CLAUDE LEVI-STRAUSS

RAZZA E STORIA

Einaudi, Torino 1968

Articolo famoso, benché obliato, la cui lettura dovrebbe essere obbligatoria nelle scuole medie superiori e nelle facoltà universitarie. La densità del pensiero dell'autore, che richiede un'attenzione viva e partecipe, rende al meglio il significato di una scienza antropologica la cui pratica, metodologicamente ineccepibile, si integra con la riflessione filosofica. Qua e là qualche assunto può essere criticato e alcune conclusioni perentorie risultano almeno azzardate, ma sia la trama discorsiva che le conclusioni cui l'autore perviene sembrano avere una caratura che trascende il tempo in cui sono state scritte e si pongono come un punto fermo, e forse definitivo, sul problema del rapporto tra razze e culture.

Razze e culture

"Le culture umane sono molto più numerose delle razze umane, dal momento che le prime si contano a migliaia e le seconde a unità... Al contrario della diversità delle razze, che presenta come principale interesse quello della loro origine storica e della loro distribuzione nello spazio, la diversità fra le culture pone numerosi problemi, perché ci si può chiedere se per l'umanità costituisca un vantaggio o un inconveniente... Nelle società umane agiscono simultaneamente forze orientate in direzioni opposte: le une tendenti al mantenimento o persino all'accentuazione dei particolarismi; le altre agenti nel senso della convergenza e dell'affinità. Quando studiamo ( i fatti culturali: lingue, tecniche, istituzioni sociali, arte, religione, ecc.) finiamo per chiederci se le società umane non si definiscano, tenuto conto dei loro mutui rapporti, per un certo optimum di diversità al di là del quale non potrebbero spingersi, ma al di qua del quale non possono rimanere senza pericolo... Certo gli uomini hanno elaborato culture differenti in ragione della lontananza geografica, delle proprietà particolari degli ambienti, e della loro ignoranza nei confronti del resto dell'umanità; ma ciò sarebbe rigorosamente vero solo se ogni cultura e ogni società fosse nata e si fosse sviluppata nell'isolamento da tutte le altre. Orbene, non è mai così... Le società umane non sono mai sole... E, oltre alle differenze dovute all'isolamento, ci sono quelle, altrettanto importanti, dovute alla prossimità: desiderio di opporsi, di distinguersi, di essere se stessi... La diversità delle culture umane è funzione non tanto dell'isolamento dei gruppi, quanto delle relazioni che li uniscono."

Etnocentrismo

"Sembra che la diversità tra le culture sia raramente apparsa agli uomini per quello che è: un fenomeno naturale, risultante dai rapporti diretti o indiretti tra le società; si è visto piuttosto in esse una sorta di mostruosità o di scandalo... Si preferisce respingere fuori della cultura, nella natura, tutto ciò che non si conforma alle norme sotto le quali si vive... Preso tra la duplice tentazione di condannare esperienze che lo urtano sul piano affettivo, e di negare differenze che non comprende intellettualmente, l'uomo moderno si é abbandonato a cento speculazioni filosofiche e sociologiche per stabilire vani compromessi fra questi poli contraddittori, e render conto della diversità delle culture pur cercando di sopprimere quanto tale diversità conserva per lui di scandaloso e di urtante... Tutte queste speculazioni si riducono in realtà ad un unica ricetta, che probabilmente il termine falso evoluzionismo è il più adatto a caratterizzare. In che consiste? Si tratta precisamente di un tentativo di sopprimere la diversità delle culture pur fingendo di riconoscerla in pieno. Se infatti si considerano i diversi stati in cui le società umane, antiche nel tempo o remote nello spazio, si trovano, come stadi o tappe di un unico svolgimento che, muovendo dallo stesso punto, debba farle convergere verso la stessa meta, è chiarissimo che la diversità diventa ormai solo apparente... I tentativi compiuti per conoscere la ricchezza e l'originalità delle culture umane, e per ridurle a repliche più o meno arretrate della civiltà occidentale, urtano contro una difficoltà profonda: in generale, tutte le società umane hanno dietro di loro un passato che è approssimativamente dello stesso ordine di grandezza. Per considerare alcune società come tappe dello sviluppo di altre, bisognerebbe ammettere che quando, per queste ultime, succedeva qualcosa, per le prime non succedeva niente, o pochissimo. E in effetti si parla volentieri dei popoli senza storia. Questa formula significa solo che la loro storia è e rimarrà sconosciuta, non che essa non esista... In verità, non esistono popoli bambini; tutti sono adulti, anche quelli che non hanno tenuto il diario della loro infanzia e della loro adolescenza."

Il progresso storico

"I progressi compiuti dall'umanità a cominciare dalle sue origini sono così manifesti e così straordinari che ogni tentativo per discuterli si ridurrebbe a un esercizio di retorica. Eppure non è facile come si crede ordinarli in una serie regolare e continua... Il progresso procede a salti, a balzi, o, come direbbero i biologi, per mutazioni. L'umanità in progresso non assomiglia certo a un personaggio che sale una scala, che aggiunge con ogni suo movimento un nuovo gradino a tutti quelli già conquistati; solo di tanto in tanto la storia è cumulativa... La distinzione tra (storia stazionaria e storia cumulativa) dipende dalla natura intrinseca delle culture cui è applicata, o non risulta piuttosto dalla prospettiva etnocentrica nella quale ci poniamo sempre per valutare una cultura diversa?.. Sin dalla nascita l'ambiente circostante fa penetrare in noi per mille vie consce e inconsce, un complesso sistema di riferimenti che consiste in giudizi di valore, motivazioni, fulcri di interesse, e quindi anche nella visione riflessiva che l'educazione ci impone del divenire storico della nostra civiltà, senza la quale quest'ultima diverrebbe impensabile, o apparirebbe in contraddizione con i comportamenti reali. Noi ci spostiamo, letteralmente, con questo sistema di riferimenti, e le realtà culturali sono osservabili solo attraverso le deformazioni che esso impone loro."

Il primato occidentale

"Lungi dal restare rinchiuse in se stesse tutte le civiltà riconoscono, l'una dopo l'altra, la superiorità di una di esse, che è la civiltà occidentale... (Sarebbe dunque) il cammino delle culture a provare che una forma della civiltà umana è superiore a tutte le altre... (Ma) il fenomeno è in corso, non ne conosciamo ancora il risultato. Si concluderà con un'occidentalizzazione integrale del pianeta? appariranno forme sincretiche? Oppure il movimento di flusso sta già giungendo al termine e sarà riassorbito?... (Occorre comunque) rilevare che l'adesione al genere di vita occidentale, o a certi suoi aspetti, è ben lungi dall'essere così spontanea come agli Occidentali piacerebbe credere. Essa dipende non tanto da una libera decisione quanto da una mancanza di scelta. La civiltà occidentale ha stabilito soldati, banche, piantagioni e missionari nel mondo intero: essa è, direttamente o indirettamente, intervenuta nella vita dei popoli di colore; ha sconvolto da cima a fondo il loro tradizionale modo di esistenza, imponendo il proprio.. Se non è il consenso a fondare la superiorità occidentale, non sarà allora quella più grande energia di cui dispone e che le ha per l'appunto permesso di forzare il consenso? La civiltà occidentale, da un lato, cerca di accrescere continuamente la quantità di energia disponibile pro capite; dall'altro lato di proteggere e di prolungare la vita umana... Se la civiltà occidentale si è dedicata a questa finalità con un esclusivismo in cui sta forse la sua debolezza, non è certo la sola ad averlo fatto... Dipendiamo ancora dalle immense scoperte che hanno contrassegnato quella che si chiama, senza esagerare, la rivoluzione neolitica."

Caso e civiltà

"Due volte nella storia, e a circa diecimila anni di intervallo, l'umanità ha saputo accumulare una molteplicità di invenzioni ?orientate nello stesso senso; e questo numero e questa continuità sono concentrati in un lasso di tempo sufficientemente breve perché altre sintesi tecniche si operassero: sintesi che natura, e che hanno, a loro volta, reso possibili altri mutamenti... Come è potuto succedere?.. Il problema della relativa scarsità di culture più cumulative rispetto alle culture meno cumulative si riduce ad un problema noto che dipende dal campo delle probabilità. E’ lo stesso problema che consiste nel determinare la relativa probabilità di una combinazione complessa rispetto ad altre combinazioni dello stesso tipo, ma di inferiore complessità...(Alla roulette) un giocatore che puntasse sempre ?sulle serie più lunghe con ogni probabilità si rovinerebbe. Lo stesso non accadrebbe a una coalizione di giocatori che puntassero sulle stesse serie in valore assoluto, ma su molte roulettes, concedendosi il privilegio di mettere in comune i risultati favorevoli alle combinazioni di ciascuno... Ebbene, questa situazione assomiglia molto a quella delle culture che sono riuscite a realizzare le forme di storia più cumulativa. Queste forme estreme non sono mai state prodotte da culture isolate, ma da culture che, volontariamente o involontariamente, combinavano i loro giochi rispettivi... Nel corso di questo studio, ci siamo chiesti a più riprese come mai l'umanità sia rimasta stazionaria per i nove decimi della sua storia. Se la nostra analisi è esatta, (ciò dipende solo dal fatto che) una combinazione di grado n ha impiegato, per uscire, un tempo di durata t; essa avrebbe potuto venir fuori molto prima o molto dopo... Non esiste dunque nessuna società cumulativa in sé e per sé. La storia cumulativa non è prerogativa di alcune razze o di alcune culture che in tal modo si distinguerebbero dalle altre. Essa risulta dal loro comportamento più che dalla loro natura. Esprime una certa modalità di esistenza delle culture che non è altro che la loro maniera di essere insieme."

Il doppio senso del progresso

"Ogni progresso culturale (è) funzione di una coalizione tra le culture. Tale coalizione consiste nel mettere in comune le possibilità che ogni cultura ha nel corso del suo sviluppo storico... Questa coalizione è tanto più feconda quanto più avviene tra culture diversificate. Posto ciò, sembra chiaro che ci troviamo di fronte a condizioni contraddittorie: poiché quel gioco in comune da cui deriva ogni progresso, deve implicare come conseguenza, a scadenza più o meno breve, una omogeneizzazione delle risorse di ogni giocatore. E se la diversità è una condizione iniziale, bisogna riconoscere che le possibilità di vincita diventano tanto più deboli quanto più la partita deve prolungarsi... Per progredire, occorre che gli uomini collaborino; e nel corso di tale collaborazione, essi vedono gradualmente identificarsi gli apporti di cui la diversità iniziale era per l'appunto quel che rendeva la loro collaborazione feconda e necessaria. Ma anche se questa contraddizione è insolubile, il sacro dovere dell'umanità consiste nel tenere i due termini egualmente presenti, di non perdere mai di vista l'uno a esclusivo vantaggio dell'altro; di guardarsi, certo, da un particolarismo cieco che tendesse a riservare il privilegio della umanità a una razza, a una cultura o a una società; ma anche di non dimenticare mai che una frazione dell'umanità non dispone di formule applicabili all'insieme, e che un'umanità confusa in un genere unico di vita è inconcepibile, perché sarebbe un'umanità ossificata... L'umanità è costantemente alle prese con due processi contraddittori di cui l'uno tende ad instaurare l'unificazione, mentre l'altro mira a mantenere o a ristabilire la diversificazione. La posizione di ogni epoca e di ogni cultura nel sistema, l'orientamento secondo cui essa vi si trova coinvolta, sono tali che uno solo dei due processi pare avere un senso, mentre l'altro sembra essere la negazione del primo. Senonché dire, come si potrebbe essere inclini a fare, che l'umanità si disfi nel momento stesso in cui si fa, deriverebbe ancora da una visione incompleta. Poiché, su due piani e a due livelli opposti, si tratta pur sempre di due differenti maniere di farsi."

Commento

Elogio di una dialettica storica che vede le culture impegnate, per un verso, a diversificarsi e a percorrere, talvolta, tragitti nelle più svariate direzioni, esplorando i possibili modi di essere, di sussistere e di perpetuarsi dell'uomo, e, per un altro a convergere mettendo in comune i frutti delle loro ricerche fino al limite dell'omogeneizzazione, l'articolo di Lèvi-Strauss è di estrema importanza ai fini di un nuovo sapere sull'uomo. Esso, in virtù di uno sguardo da lontano, coglie nell'evoluzione storica una dinamica i cui estremi sono l'identificazione con l'altro, che comporta il rischio dell'assimilazione, ela differenziazione dall'altro, che comporta il rischio dell'estraneazione. Si tratta della stessa dinamica che sottende ogni esperienza soggettiva e ogni struttura di personalità. Si tratta di un caso, di un'analogia, di un isomorfismo o dell'espressione di una legge di ordine generale che governa le vicende umane, dal livello soggettivo a quello collettivo e storico? Nessuno può rispondere, oggi, a tale quesito. Importante è che esso sia stato posto, e che se ne tenga conto.

Tra i due estremi posti in luce da Lévi-Strauss, l'estraneazione può segnare uno scarto di totale incomprensibilità tra le culture, ma il pericolo maggiore è l'omologazione: Questo termine è estraneo al lessico dell'antropologo. Esso però è suggestivamente implicito nell'affermazione per cui "una frazione dell'umanità non dispone di formule applicabili all'insieme", verità da cui discende che:"un'umanità confusa in un genere unico di vita è inconcepibile, perché sarebbe un'umanità ossificata." La densità contemporanea di queste affermazioni richiede riflessioni più che commenti.