Introduzione allo strutturalismo

1.

Nato in Francia negli anni '50 in esplicita opposizione al soggettivismo, all'umanesimo e allo storicismo colà prevalenti, lo strutturalismo, pur non essendosi mai configurato come una scuola o una corrente filosofica nettamente differenziata, si è sviluppato rigogliosamente per due decenni, investendo vari campi del sapere (antropologia, psicoanalisi, semiologia, filosofia, storia, critica letteraria, ecc.) fino al punto di diventare una "moda" culturale. La crisi, che ha generato il post-strutturalismo, è subentrata per due motivi.

Per un verso, il concetto di struttura è stato abusato fino al punto di togliere ad esso ogni specificità epistemologica: in pratica è finito con l'identificarsi con ogni sforzo proteso a rendere intelleggibile un qualunque fenomeno o prodotto culturale. Non supportato da una metodologia rigorosa, tale sforzo evoca il dubbio che questa pretesa sia piuttosto l'espressione di un bisogno intellettuale che non di un ordine logico intrinseco alla realtà culturale.

Il secondo motivo è da ricondursi al radicalismo delle prese di posizione antiumanistiche e antistoricistiche di alcuni autori (soprattutto Levi-Strauss, Foucault, Lacan), i quali, muovendo dalla giusta esigenza di frustrare il narcisismo coscienzialista, per cui l'uomo si sente padrone di sé e del proprio destino, sono giunti all'eccesso di ritenere che la soggettività umana sia costitutivamente e quindi irreversibilmente irretita ed alienata da un inconscio che pone ad essa le sue leggi invarianti e atemporali.

Entrambi i motivi sono fondati, ma essi hanno indotto, per così dire, a buttare via l'acqua sporca con il bambino: ad indurre, in altri termini, un declino rapido dello strutturalismo e una sorta di misconoscimento delle esigenze da cui esso ha tratto origine.

Nel suo presupposto di fondo, per cui il sapere, laddove il suo oggetto sono fenomeni sociali e culturali, deve trascendere le apparenze empiriche per ricostruire le "essenze", vale a dire i fattori quasi sempre invisibili che le generano, lo strutturalismo s'iscrive in una tradizione di lunghissima durata che sottende tutta la storia della filosofia.

Maturata in ambito filosofico, questa tradizione si è realizzata attraverso lo sviluppo delle scienze naturali, mentre, a livello di scienze umane e sociali, è rimasta piuttosto una petizione di principio. Ispirandosi a Marx e a Freud, che rivendicano entrambi lo statuto scientifico della loro teoria, e soprattutto alla linguistica saussuriane e postsaussuriana, lo strutturalismo ambisce, anzitutto, a colmare lo scarto tra scienze naturali e scienze dell'uomo.

Esso, in nome della sua originaria matrice linguistica, riconducibile a de Saussure, pretende di porsi: primo, come un metodo di pensiero e di ricerca rivolto univocamente a ciò che si dà al di là delle apparenze e dei livelli di coscienza umani, quindi ad un ordine "inconscio" che sottende e spiega la genesi dei fenomeni; secondo, come un approccio epistemologico che consente di arrivare alla spiegazione causale dei fenomeni, a stabilire dunque leggi che hanno la stessa validità di quelle scientifiche; terzo, come un orientamento filosofico il cui fine è di sormontare il coscienzialismo, il ruolo fondamentale dell'io e lo storicismo, inteso come pretesa d'identificare nell'evoluzione storica un progresso lineare e un senso umanitaristico.

Si tratta di tre diversi scopi che vanno nettamente differenziati.

Per quanto ambiziosa, l'esigenza di "scientificizzare" il campo dei saperi il cui oggetto sono l'uomo e i fatti sociali, prescindendo dalla mimesi dell'adozione di un metodo sperimentale, è sommamente importante. Certo, si tratta di un'esigenza che viene ad urtare contro il perenne ostacolo dell'identità tra soggetto e oggetto della ricerca. Ma, nell'ottica dello strutturalismo, si tratta di un ostacolo sormontabile a patto che il ricercatore o il pensatore mantenga nei confronti dell'oggetto un atteggiamento neutrale e avalutativo.

La possibilità di giungere alla spiegazione causale dei fenomeni culturali - dalle ideologie alle singole culture ai modi di sentire, di vedere e di pensare degli individui - si fonda su di un atto di fede per cui si ammette che la realtà, a tutti i suoi livelli, implichi un ordine, una struttura, una matrice formalgenetica. Il problema, da questo punto di vista, è di dimostrare, su terreni specifici, la possibilità d'identificare le strutture. Finora, solo la linguistica è riuscita pienamente in questo intento.

La "filosofia" strutturalista, per quanto si ponga come una conseguenza del metodo, è criticabile per molti aspetti. La critica del coscienzialismo e del ruolo dell'io non sembra oppugnabile a patto che essa non si ponga in termini radicali, assumendo l'io cosciente come una dimensione irreversibilmente mistificata. In ultima analisi, le strutture sono costruzioni concettuali, Nella misura in cui esse sono illuminate e risultano in grado di spiegare i fenomeni cui si riferiscono, questo attesta che le potenzialità della coscienza non escludono l'accesso ai livelli profondi della realtà. Il problema, da questo punto di vista, si definisce nei termini di una nuova formazione critica delle coscienze che le aiuti, psicosociologicamente, ad affrancarsi dal ricatto delle apparenze. Lo strutturalismo può essere inteso come l'avanguardia di una rivoluzione culturale, non come un sapere esoterico.

L'antistoricismo invece è un aspetto molto più problematico. Se sembra infatti giusto criticare qualunque ricostruzione della storia in termini lineari di evoluzione e di progresso e considerare la possibilità di un'evoluzione per tentativi ed errori, che non esclude anche, per uno o più aspetti, il ristagno, la regressione, il vicolo cieco, non sembra ragionevole sostenere che la storia, oltre a non avere un fine predeterminato, non ha senso alcuno e si riduce ad una sorta di combinazione all'infintio di elementi che sono sempre gli stessi. Valorizzare la sincronia, che è la dimensione più idonea all'analisi strutturale, non comporta di necessità la negazione della diacronia.

2.

Il nodo dello strutturalismo è il concetto di struttura, che implica quello di sistema. Per sistema s'intende una qualunque porzione della realtà che possa essere distinta dalla totalità cui appartiene, che risulti composta di parti in relazione tra loro, dotata di una coerenza che ne assicura una qualche stabilità nel corso del tempo, e le cui proprietà siano qualcosa di più della somma delle parti che la compongono. Il concetto di sistema ha un'estensione universale: esso vale per un organismo unicellulare come per una civiltà. Lo strutturalismo non s'interessa a tutti i sistemi esistenti: il suo oggetto sono i sistemi sociali e culturali, che sembrano immediatamente prodotti dall'uomo e dalla storia.

Dato un sistema culturale, lo strutturalismo implica che esso riconosca, al di sotto delle apparenze, un ordine logico, quindi intelleggibile, che ne assicura la coerenza e la stabilità, e che tale ordine sia riconducibile a leggi invarianti. Tali leggi non sono deterministiche, tanto è vero che i fenomeni culturali a livello superficiale sono caratterizzati da una grande eterogeneità. Esse funzionano come vincoli logici, tali che le apparenze rappresentano l'espressione di fasci di trasformazione, vale a dire delle diverse possibilità formalgenetiche inerenti quei vincoli.

Che i fenomeni culturali, in quanto prodotti dall'attività mentale individuale e collettiva umana, debbano esprimere alcuni aspetti significativi dell'apparato psichico, non è sorprendente. Lo strutturalismo, da questo punto di vista, non fa altro che ribadire la necessità, colta da Kant, di ammettere che l'attività mentale non può essere ricondotta in toto all'apprendimento: essa postula delle forme e delle logiche innate, e pertanto inconsce. Tale necessità è stata ribadita da Freud, il quale, attraverso la psicoanalisi, ha evidenziato che l'inconscio adotta di fatto una logica estranea alla coscienza. Il problema dello strutturalismo si pone nel momento in cui esso, ripetendo l'errore di Freud, ritiene che l'inconscio sia di fatto inconoscibile e che le leggi su cui esso si fonda, universali e atemporali, non servano ad altro che a coercire il pensiero umano e a farlo scorrere in labirinti di pietra che sono sempre gli stessi.

Nella misura in cui si ammette che l'attività mentale umana, individuale e collettiva, è profondamente influenzata dall'inconscio, è impossibile non chiedersi quale significato abbia l'inconscio. La risposta non può prescindere dal ritenere il cervello un prodotto dell'evoluzione naturale, la cui funzionalità, sia per quanto riguarda gli aspetti consci che quelli inconsci, deve avere qualche rapporto con i bisogni umani e sociali. Che l'inconscio pensi per conto proprio attraverso gli uomini è un'assurdità, che porta a reificare l'inconscio come una dimensione non psichica ma metafisica (l'Altro di Lacan).

Lo strutturalismo serba il suo valore se, prescindendo da questa reificazione, esso viene inteso come una ricerca rivolta ad illuminare il peso e il ruolo dei fattori mentali inconsci nella produzione dei fenomeni culturali, e se quella ricerca, al di là di contenuti inconsci che possono essere il prodotto della rimozione - individuale o ideologica -, tenta di definire quali aspetti dell'inconscio si possono ritenere innati.

Questo è quanto mi sono proposto nell'edificare, partendo dai fenomeni psicopatologici, che sono un sistema sullo sfondo dell'esperienza soggettiva degli esseri umani, la teoria struttural-dialettica, identificando in due bisogni intrinseci, e quindi innati, - il bisogno d'appartenenza/integrazione sociale e il bisogno d'opposizione/individuazione - le forme che sottendono la strutturazione della personalità e che, attraverso la mediazione delle due funzioni psichiche che si costruiscono su di esse - il Super-io e l'Io antitetico -, determinano i conflitti psicopatologici. La teoria si definisce strutturale perché quelle forme sono di fatto universali e invarianti, tal che la psicopatologia si pone come un fascio di trasformazioni riconducibile ad un conflitto univoco. Le funzioni psichiche invece hanno contenuti che risalgono all'interazione del soggetto con un determinato ambiente sociale. Per questo aspetto, la storicità delle esperienze psicopatologiche non contrasta con l'invarianza delle strutture psicopatologiche.

Bibliografia

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