti. La difficoltà di integrare questi due aspetti, e di giungere a definire tra essi un equilibrio, diverso da persona a persona, è una delle chiavi della storia umana e di ogni singola esperienza. In questa ottica, la normalizzazione è un equilibrio mistificato, meramente formale, al di sotto del quale si danno contraddizioni di ogni genere. Essa, peraltro, è poco agibile da parte dei soggetti introversi, che hanno – lo sappiano o no – un bisogno spiccato di autenticità. Dovendo fare i conti con l’ambiente sociale, tale bisogno non li protegge certo dalla scissione, anzi aumenta la possibilità che essa si realizzi.
E’ in conseguenza di una scissione del patrimonio dei bisogni che Myskin non riesce a tener minimamente conto di sé, dei suoi bisogni e dei suoi diritti, e che Nastassia non riesce a rapportarsi agli altri se non come oggetti da manipolare.
Lette alla luce della teoria dei bisogni intrinseci, le opere di Dostoevskij valgono più di un trattato di psicologia.