Piergiorgio Odifreddi

Il vangelo secondo la scienza

Einaudi, Torino 1999

1.

"Il buon cristiano dovrebbe stare attenti ai matematici e a tutti i falsi profeti. C'è il pericolo che i matematici abbiano stretto un patto col diavolo per annebbiare lo spirito e mandare l'uomo all'Inferno." La citazione di Agostino posta all'inizio del libro sembra un presagio. Odifreddi è un matematico di professione che, dotato di una conoscenza delle religioni occidentali e orientali fuori dell'ordinario, si prefigge, in questo libro "la rivisitazione delle problematiche religiose da un punto di vista scientifico." (p. 5). Tale approccio è ritenuto notoriamente illecito dalle autorità religiose e dai credenti, i quali sostengono che la Ragione non possa confrontarsi con ciò che va al di là di essa: le verità di fede. Accettando questo presupposto, per un lunghissimo periodo, la scienza ha rinunciato a pronunciarsi sulle credenze religiose, assumendo nel complesso un atteggiamento agnostico. Sono stati gli sviluppi della fisica e della matematica a rendere inevitabile il confronto. La fisica, a partire dalla teoria della relatività e da quella quantistica, non può prescindere dall'interrogarsi sull'origine dell'universo, sul fatto che esso sia limitato o illimitato, destinato a finire nel tempo o eterno: per verificare i suoi assunti, insomma, deve avanzare ipotesi cosmologiche. La matematica, poi, con Cantor e dopo Cantor, si è confrontata con il problema dell'infinito o, meglio, degli infiniti, tradizionalmente riservato al pensiero filosofico e religioso. Fisica e matematica, insomma, hanno invaso il campo della teologia. Il libro di Odifreddi tenta di illustrare le conseguenze di quest'invasione.

La tematica non è del tutto nuova. Anni fa un fisico inglese, Paul Davies, acquistò una certa fama con una serie di libri pubblicati da Mondadori (L'universo che fugge, Universi possibili, Dio e la nuova fisica, Cosmo intelligente, La mente di Dio) nei quali affrontava il rapporto tra fisica quantistica, cosmologia e religione. Pur non arrivando a conclusioni confessionali. Davies inclinava a ritenere che le nuove scoperte della fisica fossero poco compatibili con una qualunque forma di materialismo. Egli scriveva: "Il fatto stesso che l'universo è creativo, e che le sue leggi hanno consentito la comparsa e lo sviluppo di strutture complesse fino al livello della coscienza - in altre parole il fatto che l'universo ha organizzato la propria autoconsapevolezza - è per me una prova considerevole che vi "è qualcosa" dietro a tutto ciò. L'impressione dell'esistenza di un disegno globale è schiacciante. La scienza può spiegare tutti i processi per mezzo dei quali l'universo si costruisce il proprio destino, ma ciò lascia comunque aperta la possibilità che vi sia un significato oltre l'esistenza." (Il cosmo intelligente, p. 261)

Questo "qualcosa" è particolarmente importante. Si tratta infatti necessariamente di un "qualcosa" di ordine non materiale: di un'Intelligenza o Logos appunto immanente o trascendente. Concetti di questo genere hanno contribuito a rilanciare tutte le forme di spiritualismo, dalle religioni tradizionali alla religione new-age. Sarebbe semplicistico, non fosse altro che per la loro complessità teorica, attribuire alla fisica e alla matematica la responsabilità di questo rilancio, al quale hanno contribuito fattori complessi di ordine socio-culturale. E' fuor di dubbio però che, sia pure orecchiate, esse hanno contribuito a creare un clima favorevole allo spiritualismo.

Nel contesto della querelle tra materialismo e spiritualismo, il libro di Odifreddi si caratterizza per una presa di posizione singolare, che oserei definire ateismo mistico. Egli rifiuta un materialismo volgare, che assolutizzi l'Oggetto e rifiuta anche uno spiritualismo confessionale che assolutizzi un Soggetto trascendente, in pratica un Dio personale. La ricerca di una terza via impone un tragitto piuttosto complesso. E' difficile sintetizzare un testo, la cui comprensione richiede una conoscenza almeno elementare della fisica quantistica e della matematica superiore. Tenterò, per quanto possibile, di restituire almeno la trama concettuale del libro.

Esso è articolato in tre parti. Nella prima, alcuni nodi teologici (dalla Creazione del Cosmo all'Anima) vengono analizzati alla luce della fisica contemporanea. Nella seconda vengono affrontate sulla base della logica matematica altre tematiche teologiche (l'esistenza del Diavolo, di Dio, ecc.). Nella terza l'autore illustra le opzioni disponibili per chi, nel terzo millennio, non intende rinunciare a credere.

2.

Posto che la religione si definisce a tre livelli - l'abbandono mistico, la pratica rituale, la conoscenza - è evidente che il confronto con la scienza può avvenire solo in rapporto a quest'ultimo, vale a dire la teologia che è "il tentativo di indagare il divino mediante il linguaggio, il discorso e il ragionamento." (p. 19) A tal fine occorre identificare le tematiche in rapporto alle quali il confronto è possibile. Odifreddi ne identifica quattro: la Creazione, il Nulla, l'Uno, l'Anima.

Tra i diversi miti religiosi inerenti l'origine del mondo, quello cristiano che implica la creazione ex-nihilo è il più noto. La cosmologia moderna scientifica, che inizia con Einstein, ha formulato due diversi modelli. Secondo il primo, "l'universo ha avuto un inizio che viene chiamato big-bang, ma esso può evolvere in tre modi diversi. Nel primo, l'universo si espande, raggiunge un massimo e poi si contrae, andando vero la catastrofe chiamata Big Crunch. Nel secondo e nel terzo si espande indefinitamente, senza mai arrivare ad invertire la sua evoluzione." (p. 45) Questo modello che implica "un inizio dell'universo, non implica necessariamente la sua fine." (p. 46)

Il secondo modello è quello "stazionario, in cui l'universo si espande indefinitamente e esponenzialmente, senza inizio né fine e la materia viene continuamente creata." (p. 49)

In difetto di una teoria unificata, che "determini univocamente la struttura dell'universo e della sua storia, e non lasci più aperte diverse possibilità" (p. 50), per ora è "consistente sia che l'universo abbia un'origine e/o una fine nel tempo, sia che non ce l'abbia; e, per buona misura, anche se abbia un'estensione limitata nello spazio o che invece sia finito." (p. 51)

Ciò significa che non si può escludere una Creazione, ma non si dà (almeno per ora) alcuna certezza scientifica che essa sia avvenuta.

3.

Il passaggio dal Nulla all'Essere, esplicito nella teologia cristiana, pone il problema della definizione del rapporto tra le due dimensioni apparentemente antitetiche. L'Essere è, il Nulla non è: questa semplice formulazione del problema è irta di difficoltà. Primo, perché "la tradizione mistica delle religioni (gli yogin dell'induismo, gli illuminati del buddismo, gli immortali del taoismo, i mistici del cristianesimo, i sufi dell'islam) ha oscillato tra i due estremi, arrivando spesso a farli coincidere. Da un lato essa ha nihilisticamente identificato dio con qualcosa di completamente altro dall'universo, e dunque con il nulla come assoluta negazione dell'essere, arrivando a ritenere l'autoannientamento come la sola possibile unione con la divinità. Dall'altro lato, essa ha panteisticamente fatto coincidere Dio con la piena totalità dell'esistente, e dunque con il tutto come completa affermazione dell'essere, ricercando il contatto con la pienezza del divino attraverso il dissolvimento dell'individuo nell'universo." (p. 54) In secondo luogo, perché "a causa della sua doppia ascendenza, greca ed ebraica, [anche] la tradizione cristiana si trovò a soffrire di un atteggiamento ontologico schizofrenico verso il non-essere: da un lato essa lo rifiutava totalmente, sulla scia di Parmenide; dall'altro doveva accettarlo almeno parzialmente, come stato da cui il creatore era partito per la creazione dell'universo." (p. 58) Tale schizofrenia, che trova la sua massima espressione nella teologia negativa di Nicolò Cusano secondo il quale Dio è la coincidenza degli opposti (e quindi è e non è nello stesso tempo), si è risolta in seguito all'Inquisizione che ha dogmaticamente affermato l'identificazione di Dio con l'Essere.

Nell'ambito della fisica contemporanea la nozione di vuoto si è imposta a partire dalla relatività generale: "nella relatività generale la materia è un buco in un pieno: più precisamente una discontinuità del campo gravitazionale. Nei luoghi in cui si trova la materia il campo infatti diventa infinito, e cessa dunque di esistere." (p 64) Il campo gravitazionale "è comunque soltanto uno dei molteplici campi di forze considerati nella fisica moderna, a ciascuno dei quali è associato un concetto di vuoto energetico, definito come lo stato di energia minima. La parola "vuoto" è giustificata dal fatto che l'energia del campo gravitazionale è proporzionale alla massa, e dunque in questo caso il vuoto energetico corrisponde all'assenza di materia, ossia al vuoto materiale." (p. 64)

Ma come si può "passare dal vuoto materiale al non-vuoto, ossia generare il non-nulla universale dal nulla senza violare la legge di conservazione dell'energia" (p. 66)? L'ipotesi per ora è questa: "basta assegnare al campo gravitazionale un'energia negativa pari a quella positiva posseduta dalla materia. Questo significa interpretare l'apparizione della forza gravitazionale come il prezzo da pagare per creare materia, pur mantenendo l'energia totale dell'universo nulla, come essa è in un universo vuoto che precede la creazione." (p. 66)

In conclusione, "gli sviluppi recenti della fisica hanno reso obsoleto tanto l'horror vacui, secondo cui la natura aborriva il vuoto e il nulla, quanto l'ex-nihilo nihil fit, secondo cui dal nulla non si può creare nulla. In realtà, a livello sia microscopico che macroscopico, il vuoto e il nulla possono oggi essere considerati come la naturale culla dell'esistenza e l'essenza ultima della realtà, in pieno accordo con il nihilismo mistico." (p. 66)

4.

La complementarietà degli opposti, per cui ciò che sembra irriducibilmente distinto rappresenta aspetti diversi di una realtà unica, è un'intuizione costante nelle religioni orientali, ricorrentemente presentatasi anche all'interno della cultura occidentale, da Eraclito a Hegel. Si pone dunque il problema di capire se dietro l'apparente molteplicità dei fenomeni si dà l'Uno, il Tutto.

La fisica moderna "è riuscita a dimostrare, in maniera semplice e definitiva, che la visione ingenua che l'uomo comune occidentale ha del mondo, come di un insieme di enti distinti, concreti e indipendenti, è definitivamente sbagliata." (p. 69) Tale visione "si basa su tre principi enunciati dai presocratici, e in seguito adottati dalla fisica classica, che sono noti con i nomi di separabilità, realtà e località." (p. 69) La meccanica quantistica è risultata incompatibile con quei principi.

La lunga contesa tra Niels Borh, secondo il quale "la scienza non descrive la realtà, bensì soltanto la nostra esperienza di essa" (p. 75) e Albert Einstein, sostenitore del fatto che "il principio di realtà continuasse a valere per il mondo miscroscopico come per quello microscopico" (p. 76), si è risolto a favore del primo: "la visione ingenua del mondo basata sui tre principi di separabilità, realtà e località è in contrasto con l'esperienza, e almeno uno dei tre deve essere lasciato cadere." (p. 80) In quest'ottica, "la via più praticabile e meno traumatica sembrerebbe essere il rifiuto del principio di separabilità e l'accettazione di una visione olistica del mondo, in cui tutto ciò che ha interagito nel passato continua a rimanere misteriosamente connesso." (p. 81) Occorrerebbe dunque "abbandonare la visione metafisica ancora dominante, basata sull'essere di una divisa molteplicità, e di passare invece all'alternativa di una indivisa totalità. Dal fluire della totalità si distaccherebbero le strutture momentanee che noi chiamiamo in certe condizioni oggetti e in altre pensieri: sia la materia che la mente sarebbero dunque entrambe solo fugaci astrazioni del flusso universale." (p. 82)

La fisica quantistica, dunque, accrediterebbe il riferimento all'Uno (impersonale) che è proprio delle filosofie orientali.

5.

Il problema dell'Anima, naturalmente, è il più complesso, anche se la fisica non può parlarne che in termini di Mente o Coscienza. Ma perché la fisica, che ha come oggetto suo proprio i fenomeni materiali, pretende di parlarne? Il motivo è semplice (per modo di dire). La fisica quantistica ritiene che la distinzione classica tra osservatore e osservato o Coscienza e Oggetto non possa essere più sostenuta. Nella misura in cui, infatti, il comportamento dell'oggetto, a livello submicroscopico, quantistico, dipende dalla Coscienza, la realtà di questa diventa primaria rispetto all'Oggetto: "Mentre infatti si può consistentemente negare l'esistenza di quest'ultimo, benchè la cosa sia impraticabile, negare l'esistenza della prima è impossibile, perché ogni conoscenza, compresa quella del mondo esterno, risiede nella coscienza." (p. 102) La vera realtà è dunque la coscienza, in accordo con le teorie idealistiche più estreme. Rilevando che la coscienza soggettiva viene sempre sperimentata singolarmente e indivisibilmente, mentre le varie coscienze individuali producono un'unica immagine del mondo, Schrodinger deduceva che: "La sola possibilità è di accettare l'esperienza immediata che la coscienza è un singolare di cui non si conosce plurale; che esiste una sola cosa, e che ciò che sembra una pluralità non è altro che una serie differente di aspetti della stessa cosa, prodotta da un'illusione (il maya indiano)." (p 103)

Su questa base, è facile capire che, partendo dalla fisica quantistica, si può arrivare facilmente ad una deriva teologica. Se il mondo esiste in quanto prodotto da una coscienza, e, dato che la comparsa della coscienza umana è avvenuta in un periodo definito dell'evoluzione cosmica, occorre ammettere l'esistenza di una Coscienza o Spirito che lo abbia prodotto

Josephson "ritiene che, come ci sono tre ordini di realtà fisica che possiamo descrivere come classico, quantistico e implicato, così ci siano tre ordini di esperienza soggettiva, che si possono descrivere come sensoriale, mentale e trascendentale. La corrispondenza tra i vari ordini non è soltanto metaforica, ma costituisce una vera e propria identità: in particolare, la mente è l'esperienza del livello quantistico della realtà, mentre la meditazione, o l'illuminazione, permette di sperimentare l'ordine implicato." (p. 110)

In questa prospettiva "la percezione e lo sviluppo delle strutture matematiche e artistiche sarebbero ottenute combinando fra loro idee o concetti consci, propri dell'ordine esplicato, sullo sfondo dello stato di coscienza pura, che riflette l'ordine implicato. Da questa genesi deriverebbe dunque non solo la rilevanza ma anche la irragionevole efficacia che matematica e arte esibiscono rispetto al mondo esterno: esse sarebbero gli intermediari attraverso i quali l'ordine profondo si manifesta nell'ordine superficiale, o la coscienza pura si manifesta nella mente cosciente… Il misticismo sperimentale potrebbe dunque diventare, allo stesso tempo, il fondamento ultimo e la sintesi universale sia della scienza che della religione, in cui Dio verrebbe identificato con l'ordine implicato." (p. 111)

6.

La seconda parte mira a dissolvere definitivamente i riferimenti religiosi antropomorfici che sono propri delle grandi religioni monoteistiche applicando ad esse un metodo deduttivo logico-matematico.

Il primo riferimento criticato riguarda il male, vale a dire il Diavolo, che è un simbolo incombente nel cristianesimo e nell'Islam. Il Diavolo è colui che divide, l'avversario, il bugiardo, il mentitore. Il problema è che il suo ruolo è assegnato da Dio, rispetto al quale svolge una funzione complementare. Perché Dio possa identificarsi con la Verità, c'è bisogno che qualcuno dica il falso. Il Diavolo insomma è costretto a mentire per confermare la Verità di Dio. Tra i due termini si dà un doppio legame. Dio e il Diavolo sono dunque le due facce di una stessa medaglia, che si può interpretare affermando "che Dio esiste perché non è vero che tutto è menzogna, e quindi c'è qualche verità, e il Diavolo esiste perché non possiamo sapere quale sia questa verità." (p. 126)

Il secondo riferimento è l'esistenza di Dio. La teologia naturale si fonda sul rifiuto dell'infinito o meglio del regresso infinito per cui, partendo dal contingente, si arriva a definire, per spiegarne l'esistenza, la necessità di una causa prima o di un primo motore. Nel momento in cui la filosofia e la matematica accettano l'infinito, le argomentazioni della teologia naturale perdono ogni significato.

Un discorso critico può investire anche la prova ontologica secondo la quale Dio esiste ed è unico perché se non fosse unico si potrebbe pensarne uno più grande che comprendesse entrambi e se non esistesse si potrebbe pensarne uno più grande che esistesse. Tale prova è stata invalidata logicamente da Kant in nome del fatto che "l'esistenza non è una proprietà, bensì la copula di un giudizio e non può fare parte dell'essenza di un oggetto. Altrimenti non avrebbe senso dire che un oggetto con una certa essenza esiste, perché l'esistenza ne modificherebbe l'essenza, ed esso non sarebbe quindi più l'oggetto di cui si parlava." (p. 142) La prova ontologica è stata definitivamente smantellata dalla logica contemporanea che è giunta piuttosto a dimostrare (logicamente, appunto) la non esistenza di Dio.

La scoperta matematica dell'infinito, addotta originariamente come sostegno dell'esistenza di Dio o di una divinità infinita, ha portato poi a conclusioni diametralmente opposte. Se Cantor infatti scopre che l'introduzione di un solo infinito ne generava un'infinità di altri, sempre maggiori e senza limiti (in conseguenza del teorema per cui "la potenza di un insieme infinito, così come già succedeva per gli insiemi finiti, ha più elementi dell'insieme di partenza" (p. 178), Skolem scopre successivamente che esistono anche "universi insiemistici strani, con un numero di elementi uguale a : ossia infiniti, ma del più piccolo infinito possibile." (p. 186) La proliferazione degli infiniti, grandi o piccoli a seconda dell'osservatore, porta univocamente a pensare che "forse Dio è un'illusione ottica, e la sua apparenza trascendente e necessaria è solo il frutto della nostra natura immanente e contingente." (p. 186)

7.

In pratica, nella prima parte Odifreddi giunge alla conclusione che l'Universo, creato o no che sia, è una Totalità il cui ordine e la cui complessità richiedono di ammettere l'attività di uno Spirito; nella seconda, egli demolisce la possibilità che tale Spirito s'identifichi con un Dio personale. Uno spiritualismo senza Dio è il buddhismo, l'unica "religione" che sembra accordarsi con la fisica e la matematica contemporanee. Egli però non ritiene che tale religione sia compatibile con la cultura occidentale. L'opzione che ne segue è piuttosto singolare: "Il secolo XX ha portato una novità nel rapporto tra natura e matematica. Nel momento in cui la scienza si addentra nel microcosmo il linguaggio antropomorfo, sviluppato nei secoli per descrivere e rappresentare un mondo macroscopico e a misura d'uomo, non è più in grado di svolgere la sua funzione. Le particelle non possono più essere immaginate come oggetti simili a quelli macroscopici, ma in scala più piccola, e la realtà ultima si dissolve nella sua descrizione matematica. In altre parole, anche la fisica si decostruisce, abbandonando la metafisica degli oggetti e riduce la realtà alla sua descrizione formale: non c'è nulla al di là del testo della natura… Il decostruzionismo della scienza moderna, secondo il quale la realtà ultima non solo è descritta matematicamente, ma è matematica [significa che] la vera religione è la matematica, e il resto è superstizione. O, detto altrimenti, che la religione è la matematica dei poveri di spirito… [Cionondimeno] è possibile salvare il salvabile, e cioè l'esperienza spirituale, cui, come insegna il buddhismo, si dovrebbe appunto ridurre la religione. Tale esperienza non è infatti altro […] che la percezione del livello dell'intelletto, dell'ordine implicato, dell'infinito assoluto, dell'atemporalità." (p. 210-212)

In altri termini, Odifreddi sostiene che si dà uno scarto tra la finitezza umana e l'Infinito, ma, posto che è scientificamente e logicamente insostenibile l'identificazione dell'Infinito con un Dio personale, tale scarto offre come solo rimedio l'esperienza "mistica" che si realizza a partire dalle formule matematiche: "Il linguaggio matematico […] può reclamare un ruolo di serio ausilio all'esperienza spirituale. In particolare le formule matematiche possono effettivamente racchiudere, in maniera compressa come la più rarefatta poesia e suggestiva come i più sacri mantra, misteri sui quali meditare per raggiungere la conoscenza profonda dell'assoluto." (p. 214) Di fatto, "l'esperienza matematica si sviluppa attraverso le stesse tappe dell'esperienza mistica: concentrazione, meditazione, illuminazione. Essa può quindi adeguatamente fornire le basi per una religione completamente decostruita, punto d'arrivo finale del percorso di dissoluzione del teismo nell'ateismo." (p. 212)

8.

A differenza di Paul Davies, secondo il quale la fisica quantistica, se non conferma l'esistenza di Dio, non solo non è incompatibile con essa, ma in qualche misura la evoca, Odifreddi sostiene che le scienze fisiche e matematiche escludono la concezione di un Dio personale, che sarebbe espressione di un banale antropomorfismo superstizioso. L'unica opzione spiritualista per chi vuole credere è il misticismo logico-matematico, che comporta il riferimento all'Assoluto, vale a dire ad una Totalità indistinta.

Si tratta ovviamente di una religione elitaria, dato che è impossibile prevedere che l'umanità si dedichi al culto della matematica superiore. Tutti i cultori della religione new-age possono, però, essere soddisfatti: anche se il loro sforzo non raggiunge la cristallina intuizione mistica del matematico, essi sono nondimeno sulla via della Verità ultima.

Nel proporre la sua opzione, penso che Odifreddi sia piuttosto ironico. Egli la offre a chi proprio non può rinunciare a pensare in termini spiritualisti. Per suo conto, mi sembra che egli stia piuttosto dalla parte di una Ragione illuminata dall'intuizione emozionale. Vero o no che sia, il suo libro mi sembra rilevante soprattutto per la parte destruens, che dimostra l'incompatibilità della fisica e della matematica con l'esistenza di un Dio personale. Un utile antidoto al tentativo di alcuni fisici e matematici religiosi di accreditare le verità di fede e di altri, come Davies, di farsi promotori di un'ambigua miscela di teismo e panteismo.

Se dovessi aggiungere qualcosa, mi verrebbe volentieri da sottolineare che, come ho scritto in Abracadabra, la matrice delle religioni è l'intuizione emozionale dell'infinito spazio-temporale depositata nell'inconscio umano. Questo dato strutturale dell'apparato psichico umano merita una grande attenzione. Io lo interpreto in termini naturalistici. E' come se l'evoluzione, perseguendo per tentativi ed errori, l'obiettivo di creare un animale dotato di una capacità previsionale affrancata dall'hic et nunc che governa l'esperienza di tutti gli altri animali, sia andata un po' fuori misura. In virtù di quella capacità, l'uomo può progettarsi, vale a dire usare il futuro per programmare la soddisfazione dei suoi bisogni e prevenire i pericoli. In conseguenza di essa, però, che lo rende consapevole di essere destinato a morire, egli è anche un animale naturalmente ansioso. La religione, il misticismo spirituale, la scienza sono tentativi diversi di colmare lo scarto tra la finitezza umana e l'infinito che incombe dentro la sua mente. Ben venga il misticismo logico-matematico di Odifreddi se esso vale ad invalidare le religioni antropomorfiche. Dato che non tutti possono ascendere nei cieli astratti della matematica superiore, occorre considerare anche un'altra possibilità: che l'uomo, semplice mente, accetti quello scarto "stoicamente", senza la pretesa di colmarlo, dedicandosi al culto della finitezza. Posto che questo non significhi banalmente il culto dell'io, bensì piuttosto dell'umano…

Maggio 2004