Nozioni essenziali di Genetica |
Introduzione alla lettura E’ impossibile oggi minimizzare l’impatto che la Genetica ha avuto e continua ad avere sulla cultura umana. Attraverso di essa l’uomo ha scoperto la “chiave” della vita: la prodigiosa spirale di DNA che contiene il patrimonio di informazioni i quali definiscono l’appartenenza di un individuo ad una specie, la cui mutazione spiega in gran parte l’evoluzione delle forme viventi e la cui replicazione, laddove la generazione è sessuata, comporta combinazioni sempre nuove del genoma specie-specifico. Certo, il passaggio dalla materia inanimata alla vita rimane ancora inesplicato. La scoperta del Dna però ha ridotto di gran lunga lo spazio tra noto e ignoto, mettendo, se non da parte, tra parentesi quello che per secoli era considerato inconoscibile: il mistero, appunto, della vita. Questo vale naturalmente per il come non per il perché. La scienza può scoprire le leggi che governano l’evoluzione delle forme viventi e ne determinano la varietà, l’organizzazione e il funzionamento, ma non potrà mai rispondere alla domanda sul che perché ultimo la vita sia comparsa ed evoluta. Alcuni teologi e filosofi ritengono questo limite invalidante, ma le loro risposte si riducono ad una congerie di ipotesi - dal creazionismo all’Intelligenza cosmica e al principio antropico – di fatto inverificabili. Affermare che la Genetica è una scienza di base per un modello panantropologico ha, però, implicanze molto complesse. Primo, perché si tratta di una scienza in via di evoluzione, il cui corpus teorico contiene ancora molti punti oscuri, capaci di generare equivoci di ogni genere. La recente definizione completa della mappa dell’intero genoma umano ne ha prodotto, per esempio, due. Il primo è che essa ha spinto a pensare che il più fosse fatto. Non è così perché sapere con precisione i “loci” dei geni sulla spirale di una delle due catene del DNA, nulla o quasi dice su quali sono le loro funzioni. Rimane dunque il fatto che il numero di geni di cui si conoscono con certezza le funzioni (o almeno alcune di esse, poiché non è detto che quelle note siano le uniche) è infinitesimale. Si dà anche il ragionevole dubbio che una mappa genomica funzionale completa sia impossibile da realizzare. Il secondo equivoco è nato dal fatto che, perseguendo la definizione della mappa genomica, gli studiosi hanno scoperto che i geni in ogni corredo genetico individuale umano sono trentamila (e non centomila, come prima si riteneva). Ciò ha lasciato pensare che l’incidenza dei fattori genetici fosse più ridotta rispetto ai fattori ambientali di quanto ammesso in precedenza. Si tratta di un errore. Data la loro complessità funzionale, trentamila geni bastano ed avanzano a confermare un’influenza molto elevata. Questi due equivoci pongono in luce il problema che, da un punto di vista panantropologico, si può ritenere fondamentale: l’incidenza relativa dei fattori genetici e di quelli ambientali sull’esperienza umana. Si tratta di un problema che implica due visioni del mondo radicalmente diverse. Nella versione più recente la visione del mondo che privilegia le influenze genetiche non verte più su di un rigido e insostenibile determinismo (un gene - un comportamento). Essa ipotizza che l’ambiente abbia un unico ruolo: selezionare moduli di comportamento all’interno di un patrimonio genetico individuale che ne contiene molteplici. In questa ottica, tutto è già in qualche misura predeterminato sotto forma di potenzialità: l’ambiente, dunque, fenotipizza moduli di comportamento la cui causa prima è genetica. La visione del mondo degli ambientalisti, viceversa, è incentrata sull’assumere la plasticità cerebrale come apertura all’ambiente esterno, culturale che incide sulla struttura e sul funzionamento del cervello attraverso l’apprendimento. Anche in questa ottica, non si esclude che la plasticità possa riconoscere limiti dipendenti dal genotipo. Tali limiti definirebbero una norma di reazione comunque ampia. L’ambiente non selezionerebbe le potenzialità intrinseche a tale norma, ma consentirebbe loro di raggiungere uno sviluppo più o meno completo. Perché si può parlare di due diverse visioni del mondo? Perché nel primo caso l’uomo di fatto, interagendo con l’ambiente, diventa quello che è; nel secondo, egli diventa ciò che può essere. Basta un esempio a far capire quanto queste due visioni incidano nell’interpretare i fatti umani. Dato un ambiente, un soggetto manifesta un comportamento criminale. Adottando la prima ottica, si giunge a pensare che l’ambiente ha selezionato un orientamento genetico di tipo antisociale; nel secondo, esso ha canalizzato determinate spinte motivazionali in una direzione che, pur appartenendo alla norma di reazione, si può definire la peggiore tra quelle possibili. Dal primo punto di vista, dato un diverso ambiente, l’individuo non avrebbe commesso crimini, ma avrebbe avuto comunque una personalità con tratti antisociali; nel secondo, egli avrebbe potuto diventare tutt’altro da ciò che è divenuto. Si tratta, come riesce chiaro, di problemi di enorme importanza ai fini di una programmazione sociale. Nessuno immagina che la genetica potrà fornirci, a riguardo, una verità definitiva. Essa però potrà di sicuro fornire strumenti di approssimazione ad essa. Nell’ottica della panantropologia, il peso della genetica va considerato soprattutto in rapporto a due problemi: la tipologia del carattere e la psichiatria. La mia convinzione che la differenza tra introversione ed estroversione sia di natura genetica è stata fatta tante volte che non ritengo opportuno soffermarmi su di essa. Naturalmente, identificando nel patrimonio introverso, come dato comune e costante, la ricchezza della sfera delle emozioni, l’introversione si configura come una dimensione precaria per alcuni aspetti (soprattutto in fase evolutiva), ma di grande valore poiché essa, se non si danno situazioni ambientali avverse, può portare allo sviluppo di una personalità integrata – passionale e lucida al tempo stesso -, supremamente autonoma nel giudizio, socialmente sensibile e forte, di grande spessore umano e morale e, talora, altamente creativa. Sul terreno della tipologia di carattere, l’influenza dei fattori ambientali mi sembra rilevante e inconfutabile. Per quanto riguarda le malattie mentali, ovviamente, il discorso è ancora più complesso. Riservandomi di dedicare più articoli a questo argomento, mi limito per ora ad un’osservazione di ordine generale. E’ quasi obbligatorio riconoscere che si dà una predisposizione allo sviluppo di sintomi, vissuti e comportamenti psicopatologici. Tale predisposizione non è però specifica, ma aspecifica. Se è vero, come ho cercato di illustrare in tutti i miei scritti, che la psicopatologia è l’espressione di un conflitto strutturale che scinde il patrimonio dei bisogni intrinseci e determina un’antitesi funzionale tra le substrutture dell’Io, si può ammettere che la scissione sopravvenga in rapporto alle influenze ambientali sulla base di una vulnerabilità intrinseca a quel patrimonio, ma anche che essa faccia capo ad una particolare ricchezza del patrimonio stesso. La presenza di più persone affette all’interno di uno stesso sistema parentale come pure la concordanza tra gemelli monozigoti sembra deporre a favore della prima ipotesi. La compresenza nello stesso sistema familiare di malati di mente e di soggetti creativi (artisti, filosofi, scienziati, ecc), che è assolutamente rilevante in rapporto alla schizofrenia, depone a favore della seconda. Io ritengo che quest’ultimo dato sia più rilevante del primo. Comunque stiano le cose, occorre riconoscere che solo la nascita della genetica ha consentito di affrontare questi problemi in maniera più vincolata al pensiero scientifico. Senza pretendere che fornisca dati atti a risolverli definitivamente, ci si può augurare che, con il suo sviluppo, essa continui ad impegnarci sul terreno della riflessione dell’uomo. Avere premesso questa introduzione ad una rapida sintesi di quello che è la genetica vale solo a sottolineare la ricchezza implicita in questa scienza: ricchezza che giustifica lo sforzo di acquisire nozioni scabre e complesse. Indice Ereditarietà Nozioni essenziali di base Cromosoma e DNA (approfondimenti) Genetica molecolare Genetica delle popolazioni Ereditarietà (da www.wikipedia.it) L'ereditarietà, in medicina e in genetica, è la trasmissione dei caratteri normali o patologici da una generazione alle successive mediante le cellule germinali. Si distinguono due forme di ereditarietà: una specifica o generale, cioè la trasmissione dei caratteri generali della specie che determina l'insieme di strutture, di organi, di rapporti fra le parti, di funzioni di un individuo; e una razziale o particolare che consiste nella trasmissione di caratteri di singole razze o di individui (il primo caso si esemplifica dicendo che un uovo di pollo genera sempre un pollo; il secondo è chiaro considerando la trasmissione del colore del pelo o della pelle, in aggiunta ai caratteri della specie). Gran parte dei fatti ereditari sono spiegati e previsti dalle leggi di Mendel. L'ereditarietà può svolgersi in diverse forme, ecco le principali: * eredità dominante completa o incompleta, * eredità recessiva, * eredità legata al cromosoma sessuale * poliallelia * polimeria L'avvenire di una specie è legato a due condizioni: il patrimonio ereditario, cioè l'insieme di caratteri e di potenzialità che ogni individuo riceve dai parenti al momento della nascita, e le condizioni ambientali in cui si sviluppa e che nel caso della specie umana assumono anche il carattere di processo educativo. Cenni storici La nozione di ereditarietà è acquisita dall'antichità all'esperienza comune. Per lungo tempo l'atavismo fu considerato come un'influenza misteriosa, capace di distribuire a caso rassomiglianze e dissimiglianze; una piena comprensione dei fatti ereditari è stata raggiunta solo con la scoperta dei fenomeni genetici. I passi successivi della teoria dei fenomeni genetici sono rappresentati dall'enunciazione della teoria cromosomica. Sutton nel 1903, accostando i fenomeni di segregazione mendeliana al comportamento dei cromosomi durante la riduzione cromatinica, suppose che i geni siano insiti nei cromosomi e che le leggi di Mendel si spieghino con i fenomeni di riduzione cromatinica. Morgan formulò l'ipotesi fondamentale secondo cui non solo i geni hanno per supporto fisico i cromosomi, ma vi occupano posizioni fisse, dette loti. Tali formulazioni sono basate su innumerevoli dati sperimentali, ampiamente elaborati dal punto di vista teorico. La tappa successiva è stata quella di ideare modelli di strutture molecolari capaci di duplicarsi, cioè i modelli molecolari degli acidi nucleici (Watson e Crick) dotati di una varietà sufficiente di stati da poter codificare l'informazione genetica; infine è stato affrontato il problema di decifrare il codice genetico, cioè i modi secondo i quali i diversi caratteri vengono registrati nelle molecole degli acidi nucleici. >L'ereditarietà di caratteri patologici In passato si riteneva che talune infezioni croniche fossero ereditarie. Le infezioni congenite in effetti non sono ereditarie ma vengono trasmesse dal microbo stesso che attraversa la placenta (sifilide congenita, detta “ereditaria »); oppure i genitori trasmettono alla prole soltanto una certa predisposizione nei riguardi dell'infezione in causa. Un bambino non nasce tubercolotico, bensì lo diventa perché contrae la malattia dalla madre o dai parenti. Le malattie familiari (emofilia, alcune forme di psicosi o di malattie nervose) sono invece ereditarie in quanto sono legate a certi geni e vengono trasmesse dagli ascendenti ai di-scendenti al pari del colore degli occhi o della forma del naso. L'ereditarietà sembra certa anche in varie forme di artritismo, le cui diverse manifestazioni (asma, artrite, orticaria) possono succedersi lungo le generazioni o accumularsi in alcuni soggetti. Caratteri ereditari Sono le caratteristiche di colore, comportamento, struttura, ecc., specifiche di una specie zoologica e botanica, che vengono trasmessi di generazione in generazione. Leggi di Mendel Prima legge di Mendel «Incrociando due individui omozigoti con alleli differenti per uno stesso carattere si otterranno individui eterozigoti col fenotipo del dominante.» Seconda legge di Mendel «Incrociando due individui eterozigoti con alleli uguali per uno stesso carattere si otterrano nel 25% dei casi individui omozigoti col fenotipo del dominante, nel 50% dei casi individui eterozigoti col fenotipo del dominante e nel 25% dei casi individui omozigoti col fenotipo del recessivo.» Terza legge di Mendel «Ogni carattere si eredità indifferentemente dagli altri.» Le leggi di Mendel diedero una teorizzazione rigorosa a fatti e problemi fino ad allora molto confusi, evidenziando la natura discontinua ovvero discreta del patrimonio ereditario Nozioni essenziali di base (da www.riflessioni.it) Disciplina che studia la trasmissione dei caratteri ereditari di generazione in generazione. Il termine fu coniato nel 1906 dal biologo britannico William Bateson. I genetisti, in particolare, studiano i meccanismi dell'ereditarietà per cui la prole generata per riproduzione sessuata assomiglia alla generazione parentale, ma non è identica a essa, e le differenze e le somiglianze ricorrono di generazione in generazione secondo uno schema ripetuto. La nascita della genetica La genetica è nata nel 1900, con la riscoperta degli esperimenti di Gregor Mendel da parte di alcuni ibridatori di specie vegetali. Sebbene fosse stato pubblicato nel 1866, il fondamentale lavoro di questo monaco ceco era stato, infatti, completamente ignorato per più di quarant'anni. Mendel aveva incrociato alcune linee pure di pisello che presentavano una serie di caratteri opposti (seme liscio o rugoso, pianta alta o nana, fiore bianco o rosa ecc.) e in base ai risultati ottenuti in questi esperimenti era arrivato a formulare le regole in base alle quali questi caratteri vengono trasmessi alla generazione successiva. In particolare osservò che i fattori responsabili dei caratteri sono sempre presenti in coppia, ma solo uno dei due membri della coppia viene trasmesso alla generazione successiva; inoltre concluse che essi vengono ereditati come unità separate, ognuno indipendentemente dagli altri. I fattori ereditari discreti ipotizzati da Mendel vennero in seguito chiamati geni. Le fasi fisiche dell'ereditarietà Poco dopo la riscoperta del lavoro di Mendel, alcuni ricercatori intuirono che i meccanismi ereditari descritti corrispondevano al comportamento dei cromosomi durante la divisione cellulare e, quindi, suggerirono che le unità ereditarie ipotizzate da Mendel, ovverosia i geni, si trovassero fisicamente sui cromosomi. Queste ipotesi contribuirono ad accrescere l'interesse per gli studi sulla divisione cellulare. Ogni cellula deriva dalla divisione di una cellula preesistente: ad esempio, tutte le cellule che costituiscono il corpo di un essere umano sono derivate da una singola cellula, lo zigote, per divisioni successive. Lo zigote si forma in seguito all'unione dei gameti o cellule germinali maschili e femminili (uovo e spermatozoo) nel corso della fecondazione. A eccezione di casi di mutazione o di altri eventi rari, tutte le cellule derivanti dalla divisione di un unico zigote contengono materiale genetico identico. Nei procarioti (organismi unicellulari come i batteri) il materiale genetico si trova libero all'interno della cellula, organizzato in un unico cromosoma circolare. Negli eucarioti (tutti gli altri organismi viventi) il patrimonio ereditario è, invece, racchiuso all'interno del nucleo, che è separato da una membrana dalle altri componenti della cellula, localizzate nel citoplasma. Nel nucleo il materiale genetico è organizzato all'interno di più cromosomi. I cromosomi sono strutture filamentose, molto sottili, di forma e dimensioni variabili e in genere presenti in coppia. I membri di ciascuna coppia, chiamati cromosomi omologhi, sono molto simili l'uno all'altro. A eccezione delle cellule germinali, tutte le cellule somatiche dell'organismo contengono due copie per ciascun cromosoma. Il numero totale è diverso e caratteristico di ciascuna specie: ad esempio, le cellule umane contengono 23 coppie di cromosomi, mentre quelle del moscerino della frutta (Drosophila melanogaster) ne contengono 4 coppie. Su ogni cromosoma sono localizzati molti geni, la posizione dei quali su ciascun cromosoma è detta locus. Il processo per il quale una cellula madre si divide in due cellule figlie identiche si chiama mitosi e comporta la duplicazione di ciascun cromosoma e la separazione delle due copie nelle due cellule figlie. Questo processo assicura che ciascuna delle due cellule figlie abbia lo stesso numero di cromosomi e, dunque, di geni della cellula madre. I processi fisiologici di crescita e sostituzione dei tessuti dell'organismo avvengono per divisione cellulare o mitosi. La riproduzione degli organismi può essere sessuata o asessuata. Quella asessuata è tipica degli organismi semplici e avviene essenzialmente per mitosi. Gli organismi superiori si riproducono, invece, per via sessuata e derivano dall'unione di due gameti, che vengono prodotti da una variante della divisione mitotica, chiamata meiosi. Questa differisce dalla mitosi per il fatto che a ciascuna delle nuove cellule viene trasmesso solo un singolo cromosoma di ciascuna coppia. In questo modo ciascun gamete viene a contenere metà dei cromosomi presenti nelle cellule somatiche. Quando avviene la fecondazione, i due gameti si uniscono a formare lo zigote e viene così restaurato il numero intero di cromosomi tipico della specie, proveniente per metà da un genitore e per metà dall'altro. La trasmissione dei geni L'unione dei gameti riunisce due corredi genici. Per ciascun locus genico, responsabile di un particolare carattere (ad esempio, il colore degli occhi), nel nucleo di tutte le cellule somatiche di ogni individuo sono presenti due copie, una di origine materna e una paterna (eccezioni a questa regola, come si vedrà tra poco, sono rappresentate dai cromosomi sessuali e dai caratteri legati al sesso). Ciascuna copia si trova nella stessa posizione, su ciascuno dei due cromosomi dello stesso tipo che generalmente stanno anche appaiati. Omozigosi ed eterozigosi Quando le due copie del gene sono identiche, si dice che l'individuo è omozigote per quel particolare gene. Molto spesso, tuttavia, queste due copie sono diverse: ad esempio, quando un genitore ha gli occhi azzurri e l'altro ha gli occhi marroni, nella discendenza possono essere presenti due copie diverse del gene, una per ciascun colore. Se questo è il caso, si dice che l'individuo è eterozigote per quel gene. Le diverse copie di uno stesso gene sono dette alleli e occupano lo stesso locus sui cromosomi omologhi. Per ciascun gene può esistere un gran numero di alleli. Alleli dominanti e recessivi Nonostante nelle cellule somatiche per ogni gene siano sempre presenti due alleli, generalmente solo uno dei due è manifesto e maschera l'altro; il primo viene detto dominante e il secondo recessivo. Come dimostrato da Mendel, il carattere recessivo ricompare, nelle generazioni successive, negli individui omozigoti per l'allele considerato. Per convenzione gli alleli sono indicati da una singola lettera, maiuscola per indicare l'allele dominante (ad esempio A) e minuscola (ad esempio a) per l'allele recessivo. Gli eterozigoti (Aa) e gli omozigoti (AA) per un determinato gene mostrano l'effetto dell'allele dominante, mentre gli omozigoti (aa) mostrano l'effetto dell'allele recessivo. E’ molto importante distinguere tra l'apparenza esterna di un organismo e i geni e gli alleli che esso trasporta. L'insieme dei caratteri espressi costituisce il fenotipo dell'organismo, mentre il corredo genetico (comprendente anche gli alleli recessivi mascherati dai dominanti) rappresenta il genotipo. Ciascun figlio di due genitori eterozigoti (Aa) ha una probabilità su quattro di essere omozigote (AA), una su due di essere eterozigote (Aa) e una su quattro di essere omozigote (aa). Occorre specificare che se ciascun figlio ha un quarto di probabilità di essere omozigote recessivo, ciò non significa necessariamente che un quarto dei figli sarà omozigote recessivo. Codominanza Non è detto che vi sia sempre un allele dominante e uno recessivo. La pianta della bella di notte, ad esempio, può avere fiori rossi, bianchi o rosa. Le piante con fiori rossi hanno due copie dell'allele R per il colore rosso dei fiori e sono, quindi, omozigoti RR. Le piante con fiori bianchi hanno due copie dell'allele r per il colore bianco dei fiori e sono, quindi, omozigoti rr. Le piante con una copia di ciascun allele, cioè gli eterozigoti Rr, hanno fenotipo rosa, intermedio tra i colori prodotti dai due alleli. Questo è un esempio del fenomeno di codominanza degli alleli. Ereditarietà dei caratteri quantitativi ed ereditarietà poligenica Nella stragrande maggioranza dei casi i caratteri fenotipici non sono controllati da un singolo gene: solitamente un gene può influire su più di un carattere e un carattere può dipendere dall'azione di più geni. Ad esempio, per produrre il pigmento porpora nel fiore del pisello odoroso occorre l'azione di almeno due geni dominanti. Caratteri come ad esempio il peso, l'altezza, il grado di pigmentazione, che nei diversi individui presentano una gamma di variazioni quantitative continua e molto estesa, in genere dipendono da un gran numero di geni, i singoli effetti dei quali sembrano sommarsi gli uni agli altri. L'altezza di una pianta, ad esempio, potrebbe essere determinata da una serie di quattro geni: A, B, C e D. Si supponga che una pianta abbia un'altezza media di 25 cm quando il suo genotipo è aabbccdd e che ogni sostituzione con una coppia di alleli dominanti aumenti l'altezza media di circa 10 cm; in quel caso una pianta che è AABBccdd sarà alta 45 cm e una che è AABBCCDD sarà alta 65 cm. In realtà, i risultati sono raramente così regolari: geni differenti possono dare contributi differenti al valore totale e alcuni geni possono interagire in modo che il contributo di uno dipenda dalla presenza di un altro. L'eredità di caratteri quantitativi dipendenti da più geni viene detta eredità poligenica. Inoltre, quando il fenotipo è determinato, oltre che dal materiale genetico, anche da una componente ambientale, l'eredità viene detta multifattoriale. Geni associati e crossing-over Le seconda legge di Mendel, secondo cui i geni che controllano differenti caratteri sono ereditati indipendentemente gli uni dagli altri, è valida solo quando i geni sono portati su cromosomi diversi. Questa conclusione è dovuta agli esperimenti compiuti negli anni Trenta dal genetista americano Thomas Hunt Morgan sul moscerino della frutta. Morgan fu in grado di dimostrare che i geni sono disposti sui cromosomi in modo lineare e che quando i geni compaiono sullo stesso cromosoma, vengono ereditati come una singola unità finché il cromosoma rimane intatto. I geni ereditati in questo modo sono detti associati. Morgan e il suo gruppo scoprirono anche che tale associazione è raramente assoluta. Le combinazioni di caratteri presenti nei genitori possono, infatti, rimescolarsi nella discendenza. Questo fenomeno è dovuto al fatto che durante la meiosi, tra le coppie di cromosomi omologhi avviene uno scambio fisico di materiale genetico, chiamato crossing-over (quando avviene, il crossing-over può essere osservato al microscopio, perché i cromosomi omologhi appaiati sono congiunti e assumono una struttura a X). Il crossing-over può avvenire con la stessa probabilità, casualmente lungo tutta la lunghezza del cromosoma. Di conseguenza la frequenza della ricombinazione tra due geni dipende dalla loro distanza sul cromosoma: se i geni sono relativamente lontani i gameti ricombinanti saranno frequenti, mentre se sono più vicini i gameti ricombinanti saranno rari. Nella discendenza derivata dall'unione di questi gameti, il crossing-over si manifesta attraverso nuove combinazioni di tratti visibili. Più crossing-over avvengono, maggiore è la percentuale di discendenti che mostra nuove combinazioni. Mappe genetiche Dalla frequenza di ricombinazione tra due o più geni diversi, misurata in esperimenti di incrocio opportunamente progettati, è possibile dedurre la distanza che intercorre tra loro su ciascun cromosoma e costruire, così, delle mappe genetiche. L'accuratezza di queste mappe è maggiore per geni distanti che ricombinano di frequente e minore per geni vicini, che ricombinano raramente. In base ai risultati di ricerche successive agli esperimenti di Morgan, è stato dimostrato che la ricombinazione può avvenire in qualunque punto del materiale genetico, anche all'interno di un singolo gene e, grazie ad alcuni metodi messi a punto di recente, è oggi possibile individuare la ricombinazione anche tra punti molto vicini di un cromosoma. Cromosomi sessuali e caratteri legati al sesso Un altro contributo di Morgan agli studi genetici fu la sua osservazione, nel 1910, delle differenze sessuali nella trasmissione dei caratteri ereditari. Il sesso e molti dei caratteri ad esso legati sono determinati dall'azione dei geni portati su una sola coppia di cromosomi. Nella specie umana, ad esempio, vi sono 22 coppie di cromosomi uguali in entrambi i sessi e detti autosomi; la ventitreesima coppia, invece, è quella dei cromosomi sessuali, che nella femmina è costituita da due copie del cromosoma X, mentre nel maschio è formata da un cromosoma X e da un cromosoma Y, diversi per struttura e dimensioni. Nella formazione dei gameti, le cellule uovo femminili contengono sempre un cromosoma X, mentre gli spermatozoi maschili possono contenere un cromosoma X o un Y. L'unione di una cellula uovo con uno spermatozoo che porta un cromosoma X dà origine a uno zigote con due X, cioè a una femmina. Viceversa, dall'unione di una cellula uovo con uno spermatozoo che porta un cromosoma Y si ottiene uno zigote XY, cioè un maschio. Su questo schema fondamentale esistono numerose variazioni, caratteristiche degli altri animali e delle piante. Il cromosoma umano Y è lungo circa un terzo del cromosoma X, e, a parte il suo ruolo nel determinare il sesso maschile, non sembra essere geneticamente molto attivo. Così, molti dei geni presenti sul cromosoma X non hanno una controparte sul cromosoma Y. Sono questi i geni legati al sesso, che vengono ereditati in modo caratteristico. L'emofilia, ad esempio, è in genere causata da un gene recessivo (h) legato al sesso e portato dal cromosoma X. Una femmina con genotipo HH o Hh è generalmente sana, mentre una femmina hh ha l'emofilia. Un maschio non può mai essere eterozigote per questo gene, perché eredita una sola copia del cromosoma X e quindi un solo allele di questo gene; i genotipi possibili nel maschio sono, pertanto, H (sano) e h (malato). Quando un uomo (H) e una donna (Hh) eterozigote hanno figli, le figlie sono tutte sane, ma hanno il 50% delle probabilità di avere il genotipo Hh, come la madre, e quindi di essere portatrici del gene h. I figli maschi ereditano, invece, solo H o h e pertanto hanno il 50% di probabilità di essere malati di emofilia. Un'altra malattia ereditaria legata al sesso è il daltonismo. L'azione dei geni Per oltre cinquant'anni dalla nascita della genetica e dalla scoperta dei meccanismi dell'ereditarietà, molte importanti domande sull'esatta funzione dei geni negli organismi viventi sono rimaste in attesa di risposta. Ad esempio, non si conoscevano i dettagli della duplicazione dei cromosomi e della loro spartizione nelle cellule figlie durante la divisione cellulare, né si intuiva come i geni potessero determinare struttura e funzioni degli organismi viventi. I primi indizi sui meccanismi coinvolti in questi processi vennero, negli anni Quaranta, dal lavoro di due genetisti statunitensi, George Wells Beadle e Edward Lawrie Tatum. Dai risultati di esperimenti sui funghi dei generi Neurospora e Penicillium, essi ipotizzarono che i geni contenessero al loro interno le istruzioni in codice per la formazione degli enzimi (proteine dotate di funzione catalitica nelle reazioni chimiche). Questa teoria, chiamata originariamente "ipotesi un gene-un enzima", fu in seguito ribattezzata "ipotesi un gene-un polipeptide", quando fu dimostrato che i geni contengono, in realtà, le informazioni necessarie a costruire le catene costitutive di tutte le proteine, chiamate polipeptidi. A ciascun gene corrisponde un polipeptide specifico. Questo lavoro diede l'avvio agli studi sulla natura chimica dei geni e allo sviluppo della biologia molecolare. Il DNA Negli anni Quaranta era già noto da tempo che i cromosomi sono composti da proteine e acidi nucleici. A quel tempo, tuttavia, non tutti gli scienziati erano d'accordo su quale di questi due tipi di molecole fosse responsabile della conservazione e della trasmissione dell'informazione genetica. Nel 1944 il batteriologo canadese Oswald Theodore Avery, con un esperimento di fondamentale importanza condotto sui batteri, assegnò questo ruolo all'acido desossiribonucleico (DNA). In quegli anni si conosceva, inoltre, la composizione chimica del DNA, che era costituito da subunità, chiamate nucleotidi, a loro volta formate da un gruppo fosfato, uno zucchero (il desossiribosio) e una delle quattro basi azotate adenina (A), timina (T), guanina (G) e citosina (C). Nel 1953 il biochimico statunitense James Watson e il biofisico britannico Francis Crick, in base ai risultati di esperimenti di cristallizzazione e di diffrazione ai raggi X, elaborarono un modello tridimensionale del DNA. Secondo l'ipotesi di questi due scienziati la molecola di DNA è composta da due lunghi filamenti avvolti l'uno sull'altro come in una doppia elica o in una lunga scala a pioli. In base a questo modello i lati esterni della scala corrispondono a molecole di fosfato alternate a quelle di zucchero, mentre i pioli sono formati da coppie di basi azotate. Ciascuna base è attaccata a una molecola di zucchero presente lungo il filamento e forma un legame idrogeno con una base complementare sull'altro filamento. I legami che si possono formare sono tra l'adenina e la timina e tra la guanina e la citosina. Duplicazione del DNA La duplicazione del DNA avviene prima di ogni divisione cellulare, in modo che le cellule figlie ricevano ciascuna una copia fedele del patrimonio genetico parentale. Per costruire una copia della molecola di DNA, i due filamenti della doppia elica si despiralizzano e si separano a livello dei legami tra le basi; a questo punto ciascun filamento funziona da stampo per l'assemblaggio di due nuovi filamenti complementari. Si formano, così, due nuove doppie eliche, ciascuna costituita da un filamento vecchio e da uno nuovo (per questo motivo la reazione di duplicazione viene detta semiconservativa). Ciascun filamento di DNA è circa 100.000 volte più lungo del cromosoma che lo contiene. Ciò è dovuto alla condensazione della molecola di DNA, che si avvolge su particelle proteiche, chiamate nucleosomi, appena visibili con i più potenti microscopi elettronici. A sua volta, la struttura formata dal DNA e dai nucleosomi si avvolge ulteriormente su se stessa più volte, fino a raggiungere lo stato di condensazione tipico del cromosoma. Il DNA e la sintesi delle proteine Dopo le scoperte di Beadle e Tatum e di Watson e Crick, rimaneva ancora da chiarire come il DNA potesse dirigere la costruzione delle proteine, i componenti principali della maggior parte delle strutture della cellula e le molecole fondamentali per lo svolgimento e la regolazione di quasi tutte le reazioni chimiche dell'organismo. La capacità di una proteina di essere parte di una struttura cellulare, o di agire come un enzima che catalizza una particolare reazione chimica, dipende dalla sua forma molecolare e, dunque, dalla sua composizione. Ciascuna proteina è costituita dall'unione di subunità, chiamate amminoacidi, in una o più catene polipeptidiche. Nelle cellule sono presenti venti tipi diversi di amminoacidi. Il numero, il tipo e la sequenza degli amminoacidi nella catena determinano la struttura e la funzione della proteina e sono a loro volta determinati dal gene codificante per quella specifica catena. Il codice genetico Dal momento che si era dimostrato che le proteine sono determinate dai geni e che ciascun gene è composto da porzioni di filamenti di DNA, i ricercatori pensarono che dovesse esistere una corrispondenza tra la sequenza delle 4 basi azotate nel DNA e la sequenza dei 20 amminoacidi nelle catene polipeptidiche. In altre parole, doveva esistere un processo per trasferire l'informazione contenuta nei geni alle strutture cellulari responsabili della sintesi proteica. Siccome nel DNA compaiono solo 4 tipi di basi azotate diverse, mentre nelle proteine vi sono 20 amminoacidi, chiaramente non può valere la corrispondenza una base-un amminoacido (così le proteine potrebbero essere composte da soli 4 amminoacidi), né quella di una sequenza di due basi per amminoacido (così verrebbero specificati solo 16 amminoacidi). La sequenza minima che garantisce la determinazione di tutti gli amminoacidi presenti nelle proteine è data da combinazioni di 3 basi azotate, dette triplette o codoni, che costituiscono la base del codice genetico. Trascrizione L'esistenza e il ruolo biologico del codice genetico furono dimostrati dieci anni dopo la pubblicazione del modello del DNA di Watson e Crick. La specificazione di un polipeptide da parte di una molecola di DNA avviene indirettamente, attraverso l'intermediazione di una molecola nota come RNA messaggero (mRNA). L'mRNA è una replica di una porzione di DNA, la quale si despiralizza e serve da stampo per la sintesi di questa molecola. Questo processo, chiamato trascrizione, è molto simile alla duplicazione del DNA, con la differenza che l'RNA come base complementare all'adenina (A) contiene uracile (U) al posto della timina (T). Traduzione Mentre sta ancora avvenendo la trascrizione, l'mRNA inizia a staccarsi dal DNA. Al termine di questo processo, un'estremità del filamento della nuova molecola si inserisce, come il filo di una collana nella perla, in una struttura chiamata ribosoma. A mano a mano che il ribosoma scorre lungo l'mRNA, l'estremità del filamento si inserisce in un secondo ribosoma, poi in un terzo e così via. I ribosomi sono strutture di RNA e materiale proteico, deputate alla sintesi delle proteine. Con l'uso di microscopi elettronici ad altissima risoluzione è possibile fotografare le molecole di mRNA attaccate ai ribosomi. Un insieme di ribosomi legato a una molecola di mRNA è detto poliribosoma o polisoma. Scorrendo lungo la molecola di mRNA, il ribosoma "legge" la sequenza delle basi azotate sull'mRNA. Questo processo prende il nome di traduzione e coinvolge un terzo tipo di molecola di RNA, chiamata RNA transfer (tRNA), che da una parte porta una tripletta di nucleotidi e dall'altra un amminoacido specifico, corrispondente alla tripletta. La tripletta di ciascun tRNA aderisce alla molecola di mRNA quando vi trova una tripletta complementare. Ad esempio, la sequenza uracile-citosina-uracile (UCU) sul filamento dell'mRNA viene occupata dal tRNA contenente la tripletta adenina-guanina-adenina (AGA). In contrapposizione alla tripletta dell'mRNA, che si chiama codone, quella del tRNA prende il nome di anticodone. Gli amminoacidi portati dal tRNA nella sequenza specificata dall'mRNA vengono, quindi, legati l'uno all'altro sui ribosomi, a formare una nuova catena polipeptidica. Una volta terminata, la catena polipeptidica si libera dal ribosoma e assume la sua forma tridimensionale specifica, determinata dalla sequenza degli amminoacidi. La forma di un polipeptide e le sue proprietà chimico-fisiche, entrambe determinate dalla sequenza amminoacidica, sono responsabili dell'eventuale unione di questa molecola ad altre catene polipeptidiche, nonché della funzione della proteina nell'organismo. Differenze tra procarioti ed eucarioti Nei procarioti, in cui il cromosoma è libero nel citoplasma, la traduzione può iniziare anche prima che la trascrizione sia terminata. Negli eucarioti, invece, i cromosomi sono isolati nel nucleo, mentre i ribosomi si trovano nel citoplasma, così la traduzione dell'mRNA nella proteina corrispondente può iniziare solo una volta che l'mRNA prodotto nel nucleo viene trasferito nel citoplasma. Un'altra peculiarità dei geni degli eucarioti è la presenza di sequenze di nucleotidi codificanti (esoni), interrotte da sequenze non codificanti (introni) che in alcuni casi possono essere anche cinquanta o più. Durante la trascrizione, gli introni vengono copiati insieme agli esoni su una molecola di mRNA molto grande; poi vengono eliminati da speciali enzimi nucleari e gli esoni vengono uniti l'uno all'altro in una sequenza continua, prima che l'mRNA passi nel citoplasma. Sebbene il significato della presenza degli introni nei geni degli eucarioti non sia ancora del tutto chiaro, alcuni ricercatori ritengono che la loro esistenza permetta una serie di combinazioni di frammenti genici che andrebbe ad aumentare il numero delle possibili proteine prodotte dall'organismo. Secondo questa ipotesi, cioè, i geni degli eucarioti sarebbero costituiti da un numero relativamente basso di strutture modulari, gli esoni, in grado di combinarsi in modi diversi per dare luogo a una vastissima gamma di geni e, di conseguenza, a una grandissima varietà di strutture proteiche. Inoltre gli introni e altre sequenze non codificanti sono probabilmente coinvolti nella regolazione della quantità di polipeptidi prodotti dai geni. La scoperta degli introni fu resa possibile dai metodi di determinazione della sequenza dei nucleotidi nelle molecole di DNA e RNA, sviluppati dal biologo molecolare Frederick Sanger. Studi sulle molecole del DNA hanno anche dimostrato la presenza, sempre negli eucarioti, di sequenze ripetute numerose volte nel materiale genetico. Alcune di queste codificano per l'RNA ribosomale, mentre altre non hanno alcuna funzione nota. Fra queste vi sono sequenze, detti trasposoni o elementi trasponibili, che sembrano in grado di saltare da una posizione all'altra di uno stesso cromosoma o dell'intero genoma. Regolazione genica Quasi tutte le cellule di un organismo derivano per divisione cellulare da un unico zigote e contengono un identico corredo genetico. Ciononostante, le proteine sintetizzate, ad esempio, dalle cellule del tessuto muscolare non sono necessariamente le stesse di quelle prodotte nel tessuto nervoso o in quello osseo. In altre parole, non tutti i geni del patrimonio genetico vengono espressi in tutti i tessuti dell'organismo. Quest'espressione differenziale è regolata in modo complesso da processi descritti per la prima volta da Jacques Monod e François Jacob nei batteri. Questi processi coinvolgono la presenza di sequenze regolatorie in prossimità o all'interno dei geni, le quali vengono riconosciute da specifiche molecole proteiche, con funzioni di inibizione o di attivazione della trascrizione dell'mRNA e dunque dell'espressione genica. Eredità citoplasmica Oltre al nucleo, alcuni altri costituenti della cellula contengono DNA. Fra questi vi sono organelli citoplasmatici come i mitocondri (i produttori di energia più importanti della cellula) e i cloroplasti delle piante (responsabili della fotosintesi clorofilliana). Questi organelli si riproducono in modo indipendente dalla cellula in cui si trovano e il loro DNA si duplica analogamente a quello nel nucleo; la maggior parte delle proteine di questi organelli è, tuttavia, codificata nel materiale genetico nucleare. Il codice genetico mitocondriale è molto simile a quello nucleare. Apparentemente queste porzioni di DNA citoplasmatico vengono più spesso ereditate dalla madre che non dal padre (nel caso di Homo sapiens esclusivamente dalla madre), poiché i gameti maschili (spermatozoi) in genere contengono meno materiale citoplasmatico di quelli femminili (cellule uovo). Altri casi di eredità apparentemente materna sono dovuti alla trasmissione di virus presenti nel citoplasma della cellula uovo. Mutazioni Sebbene la duplicazione del DNA sia molto accurata, essa non è sempre perfetta. Raramente capitano, infatti, degli errori, per cui il nuovo frammento di DNA contiene uno o più nucleotidi diversi dall'originale. Questi errori, o mutazioni, possono avvenire in qualunque punto del DNA: se avvengono in una sequenza di DNA codificante per un particolare polipeptide, nella catena polipeptidica si può avere la variazione di un singolo amminoacido o anche un'alterazione più grave della proteina risultante. L'anemia falcemica è, ad esempio, causata da una mutazione genetica che determina la sintesi di una molecola di emoglobina mutante, la quale differisce dalla forma normale per un singolo amminoacido. Quando una mutazione avviene nel patrimonio genetico dei gameti, essa può essere trasmessa alle generazioni successive. Il primo a parlare di mutazioni fu, nel 1901, il botanico olandese Hugo De Vries, che insieme ad altri ebbe anche il merito di riportare alla luce il lavoro di Mendel. Nel 1929 il biologo statunitense Hermann Joseph Muller osservò che i raggi X possono fare aumentare grandemente la frequenza delle mutazioni. In seguito, la lista delle sostanze mutagene si allargò ad altre forme di radiazioni, alle alte temperature e a un gran numero di composti chimici. La frequenza di mutazione aumenta, inoltre, quando alcuni geni che codificano per fattori proteici responsabili della fedeltà della duplicazione del DNA o della correzione degli errori sono a loro volta mutati. Altri fattori che possono causare mutazioni sono i trasposoni. Mutazioni genetiche La maggior parte delle mutazioni geniche è silente e non produce alcuna variazione osservabile a livello fenotipico. Raramente le mutazioni causano, invece, effetti a livello cellulare, che possono alterare in modo drammatico le funzioni generali dell'organismo. Le mutazioni non silenti compaiono generalmente in alleli recessivi e quindi i loro effetti nocivi non sono espressi se non sono presenti due alleli mutati contemporaneamente, cioè se l'individuo non è omozigote per la mutazione. Questo accade più frequentemente nei casi di inincrocio, cioè nell'accoppiamento di organismi strettamente imparentati, che possono aver ereditato lo stesso gene mutante recessivo da un comune antenato. Per questa ragione le malattie ereditarie sono più frequenti nei bambini i cui genitori sono cugini o parenti stretti, che non nella popolazione umana generale. Mutazioni cromosomiche La sostituzione di un nucleotide con un altro non è il solo tipo di mutazione possibile. Talvolta un nucleotide può andare perso completamente o ne può essere acquisito uno nuovo. Inoltre, possono avvenire cambiamenti più drammatici ed evidenti, come le alterazioni di forma o di numero di cromosomi. Una porzione di cromosoma può, ad esempio, staccarsi, girarsi e quindi riattaccarsi al cromosoma nello stesso punto: questa mutazione è detta inversione. Se il frammento staccato si unisce a un differente cromosoma o a una parte diversa dello stesso cromosoma, la mutazione viene chiamata traslocazione. Talvolta, un membro di una coppia di cromosomi omologhi perde un frammento di cromosoma, che viene guadagnato dall'altro membro; si dice allora che una copia ha una delezione e l'altra, una duplicazione. Le delezioni sono in genere letali negli omozigoti e spesso lo sono anche le duplicazioni. Le inversioni e le traslocazioni hanno, invece, effetti meno deleteri, sebbene possano comportare mutazioni all'interno dei geni in cui è avvenuta la rottura del cromosoma. La maggior parte di questi riarrangiamenti cromosomici è la conseguenza di errori avvenuti durante il crossing-over. Un altro tipo di mutazione avviene quando una coppia di cromosomi omologhi non si separa alla meiosi. Questo può produrre gameti, e quindi zigoti, con cromosomi sovra- e sottonumerari. Gli individui con un cromosoma in più sono detti trisomici e quelli in cui manca un cromosoma, monosomici. Entrambe le situazioni possono dare luogo a gravi malattie genetiche. Ad esempio, chi è affetto dalla sindrome di Down è un soggetto trisomico, cioè porta in tutte le cellule dell'organismo tre copie anziché due del cromosoma 21. Se alla meiosi non avviene la separazione dell'intero corredo cromosomico, viene prodotto un gamete con un numero di cromosomi doppio del normale. Se questo gamete si unisce a uno con un numero normale o doppio di cromosomi, la discendenza avrà rispettivamente tre o quattro set di cromosomi omologhi invece di due. Gli organismi con corredi cromosomici sovrannumerari sono detti poliploidi. La poliploidia è il solo processo conosciuto, con cui si possano originare nuove specie in una singola generazione. Poliploidi vitali e fertili si trovano quasi esclusivamente negli organismi ermafroditi, come la maggior parte delle angiosperme e alcuni animali invertebrati. Le piante poliploidi sono in genere più grandi e più resistenti dei loro normali antenati diploidi. Nell'uomo compaiono talvolta feti poliploidi, che, tuttavia, muoiono ai primi stadi di sviluppo e sono, quindi, abortiti. Genetica delle popolazioni La genetica delle popolazioni è una disciplina, fondata da Godfrey H. Hardy e Wilhelm Weinberg, che studia come i geni sono distribuiti nelle popolazioni di organismi. In particolare essi sono responsabili della formulazione della legge di Hardy-Weinberg per determinare la frequenza di due alleli in una popolazione. I due alleli A e a vengono descritti dalle frequenze p e q, la cui somma dev'essere uguale a uno (p + q = 1). In base a questa legge, le frequenze dei tre genotipi AA, Aa e aa nella generazione successiva a quella in esame saranno rispettivamente p2, pq2 e q2. La legge di Hardy-Weinberg vale, tuttavia, solo se la popolazione è in equilibrio genetico, cioè se sono soddisfatte le seguenti condizioni: la popolazione è isolata, cioè non è soggetta a emigrazione, né a immigrazione; l'accoppiamento tra i membri della popolazione avviene in modo casuale; le probabilità di riproduzione e sopravvivenza sono pari per tutti gli individui, cioè la popolazione non è soggetta alle forze della selezione naturale; non si verificano mutazioni; la popolazione è molto numerosa. Ereditarietà nell'uomo Le caratteristiche fisiche dell'uomo sono per lo più influenzate sia da variabili genetiche multiple, sia da fattori ambientali. Il peso delle due componenti può essere diverso a seconda del carattere considerato. Caratteristiche come l'altezza hanno, ad esempio, una componente genetica relativamente importante, mentre altre, come il peso corporeo, sono determinate anche dalla componente ambientale. Caratteri come i gruppi sanguigni e gli antigeni responsabili del rigetto degli organi trapiantati sono determinati esclusivamente dalla componente genetica, poiché non si conosce alcuna condizione ambientale che possa cambiare queste caratteristiche. Una componente genetica sembra, inoltre, avere un ruolo nella patogenesi di malattie come la schizofrenia, l'ipertensione e alcune forme di cancro. Gli alleli responsabili della maggior parte delle malattie genetiche rare sono recessivi. Il genoma umano contiene da 50.000 a 100.000 geni, di cui si stima che circa 4000 possono essere correlati a malattie. Nel 1990 è stato avviato il Progetto Genoma Umano, che si pone l'obiettivo di caratterizzare l'intero patrimonio genetico della specie umana. Questo gigantesco sforzo viene ripartito tra numerosi laboratori che lavorano contemporaneamente in tutte le parti del mondo ed è reso possibile dalle tecniche di ingegneria genetica e di biologia molecolare che negli ultimi anni hanno conosciuto un grande sviluppo. Cromosoma e DNA (da www.wikipedia.it) Cromosoma Disegno di un Cromosoma 1) Cromatidio 2) Centromero 3) Braccio corto 4) Braccio lungo In biologia, il cromosoma è un corpuscolo che appare nel nucleo cellulare di una cellula eucariota durante la mitosi. I cromosomi sono spesso presenti in coppie, 23 nella specie umana, di cui 22 coppie sono cromosomi omologhi (cioè simili) detti autosomi ed una coppia di cromosomi diversi che sono i cromosomi sessuali. Tutti i cromosomi sono portatori dei caratteri ereditari. Le cellule che hanno coppie di cromosomi omologhi sono dette diploidi (2n), mentre sono definite aploidi (n) quelle che possiedono solo un cromosoma per tipo. I nuclei delle cellula eucariotica contengono un materiale che si colora intensamente con certi coloranti istologici e viene quindi detto cromatina. Durante l'interfase la cromatina non rivela alcuna struttura, se non la differenziazione tra una componente maggioritaria più lassa (eucromatina) e una più condensata (eterocromatina). Durante la divisione cellulare la cromatina si suddivide in un numero ben definito di corpiccioli con la dimensione maggiore dell'ordine del micrometro: i cromosomi. Nella cellula appena formata, i cromosomi hanno forma di bastoncelli: l'unica struttura evidente al microscopio è una strozzatura detta centromero. Nella metafase i cromosomi hanno una forma a X, dovuta al fatto che si sono quasi completamente duplicati e risultano formati da due cromatidi identici, uniti per il centromero che si divide per ultimo. Al microscopio ottico, i cromosomi sono distinguibili tra loro per le dimensioni e per la "forma", ossia per la posizione del centromero. Ulteriori distinzioni si possono effettuare con opportuni trattamenti chimici, che evidenziano un bandeggio: l'alternanza di bande con diversa pigmentazione. Numero e struttura dei cromosomi costituiscono il cariotipo, ben evidenziabile (e fotografabile) durante la metafase, in cui i cromosomi si dispongono nella piastra metafasica. La cromatina è costituita permanentemente da DNA e proteine. Il Dna è avvolto attorno a cilindretti formati dai quattro tipi di istoni, proteine basiche: tale fibra fondamentale si chiama cromonema ed è ulteriormente avvolta in strutture di ordine superiore. DNA L'acido desossiribonucleico o deossiribonucleico (DNA) è, dal punto di vista della biochimica, un polimero organico i cui monomeri sono i desossiribonucleotidi. È presente in tutti gli organismi viventi. Lo si trova nei cromosomi degli eucarioti, dei procarioti, oltre che nei plasmidi, nei mitocondri e in molti virus. È una molecola molto importante perché trasporta l' informazione genetica necessaria alla trasmissione dei caratteri ereditari. Ogni proteina presente negli organismi viventi deriva da un processo di sintesi che trae origine dall'informazione immagazzinata nel DNA. Ogni nucleotide è formato da tre parti: una molecola di desossiribosio (uno zucchero semplice, appartenente ai pentosi), un gruppo fosfato e una base azotata (citosina, guanina, adenina o timina). L'atomo di carbonio in 3’ sull'anello del desossiribosio è legato ad un gruppo -OH di un residuo fosforico che, a sua volta, lega in posizione 5' l'anello di ribosio appartenente al monomero adiacente. Abbiamo quindi uno scheletro fosfato-zucchero-fosfato... , mentre agli zuccheri sono legate le diverse basi azotate, che determinano la sequenza specifica. Di solito il DNA è a doppio filamento: è formato da due catene orientate in verso opposto, unite da legami idrogeno tra le basi azotate. Ogni sequenza è determinata dall'altra, in quanto la regola di appaiamento A-T, G-C è imposta dalla dimensione delle basi e dal numero e dalla disposizione dei legami idrogeno che esse possono formare. Si dice anche che i due filamenti sono complementari. I due filamenti sono avvolti l'uno attorno all'altro in una doppia elica, struttura che corrisponde ad un minimo di energia. Quelle di DNA sono molecole molto lunghe: un cromosoma umano medio contiene un doppio filamento di DNA lungo 8 centimetri! Le cellule devono quindi utilizzare meccanismi molto sofisticati per riuscire a comprimere tutto il loro DNA nell'esiguo spazio del volume nucleare (vedi istoni). Replicazione La replicazione del DNA è una reazione di polimerizzazione che ha come reagenti i quattro tipi di desossiribonucleosidi trifosfati (dNTP: dATP, dCTP, dGTP, dTTP). Benché nel filamento venga incorporato solo un fosfato, i nucleotidi di partenza devono essere trifosfati, solo così posseggono infatti l'energia necessaria per la reazione. È necessaria la presenza di un DNA a filamento singolo che funge da stampo, che determina la sequenza del filamento da costruire. La reazione è catalizzata dalle DNA polimerasi, enzimi capaci di costruire una nuova catena nel verso 5'-3' individuati da Arthur Kornberg nel 1958 tramite un famoso esperimento [1]. Esse non sono in grado di iniziare un filamento ex novo, possono solo allungare un filamento polinucleotidico preesistente. È necessario quindi un innesco. Questo consiste di solito in un breve frammento di RNA appaiato allo stampo, prodotto da una RNA polimerasi detta primasi. Per iniziare la replicazione, il DNA a doppia elica deve essere parzialmente denaturato da particolari proteine. Queste sono le elicasi, enzimi che separano attivamente i due filamenti usando l'energia dell'ATP, e le proteine denaturanti, o proteine destabilizzatrici dell'elica, non enzimatiche, che possono denaturare il DNA legandosi selettivamente alle porzioni a singolo filamento e stabilizzandole. Queste attività producono una forca replicativa, che migra esponendo progressivamente filamenti non appaiati, che possono essere replicati. Poiché le polimerasi lavorano solo in senso 5'-3', un filamento (chiamato Filamento a replicazione progressiva) può essere replicato in modo quasi continuo, man mano che viene esposto, l'altro (Filamento a replicazione regressiva) risulta disseminato da brevi filamenti di DNA di nuova sintesi (i frammenti di Okazaki), ognuno dei quali reca all'inizio l'innesco di RNA. I nuovi filamenti devono essere quindi completati mediante la rimozione degli inneschi da parte di endonucleasi e il riempimento degli spazi rimasti ad opera di polimerasi di riparazione. Successivamente tutti questi frammenti di DNA di nuova sintesi del filamento in ritardo vengono legati dalla DNA-ligasi. Il risultato della replicazione sono due doppie eliche identiche (salvo errori avvenuti durante il processo, che portano alla comparsa di mutazioni) costituite da un filamento preesistente e uno neoformato: per questa ragione la replicazione si dice semiconservativa. Nelle molecole di DNA circolari dei Procarioti si ha una sola regione di Origine della replicazione dalla quale partono due forche replicative (la struttura prende il nome di bolla di replicazione). Quando le due forche si incontrano dal lato opposto la replicazione è completata. Negli Eucarioti la replicazione di ogni cromosoma inizia in più punti. Alfabeto di quattro lettere Le basi azotate (adenina A, citosina C, guanina G, timina T), possono essere immaginate come le quattro lettere dell'alfabeto delle informazioni genetiche della cellula. Utilizzando gruppi di tre lettere si possono avere fino a 64 combinazioni diverse (43), che vanno a coprire i venti diversi amminoacidi esistenti. Ad esempio la timina ripetuta in una serie di tre ("TTT") rappresenta un particolare amminoacido: la fenilalanina. Poiché esistono 64 triplette possibili e 20 amminoacidi, il codice genetico è ridondante (degenere), ovvero alcuni amminoacidi possono essere codificati da più triplette diverse, non ci sarà però mai un'ambiguità, ad ogni tripletta corrisponderà un solo amminoacido. Esistono infine triplette che non codificano per amminoacidi ma per codoni di stop, ovvero indicano il punto in cui in un gene termina la parte che codifica per la proteina corrispondente. Nell'RNA l'adenina si lega all'uracile (contraddistinto dalla lettera U) che rappresenta la quinta base della complessa struttura dell'elica del DNA/RNA L'uracile particolare fu la prima base scoperta negli studi sul DNA, per cui introducendo la molecola nel filamento, la cellula produceva timina. Questo sorprese i ricercatori. Scoperta della struttura e della funzione Nel 1953 il biochimico statunitense James Watson e il biofisico britannico Francis Crick, in base ai risultati di esperimenti di cristallizzazione e di diffrazione ai raggi X, elaborarono un modello tridimensionale del DNA a doppia elica. Tale scoperta avvenne presso il Cavendish Laboratory dell'Università di Cambridge, grazie anche al contributo di Maurice Wilkins e Rosalind Franklin. La scoperta valse ai primi tre il Premio Nobel per la medicina nel 1962. Rosalind Franklin morì nel 1958 di cancro, probabilmente a causa delle radiazioni assorbite nel corso dei suoi esperimenti sul DNA. Acidi nucleici Gli acidi nucleici sono acidi presenti nel nucleo della cellula o comunque lì prodotti. Gli acidi nucleici sono dei macromolecole polimeriche lineari i cui monomeri sono i nucleotidi, formati da uno zucchero, una base azotata e dei gruppi fosfato. Negli organismi viventi si trovano due tipi di acidi nucleici: * il DNA (acido deossiribonucleico) * l'RNA (acido ribonucleico). Lo zucchero dell'RNA è il ribosio, quello del DNA è il deossiribosio. In entrambe le sostanze vi sono quattro basi azotate: tre (adenina, guanina e citosina) sono identiche mentre la quarta (timina nel DNA, uracile nell'RNA) è solo leggermente differente. Nei batteri e nelle cellule di organismi superiori, sono presenti entrambi; alcuni virus possiedono solo l'RNA (ad esempio quello della poliomielite o quello dell'AIDS), altri solo il DNA. Negli eucarioti, il DNA si trova nel nucleo e nel mitocondrio, mentre l'RNA si trova nel nucleo, ma soprattutto nel citoplasma. Al DNA spetta il mantenimento dei caratteri ereditari, mentre all'RNA spettano altre mansioni, quale la trasmissione delle informazioni contenute nel DNA verso i siti di sintesi proteica. Nucleoside I nucleosidi sono composti costituiti da uno zucchero pentoso (D-ribosio o 2-desossi-D-ribosio) e da una base azotata purinica (adenina, guanina) o pirimidinica (citosina, uracile, timina) legate per mezzo di un legame glicosidico. I nucleosidi più frequenti sono quelli che si ottengono per idrolisi degli acidi nucleici (adenosina, guanosina uridina, ecc. e i corrispondenti desossi-): costituiscono infatti, per l'aggiunta di un gruppo fosfato, i nucleotidi, unità costitutive fondamentali del DNA e dell'RNA. Nucleotide I nucleotidi sono degli esteri fosforici dei nucleosidi, costituiti da tre subunità: una base azotata (purina o pirimidina), uno zucchero a cinque atomi di carbonio (pentosio) e un gruppo fosfato. Il pentosio può essere ribosio o desossiribosio. Il nucleotide è inoltre il monomero costitutivo degli acidi nucleici (DNA e RNA). La presenza del residuo fosforico conferisce carattere fortemente acido ai nucleotidi (per questo noti anche come acido adenilico o acido guanilico). L'aggiunta di uno o di due altri residui fosforici nella catena (fosforilazione ossidativa) produce i nucleoside-di- e trifosfati (NDP e NTP), i quali svolgono un ruolo fondamentale nel metabolismo energetico della cellula. Nomenclatura I nomi dei nucleotidi sono abbreviati in codici standard di tre o quattro lettere. La prima lettera indica se il nucleotide in questione è un desossiribonucleotide (si indica con una d) o un ribonucleotide (nel qual caso non viene scritta alcuna lettera). La seconda lettera indica il nucleoside corrispondente alla nucleobase: * G: Guanina * A: Adenina * T: Timina * C: Citosina * U: Uracile, che non è presente nel DNA e prende il posto della Timina nell'RNA. La terza e quarta lettera indicano la lunghezza della catena di gruppi fosfato attaccata (mono-, di- e tri-) e della presenza del gruppo fosfato (P). Ad esempio, la desossi-citosina-trifosfato è abbreviata con dCTP (la d perché è un desossiribonucleotide, la C perché è una citosina, TP perché è un tri-fosfato). Acidi nucleici Basi azotate: Adenina • Timina • Uracile • Guanina • Citosina • Purina • Pirimidina Nucleosidi: Adenosina • Uridina • Guanosina • Citidina • Deossiadenosina • Timidina • Deossiguanosina • Deossicitidina Nucleotidi: AMP • UMP • GMP • CMP • ADP • UDP • GDP • CDP • ATP • UTP • GTP • CTP • cAMP • cGMP Acidi nucleici: DNA • mtDNA • cDNA • GNA • RNA • mRNA • tRNA • rRNA • ncRNA • sgRNA • shRNA • siRNA • snRNA • miRNA • snoRNA LNA • PNA • TNA • Oligonucleotide Genetica molecolare Azione e natura chimica dei geni Quando, agli inizi del Novecento, furono riscoperte ed estese le leggi di Mendel, i ricercatori si chiesero in che modo i geni potessero determinare le caratteristiche ereditarie di un individuo. Un esperimento illuminante fu il seguente. Erano stati selezionati dei ceppi di topi che si potevano considerare praticamente linee pure. I ricercatori incrociarono due ceppi diversi entrambi albini: contrariamente a ogni previsione tutti i figli della prima generazione ibrida erano pigmentati. Ciò sembrava in contrasto con le leggi dell'ereditarietà, in quanto l'albinismo è un fenotipo recessivo, e quindi i genitori albini dei topi pigmentati avrebbero dovuto mancare totalmente dei geni necessari per produrre la melanina. Dal punto di vista della genetica formale, la cosa può essere spiegata ammettendo che nella produzione di melanina siano coinvolti due loci, che chiameremo "A" e "B", e che sia un allele A sia uno B sono necessari per produrre il pigmento. Tutto si spiega supponendo che un ceppo parentale avesse genotipo aaBB e l'altro AAbb. I figli erano tutti AaBb, perciò sia il "fattore A" sia il "fattore B" erano disponibili per produrre la pigmentazione. La necessità di due loci può ricevere una spiegazione biochimica, se si ammette che i geni producono enzimi. Supponiamo che i loci A e B codifichino per due diversi enzimi afferenti alla stessa catena metabolica per la produzione di melanina. Supponiamo pure che l'allele A produca l'enzima necessario affinché avvenga una reazione mentre l'allele a non funziona, e che B produca l'enzima per un'altra reazione mentre b è inattivo. Ognuno dei ceppi di topi mancava di un enzima, per cui la catena metabolica si interrompeva comunque. Tale situazione si chiama blocco metabolico. Negli incroci invece, essendo presente un allele funzionante per entrambi i loci, erano presenti tutti gli enzimi, per cui la catena metabolica poteva svolgersi. Da fatti sperimentali del tipo descritto si ricavò l'ipotesi che ad ogni gene corrispondesse un enzima. Anche proteine non enzimatiche sono però presenti in forme diverse ereditabili, inoltre vi sono proteine formate da più catene polipeptidiche differenti . Oggi si sa quindi che ad ogni gene (strutturale) corrisponde una catena polipeptidica. Natura chimica Rimaneva da definire di cosa fossero fatti i geni. I cromosomi degli Eucarioti contengono principalmente due tipi di macromolecole: proteine ed acidi nucleici. La risposta venne dagli organismi più semplici. Nel 1928 si era scoperto il principio della trasformazione batterica. I Batteri si riproducono solo asessualmente, mediante una semplice divisione dell'unica cellula in due cellule geneticamente uguali: ciò comporta che si possono facilmente ottenere ceppi di Batteri geneticamente identici. Si era però verificato che, aggiungendo ad una coltura di un ceppo l'estratto di Batteri morti di un ceppo geneticamente diverso, nella coltura comparivano Batteri che presentavano caratteristiche genetiche del ceppo "donatore". Ciò indicava che anche distruggendo fisicamente le cellule i geni mantenevano la loro identità e potevano essere assorbiti da Batteri vivi che li integravano nel loro genoma. Nel 1943, Avery, MacLeod e McCarty isolarono due ceppi di Diplococcus pneumoniæ (un batterio che può produrre polmoniti nei mammiferi). Un ceppo era virulento, ossia uccideva i conigli cui fosse stato iniettato, l'altro era non virulento. Aggiungendo ad una coltura di batteri non virulenti un estratto di batteri virulenti morti comparivano batteri virulenti. L'estratto di batteri virulenti doveva contenere dei geni: ma quale tra le svariate sostanze presenti li costituiva? Ovviamente doveva essere una macromolecola, ma quale? I ricercatori separarono allora chimicamente i polisaccaridi, le proteine e gli acidi nucleici dall'estratto, e li aggiunsero separatamente a colture di Batteri non virulenti. Solo le colture cui erano stati aggiunti gli acidi nucleici divenivano virulente. Digerendo gli acidi nucleici con un enzima che degrada l'Rna la capacità trasformante si conservava, non così se si digeriva il Dna con un enzima apposito. Così fu dimostrato che il principio trasformante (ossia il materiale costituente i geni) è il Dna. Questo risultato era sorprendente: fino ad allora si riteneva plausibile che l'informazione genetica fosse portata da proteine, perché sono più complesse, essendo costituite da venti tipi di amminoacidi contro i soli quattro desossiribonucleotidi del Dna. Il ruolo del Dna è confermato anche dal fatto che è possibile indurre certe cellule a produrre virioni completi trattandole con il solo acido nucleico di certi virus. L'informazione genetica L'informazione genetica risiede essenzialmente nel Dna. Poiché in ogni posizione in un filamento di Dna ci possono essere 4 diversi desossiribonucleotidi, ognuno di essi contiene 2 bit di informazione (in quanto 22=4). L'informazione genetica viene riprodotta prima che una cellula si divida mediante la replicazione del Dna. L'informazione di un frammento di Dna viene ricopiata in un filamento di Rna con un processo detto trascrizione. In questo caso essa non viene sostanzialmente modificata in quanto i ribonucleotidi sono molto simili ai corrispondenti desossiribonucleotidi. Il tipo più abbondante di Rna è il messaggero (mRna) che ha la funzione di trasportare l'informazione dal Dna ai ribosomi che producono le proteine. Si tratta di molecole a vita breve che vengono poi degradate. Il ribosoma, nell'attuare la sintesi proteica deve interpretare una sequenza di nucleotidi e produrre una sequenza precisa di amminoacidi. Nelle normali proteine vi sono circa 20 tipi di amminoacidi: ogni amminoacido per essere determinato richiede tra 4 e 5 bit di informazione (in quanto 24=16 e 25=32).Per rappresentare un amminoacido serve quindi una sequenza di 3 nucleotidi (tripletta). Il codice genetico è la regola di corrispondenza tra le triplette e gli amminoacidi: è lo stesso per tutti gli organismi terrestri, e ciò è una forte evidenza a favore dell'origine comune di tutte le specie che conosciamo. Poiché le triplette sono 64 (43) vi sono triplette sinonime (che indicano lo stesso amminoacido): si dice perciò che il codice genetico è degenerato. Esistono inoltre tre triplette nonsense, che non rappresentano nessun amminoacido e indicano la fine della catena proteica. Tutte le sostanze organiche non semplicissime presenti in un organismo sono proteine o sono prodotte dalle proteine enzimatiche: i geni determinano quindi la composizione dell'individuo. Il seguente schema mostra il flusso dell'informazione genetica. Il diagramma precedente mostra quello che viene chiamato "dogma centrale della genetica". Negli anni ‘70 si è verificato che esistono eccezioni alla direzione del flusso di informazione. In alcuni virus il genoma è costituito da Rna, che si replica in due modi. * Nei retrovirus si ha la trascrizione inversa ossia la produzione di Dna a partire dall'Rna virale. Questo Dna entra a far parte del genoma della cellula ospite e dalla sua trascrizione si ottiene nuovo Rna virale. * In altri virus l'Rna virale si replica in modo simile al Dna. Comunque, in tutti gli organismi a base cellulare il Dna è l'unica molecola che garantisce la continuità delle caratteristiche ereditarie. Le mutazioni Le mutazioni sono caratteristiche genotipiche di un individuo che non erano presenti nei genitori. Esse derivano da errori nella replicazione del genoma. Si dividono in: 1) mutazioni germinali, vengono trasmesse alla progenie attraverso i gameti. Sono presenti in tutte le cellule dell'individuo. Possono essere di tre tipi: * monogeniche o mendeliane, in cui il gene implicato è uno solo * mitocondriali dovute a mutazioni nel DNA mitocondriale * multifattoriali, in cui sono implicati due o più geni, ognuno dei quali è necessario ma non sufficiente a innescare una patologia, nonché l'influenza di molteplici fattori ambientali * cromosomiche, dovute ad anomalie strutturali dei cromosomi * genomiche, consistenti in anomalie nel numero dei cromosomi 2) mutazioni somatiche, insorte in una singola cellula dell'organismo e trasmesse alla sua progenie a costituire un clone cellulare. Sono coinvolte nella cancerogenesi e nell'invecchiamento. Le mutazioni puntiformi Esistono anche mutazioni somatiche, che non possono essere trasmesse ai discendenti in quanto coinvolgono cellule che non danno origine a cellule della prole. Si dicono puntiformi le mutazioni che coinvolgono una piccola parte di un gene. Se la mutazione incorre in una parte del gene che viene tradotta, possiamo avere, nel caso sia coinvolto un solo nucleotide: * una sostituzione che può essere o missense, se trasforma la tripletta in un'altra che codifica per un amminoacido diverso producendo + un effetto scarso se l'amminoacido viene sostituito con uno simile e/o non si trova in un tratto importante della proteina + un effetto notevole se il nuovo amminoacido è molto diverso e/o si trova in posizione importante nella proteina o samesense(in Italiano "silente"), se la nuova tripletta viene tradotta nello stesso amminoacido, senza effetti sulla proteina prodotta o nonsense se trasforma una tripletta codificante in una delle tre triplette che indicano la fine della catena amminoacidica, con accorciamento della proteina prodotta * una inserzione o una delezione che producono uno slittamento di fase o meglio uno "spostamento della cornice di lettura (frame shift)", ossia un raggruppamento dei nucleotidi successivi in triplette diverse da quelle originali. Ad esempio se la sequenza codificante fosse CAT CAT CAT ..., la delezione della A della prima tripletta provoca il seguente scivolamento delle cornice: CTC ATC AT... I geni regolatori Le sequenze di nucleotidi che vengono tradotte in proteine sono i geni strutturali. Esse costituiscono solo una parte del genoma. Molte sequenze genetiche non tradotte hanno la funzione di regolare il funzionamento del genoma e sono dette geni regolatori. Il primo meccanismo di regolazione della trascrizione genetica che è stato studiato è l'operone lattosio di Escherichia coli. La regolazione genetica può essere anche molto più complessa. Negli eucarioti essa è complicata dal fatto che i geni sono discontinui (split genes). Tali geni sono formati dall'alternanza di sequenze tradotte (esoni) e altre che non hanno corrispondente nella proteina (introni): questi ultimi devono essere rimossi prima che il messaggero esca dal nucleo e venga tradotto. Il processo di maturazione del mRna che si rende necessario per la sua traduzione rappresenta un'altra occasione di regolazione dell'espressione genica. I geni regolatori svolgono una funzione cruciale nel determinare le caratteristiche degli organismi. Questo è ancora più evidente negli organismi pluricellulari, come l'uomo, nei quali tutte le cellule hanno lo stesso genoma benché moltissimi geni si esprimano solo in alcuni tipi di cellule, e solo in determinati momenti della vita degli stessi. Genetica delle popolazioni (da www.wikipedia.it) La Genetica delle popolazioni è una disciplina della Genetica che analizza le caratteristiche genetiche delle popolazioni nel loro insieme mediante metodi matematici, ed in particolare afferenti alla Teoria delle probabilità e alla Statistica. Concetti Basilare è il concetto di frequenza (relativa): rapporto tra il numero di elementi di un insieme con una data proprietà e il numero totale di elementi dell'insieme. La frequenza è ovviamente compresa tra 0 e 1. Ognuno degli alleli presenti per un certo locus avrà una data frequenza genica (o allelica), e ogni genotipo una data frequenza genotipica. L'insieme dei geni di una popolazione costituisce il suo pool genico: sono le sue caratteristiche, la sua dinamica e i suoi equilibri ad essere oggetto della Genetica delle popolazioni. Consideriamo un semplice esempio: un locus in cui sono presenti due alleli: A e a. Siano f(AA), f(Aa) e f(aa) le tre frequenze genotipiche, la cui somma vale 1. Le frequenze alleliche saranno allora f(A) = f(AA) + (1/2) f(Aa) e f(a) = f(aa) + (1/2) f(Aa). Spesso le due frequenze geniche si indicano con p e q. Legge di Hardy-Weinberg La legge di H-W descrive la situazione più semplice di equilibrio genetico di una popolazione: nonostante le condizioni dell' equilibrio di Hardy-Weinberg sembrino difficili da ottenere, esse valgono per molti caratteri in parecchie situazioni. Le condizioni per cui un locus in una popolazione segue la legge di H-W sono le seguenti. * HW1 Popolazione praticamente infinita. Ciò è richiesto affinché si possa applicare la Legge dei grandi numeri, e quindi le frequenze siano praticamente coincidenti con le probabilità. Sorprendentemente, basta una popolazione di poche centinaia di individui, pur essendo possibili (ma improbabili) fluttuazioni. * HW2 Assenza di immigrazione ed emigrazione. In questo modo il pool genetico è influenzato solo dalle sue dinamiche interne. * HW3 Panmissia. Significa che la probabilità che due individui si incrocino non è influenzata dal genotipo per il carattere in questione. In questo modo è come se i geni di tutti gli individui fossero mescolati nel pool genetico ed estratti a sorte per crare i genotipi dei nuovi individui. La panmissia manca, ad esempio, nel caso di forti preferenze matrimoniali all'interno di caste chiuse, specie se con diversa origine etnica. * HW4 Non selezione. Il successo riproduttivo medio degli individui (detto anche fitness) non deve essere influenzato dal genotipo per il carattere in questione. I due (o più) alleli devono quindi avere la stessa probabilità, una volta presenti, di essere trasmessi alle successive generazioni. * HW5 Non mutazione. Ovviamente le mutazioni alterano la composizione del pool genetico delle nuove generazioni. Sono comunque eventi rari. La legge di Hardy-Weinberg stabilisce che nelle condizioni suindicate le frequenze geniche rimangono costanti e le frequenze genotipiche si stabilizzano in una generazione in modo che la frequenza degli omozigoti sia il quadrato di quella dell'allele, mentre quelle degli eterozigoti saranno il doppio prodotto delle frequenze degli alleli posseduti. Esempio Immaginiamo una popolazione in cui sono presenti l'allele A con frequenza p e l'allele a con frequenza q = (1-p). Avremo f(AA) = p2, f(aa) = q2, f(Aa) = 2pq. Il nuovo valore di p sarà p' = p2 + pq = p(p + q) = p . Dimostrazione Vediamo la dimostrazione con due alleli: il caso generale si ricava facilmente. Vigendo le condizioni su esposte, p e q saranno anche le probabilità che un gamete contenga uno o l'altro allele. Perché nasca un individuo con genotipo AA servirà la "coincidenza" di un gamete maschile A e uno femminile pure A. Poiché i due fatti sono indipendenti, la probabilità congiunta è il prodotto delle due probabilità, per cui: f(AA) = Pr(AA) = Pr(gamete masch. A) * Pr(gamete femm. A) = p*p = p2, e lo stesso varrà per tutti gli omozigoti. Gli eterozigoti si possono ottenere in due modi: A dal padre e a dalla madre o viceversa. Ognuno dei due casi ha probabilità pq per cui: f(Aa) = Pr(Aa) = Pr [(masch. A e femm. a) o (masch. a e femm. A)] = pq + qp = 2pq. |