Due note su Papa Ratzinger


1. Fede e Scienza

Ho già contestato, commentando la prima Lettera-Enciclica sull'amore, l'attribuzione a Papa Ratzinger di una particolare profondità filosofica. Che sia un uomo colto, dedito allo studio e alla riflessione, è fuor di dubbio. Egli però coltiva queste qualità non per cercare una Verità, che già possiede, in quanto rivelata, ma per corroborarla, confermarla e comunicarla in maniera pastorale: per persuadere, insomma, credenti e non credenti che solo la Fede dà una risposta al mistero dell'uomo e alle problematiche esistenziali con cui egli si confronta.

Il problema è che l'ardore della Fede non si accorda bene con il rigore della Ragione. E' una contraddizione, questa, aperta nell'anima di Papa Ratzinger, che dà luogo troppo spesso a messaggi contraddittori.

Nel corso della seconda visita in Germania, Egli ha avvertito l'esigenza di mettere gli uomini in guardia dal cedere alle suggestioni del pensiero scientifico:

"Fin dall'illuminismo, - ha affermato - almeno una parte della scienza s'impegna con solerzia a cercare una spiegazione del mondo, in cui Dio diventi superfluo e inutile anche per la nostra vita". "Ogniqualvolta poteva sembrare che ci si fosse quasi riusciti sempre di nuovo appariva evidente: i conti sull'uomo, senza Dio, non tornano, e i conti sul mondo, su tutto il vasto universo, senza di Lui non tornano".

Secondo il Pontefice, anche per la scienza "in fin dei conti, resta l'alternativa: che cosa esiste all'origine?"

"Noi cristiani crediamo che all'origine c'è il Verbo eterno, la Ragione e non l'Irrazionalità. Con questa fede non abbiamo bisogno di nasconderci, non dobbiamo temere di trovarci con essa in un vicolo cieco. Siamo lieti di poter conoscere Dio. E cerchiamo di dimostrare anche agli altri la ragionevolezza della fede".

Alla difficoltà in cui incorrono le teorie scientifiche di dare senso all'Universo e alla Vita, Papa Ratzinger contrappone la semplicità del credere in Dio. La fede non è "un insieme di sentenze" né "una teoria". Al contrario è "semplice", perché "è sempre anche speranza, è la certezza che noi abbiamo un futuro e non cadremo nel vuoto, è amore perché l'amore di Dio vuole contagiarci".

Assumendo il volto umano di Gesù Cristo e sacrificandosi per il mondo, Dio ha mostrato all'umanità che "non la lascia brancolare nel buio". Essere consapevoli della presenza di Dio nella vita quotidiana, ha spiegato, "salva dalla paura del mondo e dall'ansia del vuoto della propria esistenza".

Con chi ce l'ha il Papa nel fare riferimento alle teorie che escludono l'intervento divino e dunque la Creazione, è evidente. Non certo con la fisica e l'astronomia, i cui cultori hanno assunto un atteggiamento agnostico, che, in alcuni di loro, si vena di misticismo. Ce l'ha evidentemente, con i biologi che aderiscono all'evoluzionismo darwiniano e neodarwiniano, che insistono a privilegiare una spiegazione dell'origine e dello sviluppo delle forme viventi che prescinde da Dio (e da qualsivoglia Disegno Intelligente).

Il darwinismo è una teoria biologica, non cosmologica. Essa nulla dice e nulla intende dire sul problema delle origini dell'Universo. La sua pericolosità teologica è però evidente. Se la nascita e l'evoluzione della Vita, fino alla comparsa dell'Uomo, possono, infatti, ricondursi alla casualità della selezione naturale, perché mai si dovrebbe ammettere una logica causale per spiegare l'origine dell'Universo, la cui Creazione ha senso solo perché rappresenta la cornice entro cui si realizza l'avvento di una specie fatta a immagine e somiglianza di Dio?

E' vero: le teorie scientifiche sono complesse e incomplete. Per essere compreso in profondità, evitando di cadere in fraintendimenti di ogni genere, e riconoscere i problemi che esso lascia ancora aperti, l'Evoluzionismo richiede un grande sforzo intellettuale (oltre che una grande onestà: quella appunto che ha indotto Darwin, originariamente credente, a spogliarsi della Fede).

Le verità religiose, viceversa, a patto che si accettino i dogmi, ciascuno dei quali, come per esempio il libero arbitrio, coprono un viluppo di problemi insolubili, sono semplici. Esse rassicurano l'Uomo di non essere solo, insignificante e sospeso nel vuoto; lo proteggono dal brancolare nel buio dell'angoscia.

Fermo restando il diritto di ciascuno di operare una scelta "ideologica" religiosa o laica, il Papa sembra non rendersi conto che presentare la Fede come un ansiolitico contrasta con la dignità umana che Egli di continuo esalta, perché riduce l'uomo ad un esserino tremebondo, infantilmente timoroso del buio e del vuoto, e bisognoso di credere ad ogni costo pur di non fare i conti con la sua vulnerabilità, precarietà e finitezza, che sono i dati immediati della sua esperienza.

Si dirà che è vero che molti uomini non ce la farebbero a far fronte alla loro realtà esistenziale prescindendo da una cornice religiosa, che dà a quei dati tutt'altro senso da quello che, presumibilmente, hanno.

E sia.

Ma perché il Papa non considera che almeno alcuni uomini non hanno bisogno di quella cornice, non hanno difficoltà ad accettare la loro condizione esistenziale, e non intendono sacrificare il loro amore per la Verità (nella misura in cui possono "comprenderla") alla Fede?

Certo che la luce della Scienza non dissolve magicamente tutti i misteri che si sono accumulati nella storia di un Universo che ha alle spalle dodici miliardi di anni, e al quale l'uomo è giunto a partecipare da appena centomila anni (intervallo temporale che basta di per sé ad evocare qualche dubbio sulla linearità del Progetto). Se tutti i conti tornassero (già), dopo una manciata di anni dedicati alla riflessione e alla ricerca scientifica, l'uomo non sarebbe un essere prodotto dall'Evoluzione: sarebbe Dio.

Che ciascuno, dunque, faccia il proprio mestiere: quello del Papa, rispettabilissimo, è confortare gli uomini, di aiutarli a non sentirsi soli, sospesi nel vuoto e brancolanti nel buio; quello della Scienza (e del Sapere) è capire, per quanto possibile, come sono andate e come stanno le cose, comunque esse stiano.

Si può vivere per difendersi dall'ansia del vuoto, ma si può vivere anche per sporgersi sul vuoto senza tremori.

2. Il "lapsus" di Papa Ratzinger

Ho commentato un aspetto del discorso fatto a Ratisbona da Papa Ratzinger - il rapporto tra scienza e fede - che a me sembrava il più importante. Purtroppo quel discorso passerà alla storia per un incidente che ha provocato una sdegnata ed animosa sollevazione di gran parte del mondo islamico. Nella cornice di una dotta lezione filosofica e teologica, che analizzava il ruolo della Ragione in rapporto alle verità religiose (ruolo ñ en passant ñ sempre riconosciuto dall'Islam e spesso negato dal Cristianesimo), il Papa si è abbandonato ad un certo punto ad una citazione erudita, tratta da un testo di sei secoli fa, nella quale si afferma testualmente: "Maometto non ha portato che cose cattive e inumane come il diritto di difendere con la spada la fede che predicava". Inserita in un contesto discorsivo dal quale risultava abbastanza chiaro che essa non era condivisa dal Papa, la citazione, per quanto inopportuna, non avrebbe dovuto suscitare particolari reazioni. Invece il mondo islamico è entrato in fibrillazione, minacciando rappresaglie di ogni genere se il Papa non avesse chiesto scusa. Ovviamente, una richiesta del genere non poteva essere accolta, se non al prezzo di un'umiliazione pubblica incompatibile con la dignità pontificia. Il Papa si è limitato a sottolineare che la citazione non esprimeva il suo pensiero e a dichiararsi addolorato per il fraintendimento che aveva offeso la sensibilità religiosa dei musulmani.

Sull'incidente gli opinionisti si sono sbizzarriti, giungendo alla conclusione quasi unanime che Ratzinger è un filosofo e un teologo finissimo, che però difetta della sensibilità diplomatica e politica necessaria per portare avanti la strategia ecumenica di papa Woityla nel rapporto con le altre religioni.

Nessuno si è chiesto se non si sia trattato di un lapsus, vale a dire dell'espressione di un contenuto psichico presente a livello inconscio che si esplicita senza che il soggetto ne riconosca immediatamente il significato profondo e le conseguenze che esso può avere a livello comunicativo.

L'ipotesi non è irrispettosa né nei confronti della persona né del suo ruolo: primo, perché l'infallibilità pontificia vale solo per i discorsi ex-cathedra; secondo, perché, per quanto un Papa sia illuminato, egli non può essere trasparente a se stesso, dunque è esposto al rischio, come tutti gli esseri umani, di essere "giocato" dall'inconscio.

Ma in che senso si tratterebbe di un lapsus? Nel senso che la citazione rivelerebbe il nodo insolubile del rapporto tra Cristianesimo e Islam, riconducibile al ruolo dei Fondatori: Gesù e Maometto.

La Chiesa, con il Vaticano II e con papa Woityla, è giunta a riconoscere che le tre grandi religioni storiche, la cui comune matrice è l'Antico Testamento fanno riferimento ad un unico Dio. Su questa base, pur tenendo conto delle differenze teologiche, il reciproco rispetto è assicurato.

Il problema è che si tratta di religioni rivelate, ciascuna delle quali ricostruisce a modo proprio le tappe attraverso le quali Dio ha reo partecipi gli uomini della Verità. Secondo l'Ebraismo, l'unica Rivelazione sinora avvenuta è toccata a Mosé, e si attende ancora il Messia che la completerà. Secondo il Cristianesimo, la Rivelazione mosaica si è completata con la venuta di Gesù, Figlio di Dio. Secondo l'Islam, Mosè e Gesù sono i precursori Maometto, l'ultimo e il maggiore tra i Profeti.

In altri termini, posto il riferimento ad un unico Dio, l'Ebraismo misconosce Gesù come Messia davidico, il Cristianesimo misconosce Maometto come depositario della Verità ultima e definitiva, e l'Islam misconosce Gesù come Figlio di Dio.

Il misconoscimento di Maometto da parte della Chiesa implica una serie di giudizi negativi che non hanno mai cambiato segno.

In quanto negatore della divinità di Gesù, egli è un eretico, scampato alla persecuzione solo perché si è ritrovato a predicare al di fuori dei territori governati dal potere temporale della Chiesa. In quanto autoelettosi al ruolo di Profeta cui Dio ha comunicato le Verità ultime (tra cui quella secondo la quale Gesù non è suo Figlio), egli è un impostore. In quanto, infine, promotore di una fede appassionata che ogni credente deve difendere con la spada, se essa è minacciata, è un sobillatore che travisa il messaggio cristiano, restaurando l'odio e la vendetta contro gli empi come espressioni sublimi di amore per Dio.

Ufficialmente, il Cristianesimo riconosce la religiosità di Maometto e la sua strenua difesa del monoteismo più rigoroso. Ciò nondimeno, in conseguenza dei suddetti giudizi, la fede di Maometto è di fatto "cattiva e inumana" perché essa prende terribilmente sul serio il passo evangelico nel quale Gesù dice di essere venuto a portare non già la pace, bens" la spada, trasformando una metafora spiritualista in una guerra contro il male.

Alla luce di questo, è evidente che la citazione di Papa Ratzinger ha poco a che vedere con un cedimento alle suggestioni della teologia, che lo avrebbero indotto ad obliare il suo ruolo "politico" a livello internazionale. Si tratta di un lapsus in senso proprio, attraverso il quale traspare il pensiero della Chiesa su Maometto: un pensiero che, nel corso dei secoli, non ha subito la minima evoluzione né potrà subirla, dato che si tratterebbe di mettere in discussione la divinità di Gesù.

Il contenuto latente del lapsus può essere esplicitato nei termini seguenti.

Se Maometto avesse avuto un'anima più equilibrata e meno bellicosa (che, evidentemente, ha contagiato una quota consistente di coloro che credono in lui), egli sarebbe stato un ottimo cristiano, un valido, per quanto rigido, sostenitore di un monoteismo assoluto che, all'epoca, era ovunque, anche in Occidente, minacciato dall'idolatria pagana. Un carattere passionale e intemperante lo ha invece fuorviato, spingendolo a ritenersi superiore al Figlio di Dio e a fondare una religione che non rinuncia, ancora oggi, alla spada. Insomma, un cattivo Maestro.