Hermann Hesse
Appunti per una psicobiografia
1.
La lunga vita di Hermann Hesse e il suo essere pervenuto, attraverso un’esperienza interiore travagliata che, fin dall’adolescenza, ha sfiorato più volte il ciglio della disperazione e del suicidio, ad una serena e equilibrata saggezza, rappresentano di per sé un “capolavoro” denso di significati.
Il dramma di Hesse riconosce la sua matrice nell’interazione tra la tradizione culturale della famiglia, caratterizzata sia da parte paterna che materna da una viva religiosità di tipo pietista, e la sua natura introversa, oppositiva e avversa a qualunque tipo di imposizione autoritaria.
Egli nasce il 2 luglio 1877 a Calw-Wurttemberg, una piccola cittadina del nord della Foresta Nera da Johanness Hess, missionario pietista, e Marie Gundert, vedova Isenberg e già madre di due figli.
Johannes Hesse, uomo colto e dalla personalità spiritualmente ricca, è originario di un piccolo paese della Estonia; Marie Gundert, dotata di una fervida fantasia e appassionata di letteratura, è invece nata in India, dove ha trascorso l'infanzia.
Entrambi provengono da famiglie di livello culturale molto elevato e caratterizzate da una profonda religiosità. Il nonno paterno, Carl Hermann Hesse, medico di professione, organizza per tutta la vita nella sua casa letture bibliche settimanali. Il nonno materno, Hermann Gundert, profondo studioso della cultura e della religione indiana, è un uomo sensibile e di spirito, che pratica però la religione all’insegna di una rigida devozione e ha un senso del dovere, dell’obbedienza e del rispetto dell’autorità senza limite.
L’ambiente familiare è dunque culturalmente stimolante, ma, allo stesso tempo, piuttosto repressivo sotto il profilo morale e religioso. Il pietismo che in esso circola è caratterizzato dalla sollecitazione a praticare una “religione del cuore” associata ad una morale rigorosissima.
L’esperienza infantile e adolescenziale di Hesse è una prova che, nonostante quanto sostengono gli analisti tradizionali, i conflitti psicodinamici non si originano sempre sul registro dell’affettività, bensì su quello della scarsa compatibilità tra i valori culturali veicolati dalla famiglia e la vocazione ad essere del figlio.
Entrambi i genitori sono, sotto il profilo umano, ottime persone, affettivamente molto valide, nonostante una certa severità di fondo. Entrambi, però, in conseguenza di una fede religiosa che rappresenta per loro un orizzonte assoluto, non sono in grado di cogliere nell’irrequietezza e nella tendenza oppositiva del piccolo Hermann il potenziale di individuazione che esse esprimono. Vi leggono piuttosto la prova che la natura umana è originariamente inquinata dal Maligno.
Hermann, di fatto, com’è proprio di tutti gli esseri dotati di un corredo introverso oppositivo, è un bambino oltremodo sensibile e testardo, che crea ai genitori e agli educatori notevoli difficoltà. Già nel 1881 la madre manifesta al marito la propria preoccupazione: "Prega insieme a me per il piccolo Hermann [...] Il bambino ha una vitalità e una forza di volontà così decisa e [...] un'intelligenza che sono sorprendenti per i suoi quattro anni. Che ne sarà di lui? [...] Dio deve impiegare questo senso orgoglioso, allora ne conseguirà qualcosa di nobile e proficuo, ma rabbrividisco solo al pensiero per ciò che una falsa e debole educazione potrebbe fare del piccolo Hermann".
Conformemente ai principi del pietismo, i genitori tentano senza successo di “addomesticare” il figlio, frenando e reprimendo l’ostinazione ribelle che gli è propria. Lo affidano dunque ad educatori esterni, confidano nella scuola e programmano per Hermann un futuro da pastore.
Pur senza impegnarsi molto nello studio, questi consegue risultati brillanti e, superato l’esame regionale, si iscrive nel settembre del 1891 al seminario di Maulbronn. L’ambiente non è nel complesso repressivo, ma colà Hermann scopre di non avere alcuna vocazione per ripercorrere le orme del padre. Dopo sei mesi, senza apparente motivo, egli si dà alla fuga. Riportato in seminario e trattato con una certa comprensione, egli comincia a soffrire di stati depressivi preoccupanti. Disperati, i genitori decidono di riprendere il ragazzo e di inviarlo per una "cura", in realtà "per essere liberato dal diavolo", al pastore Christoph Blumhardt. Le cose vanno però di male in peggio, fino ad un tentativo di suicidio, che sarebbe riuscito se il revolver non si fosse inceppato. Hermann viene quindi ricoverato nella clinica per malati di nervi a Stetten.
La comunicazione con la famiglia è ormai compromessa. Affettuosamente i genitori gli scrivono promettendogli di iscriverlo in un comune ginnasio "non appena darà prova per alcuni mesi di autocontrollo e obbedienza" La risposta, indirizzata al padre, è quella di un adolescente esasperato e disperato: "Gentile Signore! Poiché Lei si mostra stranamente così pronto al sacrificio, mi è concesso forse di chiederle sette marchi ovvero un revolver. Dopo che Lei mi ha indotto alla disperazione, sarà sicuramente pronto a liberare me da questa e lei da me stesso. In realtà avrei dovuto crepare già a giugno".
Di fronte ad una rinnovata minaccia di suicidio, i genitori gli concedono, dopo le sue insistenti preghiere, di ritornare a Calw, dove frequenta dal novembre 1892 sino all'ottobre 1893 il ginnasio Canstatter. Non porta a termine comunque l'intero ciclo di studi ginnasiali.
All'esperienza scolastica segue un brevissimo apprendistato come libraio a Esslingen. Dopo appena quattro giorni Hermann abbandona la libreria. Ritrovato dal padre in giro per le strade di Stoccarda, viene spedito in cura dal dottor Zeller a Winnenthal. Qui trascorre alcuni mesi dedicandosi al giardinaggio, finché ottiene il permesso di tornare in famiglia.
A Calw aiuta il padre nella casa editrice e sfoglia con avidità i libri dell'immensa biblioteca del nonno Gundert. Scopre autonomamente la sua vocazione letteraria, ma il padre, ritenendolo incostante, volubile e sostanzialmente inaffidabile, si oppone alla sua richiesta di lasciare la casa per potersi preparare "in libertà" all'attività letteraria. Hermann è costretto a seguire un apprendistato presso un’officina di orologi da campanile a Calw. In questo periodo progetta di fuggire in Brasile. Un anno dopo abbandona l'officina e incomincia nell'ottobre 1895 un apprendistato come libraio presso Heckenhauer a Tubinga, che dura tre anni.
E’ una svolta estremamente significativa. La professione di libraio, che gli assicura un reddito, gli permette di staccarsi finalmente dalla famiglia, emancipandosi dalla morale a dalla religione d'origine.
Le sue ansie interiori si placano, permettendogli di dedicarsi ad una intensa formazione culturale autodidatta, e di scoprire ed affermare la propria irrinunciabile vocazione poetica.
2.
Nel 1899 pubblica le sue prime composizioni liriche dal titolo "Poesie romantiche", a cui seguono la pubblicazione delle prose liriche "Un'ora dopo mezzanotte" (1900).
Trasferitosi a Basilea, dove lavora come commesso in una libreria antiquaria, Hermann si sente attratto dalle arti figurative, dall'architettura, dalle opere del filosofo Nietzsche e dello storico dell'arte Jakob Burckhardt, interessi che lo spingono a compiere nel giro di pochi anni due viaggi in Italia.
Nel 1904 pubblica il suo primo romanzo, dal titolo "Peter Camenzind": un'opera che ottiene un notevole successo editoriale e che lo convince a dedicarsi esclusivamente alla professione letteraria. Nello stesso anno sposa Maria Bernouilli, donna colta e appassionata di musica. Con lei si trasferisce in una fattoria a Gaienhofen, sul lago di Costanza, dove nasceranno i tre figli: Bruno (1905), Heiner (1909) e Martin (1911).
In quegli anni vengono pubblicate altre sue opere di rilievo: i saggi "Francesco d'Assisi" e "Boccaccio" (1904), il romanzo "Sotto la ruota" (1906); le raccolte di racconti "Pellegrinaggio d'autunno" (1905), "Al di qua" (1907), "Vicini" (1908) e "Vie tortuose" (1912); il romanzo "Gertrud" (1910).
Nello stesso periodo Hermann fa la conoscenza di R. Huch, S. Zweig e Thomas Mann, e incomincia ad occuparsi del pensiero e della cultura cinese.
Nel 1911 compie un viaggio di tre mesi in Oriente, visitando l'Indonesia, l'India e Ceylon, un itinerario che gli permette di abbandonare le atmosfere austere della civiltà Europea, per immergersi nel fascino e nella sensualità di un paesaggio esotico e primordiale, dove ha modo di riscoprire una dimensione spirituale e umana più profonda. Le impressioni e le riflessioni di questo viaggio le raccoglie nel libro "Dall'India" (1913).
Negli anni successivi escono altre opere: il romanzo "Rosshalde" (1914), i racconti "Sulla via" (1915) e "Tre storie della vita di Knulp" (1915).
Nel 1915 diversi problemi famigliari, ai quali si aggiunge un'acuta e difficile situazione ideologica, innescatasi nell'animo di Hesse con lo scoppio della prima guerra mondiale, gli causano un grave stato depressivo, tanto da costringerlo ad un ricovero in una clinica per malattie nervose e a sottoporsi ad una intensa terapia psicoanalitica con il Dott. J. B. Lang, un allievo di C. G. Jung, durata fino al novembre 1917. Per alleviare il suo stato di scoramento Hesse inizia anche a dipingere.
Nel 1917, con lo pseudonimo di Emil Sinclair, pubblica alcuni interventi pacifisti che sono dileggiati dalla critica tedesca e accolti con solidarietà solamente tra le file dell'opposizione internazionale alla guerra. Le incomprensioni con i suoi connazionali maturano in Hesse il definitivo distacco dai destini politici della Germania.
Con lo stesso pseudonimo pubblica le prime edizioni del romanzo "Demian" (1917), un'opera ricca di elementi psicanalitici che gli decreta fama internazionale, ma di cui, dietro lo pseudonimo, i critici riconoscono rapidamente la vera identità dello scrittore.
Due anni dopo si trasferisce a Casa Camuzzi a Montagnola, presso Lugano, nel Canton Ticino, alla ricerca di una nuova esistenza e di più feconde ispirazioni artistiche. In questa località Hesse sceglie di vivere per il resto della sua vita, decisione che conferma con la riacquisizione della cittadinanza elvetica e dove conosce la sua seconda moglie Ruth Wenger, giovanissima pittrice e cantante lirica, che sposa nel 1924.
La sua inesauribile attività di scrittore continua con la pubblicazione del racconto "Klein e Wagner" (1919), della raccolta di racconti "L'ultima estate di Kleingsor" (1920), delle liriche "Poesie del pittore" (1920), del saggio su Dostoevskij dal titolo "Sguardo nel caos" (1920).
Nel 1922 pubblica "Siddharta", una delle sue opere di maggior successo, in particolar modo fra le giovani generazioni di tutto il mondo. La narrazione, intrisa di pace contemplativa, è ambientata in India e frutto del confluire delle esigenze spirituali di Hesse verso il pensiero religioso buddista.
Intanto la vita di Hesse ha raggiunto una tranquilla e appagante stabilità; il lavoro di scrittore viene intervallato da brevi tournées di letture pubbliche e da brevi soggiorni di cura a Baden bei Zürich, centro da cui trae ispirazione per il romanzo autobiografico "La cura" (1924).
Nel 1927, dopo il divorzio dalla seconda moglie, per Hesse si apre un periodo di grande infelicità e depressione che lo costringe a ricorrere nuovamente al trattamento psicoanalitico e lo spinge ad allontanarsi da Montagnola, prima trasferendosi a Basilea e poi a Zurigo, dove inizia a frequentare i circoli della bohème cittadina, dedicandosi ad una intensa attività mondana.
Poesie e appunti di vita personale di questo periodo sono raccolti nel libro "Crisi", pubblicato nel 1928; contemporaneamente vengono pubblicate altre opere: "Libro d'immagini" (1926), "Viaggio a Norimberga" (1927), "Il lupo della steppa" (1927).
Stanco della vita zurighese, Hesse torna a Montagnola, con una nuova compagna, Ninon Ausländer, divorziata Dolbin, austriaca di origine ebraica, archeologa e storica dell'arte, che sposerà nel 1931.
Nonostante problemi psico-fisici disturbino la sua salute, Hesse non interrompe mai la sua attività letteraria, che continua assiduamente con la pubblicazione di altre importanti opere: "Consolazione della notte" (1929), "Una biblioteca della letteratura universale" (1929), "Narciso e Boccadoro" (1930), "Il pellegrinaggio in Oriente" (1932), "L'Albero della vita" (1934), "Il mago della pioggia" (1934), "Il confessore" (1936), "Libro di fiabe" (1935), "Ore in giardino", un poemetto in esametri (1936), "Una vita indiana" (1937), "Nuove poesie" (1937), "Fogli di memorie" (1937).
Con l’avvento al potere di Hitler, per la sua avversione dichiarata verso il nazismo, in Germania tutte le opere di Hesse sono considerate indesiderate e ne viene proibita la stampa; anche le riviste tedesche con le quali collabora da anni cessano le pubblicazioni dei suoi articoli.
La sua casa di Montagnola diviene punto di riferimento e di ospitalità per numerosi scrittori e intellettuali tedeschi, fra i quali Thomas Mann, K. Wolff, B. Brecth, H.Wiegand, costretti ad abbandonare la Germania.
Pur nelle diverse difficoltà di quel periodo, Hermann Hesse porta a compimento la scrittura di uno fra i suoi romanzi più conosciuti, "Il giuoco delle perle di vetro" che è pubblicato a Zurigo nel 1943, a cui seguono una scelta di liriche "Il ramo fiorito" (1945), e la raccolta di racconti e fiabe "Traccia onirica" (1945).
Nel 1946 gli vengono conferiti il prestigioso Premio Goethe della città di Francoforte, e il Nobel per la Letteratura.
Hermann Hesse, con passione instancabile, continua il suo lavoro di scrittore, nonostante fastidiosi disturbi alla vista e il dolore per alcuni lutti famigliari fra i quali la perdita del fratello Hans, morto suicida. In quegli anni dell'immediato dopoguerra scrive numerose liriche ed alcune brevi prose, raccolte in tre volumi: "Prosa tarda" (1951), "Incantesimi" (1955), "Liriche tarde", quest'ultimo pubblicato postumo nel 1963. Nel 1961 viene pubblicata una scelta di liriche dal titolo "Gradini - Poesie vecchie e nuove".
Trascorre gli ultimi anni della sua vita nella quiete serena della sua casa, lontano dal clamore della celebrità e protetto dalle premurose attenzioni della moglie Ninon.
Colpito da emorragia cerebrale, Hermann Hesse muore il 9 agosto 1962 a Montagnola, nel cui piccolo cimitero di S. Abbondio viene sepolto.
3.
La biografia di Hermann Hesse è interessante per molteplici motivi.
In primo luogo, se si confronta la sua esperienza con quella dei fratelli ci si imbatte in un nodo estremamente significativo. Appartenendo ad una famiglia di livello culturale elevato e non priva, in tutti i suoi membri, di una certa creatività, i figli di Johanness Hess e Marie Gundert sono tutti dotati di eccellenti qualità, ma secondo uno spettro che comporta un diverso grado di adattamento alle richieste della famiglia, univocamente incentrate sulla necessità di aderire e praticare il cristianesimo protestante di matrice pietista.
Due sorelle di Hermann – Adele e Marulla – aderiscono a quelle richieste senza apparente difficoltà, sviluppando un atteggiamento religioso destinato a durare tutta la vita.
Due fratellastri di Hermann – Karl e Theodor – cercano da giovani di intraprendere una carriera artistica, ma rapidamente vi rinunciano, adattandosi a una tranquilla esistenza borghese, il primo come farmacista e il secondo come filologo.
Hans, il fratello più giovane di Hesse, ha una spiccata disposizione artistica, ma, per decisione familiare, intraprende l’attività di commerciante. Egli però non riesce ad affermarsi pienamente nella vita, e, nonostante la sua appartenenza alla comunità cristiana, rimane un’anima tormentata che, alla fine, giunge al suicidio.
Hermann, insomma, è l’unico che segue la sua strada, sulla scorta di un’intuizione vocazionale affiorata precocemente: già tredicenne "una cosa gli era chiara": diventare "poeta oppure niente". Si può vedere in questa “caparbietà”, che pone tanti problemi fino alla separazione dalla famiglia, la prova di un potenziale d’individuazione particolarmente spiccato. Cionondimeno, prima di trovare la sua strada, il travaglio di Hermann, costretto ad opporsi alla volontà di una famiglia affettivamente ricca, per quanto incapace di comprendere il suo carattere, è drammatico per via di sensi di colpa che lo divorano.
Con la separazione dalla famiglia e la dedizione alla vocazione letteraria, i problemi però non si risolvono del tutto. Più volte, Hermann Hesse deve fare i conti con episodi depressivi piuttosto gravi. Non è forse un caso che, associati a vicissitudini di ordine ideologico, tali episodi si presentino regolarmente quando egli decide di separarsi dalle prime due mogli. Anche affettivamente, dunque, egli cerca una collocazione adeguata ai suoi bisogni. La trova solo in seguito al terzo matrimonio, con una donna - Ninon Ausländer, storica dell’arte - che gli rimarrà accanto sino alla fine.
L’irrequietezza di Hermann Hesse è, dunque, riconducibile ad un potenziale d’individuazione introverso spiccato che rende impossibile l’adattamento a situazioni di vita con esso contrastanti. A tale potenziale, va ricondotta anche la precoce e ferma opposizione di Hesse al nazismo, nel quale, oltre agli aspetti politici antiliberali, egli legge la tendenza ideologica a dissolvere l’individuo nella comunità cui appartiene e a fare di questa dissoluzione un valore etico.
Forse non è insignificante, a conclusione di questa biografia che dovrà essere approfondita nell’ambito del progetto di scrivere un libro dedicato ai grandi introversi, tenere conto di altri due aspetti.
Da bambino e da adolescente, Hermann Hesse è stato considerato dai familiari e dagli educatori indocile, incostante, volubile, poco affidabile. Imboccata la sua via letteraria, egli però, eccezion fatta per i periodi in cui se l’è dovuta vedere con la depressione, ha manifestato una disciplina, un rigore, una capacità di applicazione e una produttività che hanno pochi riscontri nella storia della letteratura. In queste qualità si potrebbe leggere l’espressione di un Super-Io interiorizzato da una famiglia caratterizzata da un senso del dovere rigorosissimo. Pur non potendosi escludere che tale interiorizzazione sia avvenuta, non è poco importante considerare che essa si è espressa efficacemente solo allorché Hermann Hesse ha trasformato il “tu devi” in essa implicita in un “io devo, quindi voglio”. Prova, questa, che l’opposizionismo infantile e adolescenziale di alcuni introversi, che sembrano animati da una sorta di tendenziale anarchia, è in realtà sotteso dalla rivendicazione di vivere secondo la volontà propria: una rivendicazione incompatibile con l’assoggettarsi alla volontà altrui.
Il secondo aspetto fa capo al problema religioso, che ha contrassegnato tutta l’esperienza di Hesse. Avverso al rigido pietismo familiare e a qualunque forma di religione istituzionalizzata, Hesse nutre cionondimeno un bisogno di religiosità che lo porta a subire il fascino dell’induismo e del buddismo, e ad esprimere, in Siddharta, l’adesione ad una forma di panteismo mistico.
Anche questo aspetto ha un rapporto molto sottile con l’introversione: condizione caratterizzata naturalmente dall’intima intuizione di appartenere ad una totalità cosmica, che però non comporta la tendenza alla dissoluzione dell’Io, bensì una ricerca di armonia attraverso la piena realizzazione individuale.
Che l’individuo pienamente sviluppato nelle sue qualità giunga naturalmente a sentire se stesso come parte differenziata di un Tutto, e non come ente narcisisticamente separato (com’è proprio dell’ottica individualistica occidentale), non è forse l’ultimo degli insegnamenti che si può trarre dall’esperienza di Hermann Hesse.