1.
Nonostante la brevità, si tratta di uno dei racconti più densi e complessi scritti da Kafka. Lo scenario è appunto una colonia penale, ove un viaggiatore ("Un grande studioso dell'Occidente, incaricato d'indagare i procedimenti penali nei vari paesi") si trova ad assistere all'esecuzione di un condannato a morte. La pena è stata comminata automaticamente, senza processo (nella colonia penale vale il principio per cui " la colpa è sempre fuori dubbio"), in seguito ad un'insubordinazione: "Un capitano stamane ha presentato denuncia contro quest'uomo perché, essendogli destinato come attendente e dormendo davanti al suo uscio, si è addormentato durante il servizio. Lui infatti ha la consegna di alzarsi ad ogni batter d'ora e di fare il saluto davanti all'uscio del suo ufficiale: una consegna sicuramente non difficile, ma ben necessaria per mantenersi alacre nello svolgimento dei suoi compiti sia di guardia sia di domestico. La notte scorsa il capitano volle verificare se l'attendente faceva il suo dovere: al suono delle due aprì la porta e lo trovò che dormiva, tutto raggomitolato. Allora prese lo scudiscio e lo frustò sul viso; e costui, invece di alzarsi e implorare perdono, afferrò il signore per le gambe, lo scrollò e si mise a gridare: " Butta via quella frusta, o ti mangio! "".
L'esecuzione è affidata ad un ufficiale, erede dell'antico comandante, inventore della macchina per l'esecuzione: "Questo processo e quest'esecuzione, che lei ora ha l'occasione di ammirare, ormai non trovano più, nella nostra colonia, chi li sostenga apertamente. Io ne sono l'unico assertore, così come sono restato solo ad incarnare l'eredità del nostro antico comandante". La macchina in questione è in realtà un raffinato e complesso apparato di tortura il cui fine è scrivere sulla carne del condannato il reato per cui esso viene giustiziato. La procedura deve avvenire lentissimamente, in un arco di tempo di dodici ore affinchè il condannato possa prendere coscienza della sua colpa: "Passata la sesta ora, come tutti diventano silenziosi! Anche nei più ebeti si desta l'intelligenza: comincia dagli occhi, e da lì si diffonde; lo spettacolo è tale che uno si sentirebbe invogliato di mettersi anche lui sotto l'erpice! Non che succeda nulla di nuovo, ma l'uomo comincia però a decifrare la scritta; e fa una smorfia con la bocca, come se stesse in ascolto. La scritta - lei l'ha constatato - non si decifra facilmente con gli occhi; ma il nostro uomo comincia a decifrarla con le sue ferite. Certo, il lavoro è lungo; per venirne a capo ci voglion sei ore".
L'ufficiale cerca d'ingraziarsi in ogni modo il viaggiatore, esponendo nei minimi dettagli la struttura e il funzionamento della macchina. Egli sa che la procedura è ormai contestata, e teme che il giudizio del viaggiatore possa precipitare la decisione del nuovo Comandante, sobillato da donne pietose, di abolirla. Perciò, preso atto che il viaggiatore non esprime alcun entusiasmo per la macchina, lo prega almeno di non esprimere alcun parere quando parlerà con il Comandante. La risposta netta è un rifiuto: il viaggiatore denuncerà "l'iniquità del processo, l'inumanità dell'esecuzione". L'ufficiale capisce che per la procedura e per i principi di giustizia implacabile cui essa si ispira è giunta la fine. Decide allora di sottoporre se stesso al martirio programmando la macchina affinché scriva sulla sua carne il verdetto: "Sii giusto!". La macchina però impazzisce e, anziché limitarsi a scrivere, dilania il suo corpo. Impietosito, il viaggiatore interviene in suo soccorso e rileva che "nessun segno della promessa redenzione era percepibile; quello che la macchina aveva dato a tutti gli altri, l'ufficiale non l'aveva trovato. Le labbra erano serrate, negli occhi, aperti, era l'espressione della vita, lo sguardo era calmo e convinto, la fronte era trapassata dalla punta del grande aculeo di ferro".
Il senso di questo sacrificio si chiarisce al viaggiatore quand'egli visita la tomba del vecchio Comandante, sulla cui lapide è scritto: "Qui giace il vecchio comandante. I suoi seguaci, che ora non possono portare un nome, gli hanno scavato la tomba e posto questa lapide. Una profezia dice che dopo un certo numero d'anni il comandante risorgerà e da questa casa guiderà i suoi seguaci alla riconquista della colonia. Abbiate fede e attendete!". Gli astanti si fanno beffe della scritta. Il viaggiatore nel suo intimo li disprezza.
2.
Il racconto, come peraltro avviene in tutte le opere di Kafka, sono disseminati una serie di simboli. Ci si potrebbe sbizzarrire a decifrarli. Abbandonandosi a questo esercizio interpretativo, però, non se ne coglierebbe l'essenza che è da ricondurre al rapporto tra colpa e punizione, vale a dire alla giustizia. Il principio per cui "la colpa è sempre fuori dubbio" significa che non si dà un uomo che possa ritenersi assolutamente innocente. Il problema è la valutazione della colpa, da cui discende la punizione. Se il metro valutativo fa riferimento ad una Legge o ad un Ordine assoluto, ogni colpa richiede una punizione massimale perché nulla giustifica la trasgressione. Se viceversa si prescinde da una Legge assoluta, la valutazione della colpa deve tener conto delle circostanze e delle debolezze intrinseche alla natura umana. Nell'ottica di una Legge assoluta, qual è quella che vige a livello di Esercito, l'insubordinazione all'autorità è un crimine che va pagato con la morte, poiché esso viola il valore supremo dell'ubbidienza e del rispetto. Nell'ottica di una Legge comprensiva dell'umano, un individuo che, svegliato brutalmente a frustate, aggredisce il superiore, è relativamente colpevole. Qual è la Legge giusta? Se s'identifica Kafka con il viaggiatore, la risposta sembra scontata. Una lettura attenta del testo, pone però di fronte al fatto che la risposta non è semplice. Il viaggiatore-Kafka rifiuta la procedura come disumana, ma, di fronte al sacrificio dell'ufficiale, rimane turbato come se intuisse che una fede cieca nell'Ordine non possa non avere qualche significato.
In tutta l'opera di Kafka, in effetti, il tema della colpa si presenta all'insegna di una radicale ambivalenza: per un verso, come attribuzione arbitraria e ingiusta, per un altro come attribuzione giusta che l'uomo stenta a comprendere, e che rivela una colpevolezza che egli tende a negare. E' facile ricondurre quest'ambivalenza alla cultura ebraica, profondamente penetrata nell'anima di Kafka, e ch'egli ha peraltro rifiutato. Essa però fa capo ad una problematica più profonda, di ordine universale.
Tutte le culture si organizzano su di un sistema di valori che prescrive doveri di ruolo impersonali. Il comandamento "Onora il Padre e la Madre", per esempio, intensamente e drammaticamente recepito da Kafka, prescinde dal reale comportamento dei genitori, che può essere odioso. Esso impone al figlio la soggezione, la gratitudine e il rispetto. Nella misura in cui i doveri di ruolo sono interiorizzati, essi si pongono come una legge assoluta. I ruoli però non esauriscono la realtà delle persone e della loro esperienza interpersonale. Quando questa contrasta con essi, si crea inesorabilmente un conflitto tra il richiamo ai doveri di ruolo e le motivazioni prodotte dalla concreta esperienza individuale, che impediscono di rispettarli. Una volta interiorizzati, però, i doveri di ruolo sono però in genere più forti delle motivazioni umane umane, soprattutto se il conflitto scorre a livello inconscio. Sicchè l'inadempienza o la trasgressione, attivano inesorabilmente sensi di colpa, direttamente proporzionali alla rigidità dei valori in questione. Per quanto ingiusti, i sensi di colpa spesso inducono la connivenza inconscia dell'io, che ne riconosce l'assolutezza anche se a livello cosciente li critica e li rifiuta.
L'opera di Kafka verte su di un'ambivalenza riguardo al tema della colpa e della giustizia che, nella sua anima, non si è mai dissolta. Considerando il fatto che la tbc, che lo ha straziato per anni e infine portato a morire atrocemente, è ritenuta oggi universalmente una malattia che riconosce una componente psicosomatica, non è azzardato affermare che la condanna egli di fatto se l'è scritta sulla carne.
3.
Date le sue matrici inconsce, il racconto di Kafka ha singolari corrispondenze psicopatologiche. L'universo della colonia penale si riproduce spesso all'interno della soggettività. Freud ha rilevato per primo il grado di severità, di crudeltà e di sadismo cui può giungere un Super-Io colpevolizzante. Egli ha interpretato questo aspetto ipotizzando che il Super-Io si appropri dell'aggressività contro cui si struttura. E' molto più semplice e vicino alla verità pensare piuttosto che esso incrudelisca perché rimane vincolato alla logica dei valori assoluti e dei doveri di ruolo. Alla luce di questi, l'inadempienza e la trasgressione sono sempre sanzionabili.
E' come se Kafka avesse dolorosamente colto e rappresentato questo retroterra dell'esperienza umana, laddove, specie nelle anime più sensibili, esiste sempre il riferimento ad una Legge e ad un Ordine assoluto e inviolabile, nonostante esso possa essere criticato e ritenuto disumano.
Ottobre 2003