GUIDO ROSSI
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1. Il libro di Guido Rossi, uno dei massimi esperti internazionali di diritto societario, che ha dedicato anni della sua vita di studioso all'analisi critica dei processi di concentrazione e delle degenerazioni della concorrenza, affronta senza mezzi termini un problema cruciale della nostra epoca: l'affrancamento del capitalismo finanziario dal controllo politico e giuridico, che rischia di trasformare il mondo intero in una mega-macchina impersonale cinicamente orientata a concentrare la ricchezza nelle mani di un'esigua minoranza privilegiata a danno della collettività e in spregio di ogni principio etico. Per denotare quest'evento epocale che, per ora, è l'effetto più evidente della globalizzazione, l'autore parla senza mezzi termini di malattia del capitalismo. La metafora medica implica anche una diagnosi specifica: si tratterebbe di un'epidemia, la cui causa - un virus maligno - è il conflitto di interessi tra gli attori economici, alcuni dei quali - identificabili con i proprietari dei capitali e le istituzioni deputate a gestirli (banche) e a controllarne l'uso legittimo - hanno assunto un potere tale da coltivare i loro interessi particolari anche, se non soprattutto, a danno di quelli generali. Non si tratta certo di una malattia nuova in assoluto. La motivazione egoistica (l'avidità di denaro) che sottende il capitalismo è stata colta come un pericolo per il bene comune sin dall'avvento del capitalismo stesso. Lo sprigionarsi degli animal spirits, vale a dire della cupidigia individuale, è da sempre l'anima e il motore del capitalismo. Da Adam Smith in poi però, nonostante le lugubri profezie di Marx, è sempre prevalsa l'idea che, per effetto di una mano invisibile (la tendenza all'autoregolazione del mercato) o di un controllo politico e giuridico, il bene individuale o di pochi si sarebbe potuto tenere a freno ed accordare in qualche misura con il bene comune. Ciò che sta accadendo da alcuni anni a questa parte, rappresenta, secondo l'autore, una "mutazione" (p. 19) epocale e strutturale. Il conflitto tra interesse individuale e interesse generale, endemico al capitalismo, è diventato epidemico: è diventato, in breve, il suo modo specifico di riproduzione.. Ciò significa che esso ha incorporato la manipolazione e la frode come strumenti elettivi di riproduzione. Certo, all'abbassarsi delle difese immunitarie, vale a dire dei controlli che hanno tentato da sempre di tenere a freno la possibilità che l'intero corpo sociale fosse devastato dall'interesse individuale, corrisponde anche l'attivarsi di difese. I politici, nella misura in cui non sono essi stessi coinvolti nella speculazione, avvertono il pericolo di una totale subordinazione del loro potere a quello economico. Essi si affannano, a livello nazionale e internazionale, a produrre leggi atte a frenare l'epidemia o a sconfiggerla. Anche gli studiosi fautori del sistema capitalistico tentano di formulare possibili rimedi. In quest'ottica vanno interpretati i richiami all'etica degli affari che, negli ultimi anni, stanno diventando sempre più insistenti. La convergenza tra legislazione e etica si sta configurando come una risposta sana del sistema all'epidemia in atto: "E' certamente la prima volta nella storia che [ ] la legislazione che disciplina da secoli il regime capitalista chiama in causa principi esterni, o per essere più espliciti l'etica - e questo non per risolvere un singolo problema, ma per trovare una soluzione globale alle disfunzioni di un sistema che appare ormai incontrollabile" (p. 19). La prognosi dell'autore è però decisamente pessimistica: "La società internazionale e i suoi mercati, colpiti da una crisi estremamente drammatica, sembrano ostaggio di meccanismi ormai sfuggiti a ogni controllo che potrebbero portarli, di qui a breve, a un'implosione senza precedenti. In questo quadro qualsiasi rimedio [ ] appare poco più che un palliativo e un pio desiderio" (p. 142). Questa conclusione catastrofista, che chiude il libro, non è un punto di vista infondato. Il corpo del libro è un'analisi, per alcuni aspetti tecnica, del problema - il conflitto tra interesse individuale e bene comune -, di come esso si è trasformato in un'epidemia e degli strumenti giuridici adottati sinora per arginarlo o sconfiggerlo. La tesi di base che l'autore intende esporre è inequivocabile: "Il conflitto di interessi è connaturato al capitalismo finanziario, ma quando passa dallo stato endemico a quello epidemico elude ogni azione istituzionale o legislativa, ogni tipo di regola, e trascina nel caos le stesse strutture di base dei mercati" (p.27). Il motore dell'economia di mercato è, a qualunque livello, la relazione di scambio tra un venditore e un acquirente ciascuno dei quali persegue il proprio interesse egoistico. Questo fatto stesso dovrebbe assicurare al mercato una capacità di autoregolazione. Se il venditore cerca infatti di spacciare una merce ad un prezzo troppo alto o difettosa, l'acquirente può semplicemente rinunciare ad acquistarla dando in cambio il denaro. In conseguenza di questo il venditore è obbligato a diminuire il prezzo della merce o a migliorare la sua qualità. Questo schema aureo è già facilmente alterato, a livello di uno scambio semplice, dal fatto, valorizzato da Stiglitz, per cui uno dei contraenti può disporre di maggiori informazioni rispetto all'altro (asimmetria informativa). In un sistema complesso, qual è quello del capitalismo avanzato, lo schema diventa precario. L'acquirente, infatti, che in questo caso è l'azionista, deve affidare il suo denaro, che lo rende in parte proprietario dell'azienda, a manager che, oltre ad essere pagati, ne controllano l'uso. Espressione della razionalità capitalistica, fondata sul fatto che i manager hanno competenze di mercato di cui non dispone l'azionista, che dovrebbero essere investite con vantaggio reciproco, questa situazione fa sì che l'irrazionale, vale a dire "il gioco, il rischio, l'inganno" (p. 32) diventino di fatto "l'elemento essenziale dello sviluppo capitalistico" (p. 32). Il nodo, ovviamente, è il capitalismo finanziario che è continuamente in crescita rispetto a quello produttivo, il quale ultimo, per quanto riguarda sia il rapporto tra datori di lavoro e lavoratori sia lo scambio di beni e servizi tra produttori e acquirenti, è vincolato a regole contrattuali meno facilmente eludibili. Da questo punto di vista, l'avvento e la crescita, ormai arrivata a livelli mostruosi, del capitalismo finanziario non è casuale. E' su questo terreno, infatti, che il gioco, il rischio, l'inganno tendono a realizzarsi in maniera selvaggia: "Una volta situati al centro del sistema - anche per rispondere adeguatamente alle esigenze della globalizzazione -sembra che i mercati finanziari abbiano smarrito ogni traccia di razionalità: si comportano in maniera imprevedibile, sottraendosi a qualsiasi controllo. Di questa improvvisa e drammatica mutazione, che pone interrogativi sull'avvenire o addirittura sulla sopravvivenza del sistema, il conflitto di interessi rappresenta il punto di crisi più delicato" (p. 53). Esso "è infatti intrinseco alla struttura stessa dei mercati finanziari" (p. 55), nella misura in cui essi sono rivolti unicamente a valorizzare il denaro in qualunque modo. Quest'intento "sembra avere cancellato la percezione delle differenze fra interesse individuale e interesse collettivo, e dei gravi squilibri che si creano quando il primo è lasciato libero di prevalere sul secondo" (p. 56). In virtù di cosa è venuta meno tale percezione? La risposta dell'autore è chiara. "Muovendosi con disinvoltura sul confine incerto che separa il diritto privato da quello pubblico, il capitalismo finanziario ha sancito la prevalenza del diritto contrattuale, tipico del primo, sullla norma imperativa, su cui si regge il secondo" (p. 63). Ciò significa, in pratica, che, dato un contratto che tutela formalmente il diritto privato di proprietà dei contraenti, il più forte può ricavarne, con l'inganno, vantaggi maggiori a danno del più debole, anche al di fuori dei limiti del diritto pubblico. La legge del più forte, che il diritto pubblico limita e vincola al rispetto, entro certi limiti, del più debole, diventa,a livello di capitalismo finanziario, una legge suprema e assoluta. Tenendo conto dell'intreccio di interessi che si è creato, negli ultimi anni, tra grandi investitori, manager, consigli amministrativi, banche, agenzie di controllo pubbliche, agenzie di rating, ecc., che estingue di fatto ogni autoregolazione, il capitalismo finanziario si configura sempre di più come un colossale sistema di truffa ai danni dei "deboli", i piccoli investitori, i risparmiatori, i cittadini univocamente orientato, con qualunque mezzo, a drenare denaro verso l'alto della scala sociale. 2. L'autoregolazione del mercato di libera concorrenza è stato sempre un mito privo di fondamento. La deriva del sistema capitalistico verso un accumulo crescente di ricchezze a vantaggio di un ceto privilegiato e a danno di tutti gli altri cittadini è stato arginato solo dall'intervento dello Stato. Il diritto si è posto, fino a qualche tempo fa, come l'unico argine all'imbarbarimento del sistema. Il richiamo alla necessità di regole giuridiche atte a contenere gli effetti perversi del capitalismo finanziario è cresciuta nel corso degli anni. Il libro fornisce una rassegna accurata di tutti i provvedimenti legislativi attuati sia all'interno delle nazioni che, più timidamente, a livello internazionale. Il rapporto tra gli sforzi legislativi e i risultati è però a tal punto deprimente da giustificare una conclusione univoca: "Per riportare il conflitto di interessi dallo stato epidemico a quello endemico l'intervento legislativo non basta più" (p. 69). O, meglio ancora: "Le leggi, in quanto tali, contano molto, ma la loro capacità di eliminare il conflitto di interessi rimane dubbia. Norme e sanzioni possono certo attutirlo e renderne meno catastrofici gli effetti, ed è per questo che non vanno sottovalutate. Tutta via le leggi sono efficaci sino in fondo solo se dettate in una comunità, al cui interno ala loro accettazione sia accompagnata da un consenso che riguarda altri ambiti del controllo sociale e del vivere civile, esterni alle sfere del diritto" (p.97). Il motivo dell'insufficienza legislativa è ovvio. Il capitalismo finanziario trascende i poteri di controllo dei governi nazionali. Esso, nell'epoca della globalizzazione, agisce su di uno scenario planetario che trascende quei poteri. A livello internazionale non si dà nessuna struttura istituzionale che possa agire validamente sul piano delle sanzioni. Il Far-West finanziario è dunque al di fuori del controllo della legge: "Fino a quando non esisteranno trattati internazionali sottoscritti da tutti gli Stati che disciplinino l'intera attività economica del capitalismo finanziario saremo molto lontani anche solo dall'embrione di un ordinamento globale" (p.107). Non si può escludere che la crisi in atto acceleri la messa a punto di tali trattati e di un'istituzione che abbia il potere di farli valere a livello planetario Però "nell'attesa che questo processo - che minaccia di durare anni ammesso che prenda il via - segua il suo corso, le prospettive a breve (e anche a medio) periodo di una regolamentazione sovranazionale dei conflitti (e dei conflitti di interesse) hanno più o meno le stesse possibilità di realizzazione del progetto kantiano per una pace perpetua. E non è tutto. Regole, controlli, sanzioni hanno potuto - e potranno - contrastare una parte delle anomalie che inquinano gravemente i mercati finanziari. Ma intanto la più grande, il conflitto di interessi, ha ormai intaccato dall'interno il sistema delle imprese. E quello che abbiamo fin qui descritto è un virus nuovo, infido, e resistente a tutte le cure. La prospettiva di un vaccino è molto lontana, e come sempre in questi casi si ricorre alla medicina alternativa - o meglio, alle cure omeopatiche" (p. 111). I rimedi palliativi in questione sono due: i codici di autoregolamentazione societaria e il richiamo all'etica degli affari. Riguardo al primo, si tratta però di un'utopia: "Il governo societario rientra, in definitiva, in una sorta di nuova mitologia. Si è guadagnato la reputazione di un potente antisettico [ ] capace di combattere le "infezioni" delle società per azioni. Ma non lo è" (p. 94). I codici di autoregolazione sono infatti imprescindibili da quelli etici: l'efficacia degli uni e degli altri però "dipende solo dall'etica di coloro che li devono applicare" (p. 97). Al rapporto tra etica e affari è dedicato l'ultimo capitolo. Il problema è di antica data, e va dall'abominio dell'usura espresso dalla Bibbia, confermato da Aristotile e perpetuatosi attraverso la Chiesa fino al Medio Evo all'esaltazione del guadagno fatta dagli apologeti del capitalismo. Oggi, la valutazione oggettiva del problema è fuori discussione: "Dell'etica capitalista sembrano aver fatto giustizia - e una giustizia definitiva - le critiche che hanno escluso una volta per tutte di attribuire, ai comportamenti imprenditoriali, un contenuto squisitamente morale" (p. 115). Il rapporto tra le due sfere - l'economia e l'etica -, in sé e per sé autonome, affiora oggi soprattutto come problema "quando le istituzioni e le strutture fondamentali del sistema appaiono insufficienti a colpire atti riprovevoli non solo e non tanto sotto il profilo etico, bensì ai fini della sopravvivenza del sistema stesso" (p. 115). In tale caso "si è soliti ricorrere a un'entità dallo statuto incerto, quell'"etica-tampone" incaricata di evitare che il sistema del capitalismo entri in una fase critica irreversibile perdendo il consenso e soprattutto la legittimazione sociale" (p. 117). Comunque si esprima, però, sia a livello macroeconomico (sotto forma per esempio di leggi anti-trust, che definiscono immorale il monopolio) che sotto forma di micro-etica, vale a dire di regole di comportamento dei manager sulla base di una loro responsabilità sociale, l'etica-tampone urta contro un nodo insolubile, quello per cui "l'etica riguarda la coscienza individuale, e non si vede dunque come il mondo degli affari abbia o possa avere nei comportamenti che lo caratterizzano priorità istituzionali di valore etico, a meno che per etica non s'intenda, come abbiamo visto più volte accadere nella storia, il mero conseguimento del profitto" (pp.133-134). Tale difficoltà è accentuata dal fatto che l'avvento della globalizzazione "tende a coprire, nascondere, cancellare i valori sui quali ogni tipo di etica, all'interno delle singole culture si basa" (p. 142). In breve: "Nel suo attuale stato epidemico, il conflitto di interessi non può più essere contenuto all'interno di sistemi autopoietici, quali il diritto o l'economia, anche nel caso in cui l'uno o l'altra chiamino in soccorso l'etica, cercando di annettersene alcune componenti" (137). Quest'analisi giustifica la prognosi pessimistica avanzata dall'autore sulla malattia attuale del capitalismo. Rimane solo un barlume di speranza: "Perché qualcosa possa cambiare, perché il conflitto di interessi che minaccia di soffocare le nostre economie allenti la sua presa, deve accadere qualcosa su un piano diverso, che forse in questo senso sì, è quello dell'etica individuale e collettiva. L'unico auspicio che mi sento di formulare è che, così come da un giorno all'altro lo spettacolo dei conflitti è sembrato a vasta parte dell'opinione pubblica un fatto forse poco elegante, ma in fondo normale, da un giorno all'altro torni ad apparire inaccettabile. A quel punto le buone leggi e le regole efficaci, come le salmerie di un tempo, seguiranno" (p. 25). 3. Nonostante un certo tecnicismo, peraltro inevitabile quando si affrontano tematiche inerenti il diritto e l'economia, sarebbe difficile minimizzare la portata del libro di Guido Rossi. Egli, che io sappia, è il primo ad avere il coraggio di denunciare la crisi economica in atto come una crisi sistemica di ordine strutturale, che mette in dubbio la possibilità stessa di sopravvivenza del sistema capitalistico. E' un peccato che, al di là dell'analisi critica, egli non identifichi la conseguenza sociale che può determinare la catastrofe del capitalismo: il drenaggio del denaro verso l'alto della scala sociale con una sofferenza destinata ad investire, nei paesi occidentali, i due terzi e, in quelli sottosviluppati, il 95% della popolazione. I giochi speculativi, gli inganni, le truffe del capitalismo finanziario stanno realizzando, da oltre dieci anni a questa parte, la maggiore concentrazione di ricchezze in poche mani che sia mai avvenuta nel corso della storia dell'umanità e del sistema industriale. Quest'evento, contro il quale la politica sembra avere le armi spuntate, non potrà non determinare, a lungo andare, un'enorme tensione sociale all'interno dei paesi occidentali e nel resto del mondo. Che questa tensione possa esitare in una riproposizione dei valori etici dal basso è improbabile. Se fosse recepita da una sinistra coraggiosa, essa potrebbe, al limite, produrre, per la prima volta nella storia, una messa in discussione del sistema. Per questo aspetto, non è azzardato ipotizzare che il trionfo del capitalismo, seguito alla morte del comunismo sovietico, rivelando la sua faccia reale, avida e cinica, ne inauguri anche il tramonto. Un appunto inevitabile riguarda l'assenza, nel libro, di ogni citazione concernente Marx e gli sviluppi del pensiero marxista sul problema del capitalismo finanziario (in particolare Hilferding). Chiunque abbia letto, sia pure distrattamente Marx, sa che egli ha previsto sia la mondializzazione del mercato sia le terribili conseguenze in termini sociali e culturali ch'essa avrebbe prodotto, inaugurando per l'appunto l'epoca del capitalismo finanziario, e che egli ha escluso sia la possibilità di una moralizzazione del capitalismo sia, a lungo andare, quella di un controllo politico. E' lecito rifiutare la soluzione proposta da Marx, anche se l'auspicio di Guido Rossi di una rivolta morale implica una mobilitazione di massa. Perché però, ripercorrendone le orme, non riconoscere la fondatezza della sua diagnosi? Certo, i riformisti, che pretendono di mettere il sale sulla coda ad un sistema che si sottrae al controllo anche delle forze liberali più moderate, procedendo come una macchina sul ghiaccio, ritengono quella diagnosi catastrofista. Il libro di Rossi, vale a dire di uno studioso che non può essere accusato di estremismo, implicitamente fa giustizia della Terza Via. Per evitare la catastrofe, occorre un progetto politico all'altezza della crisi che può produrla. Marzo 2004 |