BERTRAND JORDAN
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1. Il titolo in italiano, che potrebbe sembrare ad effetto, è la traduzione letterale di quello originale. Fisico dedicatosi alla genetica, avendo intuito il suo potenziale di sviluppo, l'autore, direttore di un settore del Centro Nazionale di Ricerche Scientifiche francese, ha inteso evidentemente porre in evidenza un aspetto ambiguo della genetica: quello per cui i dati ricavati dalla ricerca possono essere manipolati dai ricercatori stessi e/o venire distorti dai mass-media in maniera tale da diffondere presso l'opinione pubblica informazioni errate, ma di grande impatto. Non avendo un orientamento radicale (che è proprio, per esempio, di Lewontin), egli ritiene che le imposture rappresentino, nel complesso, un aspetto marginale, per quanto importante, della genetica: espressioni, per un verso, dell'ambizione e della sete di denaro di alcuni ricercatori; per un altro, della tendenza dei mass-media a trasformare in scoop notizie scientifiche di particolare interesse, bisognose però ancora di numerosi controlli per essere convalidate; per un altro ancora, delle aspettative dell'opinione pubblica nei confronti delle scienze, elevatissime quando sono in gioco problemi inerenti le malattie. Nella Prefazione, Jordan chiarisce in maniera eccellente le ragioni sociali e ideologiche che promuovono le imposture: "Con il trionfo mondiale del modello di produzione capitalista, a cui non si oppone più alcuna alternativa, le nostre società, consumistiche e individualiste tendono a cancellare i principi della solidarietà e a liberarsi da ogni responsabilità per quanto riguarda lo sviluppo degli individui. Esse accolgono con favore, quindi, le teorie che ritengono il destino delle persone definito dai loro geni a scapito della loro educazione, trovando così una giustificazione "biologica" all'esistenza di disuguaglianze che tendono a crescere, e ricavandone ottimi argomenti per scartare le misure forzatamente costose che potrebbero arginare questa deriva." (p. VIII) Su questo sfondo, non è difficile identificare gli impostori: "Gli impostori, i falsari, sono tutti coloro che contribuiscono a questa deriva, per leggerezza, per incoscienza, a volte per interesse. Si può trattare di scienziati imprudenti, ingenui o perfino disonesti. Ma vi sono molti altri personaggi coinvolti: i media che sono principalmente alla ricerca di ciò che fa sensazione, gli uomini politici che evitano di affrontare questioni difficili come la contraddizione tra diritto alla cura ed economia liberale; infine i cittadini, che non si assumono le loro responsabilità e si accontentano di idee semplici, facili da capire e che subiscono il fascino del destino." (p. IX) Il modo in cui si realizzano le imposture a questi diversi livelli è sempre lo stesso. Esso è agevolato da un cambiamento metodologico avvenuto a livello di genetica. Fino agli anni '80, questa utilizzava un metodo diretto. Si partiva da una malattia che le statistiche, riferite ai gruppi familiari, attestavano come ereditaria; si cercava di chiarire i difetti biochimici che erano alla base dei sintomi; e si assegnava, infine, alla genetica il compito di identificare i geni mutanti responsabili di quei difetti. A partire dagli anni '80, si è imposto, invece, un metodo inverso, descritto in questi termini: "Si parte dalla constatazione che una malattia è ereditaria, poiché trasmessa in certe famiglie dai genitori ai figli, e si arriva, dopo un percorso che può richiedere diversi anni, all'isolamento del gene coinvolto. La sua decifrazione indicherà quindi la formula della proteina di cui regola la sintesi, il che - con un po' di fortuna - fornirà un'idea del ruolo di quest'ultima nell'organismo e indicherà alcune strade per rimediare alla sua assenza. Si tratta di una procedura assai efficace, poiché non è necessario conoscere fin dall'inizio la natura biochimica del difetto, né l'organo in cui interviene, e ancor meno la proteina difettosa nei malati: tutto questo discenderà dall'isolamento del gene, realizzato tramite metodi essenzialmente genetici e molecolari." (pp.23 - 24) Il limite di questo metodo, che può promuovere l'impostura, è che esso si articola su due fasi: la prima è rivolta a localizzare il gene, la seconda ad isolarlo e ad identificarlo. Ora, "la semplice localizzazione di un gene è un dato fragile" (p. 29), poiché essa "indica, di fatto, solo una probabilità. Il gene ha il 95% di probabilità di trovarsi nella regione indicata, ma anche il 5% di essere da qualche altra parte." (p. 29) Una localizzazione, dunque, ha sempre bisogno di essere confermata: per assumere un significato scientifico, essa deve essere presente in tutti i soggetti affetti dalla malattia. Posto che la localizzazione sia confermata, occorre poi pervenire all'identificazione del gene, che richiede talora un certo numero di anni. Nell'intervallo di tempo che intercorre tra la localizzazione, la conferma e l'identificazione del gene, può accadere facilmente che i ricercatori comunichino ai media i risultati del loro lavoro enfatizzando la localizzazione come una scoperta, che i media annuncino tale scoperta come clamorosa, e che l'opinione pubblica non abbia alcun motivo di dubitare dell'informazione e la faccia propria. Chi ricorda quante volte, nel corso degli ultimi venti anni, sono state pubblicate in prima pagina mirabolanti scoperte concernenti il gene della depressione, il gene della schizofrenia, ecc., regolarmente non confermate da successivi controlli e che non hanno portato all'identificazione del gene in questione, ha la misura esatta dell'impostura. Il problema, come acutamente rileva Jordan, è che a quelle notizie fortemente suggestive non segue mai una smentita in prima pagina. In conseguenza di questo, l'opinione pubblica rimane convinta che è stato scoperto ciò che, di fatto, non lo è stato. 2. Un ulteriore, importantissimo limite del metodo inverso riguarda il tipo di malattia in questione. Le malattie ereditarie (o presunte tali) possono essere causate da un solo gene (monogeniche) o da più geni (plurigeniche). Di malattie monogenetiche se ne conoscono ormai milleseicento: di ben ottocento di esse, il gene è stato isolato, di cinquecento, esso è stato solo localizzato, di trecento rimane sconosciuto. Per quanto riguarda le malattie plurigenetiche sono state localizzate solo alcune centinaia di geni e alcune decine sono state identificate. Lo studio delle malattie plurigenetiche è, dunque, infinitamente più complesso rispetto alle malattie monogenetiche. In quest'ultimo caso, far passare o confondere la localizzazione con l'identificazione dei geni mutanti è ancora più fuorviante. Quest'equivoco diventa addirittura pernicioso allorché la genetica si confronta con disturbi del comportamento: omosessualità, criminalità, disturbi psichici. Le ricostruzioni che Jordan dà delle vicende in virtù delle quali si è giunti a diffondere la notizia di una scoperta del gene dell'omosessualità e di un gene della criminalità sono assolutamente persuasive. In questi casi, si tratta di falsificazioni in senso proprio. Assumere l'omossessualità per un verso e la criminalità per un altro come malattie genetiche è un presupposto ideologico infondato. Le ricerche a riguardo non hanno prodotto che una convalida, scientificamente infondata, di tale presupposto. Per quanto riguarda le malattie mentali, il discorso è più complesso. In quest'ambito, il passaggio dal metodo diretto a quello inverso si è reso necessario in conseguenza del fatto che la psichiatria ha avanzato, fino agli anni '80, una serie d'ipotesi patogenetiche, che coinvolgevano i neurotrasmettitori, le quali non hanno dato luogo all'auspicata identificazione del gene della depressione, della schizofrenia, ecc. Per affrontare il problema, non si poteva fare altro che passare al metodo inverso. Anche questo cambiamento di metodo, però, non ha dato sinora risultati convincenti. Jordan a riguardo è molto esplicito. Né per quanto riguarda la psicosi maniaco-depressiva né per quanto riguarda la schizofrenia è stato isolato, a tutt'oggi, un solo gene anomalo che risulti sistematicamente presente in tutti i malati. Si può dunque continuare a pensare che si tratti di malattie genetiche, ma bisogna ammettere che, fino ad oggi, non si dà alcuna prova scientificamente inoppugnabile di quest'ipotesi. Il can-can della genetica psichiatrica dipende dal fatto che, essendo impegnati nella ricerca numerosi centri al mondo e uno stuolo di studiosi, le localizzazioni si susseguono di anno in anno a ritmo incalzante. Esse vengono rese note scientificamente, perché ciò è necessario al fine di sollecitare al controllo la comunità scientifica. Finora i controlli sono risultati sempre negativi Dato l'interesse particolare che i disturbi psichici suscitano nell'opinione pubblica, non c'è da sorprendersi che proprio a questo livello abbondino le imposture. Responsabili di ciò sono senz'altro alcuni ricercatori che hanno la smania di mettersi in luce, casomai per far confluire verso di loro i capitali necessari per la ricerca. Responsabili sono anche i mass-media, che, consci dell'interesse dell'opinione pubblica, enfatizzano e distorcono tutti i dati che vengono loro comunicati. Al di là di questo, Jordan non va. Ma il discorso può essere facilmente completato. I massimi responsabili della falsificazione sono i neopsichiatri, i quali non mancano occasione di mentire spudoratamente, attraverso la televisione e i giornali, sostenendo che la scienza ha dimostrato che i disturbi dell'umore e la schizofrenia sono dovuti a cause genetiche. Si può lasciare in sospeso il problema se essi mentiscano sapendo di mentire o siano semplicemente ignoranti. Fatto si è che ripetono quella formuletta come una verità acquisita e indubitabile. La cosa più grave è che la loro "propaganda", sponsorizzata dalle industrie farmaceutiche, ha fatto breccia sull'opinione pubblica, che ha ormai massicciamente abbracciato l'ipotesi genetica e biologica. Come ho scritto in Miseria della neopsichiatria l'unico dato apparentemente consistente a favore di una predisposizione alla schizofrenia (non di una malattia genetica!) riguarda la concordanza dei disturbi in gemelli monozigoti. Anche in quest'ambito - come Jordan ricorda opportunamente - si sono date falsificazioni clamorose, come quella di Cyril Burt, che aveva incluso nelle sue imponenti statistiche un numero di casi inesistenti. Le ricerche degli ultimi venti anni non sono passibili metodologicamente di questo dubbio. Però, "la loro interpretazione è ancora incerta In questo campo raramente sono presenti tutte le condizioni necessarie per annunciare conclusioni irrefutabili." (p. 81) Nessuna ricerca nell'ambito della genetica psichiatrica, condotta con metodo inverso, ha fornito una prova che soddisfi i criteri ritenuti essenziali perché essa possa essere assunta come scientificamente valida: "una localizzazione con un lod score [un indice che misura il rapporto tra il legame genetico e l'assenza di legame] nettamente superiore a 3, dimostrata da almeno due ricerche differenti; e soprattutto, l'identificazione di un gene con un allele particolare (raro) nella popolazione che sia sistematicamente presente nei malati." (p. 83) E' noto come i neopsichiatri spiegano questi apparenti fallimenti, senza cambiare idea sulla natura genetica della schizofrenia. Essi sostengono che, forse, non esiste una malattia schizofrenica, ma più di una. La distinzione più comunemente accettata concerne una forma con sintomi positivi (come le allucinazioni) e una con sintomi negativi (come il ritiro autistico). Anche quest'impostazione non ha però ricevuto alcun conforto dalle ricerche genetiche, nonostante gli sforzi massicci dei genetisti, i quali sanno che la prima identificazione di un gene anomalo presente in tutti i pazienti produrrà un premio Nobel. Chi non volesse andar dietro alla propaganda neopsichiatrica, potrebbe ricondursi a quest'aspettativa per verificare immediatamente lo stato dell'arte. Finché non sarà assegnato un Nobel, la natura genetica dei disturbi psichiatrici maggiori potrà essere considerata una mera ipotesi. 3. In Miseria della psichiatria ho sostenuto che la predisposizione alla schizofrenia esiste, ma, in un numero rilevante di casi, va ricondotta a potenzialità intellettive ed emozionali fuori del comune, che spesso coincidono con un orientamento di personalità introverso. In senso proprio non si tratta dunque di una predisposizione alla malattia, ma ad un insieme di modi d'essere che, al limite, possono associarsi o manifestarsi anche attraverso disturbi psichici. Rimango ancora oggi convinto della fondatezza di quest'ipotesi, che tra l'altro comporta il vantaggio di poter tollerare in prospettiva anche la possibilità, peraltro remota, che possa essere identificato un gene o un insieme di geni della schizofrenia. Essa, infatti, si fonda sull'assumere il rapporto tra genotipo (il corredo genetico di un organismo) e il fenotipo (le caratteristiche fisiche e comportamentali di un individuo in un dato momento della sua storia e nell'ambiente in cui si trova) come molto meno deterministico, a livello umano, di quanto pensano i neopsichiatri. Jordan scrive: "La relazione tra queste due entità solitamente non è univoca né strettamente causale." (p. 121) Fondamentale per capire le imposture della genetica psichiatrica, o meglio, dell'uso disinvolto che i neopsichiatri fanno dei dati ch'essa produce, è l'ambiguità che pesa sul termine mutazioni. I geni mutanti, la cui localizzazione fa gridare ricorrentemente alla "scoperta", non hanno tutti lo stesso significato. Intanto esistono i polimorfismi, che sono varianti dello stesso gene che non incidono sul fenotipo. In secondo luogo. "numerosi esempi dimostrano che una data mutazione non ha sempre lo stesso effetto." (p. 123) Essa, infatti, può essere compensata dall'azione di altri geni e, talvolta, deleteria in teoria, "può avere un effetto benefico ed essere selezionata in determinati ambienti." (p. 125) Occorre, infine, considerare che anche un'indubbia predisposizione genetica non ha valore di prognosi a livello del singolo individuo, quindi essa non contrassegna necessariamente un destino. Il rapporto tra genotipo e fenotipo è dunque molto più complesso di quanto pensano i neopsichiatri. Tanto complesso che, anche accreditando le ricerche sui gemelli monozigoti che, allevati in ambienti diversi, ammalano, questa concordanza non riguarda che il quaranta per cento di essi. Il ruolo dei fattori ambientali rimarrebbe dunque importante anche se si scoprisse il "gene" della malattia. Il problema è che questi fattori, per essere messi a fuoco, richiedono un impegno non minore della ricerca genetica: un impegno di cui, nell'ottica neopsichiatrica, non v'è traccia. Così stando le cose, c'è da chiedersi quando e come sarà possibile vincolare i neopsichiatri, nelle loro esternazioni mediatiche, a rispettare i criteri vincolanti dell'onestà scientifica, a dire insomma la verità su come stanno le cose e non a far passare le loro idee come ipotesi confermate dalla scienza. Un mezzo potrebbe essere quello di registrarle e di denunciarle alla Magistratura come scientificamente false. Se è vietata la pubblicità scorretta, perché non dovrebbe essere vietata la diffusione di false informazioni in un ambito così delicato? Per questa via non si arriverà a grandi risultati, forse. Ma se solo i neopsichiatri fossero costretti a dire che è una loro opinione maggioritaria che le malattie mentali abbiano un'origine genetica e non già che questo è stato dimostrato dalla scienza, sarebbe un passo avanti. Non sarebbe male, poi, se la Magistratura cominciasse a mettere il naso nell'ambito delle ricerche universitarie sponsorizzate dalle industrie farmaceutiche. Avvertirebbe immediatamente puzzo di bruciato Non meno importante è, ovviamente, che coloro che rifiutano il modello organicistico neopsichiatrico si diano da fare per costruire un modello alternativo capace di tener conto, in maniera seria e scientificamente corretta, dei fattori biologici. Febbraio 2004 |